Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |       
Autore: Clars_97    14/05/2013    0 recensioni
"Per poco non mi commossi per il fatto che lui ci teneva davvero a me e sapeva anche dimostrarlo, anche con semplici parole come quelle. Presi la mia decisione: dovevo a tutti i costi seguire ciò che Mark mi scrisse quella sera in chat. Era anche una sfida per me stessa, anche perché quello che lui diceva era la verità e dovevo ascoltarlo, perché lui non era come tutti gli altri; lui sapeva sempre ciò che diceva, non apriva la bocca tanto per far passare l’aria come tanti. Era diverso, era speciale, ma lui non se ne rendeva neanche conto. Non era una persona qualunque, era una di quelle persone che valgono veramente tanto, tra l’altro difficile da dimenticare."
Questa storia è tratta da un mio pezzo di vita vero, dove sono riuscita a comprendere che non possiamo rischiare di perdere persone a cui teniamo veramente tanto, facendo inutilissime cazzate per cui non vale la pena, in qualsiasi circostanza. Le cazzate si fanno, ma non possiamo permetterci di compromettere la nostra felicità.
Recensite Grazie! :)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ero ubriaca. Non stavo bene per niente. Mi girava la testa a duemila. Barcollavo. Forse avevo bevuto troppo, forse era la confusione che era in centro. Senza le mie amiche, in tal caso, non sarei riuscita a ritornare a casa sana e salva. Loro mi tenevano sottobraccio ed io che non riuscivo a capire dove mi trovavo, chi ero e che cosa stavo facendo in quel momento. Ridevo. Socchiudevo gli occhi, li riaprivo e vedevo tutti che ridevano. Ridevano di me? Di quello che stavo facendo? Di com’ero ridotta? Di come parlavo? Delle cavolate che mi uscivano dalla bocca? Non lo sapevo, ma neanche adesso lo so ed è questo che mi preoccupa. Il fatto era che, probabilmente, le mie amiche mi stavano prendendo in giro ed io non riuscivo a rendermene conto. Il motivo era semplice: ero ubriaca e non connettevo nemmeno una minima parte del mio strambo cervello.
Emily era rimasta da sola, mi aveva perso e, perciò, mi chiamò al cellulare. Lo presi dalla tasca dei pantaloni, ma Sarah vide che non riuscivo a digitare il verde, perciò me lo strappò dalle mani e rispose lei. Sentivo appena Emily piangere e mi preoccupai. Chiesi a Sarah cosa le era successo, ma lei non mi rispose e, per di più, si allontanò da me.
Dopo pochi minuti vidi Sarah venire verso di me, dicendomi che dovevamo andare immediatamente da Emily, perché, essendo rimasta sola, aveva paura e aveva bisogno di noi. Mi trascinava verso una direzione che io non avevo la minima idea di quale fosse, però mi ricordo che camminavo, molto velocemente e a passi molto ampi.
Arrivammo da Emily e la vidi accasciata per terra piangendo. Ci rimasi davvero male a vederla ridotta in quello stato, ma non capivo perché eravamo lì, perché stesse piangendo e perché Sarah non mi parlava. Io mi appoggiai di colpo al muro, perché la mia testa non riusciva a smettere di girare e perché io non riuscivo a stare in piedi, senza che qualcuno mi tenesse. Nel frattempo, guardavo la gente che passava, commentavo da sola come una cretina (d’altronde quello che ero!) e ridevo. Ridevo a momenti; prima crepavo dalle risate, un secondo dopo “facevo la seria”.
Intanto Emily e Sarah, le mie due migliori amiche, stavano parlando; Sarah chiedeva a Emily perché stava piangendo e come riuscire a capire a che ora i miei genitori sarebbero venuti a prendermi. Me lo chiesero molto lentamente e come se io fossi stata handicappata. Io risposi che mi sarebbero venuti a prendere alle 22.00, ero incerta, strizzavo gli occhi, guardavo verso il cielo… ma fu davvero comunque tanto se riuscii a rispondere loro.
Sarah guardò l’orologio e si preoccupò molto alla vista, dato che mancavano solo cinque minuti a quel ora. Mi chiese, molto arrabbiata, dove mi sarebbero venuti a prendere. Risposi, sempre molto incerta, alla stazione. Sarah spalancò gli occhi: era lontano da dove eravamo noi in quel momento. Così prese con forza la mano di Emily e la mia e iniziammo a correre più velocemente possibile. A quel punto, io stavo andando completamente fuori dal mondo. Mi chiedevo perché stavamo correndo, oltretutto tutte e tre insieme, mano nella mano. Cos’era successo? Perché Sarah era arrabbiata con me? Ma, soprattutto, mi chiedevo qual era la nostra maledetta direzione.
 
Ad un certo punto del tragitto, Sarah iniziò a calmarsi e a camminare, anche se, sempre velocemente. Stranamente capii dove ci trovavamo e quindi il motivo per cui Sarah aveva bruscamente rallentato quella corsa spericolata. Eravamo alla libreria davanti la stazione, perciò eravamo in perfetto orario.
Improvvisamente vidi un gruppo di cinque o sei ragazzi in fila, che venivano verso la nostra direzione. Quello in mezzo mi era familiare, molto familiare. All’inizio non riuscivo a capire chi fosse, ma poi lo scrutai nel miglior modo possibile in quelle condizioni e capii: era Mark.
Mark era ed è il mio ex, l’unico mio vero ex ragazzo. Con lui trascorsi cinque mesi incantevoli, i quali rimpiangerò per tutta la vita e che non dimenticherò mai. Fu l’unico col quale ebbi una vera storia e, tra l’altro,  del quale mi innamorai. L’amore: questo piccolo grande forestiero sentimento. Dopo alcuni mesi dalla nostra storia decidemmo di diventare buoni amici, anche se io non ero del tutto d’accordo, dato che l’amavo ancora, nonostante quello che aveva combinato in precedenza. Più o meno ogni sera chattavamo e, ogni benedetta volta che parlavo o scherzavo con lui, mi faceva e mi fa, tuttora, stare sempre bene; riesce a tirarmi su il morale come nessun altro, a trovare sempre il lato positivo in ogni particolare che mi va storto.
Così, rimasi molto stupita alla sua vista, dato che non ci eravamo mai incontrati, prima di quel momento, in centro. Appena lo vide, prima di me, Emily alzò gli occhi. Sarah fece lo stesso; perché a nessuna delle mie amiche stava simpatico, ma a me, in realtà, non importava un granché.
Appena lo riconobbi e fui sicura che fosse lui, mi strappai di dosso le braccia e le mani di Emily e Sarah e corsi verso di lui. Correvo come una grandissima cretina, urlando a tutta gola il suo nome, poi lo abbracciai. Prima un abbraccio, un bacino da una parte (di quelli che si danno praticamente al vento, come forma di saluto) e un altro bacino dall’altra parte. Lo guardai e lui mi sorrise. Poi guardò le mie amiche e loro gli dissero che ero completamente di fuori con il cervello, cosa che era vera. Un attimo dopo se ne andò, proseguendo con i suoi amici e per la sua strada, opposta alla mia.
Arrivai a destinazione. La macchina grigia di mia madre era accostata al marciapiede davanti alla stazione. Salutai le mie due più care amiche ed entrai. Mi girava la testa, avevo una vaga voglia di rimettere e, intanto, mia madre stava iniziando la sua trafila di domande noiose. Io rispondevo, certo, ma il modo era molto indigesto. Mia madre mi chiese addirittura il motivo della mia voce così insolita e stralunata. Io risposi che avevo il mal di gola, la prima cavolata che mi venne in mente in quel momento. Poi continuavo a parlare, o meglio, a blaterare sottovoce. Nel frattempo ascoltavo Tiziano Ferro alla radio, guardando fuori dal finestrino e pensando intensamente alla figuraccia che avevo fatto pochi minuti prima con l’unico ragazzo che amavo. Tanto per cambiare, mi venne da piangere, ma cercai di trattenere quelle luride lacrime, che non meritavano assolutamente di scivolare lungo il mio viso, dato che la colpa della brutta figura era stata solamente mia e quindi dovevo solo pentirmi amaramente di quello che avevo fatto.
 
Arrivata finalmente a casa, dolce casa, scesi subito dalla macchina e corsi in casa, in camera mia. Posai la borsa sul letto, mi tolsi il cappotto e andai in bagno. Mi guardai allo specchio e pensai:
 
“Guarda come ti sei ridotta.
Sei una schifezza.
Hai i capelli arruffati, gli occhi pieni di nero e con l’aspetto di una che si è appena fatta.
Guardati: non ti riconosci nemmeno più, non sei neanche più tu.
Chi sei?
Dov’è finita quella ragazza così tranquilla, piena di sogni nel cassetto, piena di speranze e di amore?
Io non la vedo più.
Si è dissolta.
Se ne è andata e, da quello che vedo, ho l’idea che non ritornerà mai più, almeno come una volta.
Tu lo amavi..
ma adesso gli hai dimostrato di essere debole, di essere una che si fa facilmente condizionare dagli altri, una di quelle cretine che gira facendosi vedere ubriaca.
Tu, però, non sei affatto così; sei esattamente l’opposto.
Allora, perché vuoi farti del male così? Perché vuoi farti vedere l’opposto di quello che realmente sei? Perché stai cambiando, se ti hanno sempre accettato tutti, nei tuoi pregi e nei tuoi difetti?
Dimmi un solo motivo, che valga oro però.
Non deludere te stessa, facendoti solo del male.
E’ tutto inutile tanto, perché, facendo queste cavolate, non risolverai assolutamente niente di quello che ti va storto.
In questo momento penso che sei solamente ridicola e mi chiedo se davvero non ti vergogni.”
 
Mi odiavo profondamente. Ero stata una demente a lasciarmi andare tanto in quel modo, non avrei dovuto farlo per nessun motivo al mondo e invece lo feci.
Dopo terribili pensieri e pentimenti, mi struccai, mi sciacquai il viso e mi immersi sotto le coperte.

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Clars_97