Unwritten
Feel the rain on your skin
no one else can feel it for you
only you can let it in
no one else, no one else
can speak the words on your lips
drench yourself in words unspoken
live your life with arms wide open
today is where your book begins
the rest is still unwritten.
Unwritten, Natasha Bedingfield¹
A volte il destino gioca scherzi
piacevoli.
STEPHENIE MEYER, New
moon
«Renesmee?
È ora di alzarsi».
Come ogni mattina fu papà a svegliarmi,
accarezzandomi piano la fronte. Mugugnai qualche protesta e mi rigirai
nel
letto, ma lui insistè finchè non mi fui tirata
su, poi se ne andò. Barcollai
fuori dal letto, infilai nello stereo il primo cd che trovai sul
comodino e
alzai il volume, giusto per svegliarmi completamente. Aprii le tende e
osservai
scocciata il cielo grigio. Visto Jake?,
pensai tra me e me, un’altra
giornata
come tante.
«Renesmee! Sbrigati o farai tardi»
chiamò
la mamma dalla cucina.
Feci una doccia lampo e mi vestii. Mentre mi
truccavo davanti allo specchio, papà fece capolino sulla
porta. «Alice ha appena telefonato, lei e Jasper ti hanno
preparato la
colazione. Ti va bene o vuoi mangiare qui?»
«No, va bene» bofonchiai, concentrata nel tracciare
delle
linee perfette con l’eyeliner sulle palpebre. Non era
insolito che mangiassi a casa dei nonni: quando proprio non c'era
nient'altro da fare per riempire le loro giornate senza fine, cucinare
per me era una gradita attività per i membri della famiglia
Cullen. Finito di truccarmi, corsi in camera
per prendere giacca, sciarpa e borsa.
«Ciao mamma, ciao papà» strillai mentre
correvo verso la porta.
«Ciao!» mi risposero in coro.
Cinque minuti dopo ero a casa
dei nonni. Aprii con le mie chiavi e puntai
subito verso le scale. In cucina trovai solo Alice e Jasper, occupati
a preparare la colazione.
«Buongiorno» esordii.
«Buongiorno, Raggio di Sole» esclamò la
zia.
La incenerii con lo sguardo: ormai ero decisamente troppo grande per
quel
vecchio nomignolo che mi aveva affibbiato nonno Charlie, ma lei
sembrava non farci caso. Fece un gesto verso il tavolo dove
stava disponendo cereali, succo d’arancia e biscotti al
cioccolato. «Spero che tu
abbia fame… La colazione è pronta».
«Grazie…
Wow, le frittelline!»
Proprio in quel momento zio Jazz aveva
lasciato i fornelli e stava facendo scivolare in un piatto due
frittelle dorate
e profumate. Uno dei grandi
misteri della vita, per me, era come accidenti riuscissero
i vampiri a cucinare così bene senza assaggiare mai nulla.
Papà era il
cuoco migliore, secondo me, ma le frittelline di zio Jasper erano
imbattibili.
«Figurati, è divertente» rispose la zia,
mentre mi scrutava da capo a piedi. «E complimenti per
l’abbinamento».
La ringraziai ricambiando il sorriso perché
avevo già la bocca piena. Zia Alice si era autoeletta
consulente di moda ufficiale dell’intera famiglia e non
permetteva a nessuno di uscire di casa senza prima aver superato
un'attenta ispezione. Per fortuna io avevo ereditato la sua passione
per la moda e sapevo di riuscire a vestirmi piuttosto bene anche da
sola, ma questo non le impediva di esaminarmi come un sergente ogni
volta che la incrociavo.
In quel momento zio Emmett entrò in cucina
fischiettando. «Ciao, Nessie». Mi lanciò
un’occhiata penetrante, le sopracciglia
che sciabolavano minacciosamente. «Quella gonna non
è un po’ troppo
corta per andare a scuola?»
«Lasciala stare, Emm» intervenne Alice.
«Se è
uscita di casa così vuol dire che a Edward e Bella sta bene
e, se sta bene
a loro, a te non
deve interessare».
«Certo che mi deve interessare!»
protestò,
indignato. «Sono suo zio e ho il preciso dovere di
intervenire se va a scuola
con una minigonna che sembra un francobollo».
Nessuno gli diede retta. «Nessie»
continuò la zia
«stamattina Carlisle non può accompagnarti
perché
il suo turno inizia
alle dieci».
Annuii. Carlisle era l’unico che uscisse di casa tutte le
mattine,
così in genere mi portava lui a scuola.
«Ti porto io» fece zio Jasper. «In
moto». E
mi sorrise da lontano, i denti affilati che luccicavano come piccoli
diamanti.
«Fantastico!» esclamai. Adoravo andare in
moto con lui, soprattutto perché non capitava tanto spesso.
Esitai un poco. «Solo…
ehm, non ho chiesto ai miei». Ecco una cosa che proprio non
sopportavo: per
andare in moto dovevo avere il permesso di Edward e Bella, come se
fossi stata una bimbetta.
«Tranquilla, l’ho fatto io» rispose la
zia.
«Ho parlato con tua madre».
«Perfetto» gongolai, soddisfatta.
Probabilmente
la mamma aveva detto di sì solo perché discutere
con zia Alice la stressava
parecchio e tanto non la spuntava mai. Finii in fretta la colazione ed
io e
Jazz scendemmo in garage. Reagii con una smorfia quando mi porse il
casco.
«Non ci metteremo neanche dieci minuti, è
inutile» provai a protestare. Non aggiunsi il vero motivo: il
casco mi avrebbe
rovinato i capelli. Meglio lasciarseli scompigliare dal vento che
appiattirli dentro il casco. Lui non rispose, limitandosi a fissarmi,
ma fu sufficiente: rassegnata, lo presi e lo indossai.
Mentre sfrecciavamo verso la scuola, pensai
che quel dannato casco non sarebbe stato poi così
indispensabile
senza la guida
da folli che caratterizzava tutti i Cullen quando si trovavano su di un
qualunque mezzo di trasporto… tranne la mamma: sembrava che
la
trasformazione
in vampira non avesse scatenato in lei il minimo interesse per le auto
veloci. Probabilmente era l’unica al mondo a possedere una
Ferrari e a guidare
tenendosi sotto i sessanta all’ora. Quando Jasper
inchiodò
la moto argentata nel cortile della scuola, scesi, un
po’ barcollante, mi sfilai il casco e
cominciai subito a rimettere in sesto i capelli con le mani. Jasper
alzò gli occhi al
cielo.
«Renesmee, smettila. Stai benissimo».
«Lo so» risposi con tono scherzoso e un sorrisetto
sulle labbra. «Grazie del passaggio, a dopo».
«Ciao, buona giornata».
Mentre mi avviavo verso la scuola, sentii
alle mie spalle il rombo della moto che ripartiva. Avevo fatto solo
pochi passi
quando…
«Renesmee! Ehi, Renesmee!»
La mia amica Danielle Warner mi venne
incontro di corsa, i capelli castani e lo zaino che le ballavano sulle
spalle. La salutai con la mano e attesi che mi raggiungesse.
«Ciao» ansimò.
«Ehi! Come mai così di fretta?»
«È tardi» mi fece notare mentre mi
prendeva sotto braccio e ci incamminavamo nel cortile.
Alzai gli occhi al cielo. «È tardi solo dal
tuo punto di vista, Danielle. Dubito che assistere ai primi tre minuti
della
lezione del professor Flowers cambierà le nostre
vite».
Mi lanciò un’occhiata di disapprovazione e
lasciò cadere l'argomento.
«Ieri sera ho provato a chiamarti per
mezz’ora a casa dei tuoi nonni, perché Jas mi
aveva già detto che da te non
c’era nessuno, ma era sempre occupato. Con chi eri al
telefono?»
Sospirai. «Lascia perdere, per favore».
Fece un sorrisino furbo. «Ho capito… Solita
storia?». Annuii con espressione tragica e lei
ridacchiò.
«Si
frequentano solo da tre settimane e già non ne puoi
più?
Pensa quante cose Jas avrà da raccontare quando
staranno
insieme da cinque anni… le telefonate serali dureranno tutta
la
notte!»
Ridacchiamo insieme, mentre attraversavamo la strada per raggiungere
l’edificio cinque. In quel preciso istante, il rumore di una
frenata brusca e stridente squarciò l'aria. Mi guardai
intorno
con un sussulto di sorpresa, mentre Danielle cacciava un urletto
spaventato, e vidi
una bellissima auto nera e sfavillante che inchiodava
sull’asfalto giusto in
tempo per non investirci in pieno.
«Ehi…» protestò Danielle,
indignata.
Sbuffò. «Ma che diavolo… Vieni,
andiamo». Mi
prese per un braccio e mi tirò via dal centro della strada.
Allungai un po’ il collo per capire
chi ci fosse nell’abitacolo. I finestrini erano oscurati, ma
quello del guidatore era parzialmente abassato e scorsi il profilo di
un ragazzo con i
capelli neri e gli occhiali da sole. Non lo riconobbi.
D’altra
parte, non avevo mai visto
neppure quella macchina. Il ragazzo al volante attese che Danielle ed
io fossimo
in salvo sull’altro marciapiedi, girando un po' la testa per
seguirci con lo sguardo, poi ripartì e si
allontanò verso il parcheggio.
«Chi era quello?» sussurrai.
Lei alzò le spalle. «Non ne ho idea, non
l’ho
visto bene. Accidenti a Jas, per parlare di lei stavamo per farci
investire!»
esclamò, un po' irritata, un po' divertita.
Jas ci venne incontro quasi di corsa, strillando come
un’isterica. «Ragazze! Ragazze, non
indovinerete mai cosa succede oggi!»
Danielle ed io ci scambiammo un’occhiata e un
sorrisino d’intesa. «Finalmente ti degnerai di
prendere appunti durante
letteratura invece di copiare i miei prima del prossimo
test?» fece lei.
Jas le dedicò un’occhiataccia e un furioso
battito di ciglia. «Lo sai che questo va al di là
delle mie capacità scolastiche. Comunque,
se cominciate a prendermi in giro di prima mattina non vi
dirò niente e vi
abbandonerò nelle tenebre
dell’ignoranza» dichiarò con aria offesa.
Sospirai. «Dai, che tanto non resisti!
Allora, che succede oggi?» chiesi mentre camminavamo vicine
nel corridoio degli armadietti.
Nei suoi occhi azzurri luccicò qualcosa che
conoscevo fin troppo bene: l’eccitazione del pettegolezzo.
«Okay, visto che
insistete: arriva uno studente nuovo!»
La guardai, stupita: e se fosse stato… Prima
che potessi parlare Danielle intervenne. «Tu sai sempre
tutto! Come fai a
sapere sempre tutto?» chiese con tono leggermente stizzito.
Jas sorrise. «Ho le mie fonti».
Danielle sospirò, rassegnata. «Voglio
vederlo… Speriamo che abbia qualche corso insieme a
noi».
«Non riusciremo a vederlo facilmente»
rispose Jas. «È più grande, credo che
sia al terzo anno».
Ecco perché era al volante, pensai. Doveva
essere proprio lui. «Be’, noi l’abbiamo
visto».
Jas sgranò gli occhi con espressione
sconvolta. «Cosa? E quando?»
«Già, quando?» le fece eco Danielle,
occupata a riempire lo zainetto di libri e quaderni.
«Poco fa, nel parcheggio: ci ha quasi
investite».
A quella rivelazione Danielle trattenne il fiato e
spalancò gli occhi. «Cioè vuoi
dire… Era lui?»
«Per
forza, nessuno ha una macchina del genere, qui. E poi non mi
è sembrato per
niente familiare».
«L’avete visto sul serio?»
esclamò Jas. Sembrava sconvolta.
Le feci un sorrisino. «Sì! Questa volta ti
abbiamo battuta».
«Non credo, mia cara» ribattè,
trionfante.
«Io so un’altra cosa che voi non sapete!»
«Cioè?» la incalzò Danielle.
Era abbastanza
ingenua e curiosa da essere l’ascoltatrice perfetta per Jas.
«Viene da New York» squittì Jas.
«Me l’ha detto Susie Finch appena
cinque minuti fa, dopo che l’ho staccata da Simon
Brown».
«E perché hai dovuto staccarla da Simon
Brown?» chiese Danielle.
«Perché si stavano baciando» le risposi.
Non
che lo sapessi, ma non era difficile da immaginare.
«Ah» fece lei e arrossì un
po’. «Come mai
si è trasferito, comunque?»
«Questo non lo so. Non ancora. Non sono mica
l’FBI»
disse Jas e a quelle parole scoppiammo a ridere tutte e tre.
Non avevamo ancora smesso, quando suonò la campanella e
fummo
costrette ad abbandonare i pettegolezzi per correre nell'aula di
letteratura inglese.
****
Fu
una mattina decisamente fuori dal
comune. Nei corridoi tra una lezione e l’altra, dentro le
aule in assenza dei
professori, nei bagni delle ragazze, fuori alla mensa, negli angoli del
cortile, dappertutto un unico, incessante mormorio: non si faceva che
parlare
di lui, il nuovo arrivato, il ragazzo del mistero, e fin dalla prima
ora avevano
cominciato a circolare le poche notizie divulgate da chi frequentava i
suoi
stessi corsi, talmente scarse che non facevano che incrementare la
curiosità
generale. E in un posto dove non succedeva mai nulla, quello era solo
l’inizio.
Quanto a me, ero curiosa, ma non così tanto
da non riuscire a pensare ad altro o a parlare d’altro. Era
altamente
improbabile che lo incrociassi a una delle mie lezioni, visto che
frequentava
il terzo anno, e nei corridoi affollati e caotici cercai invano un
volto che
mi risultasse del tutto nuovo.
Durante la terza ora il test di
matematica mi fece uscire dalla mente tutto il resto finchè
non
ebbi finito. Dopo aver consegnato il compito, uscii dall’aula
con
Jas,
che era troppo impegnata a lamentarsi della crudeltà del
professor Peters, il
nostro docente di matematica, e ad insultare la goniometria per
ricominciare a
spettegolare.
Raggiungemmo l’aula della lezione
successiva, geografia, e prima ancora di sederci fummo raggiunte da
Holly Matthews,
decisa invece a riprendere il solito argomento, e Danielle. Holly e Jas
si
immersero subito in una fitta conversazione punteggiata da risatine e
piccoli
scoppi d’isteria (a quanto pareva, una del terzo anno aveva
diffuso la voce che
il ragazzo nuovo avesse un fondoschiena fantastico), mentre Danielle mi
chiedeva del test di matematica, ma fummo interrotte presto
dall’arrivo del professor
Redmont, occupato a trascinarsi dietro un televisore e un
videoregistratore su un mobile dotato di rotelline. Sospirai,
afflitta: era già la terza lezione in una settimana che ci
propinava quel
dannato documentario su uragani, trombe d’aria e il loro
impatto ambientale…
Per fortuna, quel giorno ci sarebbe toccato ascoltare
l’ultima parte.
«Oh santo cielo» si lamentò Jas, seduta
nel
posto accanto al mio, con voce bassa ma perfettamente udibile.
«Ma non finisce mai
questo documentario?»
Il professore la fulminò con lo sguardo e
tornò ad armeggiare con la videocassetta. Magari
l’avrebbe rimproverata, se
solo non fosse stato lui stesso così profondamente annoiato
dalla sua materia.
Fece partire il documentario e nel giro di cinque minuti ero
sprofondata nel
torpore, complici le imposte delle finestre abbassate per migliorare la
visuale. Fissavo
lo schermo senza interesse, prendendo svogliatamente qualche appunto, e
lasciavo che i miei pensieri vagassero qua e là senza mete
precise.
A un tratto, nel bel mezzo del documentario, accadde qualcosa: un
piccolo fascio di luce comparve sulla destra, dove si trovava la porta,
accompagnato da un lievissimo
cigolio, e un istante dopo era scomparso. Qualcuno doveva essere
entrato. Prima che potessi girare la testa e guardare,
un’ombra
scura raggiunse con due passi l'ultima fila, dove ero seduta, e si
infilò nel
posto vuoto accanto al mio. Era un ragazzo. Gli lanciai un'occhiata
sorpresa, cercando di capire chi fosse. Non lo conoscevo. Non era
sicuramente qualcuno della mia classe di
geografia. Lo guardai meglio e quel ciuffo di capelli neri sulla fronte
fu una folgorazione. Oddio, poteva essere... In quel momento, il
ragazzo notò che lo stavo fissando a bocca aperta. Mi
sorrise.
«Ehi, Scheggia»
sussurrò.
Non afferrai. Scheggia? Guardai velocemente in direzione di Redmont:
era seduto alla cattedra, ma dava le spalle alle spalle, la sedia
girata in modo da poter vedere il documentario, e a giudicare dalla
strana
pendenza della sua testa quasi pelata non era tanto più
sveglio di noi. Potevo
rischiare. Mi sporsi un poco verso di lui.
«Come, scusa?»
«Ma sì…
Sei la ragazza del parcheggio. Quella che stamattina ho quasi
investito. Ti ho
soprannominato Scheggia... Sembravi parecchio di fretta,
tanto da non guardare prima di attraversare la strada».
«E tu hai mai sentito parlare di limiti di
velocità? Forse pensavi di essere su un circuito di auto da
corsa e non nel
parcheggio di una scuola» ribattei, piccata.
Inarcò appena un sopracciglio, poi gli
scappò una risatina soffocata. Lanciai un’altra
occhiata a Redmont, tesa, ma
lui era perfettamente immobile. «Okay, hai ragione»
disse. «Scusa. Ho esagerato,
stamattina. Mi sono fatto prendere la mano... Volevo provare la
macchina. È nuova».
«Buon per te». Mi raddrizzai e mi accorsi che Jas,
seduta
dall’altro lato a qualche banco di distanza, mi fissava con
occhi e bocca spalancati, come se avesse visto
un fantasma. Mi augurai che si ricomponesse.
«Allora, sei ancora arrabbiata?»
continuò
il ragazzo con voce leggermente maliziosa.
«Arrabbiata?»
ripetei. «No… Sono un po’ sorpresa,
veramente».
«Perché?»
Feci un respiro profondo e per la prima volta sentii il suo profumo.
Sapeva di dopobarba, bagnoschiuma e... un vago sentore di rose.
Lo assaporai per qualche istante, in silenzio, prima di rispondergli.
«Che ci fai
qui? Pensavo frequentassi il terzo anno».
Corrugò la fronte, chiaramente sorpreso del
fatto che sapessi di avere di fronte il nuovo arrivato. Forse doveva
ancora
entrare nella modalità "vita in una cittadina di provincia". «Le voci corrono
così in fretta? È vero, sono del terzo anno. Ho
avuto solo un piccolo problema».
Un piccolo problema? Che razza di risposta era? Mi voltai per guardarlo
di nuovo, stupita. Aveva un viso molto bello: lineamenti fini e
regolari, occhi di un azzurro intenso e luminoso, capelli lisci e neri
che ricadevano in ciocche morbide sulla fronte
ampia e chiara.
«Capisco» sussurrai. «Ma sarebbe meglio
se adesso
tornassi in
classe o ci metterai nei guai, tutti e due». In
realtà,
probabilmente avremmo
potuto continuare a parlare per tutta l’ora visto che Redmont
sembrava ormai
collassato, ma non mi andava che stesse lì, seduto accanto a
me,
a parlarmi con quel tono, come se fossimo stati vecchi amici, e a
rivolgermi quel sorriso presuntuoso. Mi infastidiva un po'.
Lui annuì, fingendosi serio. «Sì,
sarebbe meglio: devo ancora
farmi perdonare per stamattina, l’ultima cosa che voglio
è metterti nei guai».
«E tu non ti preoccupi di finire nei guai?
Vuoi solo salvare me?»
«Nah… Lo vorrei proprio, qualche guaio:
scaccerebbe
la noia… e il resto».
Okay,
era ora di piantarla. «Be’, io non mi stavo
annoiando».
«Ah, no?». Lanciò un’occhiata
veloce allo
schermo della televisione e ridacchiò.
Mi sta
prendendo in giro, pensai, stizzita.
«Stai
bluffando, secondo me» ribattei con tono di
superiorità.
Inarcò un sopracciglio, senza smettere di sorridere.
«Accidenti Scheggia,
mi hai smascherato».
D’accordo,
basta. «Non stavi andando via? Per non mettermi nei
guai?»
«Hai ragione. E poi credo che il pericolo
sia passato». Non capii cosa intendeva dire, ma prima che
potessi aprire bocca, controllò velocemente Redmont e si
alzò in piedi con cautela,
per non far rumore. «Ciao Scheggia, buon
divertimento» sussurrò, chinandosi
verso di me, poi si diresse alla porta e uscì
silenziosamente. Lo seguii con
gli occhi finchè potei, perplessa da quello strano incontro,
quando la faccia
sconvolta di Jas comparve all’improvviso nella mia visuale.
«Era lui?» sussurrò, concitata.
«Era quello
nuovo? Che faceva qui? Che ti ha detto?». Si sporgeva tanto
da sembrare in
procinto di saltare sul mio banco.
«Ssh» la rimproverai. «Ne parliamo
dopo».
Riuscii a tenerla buona per il resto
dell’ora, ma appena suonò la campanella del pranzo
non
aspettò nemmeno che
fossimo uscite e quasi mi si avventò addosso per avere i
particolari. Le altre non ci misero tanto a capire cos’era
successo e nel giro di due minuti mi ritrovai
letteralmente bersagliata di domande, mentre ci dirigevamo verso
la mensa. Purtroppo non fui in grado di rispondere alla maggior parte
dei loro
quesiti: non avevo potuto soffermarmi sul fondoschiena del nuovo
arrivato e
quindi non sapevo dire niente ad Holly sull’argomento,
nonostante
le sue
ansiose richieste.
Quando entrammo nella mensa mi parve che
tutti stessero parlando della stessa, identica cosa. Tutti comprese le
mie
amiche. Lasciammo le borse al nostro solito tavolo, dove si erano
già sistemati
Tom Evans, Paul Davis e Scott Green e ci mettemmo in coda al banco
delle
vivande, senza che loro cambiassero argomento. Si interruppero solo per
fare
qualche battuta disgustata sul pranzo: il menù del giorno
prevedeva tagliatelle alla panna con funghi, ma a me sembrava colla e
basta.
Tornammo al tavolo e mi ero appena seduta,
quando Paul mi chiamò dall’altro lato del tavolo.
«Ehi, Renesmee! Di' un po', è
vero che quello nuovo ha un’auto da sballo?»
Lo guardai aggrottando la fronte. Holly, che usciva con lui da qualche
mese, se ne stava abbarbicata alle sue spalle come una naufraga a un
salvagente. «Non ne ho idea. Le sedie ne sanno più
di me
in fatto di macchine».
«Ho sentito che è un'Audi
coupè»
intervenne Tom con aria interessata.
«Nello spogliatoio un ragazzo mi ha
detto che è una Mercedes» fece Scott.
Paul aveva la bocca piena e non
aggiunse nulla, si limitò ad annuire calorosamente.
«Oh, ma chi se ne importa della sua
macchina!» esclamò Jas. «Pare che abbia
degli occhi fantastici, vero, Renesmee?»
Sospirai. «Jas, gli ho parlato per due
minuti ed eravamo quasi al buio: non ne ho idea». La
verità era che quel discorso mi metteva un po' a disagio.
Ripensare a quel ragazzo e al nostro singolare incontro mi causava una
strana sensazione... come un formicolio lungo la schiena. E non ne
capivo il perchè.
«Chi se ne importa degli occhi» rincarò
Holly mentre apriva la sua lattina di Coca. «Sarah Richardson mi ha detto che il
suo fondoschiena è da urlo».
«Ah, sì? È solo la trentesima volta che
lo
dici» fece Danielle con tono esasperato. Holly le
dedicò una linguaccia.
«Scusa, vorresti dire che il suo
è meglio del mio?»
esclamò Paul girandosi verso Holly, indignato.
«Non c’è paragone» rispose Tom
imitando
l’aria sognante di Holly e scoppiammo tutti a
ridere.
Prima che
qualcuno aggiungesse
qualcos’altro di stupido, fummo raggiunti da Maggie Smith,
ultima
componente del nostro solito gruppo, che piombò come
una folata di vento accanto al tavolo.
«Alexander Christopher Hayden» annaspò
ancora prima di occupare il suo solito posto.
«Cosa?» chiese Jas con aria distratta,
prendendo una forchettata di tagliatelle.
«Ciao anche a te» disse Scott, ironico.
«Alexander Christopher Hayden» ripetè
Maggie,
imperturbabile.
«Ma di che parli?» domandai.
«Di quello di cui
parlate anche voi, ci
scommetto tutta la paghetta settimanale!» esclamò
con tono deciso. Sedette di
fronte a me, scostandosi i ricci castani disordinati dalla fronte.
«È lui, il
ragazzo nuovo, si chiama così».
Holly
la guardò, sconvolta. «E tu
come lo
sai?»
«Me l’hanno detto Jordan e la sua ragazza, li
ho incontrati due minuti fa» spiegò Maggie. Jordan
era suo fratello maggiore
e frequentava proprio il terzo anno. Forse aveva qualche corso in
comune con il nuovo arrivato.
«Alexander Christopher Hayden» ripetè Jas,
gongolando. «Wow, perfino il suo nome è da
sballo».
Tom le lanciò un’occhiataccia che lei
ignorò.
«È incredibile» esclamò
Danielle, guardando Maggie con occhi sgranati. «Non
comincerai anche tu, adesso! Bastano già Holly e Jas con il
loro telegiornale quotidiano».
«Non preoccuparti, Danielle» la consolò
Jas
con un sorrisino malizioso. «Oggi Renesmee ci ha battute
tutte». Si girò verso
Maggie. «Durante l’ora di Redmont, Alexander Christopher Hayden si è
intrufolato nella nostra classe e le ha parlato per due
minuti!»
«Cosa?» trillò Maggie, girandosi di
scatto
verso di me. «Racconta! Voglio sapere tutto!»
Sospirai. Sarebbe stata una giornata ancora molto
lunga.
****
Quando
sentii suonare l’ultima campanella,
mi trattenni a stento dal fare i salti di gioia. Non mi piaceva essere
al centro
dell’attenzione e non riuscivo a sentirmi così
eccitata da
quell’ incontro come
sembravano esserlo le mie amiche: era stato tutto troppo veloce e
improvviso perché potessi già essermi fatta
un’idea.
In cortile salutai le ragazze con un bacio e mi
diressi verso la moto metallizzata di zio Jasper, ferma poco lontano.
Stavo per
attraversare la strada, con più cautela, questa volta,
quando con una sgommata
una macchina si fermò accanto a me, bloccandomi
dov’ero. La riconobbi
all’istante.
«Ehi, Scheggia! Com’era il documentario?»
Fissai il profilo dentro l’abitacolo, inorridita.
«Allora mi perseguiti» farfugliai.
Lui gettò indietro la testa e rise. «No,
giuro! Voglio solo darti un passaggio».
«Cosa?». Non c’era una risposta adeguata
a
una proposta come quella. «Io nemmeno ti conosco»
dissi, sorpresa.
«Sì, ma devo ancora farmi perdonare per
averti quasi uccisa, stamattina, e poi per averti quasi messa nei
guai… Ah, e
devo anche ringraziarti per avermi coperto con quel professore.
Andiamo, salta su».
Per un istante, un unico, folle istante, fui
tentata di balzare sul posto accanto a lui e scappare come una
fuggitiva da zio
Jazz e da quello che mi attendeva a casa… la solita,
vecchia, noiosa vita di tutti i giorni. Ma
l’istante passò e la ragione ebbe la meglio.
Ricambiai il sorriso impertinente.
«No, grazie. Voglio vivere ancora un po'. E se proprio vuoi
scusarti o
ringraziarmi o tutte e due le cose, impara ad usare i freni. Ciao,
straniero».
Note.
1. Il link della canzone: http://www.youtube.com/watch?v=wJgjyDFfJuU. Io la adoro e la trovo perfetta per il capitolo, e voi? E poi questo video è molto carino ;-).