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Autore: Gan_HOPE326    02/12/2007    4 recensioni
“Mi chiamo Naruto Uzumaki, ho vent’anni, e sono un ninja. Sono fuggito dal mio villaggio. Ho tradito il mio sogno. La febbre mi sta divorando, e forse mi ucciderà. Ma nulla di tutto questo ha importanza per me…
…finché ‘lei’ mi resta accanto.”
Una fuga disperata, una donna misteriosa, un’insana passione. L’ultimo viaggio di Naruto, che lo condurrà alla ricerca del vero senso della sua vita, delle sue origini e della reale natura dell’Eredità del quarto Hokage. Perché anche i sogni più dolci, al mattino, possono avere un sapore sorprendentemente amaro.
Genere: Dark, Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
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6th – Nine Tail Demon Fox

6th – Nine Tail Demon Fox

 

Telling me to go,

but hands beg me to stay.

Your lips say that you love,

your eyes say that you hate.

There's truth in your lies,

doubt in your faith.

What you build you lay to waste.

Linkin’ Park – “In pieces”

 

C’era una grande stanza, con pareti nere e lisce e infinite. Dure e fredde come pietra o metallo; ma anche, in qualche modo, vive.

C’era il buio. Un buio ostinato, onnipresente, che nessuna luce avrebbe potuto scacciare.

C’erano due persone, in piedi, una di fronte all’altra. Nonostante il buio, le loro figure erano perfettamente visibili. Non brillavano di luce propria, né erano illuminate da qualcosa. Piuttosto, sembravano due figure disegnate in vivi colori su uno sfondo nero.

Erano entrambi nudi. Uno era un ragazzo, sui vent’anni, dagli splendenti capelli biondi e gli occhi azzurri, con un sorriso luminoso. L’altra figura era insolita, cangiante. A volte sembrava una donna, dalle forme morbide, con la pelle chiara e un’aureola di lunghi capelli rossi che le cingevano il capo e, scendendo, le si avvolgevano intorno al corpo; e poi, ecco, si trasformava in qualcos’altro, non si riuscivano più a cogliere i confini del suo corpo, sembrava debordare, debordare in qualcosa di enorme, rosso e selvaggio, con nove code alle spalle che sibilavano nell’aria come fruste. Allo stesso modo, i suoi sentimenti parevano oscillare tra una calma e rassegnata malinconia e un’incontrollabile furia demoniaca.

-         Ci ritroviamo qui, Naruto. – disse la donna, o la volpe.

-         Sì.

-         Ora ricordi cosa sei realmente? Chi sono io, e perché…

-         Forse. – disse il ragazzo, alla donna ma anche a stesso.

Aveva memorie nuove, diverse; ma le sentiva sue e al contempo estranee. Erano memorie fatte non di immagini o di sensazioni ma solo di parole, distanti e flebili; una vecchia e triste favola nera, raccontata al buio, al suono di un carillon stonato, per far paura ai bambini.

 

C’era una volta uno spirito malvagio dalle sembianze di una gigantesca volpe a nove code. Con il solo movimento delle sue code, la Volpe poteva provocare frane e terremoti.

Per far fronte a quello spirito, la gente invocò l’aiuto dei ninja.

Uno solo di quei ninja, a costo della propria vita, riuscì a imprigionare lo spirito.

Quel ninja era il Quarto Hokage.

 

-         Questa parte della storia la conosciamo tutti molto bene. – commentò la donna, con un sorriso.

-         E’ vero. Ma il seguito...

Naruto restò immobile, pensieroso. Le parole si frammentavano, fuggivano spaventate, si rintanavano negli angoli bui della sua mente. Poteva ricordare; ma doveva andarle a cercare, quelle parole, una per una, con pazienza.

-         Sai quale tecnica usò il Quarto Hokage per sigillare la Volpe?

-         Per sigillare te, Yume. Giusto?

Yume fece una risatina:

-         Non posso negarlo. Allora, lo sai?

-         Era il Sigillo del Diavolo. L’ho scoperto solo di recente. La stessa tecnica che costò la vita al Terzo Hokage nella sua battaglia contro Orochimaru.

-         Esatto. E cosa sai di quella tecnica?

Naruto rispose recitando frasi che non ricordava di ricordare:

-         E’ una tecnica di costrizione che richiede la propria vita come pegno. L’anima che viene sigillata con questa tecnica non potrà mai morire, e continuerà a soffrire nello stomaco del Dio della Morte. L’anima che viene imprigionata si attorciglia a quella che l’ha fatta prigioniera e le due combattono e si odiano per l’eternità.

L’altra annuì e abbassò lo sguardo.

 

Quando gli uomini del villaggio lo chiamarono in aiuto, il Quarto Hokage combatté contro la Volpe a lungo, per ore e ore. Ma la Volpe era forte e potente. Il ferro non la trafiggeva e il fuoco non la bruciava; con un solo colpo di una delle sue code poteva sollevare da terra cento uomini, e le sue fauci erano tanto mostruose e ingorde da poter ingoiare senza sforzo un’intera montagna. Allora il Quarto Hokage, visto che non era possibile uccidere quel mostro, disse ai suoi uomini che si ritirassero, e che egli solo conosceva il modo per sconfiggere la Volpe: ed essi capirono cosa stava per fare e piansero lacrime amare, ma non lo fermarono, perché in fondo al cuore sapevano che non esistevano altri rimedi.

Rimasto solo, il Quarto Hokage sfidò la Volpe a venirgli vicino e ad affrontarlo. Essa rise, scioccamente, lo chiamò stupido mortale, e fece ciò che lui chiedeva, immaginando di poterne trarre un divertimento ancora maggiore. Non sospettava alcun tranello.

Quando finalmente gli fu vicino, disse, ancora ridendo:

-         Ecco, piccolo uomo, io sono qui. Dici di volermi sfidare, ma le tue parole sono più grandi di te. Prova pure quello che vuoi, so già che non ti servirà. Ma ti farò un favore, per onorare il tuo coraggio: ti lascerò scegliere come vorrai morire.

Allora il Quarto sorrise, e le rispose:

-         Demone insolente, non riderai più degli uomini, dopo questo giorno. Non disturbarti a concedermi alcun favore. La mia morte io l’ho già scelta.

Rise ancora la Volpe, e ancora più forte, ma poi sentì un dolore stringerle il cuore, e abbassò gli occhi che teneva alti al cielo, piena di angoscia. Ed ecco: una mano di spettro, che usciva dal corpo del Quarto Hokage, l’aveva agguantata e la trascinava con sé.

-         Questa è la mano del Dio della Morte. A lui io ho donato le nostre due anime: suoi saremo per l’eternità, e mai più tu potrai calcare il suolo degli uomini, o recar danno ai figli della Foglia. Per ciò io dono la mia vita. Il sacrificio di un uomo è un piccolo prezzo per salvarne altri mille, e mille ancora.

Altissimi strilli lanciò la Volpe, ma essi si perdevano nel cielo vuoto, e divenivano ad ogni istante più fiochi. La sua figura si rimpicciolì e venne risucchiata come fumo che viene aspirato, e infine sparì.

Così il demone abbandonò questo mondo e venne sigillato per sempre.

 

-         E’ stato doloroso. – mormorò Yume, e si strinse con le braccia, come in preda a un freddo, a un freddo troppo acuto per poterlo sopportare.

I suoi occhi lampeggiavano del fuoco della volpe, ma la pelle, bianchissima, era quello della donna; e premeva le braccia sottili contro il seno, che trepidava allo stesso ritmo del respiro; e aveva la testa leggermente reclinata; e nonostante gli occhi sempre più rossi, sempre più accesi, non sembrava affatto un demone, non possono esistere demoni così belli e fragili, ma solo una ragazzina nuda persa in mezzo alla neve di un inverno troppo gelido. Le sue parole, un soffio di vento dolente e sottile:

-         Molto. Non riesco a dimenticarla… l’aria fresca, la foresta, la luce del Sole. La vita. E poi quest’artiglio di ghiaccio che mi si conficca in corpo, dritto dentro l’anima, e io che sento tutto sparire, intorno, non più luce…

E allora alla sua voce si unì quella di Naruto, in un coro triste e cantilenante:

-         …non più aria. Una lunga caduta buia e dolorosa. Vorticare come presi in un gorgo, e il freddo di quella mano crudele che stringe, stringe, e intorno invece un turbine di fuoco. Precipitare per un tempo infinito, e piombare infine in una stanza buia.

Il ragazzo si guardò intorno.

-         In questa stanza. – concluse, e poi, sorpreso: - Lo ricordo anch’io, perfettamente. Come se mi fossi trovato lì.

  Yume sorrise pallidamente:

-         Ma tu eri lì, Naruto. Eri con me. Tu e io, quella caduta l’abbiamo fatta abbracciati insieme.

-         No, non può essere.

-         Credici. – sibilò l’altra, e stavolta era la Volpe, alta e minacciosa. La sua voce si fece crudele, derisoria – Non ti sei mai chiesto come avesse fatto il Quarto Hokage a rinchiudermi dentro di te, dopo aver saputo come funziona il Sigillo? Credi davvero che si possa far fesso il Dio della Morte, lasciargli una sola delle due anime che pretende, e l’altra sigillarla nel primo neonato che capita?

-         Me lo sono chiesto, è vero, ma…

-         SEI UNO STUPIDO! – ringhiò la Volpe, al colmo della furia.

Naruto indietreggiò di qualche passo, ma in quel luogo così irreale sembrava che le distanze non cambiassero mai. Il demone continuava ad incombere su di lui da un’altezza immane. Le pareti della stanza sembravano infinitamente lontane, eppure così vicine e incombenti: stretta là dentro, la Volpe era l’unica cosa che si potesse vedere, l’unica che si potesse concepire. Le sue parole rimbombavano fin dentro il corpo di Naruto:

-         Non si può! Non si possono cambiare le regole! Non si possono fare eccezioni! La mia anima è stata semplicemente data in pasto al Dio della Morte assieme a quella di chi mi aveva catturato!

-         E allora, – esclamò Naruto, in una sorta di difesa disperata, tentando di ragionare con il mostro e la sua follia – perché dici che io avrei fatto quella caduta assieme a te? E’ stato il Quarto Hokage a catturarti, non io!

-         SEI TU IL QUARTO HOKAGE!

Lo spaventoso ruggito di rabbia della Volpe scosse la terra e l’aria; l’oscurità sembrò farsi ancor più fitta, per un istante. Naruto sembrò paralizzato, cercò di dire qualcosa, ma finì per restare in silenzio. Nel frattempo, la Volpe aveva recuperato il controllo di sé, e con esso anche le sue sembianze femminili. Era tornata ad essere Yume, una figura discreta, bella e un po’ triste.

-         Sei tu il Quarto Hokage. – ripeté, stavolta più pacatamente – Naruto Uzumaki, Quarto Hokage di Konoha: questo era il tuo nome quando eri vivo. Nel mondo reale.

-         Quando ero vivo? – gridò Naruto, che improvvisamente si sentì oppresso da una tremenda inquietudine – Ma io SONO vivo, maledizione! Mi… mi riesco a sentire le mani, e i piedi, e… non so… ma io sono solido! Respiro, mangio, bevo! Sono vivo!

-         Naruto, solo cinque minuti fa ti sei conficcato una spada nello stomaco, eppure ora non hai nemmeno un graffio. Se fossi stato davvero vivo, adesso sì che saresti morto.

-         Non può essere. Non può essere.

Naruto continuava a fissarsi le mani, a farle scorrere sul suo corpo, a muovere le dita, come cercando conferma di quello che affermava, perché accidenti, non poteva essere morto, non ci si poteva sentire così se si era morti!

-         E poi cosa intendi quando parli del mondo reale? Vuoi dire che questo non sarebbe reale? Se non è il mondo, che cos’altro dovrebbe essere! L’aldilà, oppure…

“…L’anima che viene sigillata con questa tecnica non potrà mai morire, e continuerà a soffrire nello stomaco del Dio della Morte…”

-         Oppure… - e, trovando la risposta nelle parole che lui stesso aveva pronunciato poco prima, lasciò svanire la sua voce in un soffio.

Morto.

Era davvero troppo da accettare.

-         Le due anime – disse Yume – si attorcigliano, continuano a soffrire, si odiano, e combattono per l’eternità.

E poi aggiunse, con un sorriso malinconico:

-         Ma, nel nostro caso, lo fanno in un modo del tutto particolare.

La favola era completa. Le parole al proprio posto. Inesorabilmente, Naruto lesse nei propri ricordi la conclusione di ciò che era accaduto quel lontano giorno fatale.

 

La Volpe e il Quarto Hokage caddero a lungo, giù per un abisso che era come se avesse denti che li straziavano, fauci che li stritolavano, succhi disgustosi che li scioglievano e li consumavano, tutto questo sentivano, eppure non c’era niente del genere, intorno, solo un nerissimo buio quale loro non avevano mai visto. Smisero infine di cadere, senza nemmeno accorgersene, e scoprirono di essere finiti in una stanza oscura e sconfinata. Per molto tempo il grande guerriero e il demone indomabile attesero immobili che qualcosa accadesse, senza tradire un brivido, senza battere un ciglio; ma entrambi avevano in realtà una paura incontrollabile e mostruosa, paura della sorte che li attendeva e paura di tradire la propria paura. Perché non importava quanto fossero stati forti e potenti in vita: essi ora sentivano di essere in balia di qualcos’altro, il cui potere superava di gran lunga il loro, e che per di più era malvagio e terrificante.

Allora cominciò a udirsi, dall’alto, prima distante come un’eco che ha perduto la sua via, poi sempre più forte, sempre più vicina, sempre più rimbombante, una lunga e perfida risata. La Volpe ruggì con tutta la sua furia al cielo, che era nero come ogni altra cosa, e gridò al vigliacco che si nascondeva e osava ridere di lei di farsi vedere, di farsi sotto, perché nessun mortale aveva mai avuto il coraggio di deridere il potente Demone dalle Nove Code, né mai avrebbe potuto farlo. Mostrava rabbia per dimenticare la paura. Il Quarto Hokage, invece, non disse nulla: era stato lui ad attivare il Sigillo, e conosceva fin troppo bene quale sarebbe stato il loro destino. Non per questo non aveva paura; era semplicemente abbastanza saggio da sapere che non vi era modo di sfuggire a ciò che li attendeva. Il giudizio del Dio della Morte.

Il Dio della Morte, il crudele Mietitore, rideva e rideva, divertito al pensiero di come gli uomini potessero scioccamente precipitarsi nelle sue fauci, presi com’erano dalla loro frenesia di combattersi l’un l’altro, e ancor più divertito dalla vista della Volpe che continuava a dibattersi e ad urlare come un’ossessa. Nessun pasto gli era più gradito di due anime forti e orgogliose come quelle: farle deboli e umili con la tortura e la sofferenza sarebbe stato un gioco che l’avrebbe divertito per l’eternità.

“Tu, uomo” proclamò con voce terribile quando il suo riso si placò, “tu sei Hokage: perciò non sarai Hokage mai più. Perso ogni ricordo, vivrai una vita di illusione, non più reale di un sogno o di un miraggio, rinchiuso qui nel mio regno. Crederai di rinascere nel tuo villaggio, ospiterai nel tuo ventre il demone che hai sigillato, e a causa sua patirai mille sofferenze. La tua vita sarà tormentata da odio, rancore, disprezzo e solitudine. Desidererai con tutte le tue forze di tornare ad essere ciò che realmente sei e diventare Hokage, e per questo combatterai e soffrirai ancor di più, senza conoscere né la pace né il riposo. Ma ogni volta che raggiungerai il traguardo che aneli esso ti sarà strappato di mano; allora tu crederai di morire, e poi di rinascere, di nuovo senza ricordi. Ogni volta che diventerai Hokage tutto avrà fine, cosicché tutto potrà ricominciare. E questo sarà il tuo inferno.”

“Tu, Volpe” continuò poi, “sei potente e superba: perciò diverrai schiava. Incatenata nel corpo di colui che ti ha imprigionata; capace di osservare, ma non di agire; costretta ad essere legata a lui per la vita e per la morte, a servirlo e a condividere la tua forza con lui. Mai più assaporerai la libertà, nemmeno nel mondo illusorio che ospiterà d’ora in poi la vostra vita. Serva dell’uomo che ti ha battuto, sarai, tuo malgrado, la sua unica vera compagna. E questo sarà il tuo inferno.”

Dette queste parole, il Mietitore si ritirò nell’oscurità, ad osservare come i suoi burattini recitavano nel palcoscenico che aveva preparato loro, né mai più il Quarto Hokage e la Volpe lo rividero.  

Fu così che il gioco ebbe inizio, e continua tuttora.

 

-         Quante volte? – chiese Naruto, con voce tanto roca da sembrare spettrale.

Era stordito. Restava accovacciato a terra, preda di violente vertigini. Non riusciva a rialzarsi. Quando aveva preso coscienza della verità e i ricordi gli erano entrati dentro con forza era quasi svenuto.

Dopo qualche secondo provò a rialzarsi, ma si ritrovò piegato in due. Se avesse avuto un corpo, sentiva che avrebbe vomitato.

Ma io non ho un corpo.

Dannazione, IO NON HO PIU’ NEMMENO UN CORPO!

-         Quante volte? – chiese ancora, e stavolta le parole erano più nitide e decise. – Quante volte si è ripetuta questa farsa della mia vita, Volpe? Quante, fino ad ora?

Yume sorrise e scrollò le spalle.

-         Chi può dire quanto dura un sogno, Naruto? Talvolta ti sembra un’eternità, e invece è una faccenda di un istante. Altri potrebbero sognare un solo, lunghissimo attimo, per un’intera notte. Non si può giudicare. Molte volte, questo è certo: abbastanza perché neanch’io riesca più a contarle.

Silenzio.

-         Molte volte. – ripeté Yume.

Ancora silenzio.

-         Molte volte. – ripeté la Volpe, ringhiando con le fauci schiumanti – Molte! Troppe! TROPPE!

Naruto si ritrasse, non fece in tempo; si ritrovò intrappolato sotto una delle zampe del mostro. Gli artigli, inchiodati nel terreno, lo intrappolavano da ogni lato. Aveva gambe e braccia immobilizzate. E nonostante avesse capito di essere solo un’anima, uno spirito, né più né meno di lei, e di non potere subire alcun danno, Naruto ebbe paura vedendo il crudele volto ferino della belva scendere su di sé. Sentì il calore del fiato, la viscida bava gocciolò sul suo viso.

-         Ce l’avevo quasi fatta, questa volta! – mugolò la Volpe. La sua voce tradiva una rabbia immensa, ma anche un dolore animale, come un cane che uggiola scottato dal fuoco – Ce la potevo fare. Tu non hai più un corpo a cui tornare, Naruto Uzumaki. La tua carne se la sono mangiata i vermi, e che ci si ingrassino bene, che tu sia maledetto! Di te non restano più nemmeno le ossa, sono polvere anche quelle! Tu sei condannato a restare qui per sempre. Ma io no. A me non serve un corpo. Io sono tutta qui, non sono mai stata nient’altro, uno spirito che si fa corpo e carne con la sua stessa volontà. E allora, se solo potessi uscire, se potessi lasciare questa trappola in cui mi hai rinchiusa

-         Non puoi. – sogghignò Naruto.

-         POSSO! – urlò di rimando l’altra, premendolo al suolo con la sola violenza della sua voce – Posso. Lo stavo facendo. Ce l’avevo quasi fatta. Nel gioco della tua vita illusoria, quando il ciclo sta per finire, quando tu stai per arrivare alla conclusione, a diventare hokage, e tutto si appresta a ricominciare, è allora che le regole si fanno… - la bestia ansò profondamente, fermandosi un attimo. Sembrava che le costasse uno sforzo immane mantenersi calma abbastanza da continuare a parlare e spiegare - …più deboli. Più facili da aggirare. Perciò ho potuto materializzarmi in quella forma davanti a te, agire, parlare, combattere.

-         Uccidere Hinata. – aggiunse Naruto, con risentimento.

-         HINATA NON E’ MAI ESISTITA! O sei davvero così idiota da non avere ancora capito che tutto ciò che hai vissuto, tutto, è reale come un’ombra, e meno ancora: come l’ombra di un’ombra! Lei era solo un burattino: gli unici attori veri eravamo noi due.  Ma sei tu il protagonista. Questo ruolo il Dio della Morte l’ha dato a te. Tutto dipende da te, dalla tua forza di volontà e dal tuo desiderio…

-         …di diventare hokage.

La Volpe fece un grugnito di assenso:

-         Se fossi riuscita a farti arrendere, a farti rinunciare… Ad ogni momento che la tua determinazione diminuiva, la tua anima si indeboliva, e io diventavo più forte, più vicina alla realtà, alla libertà.

-         La febbre. – mormorò Naruto – Non era colpa tua: era colpa mia. La febbre aumentava ogni volta che io facevo un passo in più verso la resa. Mi sentivo come morire. Cosa sarebbe successo se avessi ceduto del tutto?

-         SARESTI SPARITO! – gridò la Volpe, premendo ancor di più l’artiglio contro il petto di Naruto.

Il ragazzo scoprì che essere uno spirito non lo salvava dal dolore. Boccheggiò sentendo l’aria mancargli, e non riuscì a trattenere un urlo.

-         SARESTI SPARITO! La tua anima si sarebbe dissolta, avresti finito di giocare questo gioco inutile e idiota, e io sarei stata LI-BE-RAAAAA!

E alzò la testa al cielo, ululando quell’ultima parola come un lupo che canta la sua ferocia alla luna piena, avvolta da fiamme che divampavano calde e luminose; eppure che non illuminavano niente, nel buio ventre del Dio della Morte. Naruto si sentì svenire per il calore e il frastuono, ma non svenne: uno spirito non sviene.

Poi la furia si placò. L’artiglio era diventato più piccolo, più fresco, più delicato. Naruto si trovò di nuovo libero. Riaprì gli occhi, si mise seduto, e scoprì con sorpresa che la Volpe si era trasformata ancora. Yume, accovacciata, biascivava tra sé e sé, e tremava di nuovo.

-         Libera… - bisbigliò con voce assente – Libera. E libero saresti stato anche tu, Naruto.

Alzò lo sguardo, i suoi occhi castani e caldi (quasi arancione; quasi di fuoco) incrociarono quelli azzurri di Naruto. Erano imploranti.

-         Non sei stanco, Naruto? E’ tutta un’illusione. E’ tutto un sogno. Ripetere la stessa vita, volta dopo volta, per l’eternità… neanch’io riesco a concepirla. L’eternità. E’ così grande, così infinitamente triste, così solitaria. Io voglio essere libera, ma mi accontenterei anche di sparire, se potessi. Di addormentarmi per sempre. Tu non hai alternative. Non lo desideri? L’oblio, il riposo. Non sarebbe dolce, smettere di lottare, finalmente, e dormire, una volta per tutte, il sonno che spetta ai morti…

-         TACI! – urlò Naruto.

Era infuriato.

-         Smettila con questi giochetti, razza di mostro. Trasformati, piuttosto, e ringhiami contro, prova a sbranarmi, fammi paura, fa’ un po’ come vuoi. Ma smettila, SMETTILA, di cercare di impietosirmi.

-         Naruto, non devi dire così.

-         Sei patetica. I tuoi trucchi li ho già capiti, e non funzioneranno più. So che non sei mia madre e so che non mi ami di certo.

-         Naruto, ti prego…

-         Perciò, basta! E’ intollerabile. Io… io non la ricordo più, ma devo pure averla avuta, una madre, e il solo pensiero che un demone, un mostro, un essere ripugnante come te finga di essere lei è disgustoso, e il fatto che tu simuli tutto questo amore nei miei confronti, che mi cerchi di convincere con simili mezzucci, tutta la tua ipocrisia, mi dà il voltasto

-         Smettila, Naruto, TI PREGO!

Così. Un grido straziante. Poi il silenzio. Yume tacque, sfregandosi il volto con le mani, con forza, come una pazza, come una pazza, che non sentisse più quelle parole così cariche di odio, così dolorose.

Naruto tacque, sorpreso.

-         Tu… - chiese poi, accennando un passo in avanti - …tieni davvero a me? Eri… sincera?

Yume lo guardò, dal basso in alto, gettata a terra com’era. Come faccio a spiegarti, pensò, come faccio, Naruto? Come puoi capirlo? Che cosa significa vivere come ho fatto io da quando sono imprigionata qui. Che cosa significa vedere giorno dopo giorno un mondo finto e respirare aria che non esiste, aria che puzza di morte e di chiuso, io che ho calcato ogni angolo della Terra, libera e indomabile.

E poi, avere te. Mio compagno. Mio corpo. Mia anima. Mio nemico. Mio carceriere.

Ti odio per avermi imprigionato qui, per tenermici ancora chiusa, tu e la tua stupida testardaggine. Perché sei solo questo, uno stupido inutile essere umano, e pensi di essere più grande di me, e invece ogni volta muori, e rinasci, e non ricordi più nulla, come un vecchio rimbecillito dall’età, e solo io so, solo io ricordo.

Mio tutto. Mia unica cosa vera.

Ti amo perché non posso amare nient’altro. Perché sei tutto ciò che mi resta di reale, tutto ciò che esiste in questo regno di illusioni, il mio mondo, e perché sei l’ultimo ricordo di una vita vera. Ti amo per quel nostro, ultimo, bellissimo combattimento. Quando ci siamo scontrati, là fuori, abbiamo scosso il mondo e spianato le montagne. Non lo dimenticherò mai. Gliel’abbiamo fatto vedere, allora, gliel’abbiamo fatto vedere a tutti, cosa succede quando i giganti combattono tra loro.

Mio bastardo. Mio piccolo, lurido stronzo.

Ti odio perché mi hai costretta ad amarti e così mi hai fatta cambiare, almeno un po’, un po’ dentro, sotto le fiamme e le code. Ti odio perché quel dannato combattimento è stato così bello che io non lo sapevo ma in fondo ti amavo già la fuori, e che bella coppia saremmo stati noi due, più potenti di chiunque altro, imperatori del mondo, e poi tu hai dovuto rovinare tutto, tu e quel tuo merdoso Dio della Morte, e farci finire in questa fogna, per salvare il mondo. Ma che senso avrà il mondo, senza più noi a darglielo?

Mia creatura. Mio… figlio.

Ti amo perché ti ho visto crescere cento, mille volte. Ti ho visto bambino, poi adulto. Ti ho visto ogni volta diverso, e sempre meraviglioso, felice, felice persino in questa vita d’inferno. Figlio mio e del Quarto Hokage: ti amo perché tu non sei più lui, vita dopo vita diventi diverso, ogni volta nuovi ricordi e nuove esperienze. Sei quello che sei per via di quello che era lui, ma anche per via di quello che sono io.

Mia prigione.

Ti odio perché sei il muro che mi separa dalla libertà.

Mio amante.

Ti amo perché io dentro di te, tu dentro di me, le nostre anime strette e avvinghiate con tenera violenza l’una all’altra, sperimentiamo una fusione più perfetta di quella che mai qualunque coppia di innamorati del mondo troverà nella confusione di calde e agitate lenzuola.

Ma, sopra ogni altra cosa, ti amo perché vederti soffrire all’infinito mi fa male, e sapere che soffri per causa mia mi fa ancora più male.

Ti odio, e ti amo, e per questo, capisci, perché TI ODIO E TI AMO allo stesso tempo, come puoi capirlo, Naruto, per questo io voglio che tu ti lasci andare, e sparisca per sempre.

Pensò questo, Yume. Non disse nulla. Non ne sarebbe stata capace, non aveva le parole per spiegare una cosa del genere, e lui non le avrebbe creduto. Le parole non servivano. Alzò una mano, la portò alla bocca, e con lentezza la strinse tra i denti fino a farla sanguinare. Il liquido scarlatto le tinse le labbra. Allora si avvicinò a Naruto, semplicemente, senza parlare, senza parlare, il silenzio era morbido e totale. Lui la fissava e non sapeva che fare. Lei lo colse di sorpresa. Un bacio, leggero, veloce; le labbra posate sulle labbra, per un momento.

Sulla bocca, lei aveva ancora il sapore di metallo del sangue. Naruto lo sentì; quell’aspro e crudo e forte sentore di rame misto alla dolcezza del bacio. Capì.

-         E’ tutto qui. – disse Yume, distogliendo rapidamente lo sguardo.

Fremette, scossa da un brivido incontrollabile. Le scese una lacrima (forse di tristezza, forse di rabbia?) dall’angolo di un occhio e poi aggiunse:

-         Ti prego. Rinuncia adesso a continuare. Fra poco… fra poco ricomincerà tutto. Smetti di desiderare e di combattere, abbandonati alla pace. Sei ancora in tempo. Liberaci tutti e due.

C’era una grande stanza, c’era il buio, c’erano due persone, c’era un uomo ritornato ragazzo e c’era un demone innamorato e furioso, e soprattutto c’era una decisione da prendere, ora e subito, una decisione troppo grande, tra l’oblio e l’eterno susseguirsi di vite illusorie e inutili.

Nell’oscurità, Naruto schiuse le labbra, pronto a dare la sua risposta.

 

 

 

Ecco, scrivere questo capitolo è stata una gran fatica, e anche ora che lo pubblico ho paura che non si capisca niente XD. L’idea alla base del capitolo (e di tutta la fic, in sostanza) mi è venuta poco tempo dopo aver visto l’episodio in cui il Terzo Hokage affronta Orochimaru. Rimuginavo sul perché la tecnica del Sigillo del diavolo avesse funzionato diversamente con la Volpe e con Orochimaru (ebbene sì! Sono capace di stare a scervellarmi anche su domande del genere! XD) ed ho avuto questa trovata, fulminante, attingendo un po’ alla filosofia buddista, un po’ a Matrix. Spiegava tutto, filava alla perfezione, e ho deciso di scriverci intorno questa fanfic: ma con un ragionamento così “cervellotico”, non riesco a togliermi il timore di aver fatto solo tanta confusione. Fatemi sapere che ne pensate voi.

Ho anche realizzato alcuni disegni ispirati a questa storia. Li trovate qui e qui. A proposito, l’ideogramma di Yume significa “sogno”, in giapponese.

OK, è tutto. Fra pochi giorni, l’ultimo capitolo, ovvero il gran finale!

  
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