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Autore: driu    15/05/2013    1 recensioni
Chiuse gli occhi, sorrise e strappò in due pezzi le sue incertezze, i suoi dubbi su cosa avrebbe voluto per se stesso tra dieci anni. In quel momento, aveva deciso cosa sarebbe diventato per il resto della sua vita: libero.
Simon sbarrò gli occhi e si alzò di scatto, afferrandolo per il colletto della camicia.
“Sei un bastardo.”
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rating: verde.
Parole: 2331
Paring: Louis+Harry, Houis Tomlyles (o Larry Stylinson; credo sia più conosciuta la prima).
 
I One Direction non mi appartengono - merda -, la storia non è scritta a scopo di lucro eccetera eccetera eccetera.
 
 
 
 
 
Pronto a correre.
a KyrieEleison - finalmente -, perché lo sai.
 
 
 
 
 
 
 
 
[Marco Mengoni: pronto a correre, click!]
 
Molte volte gli avevano chiesto ‘hai mai pianto per gioia, Harry?’ e lui, francamente, aveva saputo solo rispondere con un’alzata di spalle ed un sorrisino innocente di chi la sa lunga ma, in realtà, non sa proprio nulla, mantenendo la facciata di bello e tenebroso che ormai era riuscita ad ingannare pure lui stesso, oltre che al resto del mondo.
Harry non aveva mai pianto per gioia; aveva pianto per dolore, che così dolore poi neanche era, per malinconia, di qualcosa che avrebbe sicuramente rivisto, per rabbia, infantile ed ingiustificata.
A dire il vero, Harry non sapeva esattamente cosa volesse dire piangere per davvero, figuriamoci piangere per gioia, per dolore, per rabbia.
Figuriamoci piangere per amore.
Gli avevano sempre insegnato che la vita, se riesci a prenderla per il verso giusto, poteva offrire ciò che lui voleva e, alla ridicola età di diciassette anni scarsi, lui dalla vita aveva ottenuto soldi, fama, donne, felicità, personalità, un lavoro, degli ‘amici’ di alto livello, l’orgoglio dei parenti, un nome, il Mondo in una mano e la Luna nell’altra.
Ad Harry non era mai stato insegnato correre, Harry aveva sempre e solo camminato e, alla fine, in culo ad ogni singola regola che inneggia al ‘duro lavoro per ottenere qualcosa’ aveva ottenuto la gente, che è il vero potere del mondo.
Harry bambino era arrivato un bel giorno in un enorme edificio chiamato ‘capitalizzazione’ e ne era uscito uomo il giorno dopo, di nome la stessa etichetta contornata da un Harry Styles per bella grafica. Era lui il mondo ora, e non aveva nemmeno corso, non aveva nemmeno pianto di dolore, di malinconia, di rabbia, di gioia. Di amore.
Era tutto perfetto, Harry era l’oggetto perfetto affinché gli occhi delle nazioni avessero un unico punto in comune con il quale distrarsi dalle vere importanze, gli avevano offerto quello a cui tutti aspirano e lui l’aveva afferrata senza neanche accorgersi che non avrebbe avuto scelta comunque, che quella cosa gliela stavano cucendo addosso con dei ferri ardenti: la notorietà, essere qualcosa oltre che ad uno su sette miliardi su questa terra.
C’era solo un’unica pecca su cui non avevano prestato molta attenzione, un piccolo, minuscolo dettaglio che avevano preso come futile o non l’avevano nemmeno visto e l’avevano semplicemente coperto con quelle catene troppo robuste: l’Harry che avevano pescato dallo stagno non aveva ancora avuto modo di piangere, non aveva ancora avuto l’occasione di sentire il vento sulla faccia quando si corre per davvero, le ossa di Harry erano ancora quelle di un bambino, erano delle ossa che piano, col tempo, si sarebbero indurite senza destare sospetto e, un giorno come un altro, sarebbero esplose da sotto quel cumulo di costruzioni.
Ed Harry aveva trovato un movente per correre, per piangere, e adesso stava facendo entrambe le cose senza saperne nulla, senza esserne mai stato addestrato, le gambe correvano per istinto e gli occhi piangevano forse perché tutti noi, quando arriva il momento, sappiamo farlo.
I passi mangiavano l’asfalto come una bestia assetata di libertà e, davvero, ad Harry sembrava di sentire il ruggito di un Dio che lo inseguiva, feroce, mentre saltava il cofano di una macchina assopita al semaforo già verde, mentre la guancia rossa ancora pulsava e il respiro diventava un animale ansante che, tremando sulle zampe diventate instabili dalle troppe percosse, sconfitte, umiliazioni ma ancora un’altra volta pronte a reggere un corpo determinato a spiccare un balzo in avanti, affrontava la vita con l’arroganza di uno sconfitto.
L’aria gli mordeva il viso, la pioggia a dirotto gli si abbatteva prepotentemente sulle guancie e lui lo sapeva che se si fosse fermato l’acqua lo avrebbe travolto e si sarebbe trovato punto a capo; per questo le gambe tremanti continuavano ad arrancare, per questo gli occhi rifiutavano il vedere un futuro diverso da quello che era determinato a conquistare.
Correva controvento, e non era più sicuro di riuscire a frenare.
Scivolò sotto le braccia di due amanti, barcollò ed un qualcosa cominciò a succedere ad Harry.
Affondò un passo dopo l’altro e, una mano al cuore e l’altra al viso, si rese conto di stare per sorridere, si rese conto di stare, forse, amando e, proprio nello stesso momento in cui sentì delle lacrime bagnare quel sorriso sporco, nuovo, che la direzione del vento stesse cambiando.
La bestia dentro di lui si diede uno scossone e gorgogliò spaventosamente e ad Harry, inverosimilmente, dopo aver percorso una città in piena attività di corsa, venne istintivo accelerare.
E il cuore cominciò a pompare più sangue e le lacrime continuavano a scendere e quello che era un sorriso cominciava davvero a diventare una risata e Harry si buttò in mezzo alla strada, al culo il semaforo, al culo il rischio di essere tirato sotto, al culo le fan che sentiva urlare dietro di lui, forse diventate mille o diecimila o centomila, al culo Simon che aveva appena mandato a fare in culo, al culo la sua carriera fondata solo sui soldi, al culo la Luna e il Mondo; Harry stava agitando le braccia e probabilmente Luna e Mondo erano già tornate in orbita, dov’era il loro posto, e Harry stava piombando a tutta velocità verso una lastra di cemento. Si. Dov’era il suo posto.
Un autobus stridette oscenamente sull’asfalto, sterzò e si piegò su un lato nel tentativo di schivare un corpo matto che si lanciava contro di lui con la presunzione di poterlo abbattere, ma…
…ma forse era proprio così. Harry scartò il mostro di metallo e continuò la sua discesa impazzita verso lo schianto, questa volta con il dubbio che, forse, anche Dio stesse cambiando marcia, e la pioggia a frustargli la schiena e spingerlo in avanti.
Da lontano vide l’aeroporto e si fermò, cominciò a piangere per gioia, a pensare di correre sul serio, a sentire dolore, perché Harry stava affacciandosi a tutti i suoi fantasmi e aveva paura, sapeva che a questo punto… o si correva controcorrente, contro a tutti, ritornando ad essere l’uno su sette miliardi, o ci si fermava e si veniva trasportati dalla corrente che l’avrebbe riportato al suo posto maledetto fatto di sorrisi finti, di passioni rovinate, di amicizie buttate.
Harry ricominciò a correre.
 
“Se voi uscite da quella porta, siete degli uomini finiti!”
I quattro ragazzi si fermarono sulla soglia, immobili, le spalle all’uomo che aveva appena scagliato un portapenne al muro.
Erano stati ragazzini, lo erano forse tutt’ora, ma non in quel preciso istante.
In quel momento erano dei liberi figli di puttana.
Si fulminarono negli occhi in contemporanea, i più grandi si avviarono fuori seguiti dal compagno.
All’angolo, esattamente quell’angolo che avrebbe segnato il loro futuro, Harry si fermò e i suoi occhi non erano più quelli di un bambino.
Erano quelli di un libero uomo.
“Sarò un uomo finito, ma sarò un uomo.”
Sputò queste parole con una fierezza che il mondo poche volte aveva avuto l’onore di vedere, una determinazione che fece esitare un attimo Simon Cowell.
Si riscosse repentinamente e, con sguardo impazzito, sbatté sul tavolo il loro contratto, sogghignando.
“E questo? Vi rovino.”
Harry si avvicinò titubante al tavolo esteso, insicurezza in bella vista.
Prese il contratto in mano, lo fissò per qualche minuto avvertendo l’uomo di fronte a lui pregustarsi la vittoria, sedutosi nuovamente sulla sua poltrona.
Chiuse gli occhi, sorrise e strappò in due pezzi le sue incertezze, i suoi dubbi su cosa avrebbe voluto per se stesso tra dieci anni. In quel momento, aveva deciso cosa sarebbe diventato per il resto della sua vita: libero.
Simon sbarrò gli occhi e si alzò di scatto, afferrandolo per il colletto della camicia.
“Sei un bastardo.”         
Gli ringhiò in faccia. Il ragazzo lo spintonò indietro e, giunto sulla soglia dell’ufficio, si fermò una seconda volta.
“Sono un libero figlio di puttana.”
Lo corresse, si girò e sentì le catene scivolargli definitivamente dalle spalle.
 
Ma si sbagliava, le catene erano ancora salde attorno a lui e con quel piccolo grande gesto di coraggio era si riuscito a forzarle, ma per spaccarle sul serio ci voleva ben altro.
Rivide Simon, il suo sguardo severo e disgustato, vide la sua famiglia che si spaccava tra quelli comprensivi e quelli che provavano vergogna ad avere lo stesso suo sangue, vide Liam, Niall e Zayn che avevano strappato i loro contratti insieme a lui e avevano sputato in faccia ad un mondo che li voleva diversi e gli avevano sorriso in un muto ‘corri’, dei ragazzi che erano diventati uomini insieme a lui, vide Harry Styles che, sopra ad un palco vuoto, moriva.
E questo, tutto questo, era dolore.
Ma anche gioia, perché la bestia dentro di lui gli aveva appena graffiato un cuore che si stava spaccando e, Harry lo sapeva, tutto questo ne valeva la pena.
Eppure Harry sentiva anche gratitudine per quel mondo che stava contrastando, sentiva che quel mondo era riuscito a stringerlo tra le sue catene ed ora gli stava dando la possibilità di scrollarsele di dosso, stava tirando fuori il meglio di lui e, forse solo per questo, gli One Direction sarebbero entrati nella storia, ma non della musica, nella storia degli uomini che, con la sola vita che gli scorreva nelle vene, erano riusciti nell’impossibile: gettare via la fama, perdere loro stessi e ritrovarsi in mezzo a sette miliardi di persone.
Ma lui lo sapeva a chi doveva tutto se stesso, sapeva che quel segno sulla guancia era stato un dono dal cielo, sapeva che rifiutare di stare dalla parte del suo ragazzo e schierarsi da quella dei macellai aveva spaccato qualcosa di indistruttibile che poteva essere aggiustato solo con la distruzione di tutto il resto, sapeva che era e sarebbe sempre stato solo merito suo se il meglio di Harry Styles veniva e sarebbe venuto a galla, che la vita che sentiva pompargli nelle vene dal cuore a cervello, che le lacrime e le corse e l’amore e tutto il resto sarebbero sempre stati merito suo.
Sentiva ancora rimbombare nella mente quel “Se tu sarai con me, solo allora potrò combattere per entrambi.” e ora lo avrebbe fatto, gli avrebbe detto “Sono con te, ma non c’è più bisogno di combattere” e avrebbe fatto qualunque cosa per lui, si sarebbe scoperchiato il torace e gli avrebbe donato il suo cuore, la metà buona, la metà che batteva per trascinarlo via dalla corrente e, anzi, avrebbe addirittura smesso di correre per fargli vedere che, quella volta, la corrente si sarebbe solo potuta dividere tra le sue gambe, non le avrebbero mosse di un centimetro.
Scavalcò lo sportello del gate senza neanche sapere la direzione trascinandosi dietro il terrore delle guardie, la curiosità morbosa della gente che lo aveva riconosciuto e le urla delle fan che sfondavano gli sforzi della debole sicurezza.
E poi fu solo un correre correre correre fino ad intravedere un paio di ali bianche, enormi, ed un angelo di spalle con la borsa da viaggio dondolante in una mano e l’aria nell’altra.
Harry si fermò.
Harry tremò e sentì uno scricchiolio spaventoso dentro di se e le diapositive di tutto quello che stava abbandonando gli bombardarono il cervello, cattive.
Ma Harry aveva imparato a correre e piangere per amore e nulla avrebbe più potuto strapparlo dal voler provare e riprovare quelle sensazioni.
“Lou!”
Un tuono spaccò l’ordinario di quel luogo. L’angelo si girò piano e Harry, sommerso da fan di una vita passata, trovò la forza di scrollarsi di dosso anche loro e di correre verso il suo futuro, scosso dai tremiti, scosso da ruggiti rivoluzionari.
La distanza dal suolo continuava a diminuire spaventosamente e Harry era impaziente di sentire il dolore dell’impatto, di sentire cosa si provava a morire e rinascere nel giro dello stesso secondo.
Ma, quando il suo petto andò a collidere con quello del giovane, l’unica cosa che sentì furono dei rumori di ferri spezzati e una bestia che uccideva un involucro vuoto, un manichino di Harry Styles dagli One Direction.
E credetemi se vi dico che, labbra unite di fronte ad un delirio di urla, Harry non sentì più nient’altro se non che due metà di cuori che battevano all’unisono ed un mondo che, sempre, sarebbe andato controcorrente, sfidandoli, e la gioia di sapere che non li avrebbe mai potuti vincere a quel punto.
Lì e solo lì, per davvero, Harry sentì le catene scivolargli dalle spalle e il ragazzino di sedici anni chiuso lì dentro da quattro anni riaffacciarsi timido alla vita, libero.
Per sempre.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti; mi rendo conto di aver stressato e che tra un po’ qualcuno chiamerà l’amministrazione di efp per farmi cacciare.
Scusate, sto cercando di impegnarmi con una fan fiction ma… sono in one-shots mode ed è dura uscirne!
Volevo assolutamente pubblicare qualcosa prima di lunedì - tutti sappiamo cosa succede lunedì - e probabilmente pubblicherò anche qualcos’altro, perché è l’unico modo per sentirli vicini e sentirmi partecipe di questa grande cosa che chiamano ‘vita’; d’altronde, nella nostra testa è molto meglio che nella realtà - mh, mi appunto il tema per la prossima shot -!
È stressante averli a qualche chilometro di distanza, sotto lo stesso cielo e non poterci fare niente - e poi diciamocelo, chi ha visto il Paradiso dopo averli incontrati non può più scendere sulla Terra, no? Ma questa è un’altra storia. -; sono sicura che in molte ci troveremo d’accordo.
Quindi nulla, se vi sentite depresse come la sottoscritta che avrà i cinque figoni a girare per la SUA città senza poterli vedere ne per strada ne al/ai concerto/i o se più semplicemente avete qualcosa da dire sulla storia, prego!, le recensioni sono la soluzione. :)
D.
 
P.s so che non entri da un bel po’ su efp ma scordati che verrò a dirti “Ehi, ti ho dedicato una one shot perché si!” perché la trovo una cosa squallida e che ti indurrebbe a recensire per obbligo, quindi aspetterò con pazienza (un cavolo) il tuo parere.
<3

 
 
Neem me
Forever and always
Be us.
  
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