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Autore: Lol_96    14/05/2013    2 recensioni
In un mondo dove ogni uomo è destinato ad ucciderne un' altro, come si può sopravvivere? E se qualcuno si ribellasse al vincolo di sangue imposto dalla società?
Sono io quel ragazzo. Sono io quello che rinuncia a tutto per combattere una società macchiata dal sangue dell'omicidio.
Io, un diciassettenne con la voglia di cambiare, un animo anticonformista pronto a combattere in quello in cui crede fino alla morte. E sarà cosi.
Finché qualcuno non metterà un punto a tutto questo odio io ci sarò, combatterò per i miei ideali.
Un ragazzo fuori posto il cui riflesso non piace a se stesso, figurarsi agli altri.
Un ragazzo un po' confuso da tutto quello che sta succedendo, che sta cercando il proprio posto.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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*RICAPITOLANDO*
1.      Nasciamo tutti con un nome inciso sul polso. Come in “In time” in nostri anni arrivano fino a diciotto e poi fanno da conto alla rovescia.(In pratica nasciamo e siamo sicuri di vivere 18 anni, dopo questi 18 dobbiamo uccidere)
2.      Uccidendo ricevo tanti anni di vita quanti ne aveva la mia vittima. Assieme agli anni ricevo anche il nome di colui che la mia vittima doveva uccidere
3.      Se dovessi mettere fine ad un anima che non mi è stata assegnata i suoi anni mi vengono sottratti(se ho 32 anni e la mia vittima 10, rimango con 22 anni di vita). Ricevo anche il nome di chi lei doveva uccidere. Mi ritrovo così con più di un nome inciso sui polsi.
4.      Per essere realmente libero, dovrei uccidere io stesso il mio assassino. In pratica Jeremy dovrebbe uccidere la ragazza che ha ereditato il suo nome, insieme al nome della ragazza che aveva il tipo barbuto(Spero sia chiaro Water_wolf :D)
 
 Scrivere è l'unico modo pe evadere dalla monotonia del mio essere, grazie a voi che leggete.
-Matt
 
P.s. Ho messo qua e là qualche citazione :) Se le trovate ditemelo ;)
 

IV

 
“Come posso andare avanti?”
Un alone di fumo?Nebbia? Non capisco cosa sia ma questa cosa non mi permette di vedere… Mi rannicchio portando le ginocchia al petto. Aspetto un segnale, qualcosa che mi faccia capire che non sono solo.
“Mamma, dove sei?”

Chiudo gli occhi e mi ritrovo in un prato, tutto è grigio, insolitamente cupo. Perché insolitamente ,poi, non ve lo so dire. Vivo in un mondo dove uccidere è di routine, dove il grigio delle nuvole è la quotidianità.
La mia mente è un ammasso di nuvole temporalesche in questo momento.
Faccio qualche passo per tastare il terreno. Sotto la pianta del piede, le foglie secche scricchiolano. Alzo la testa e butto un’occhiata qua e là. In fondo, all’orizzonte, una sagoma nera in contrasto con il grigio del cielo balla.
 
Balla?
 
Strizzo gli occhi e noto che una gonna, grigia anch’essa, ondeggia al vento che se fosse colorato sarebbe di quella tonalità di capelli che ti ritrovi dopo qualche anno che non fai più la tinta, quando tendi alla sessantina.
 
Ci arriverò mai a sessant’anni?
 
Tutto vibra.
Allungo le braccia per ritrovare l’equilibrio.
Avanzo passo dopo passo verso un piccolo rigagnolo da cui una piccola lepre sta bevendo.
Mi avvicino lentamente cercando di non fare rumore. Spezzo un rametto. Ma che cazzo.

Voltandosi, due piccoli occhi rossi mi fulminano. La lepre si gira, si alza su due zampe e mostra i denti. Denti rossi come il sangue. Per terra, appena dietro di lui noto qualcosa che si muove. Cerco di avvicinarmi ancora, ma l’animale sembra essere violento. Decido così di girarci attorno tenendomi a debita distanza. Ma circa quattro o cinque passi più in là lo vedo, ed il panico inizia a crescere. Il coniglio sorride. I miei occhi, quelli del mio me sdraiato con le gambe nell’acqua che giace morto, non sono più dell’azzurro acceso a cui sono abituato.

Semplicemente, i miei occhi non ci sono più. Sento la lepre ridere fragorosamente. Si alza in piedi, alta come il tizio che aveva il mio nome, e mi si avvicina. Sta mutando, non è più un animale.
L’immagine diventa nitida, quasi tastabile. Nell’aria aleggia un odore di putrefazione misto a sofferenza e fame. Perché voi non lo sapete, ma la fame ha un odore terribile. Assomiglia un po’ a quello dell’alito mattutino, quello pesante che quando avvicini la mano alla bocca e aliti per sentire se è il caso di lavarsi i denti o no, ti fa fare una smorfia di disgusto.
Ecco, sono disgustato.
 
Mi ritrovo un uomo davanti, un ghigno di perfidia stampato in faccia. Allunga le mani e mi avvolge il collo. Inizia a stringere, non respiro.
Mi agito ma non serve a niente. Con forza prepotente mi solleva e preme ancora di più i pollici alla gola.
Apro la bocca come fa un pesce fuori dall’acqua. Boccheggio.

Chiudo gli occhi un secondo e quando li riapro, due smeraldi mi fissano soddisfatti. Gli occhi che ammiravo da tutta una vita mi stavano uccidendo. Mi lascio andare e tutto sparisce.
 
Ci rendiamo conto di quanto sia flebile la vita solo quando siamo così vicini da percepirne la morte.
 
“PAPÁ!”
Mi sveglio con un urlo strozzato in gola e mi accorgo che è notte foda.
 
La fronte gronda di sudore, passo una manica della maglia per asciugarmi. Alzo lo sguardo e la luna, piena e gialla, illumina il cielo con la sua luce tiepida.
Mi ricorda una forma di formaggio, quant’è che non ne mangio più?

La fame inizia a farsi sentire, sono tre giorni che non mangio.
Quando le cose andavano bene, il cibo abbondava su ogni tavola. Ora, in questo periodo di distruzione e odio, tutto è scomparso. Gli animali sembrano spariti, pochi sono i favoriti che ne hanno uno in casa. Se solo quella lepre fosse stata vera.
Vero… Cosa lo è di questi tempi? Ma soprattutto cosa non lo è?
Ci avviciniamo talmente tanto alla follia, che non ci rendiamo conto di aver perso la cognizione della realtà. Sembra lo facciamo apposta, a diventare matti intendo.
 
“E' già difficile vivere in un luogo a cui non appartieni ma averne coscienza e avere nella testa due realtà divergenti... può farti diventare matto.” 

Si dice che per sopravvivere qui bisogna essere matti.
Ed io ci credo, essere matti è l’unica soluzione per andare avanti. Il Cappellaio Matto aveva ragione…
Ho conosciuto due mondi completamente diversi, uno di ricchezza totale e l’altro di aridità.
Siamo tutti aridi dentro, destinati a morire.
 
Non ho paura della morte. ll vero padrone della morte non sfugge ad essa ma la accetta senza rimpianti.
 
Vivo alterato tra realtà e sogno, come un pendolo.
Ormai come lo erano i libri, ora i sogni sono la mia realtà.
Una realtà da cui vorrei scappare, fuggire da questi incubi.
 
Qualcosa dietro si è mosso.  Porto la mano alla caviglia. Infilato nella scarpa c’è il coltellino che quella donna mi ha scagliato. Se l’è dimenticato ,o era un regalo?

Lo estraggo lentamente e lo faccio scattare, la lama spicca velocemente brillando alla luce della luna.
Un’ ombra, veloce e furtiva si aggira tra gli alberi. Se è un animale sono fortunato, altrimenti …
Tra il buio della foresta, noto un bagliore metallico. Anche lui è armato… Sono nella merda. Ho diciotto anni, ne dimostro diciassette e non ho neanche le forze per alzarmi e scappare.
 
Ma l’ombra non cerca me, mi guarda e passa.
 
Rimango solo con i miei pensieri. Ed un altro sogno parte, questa volta ad occhi aperti. Sto davvero diventando pazzo.
 
L’odore del pane appena cotto si spande nell’aria, una canzoncina risuona melodiosa.
Inizio a canticchiarla ignaro del fatto che quella voce, quella che sta uscendo dalla mia bocca, è roca e spezzata. Non ho mai avuto un’ugola d’oro, ma Dio solo sa quanto mi piace cantare.
 
Mi trovo in una piccola radura in mezzo ai boschi, una casetta bassa e tozza proprio al centro.
Sulla finestra, stile Cappuccetto Rosso, una piccola pagnotta appena sfornata. Mi avvicino di soppiatto per assaporare meglio l’odore, perché ormai me lo sono dimenticato.
Allungo la mano per prenderla, ed un dito, un indice stretto e affusolato, balla da destra a sinistra quasi volesse parlare.

No, no, no… Non si fa!
Mi  afferra il braccio e mi scuote.
Dolore.
Apro gli occhi all’improvviso e qualcuno mi sta davvero prendendo un braccio.
 
Spontaneamente alzo il piede destro e affondo un calcio dritto nello stomaco.
Lei rotola per terra, i capelli questa volta sciolti le coprono il viso.
“Questa volta hai proprio rotto ragazzino!” Sento la fermezza della sua voce,  ed il suo tono non lascia trasparire nulla di buono.
Irrigidisce la mano, mi butta per terra, e fa cadere con forza la mano proprio sul mio collo. Il sapore della terra non è il massimo. Svengo. Di nuovo.


 

Dunque, c'è da dire che non è un bel periodo, e conoscendomi, la vita reale si riflette un po' su quello che scrivo. E in questo momento fa tutto un po' schifo...Ergo... Capitolo di cacca*si scusa* Ad ogni modo mi serve solo come capitolo di passaggio :)
Grazie a tutti!
-Matt


 

 
  
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