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Autore: Aurore    15/05/2013    4 recensioni
Cinque anni dopo la parole fine di Breaking dawn, Renesmee Cullen vive una vita quasi perfetta. Una grande famiglia amorevole, due genitori attenti e comprensivi, una media altissima a scuola, un'amica del cuore divertente e fuori di testa, Jacob Black, che per lei è come un fratello: ha tutto quello che potrebbe desiderare. Una ragazza felice e spensierata come tante altre.
Ma Renesmee Cullen non è una ragazza come le altre. Non lo è mai stata e non lo sarà mai. E le ombre e i segreti del passato rischiano di distruggere il fragile involucro di perfezione che protegge la sua esistenza.
Tratto dal capitolo 13:
Niente sarebbe mai più stato come prima, né con Jacob né con la mia famiglia. Il mio mondo, che avevo creduto perfetto fino a ventiquattr’ore prima, era andato in pezzi ed io non potevo fare niente per ricostruirlo. Avevo perso tutto.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Nuovo personaggio, Renesmee Cullen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight star'
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Capitolo 1
Capitolo 3
Unwritten


Feel the rain on your skin

no one else can feel it for you
only you can let it in
no one else, no one else
can speak the words on your lips
drench yourself in words unspoken
live your life with arms wide open
today is where your book begins
the rest is still unwritten.
Unwritten, Natasha Bedingfield¹




A volte il destino gioca scherzi piacevoli.

STEPHENIE MEYER, New moon

                                                    

«Renesmee? È ora di alzarsi».
Come ogni mattina fu papà a svegliarmi, accarezzandomi piano la fronte. Mugugnai qualche protesta e mi rigirai nel letto, ma lui insistè finchè non mi fui tirata su, poi se ne andò. Barcollai fuori dal letto, infilai nello stereo il primo cd che trovai sul comodino e alzai il volume, giusto per svegliarmi completamente. Aprii le tende e osservai scocciata il cielo grigio. Visto Jake?, pensai tra me e me, un’altra giornata come tante.
«Renesmee! Sbrigati o farai tardi» chiamò la mamma dalla cucina.
Feci una doccia lampo e mi vestii. Mentre mi truccavo davanti allo specchio, papà fece capolino sulla porta. «Alice ha appena telefonato, lei e Jasper ti hanno preparato la colazione. Ti va bene o vuoi mangiare qui?»
«No, va bene» bofonchiai, concentrata nel tracciare delle linee perfette con l’eyeliner sulle palpebre. Non era insolito che mangiassi a casa dei nonni: quando proprio non c'era nient'altro da fare per riempire le loro giornate senza fine, cucinare per me era una gradita attività per i membri della famiglia Cullen. Finito di truccarmi, corsi in camera per prendere giacca, sciarpa e borsa.
«Ciao mamma, ciao papà» strillai mentre correvo verso la porta.
«Ciao!» mi risposero in coro.
Cinque minuti dopo ero a casa dei nonni. Aprii con le mie chiavi e puntai subito verso le scale. In cucina trovai solo Alice e Jasper, occupati a preparare la colazione.
«Buongiorno» esordii.
«Buongiorno, Raggio di Sole» esclamò la zia. 
La incenerii con lo sguardo: ormai ero decisamente troppo grande per quel vecchio nomignolo che mi aveva affibbiato nonno Charlie, ma lei sembrava non farci caso. Fece un gesto verso il tavolo dove stava disponendo cereali, succo d’arancia e biscotti al cioccolato. «Spero che tu abbia fame… La colazione è pronta».
«Grazie… Wow, le frittelline!»
Proprio in quel momento zio Jazz aveva lasciato i fornelli e stava facendo scivolare in un piatto due frittelle dorate e profumate. Uno dei grandi misteri della vita, per me, era come accidenti riuscissero i vampiri a cucinare così bene senza assaggiare mai nulla. Papà era il cuoco migliore, secondo me, ma le frittelline di zio Jasper erano imbattibili.
«Figurati, è divertente» rispose la zia, mentre mi scrutava da capo a piedi. «E complimenti per l’abbinamento».
La ringraziai ricambiando il sorriso perché avevo già la bocca piena. Zia Alice si era autoeletta consulente di moda ufficiale dell’intera famiglia e non permetteva a nessuno di uscire di casa senza prima aver superato un'attenta ispezione. Per fortuna io avevo ereditato la sua passione per la moda e sapevo di riuscire a vestirmi piuttosto bene anche da sola, ma questo non le impediva di esaminarmi come un sergente ogni volta che la incrociavo.
In quel momento zio Emmett entrò in cucina fischiettando. «Ciao, Nessie». Mi lanciò un’occhiata penetrante, le sopracciglia che sciabolavano minacciosamente. «Quella gonna non è un po’ troppo corta per andare a scuola?»
«Lasciala stare, Emm» intervenne Alice. «Se è uscita di casa così vuol dire che a Edward e Bella sta bene e, se sta bene a  loro, a te non deve interessare».
«Certo che mi deve interessare!» protestò, indignato. «Sono suo zio e ho il preciso dovere di intervenire se va a scuola con una minigonna che sembra un francobollo».
Nessuno gli diede retta. «Nessie» continuò la zia «stamattina Carlisle non può accompagnarti perché il suo turno inizia alle dieci». 
Annuii. Carlisle era l’unico che uscisse di casa tutte le mattine, così in genere mi portava lui a scuola.
«Ti porto io» fece zio Jasper. «In moto». E mi sorrise da lontano, i denti affilati che luccicavano come piccoli diamanti.
«Fantastico!» esclamai. Adoravo andare in moto con lui, soprattutto perché non capitava tanto spesso. Esitai un poco. «Solo… ehm, non ho chiesto ai miei». Ecco una cosa che proprio non sopportavo: per andare in moto dovevo avere il permesso di Edward e Bella, come se fossi stata una bimbetta.
«Tranquilla, l’ho fatto io» rispose la zia. «Ho parlato con tua madre».
«Perfetto» gongolai, soddisfatta. 
Probabilmente la mamma aveva detto di sì solo perché discutere con zia Alice la stressava parecchio e tanto non la spuntava mai. Finii in fretta la colazione ed io e Jazz scendemmo in garage. Reagii con una smorfia quando mi porse il casco.
«Non ci metteremo neanche dieci minuti, è inutile» provai a protestare. Non aggiunsi il vero motivo: il casco mi avrebbe rovinato i capelli. Meglio lasciarseli scompigliare dal vento che appiattirli dentro il casco. Lui non rispose, limitandosi a fissarmi, ma fu sufficiente: rassegnata, lo presi e lo indossai.
Mentre sfrecciavamo verso la scuola, pensai che quel dannato casco non sarebbe stato poi così indispensabile senza la guida da folli che caratterizzava tutti i Cullen quando si trovavano su di un qualunque mezzo di trasporto… tranne la mamma: sembrava che la trasformazione in vampira non avesse scatenato in lei il minimo interesse per le auto veloci. Probabilmente era l’unica al mondo a possedere una Ferrari e a guidare tenendosi sotto i sessanta all’ora. Quando Jasper inchiodò la moto argentata nel cortile della scuola, scesi, un po’ barcollante, mi sfilai il casco e cominciai subito a rimettere in sesto i capelli con le mani. Jasper alzò gli occhi al cielo. 
«Renesmee, smettila. Stai benissimo».
«Lo so» risposi con tono scherzoso e un sorrisetto sulle labbra. «Grazie del passaggio, a dopo».
«Ciao, buona giornata».
Mentre mi avviavo verso la scuola, sentii alle mie spalle il rombo della moto che ripartiva. Avevo fatto solo pochi passi quando…
«Renesmee! Ehi, Renesmee!»
La mia amica Danielle Warner mi venne incontro di corsa, i capelli castani e lo zaino che le ballavano sulle spalle. La salutai con la mano e attesi che mi raggiungesse.
«Ciao» ansimò.
«Ehi! Come mai così di fretta?»
«È tardi» mi fece notare mentre mi prendeva sotto braccio e ci incamminavamo nel cortile.
Alzai gli occhi al cielo. «È tardi solo dal tuo punto di vista, Danielle. Dubito che assistere ai primi tre minuti della lezione del professor Flowers cambierà le nostre vite».
Mi lanciò un’occhiata di disapprovazione e lasciò cadere l'argomento.
«Ieri sera ho provato a chiamarti per mezz’ora a casa dei tuoi nonni, perché Jas mi aveva già detto che da te non c’era nessuno, ma era sempre occupato. Con chi eri al telefono?»
Sospirai. «Lascia perdere, per favore».
Fece un sorrisino furbo. «Ho capito… Solita storia?». Annuii con espressione tragica e lei ridacchiò. «Si frequentano solo da tre settimane e già non ne puoi più? Pensa quante cose Jas avrà da raccontare quando staranno insieme da cinque anni… le telefonate serali dureranno tutta la notte!»
Ridacchiamo insieme, mentre attraversavamo la strada per raggiungere l’edificio cinque. In quel preciso istante, il rumore di una frenata brusca e stridente squarciò l'aria. Mi guardai intorno con un sussulto di sorpresa, mentre Danielle cacciava un urletto spaventato, e vidi una bellissima auto nera e sfavillante che inchiodava sull’asfalto giusto in tempo per non investirci in pieno.
«Ehi…» protestò Danielle, indignata. Sbuffò. «Ma che diavolo… Vieni, andiamo». Mi prese per un braccio e mi tirò via dal centro della strada.
Allungai un po’ il collo per capire chi ci fosse nell’abitacolo. I finestrini erano oscurati, ma quello del guidatore era parzialmente abassato e scorsi il profilo di un ragazzo con i capelli neri e gli occhiali da sole. Non lo riconobbi. D’altra parte, non avevo mai visto neppure quella macchina. Il ragazzo al volante attese che Danielle ed io fossimo in salvo sull’altro marciapiedi, girando un po' la testa per seguirci con lo sguardo, poi ripartì e si allontanò verso il parcheggio.
«Chi era quello?» sussurrai.
Lei alzò le spalle. «Non ne ho idea, non l’ho visto bene. Accidenti a Jas, per parlare di lei stavamo per farci investire!» esclamò, un po' irritata, un po' divertita. «Ma guarda » disse all’improvviso appena entrammo nell’edificio. «Parli del diavolo…»
Jas ci venne incontro quasi di corsa, strillando come un’isterica. «Ragazze! Ragazze, non indovinerete mai cosa succede oggi!»
Danielle ed io ci scambiammo un’occhiata e un sorrisino d’intesa. «Finalmente ti degnerai di prendere appunti durante letteratura invece di copiare i miei prima del prossimo test?» fece lei.
Jas le dedicò un’occhiataccia e un furioso battito di ciglia. «Lo sai che questo va al di là delle mie capacità scolastiche. Comunque, se cominciate a prendermi in giro di prima mattina non vi dirò niente e vi abbandonerò nelle tenebre dell’ignoranza» dichiarò con aria offesa.
Sospirai. «Dai, che tanto non resisti! Allora, che succede oggi?» chiesi mentre camminavamo vicine nel corridoio degli armadietti.
Nei suoi occhi azzurri luccicò qualcosa che conoscevo fin troppo bene: l’eccitazione del pettegolezzo. «Okay, visto che insistete: arriva uno studente nuovo!»
La guardai, stupita: e se fosse stato… Prima che potessi parlare Danielle intervenne. «Tu sai sempre tutto! Come fai a sapere sempre tutto?» chiese con tono leggermente stizzito.
Jas sorrise. «Ho le mie fonti».
Danielle sospirò, rassegnata. «Voglio vederlo… Speriamo che abbia qualche corso insieme a noi».
«Non riusciremo a vederlo facilmente» rispose Jas. «È più grande, credo che sia al terzo anno».
Ecco perché era al volante, pensai. Doveva essere proprio lui. «Be’, noi l’abbiamo visto».
Jas sgranò gli occhi con espressione sconvolta. «Cosa? E quando?»
«Già, quando?» le fece eco Danielle, occupata a riempire lo zainetto di libri e quaderni.
«Poco fa, nel parcheggio: ci ha quasi investite».
A quella rivelazione Danielle trattenne il fiato e spalancò gli occhi. «Cioè vuoi dire… Era lui
«Per forza, nessuno ha una macchina del genere, qui. E poi non mi è sembrato per niente familiare».
«L’avete visto sul serio?» esclamò Jas. Sembrava sconvolta.
Le feci un sorrisino. «Sì! Questa volta ti abbiamo battuta».
«Non credo, mia cara» ribattè, trionfante. «Io so un’altra cosa che voi non sapete!»
«Cioè?» la incalzò Danielle. Era abbastanza ingenua e curiosa da essere l’ascoltatrice perfetta per Jas.
«Viene da New York» squittì Jas. «Me l’ha detto Susie Finch appena cinque minuti fa, dopo che l’ho staccata da Simon Brown».
«E perché hai dovuto staccarla da Simon Brown?» chiese Danielle.
«Perché si stavano baciando» le risposi. Non che lo sapessi, ma non era difficile da immaginare.
«Ah» fece lei e arrossì un po’. «Come mai si è trasferito, comunque?»
«Questo non lo so. Non ancora. Non sono mica l’FBI» disse Jas e a quelle parole scoppiammo a ridere tutte e tre.
Non avevamo ancora smesso, quando suonò la campanella e fummo costrette ad abbandonare i pettegolezzi per correre nell'aula di letteratura inglese.



****



Fu una mattina decisamente fuori dal comune. Nei corridoi tra una lezione e l’altra, dentro le aule in assenza dei professori, nei bagni delle ragazze, fuori alla mensa, negli angoli del cortile, dappertutto un unico, incessante mormorio: non si faceva che parlare di lui, il nuovo arrivato, il ragazzo del mistero, e fin dalla prima ora avevano cominciato a circolare le poche notizie divulgate da chi frequentava i suoi stessi corsi, talmente scarse che non facevano che incrementare la curiosità generale. E in un posto dove non succedeva mai nulla, quello era solo l’inizio.
Quanto a me, ero curiosa, ma non così tanto da non riuscire a pensare ad altro o a parlare d’altro. Era altamente improbabile che lo incrociassi a una delle mie lezioni, visto che frequentava il terzo anno, e nei corridoi affollati e caotici cercai invano un volto che mi risultasse del tutto nuovo.
Durante la terza ora il test di matematica mi fece uscire dalla mente tutto il resto finchè non ebbi finito. Dopo aver consegnato il compito, uscii dall’aula con Jas, che era troppo impegnata a lamentarsi della crudeltà del professor Peters, il nostro docente di matematica, e ad insultare la goniometria per ricominciare a spettegolare. 
Raggiungemmo l’aula della lezione successiva, geografia, e prima ancora di sederci fummo raggiunte da Holly Matthews, decisa invece a riprendere il solito argomento, e Danielle. Holly e Jas si immersero subito in una fitta conversazione punteggiata da risatine e piccoli scoppi d’isteria (a quanto pareva, una del terzo anno aveva diffuso la voce che il ragazzo nuovo avesse un fondoschiena fantastico), mentre Danielle mi chiedeva del test di matematica, ma fummo interrotte presto dall’arrivo del professor Redmont, occupato a trascinarsi dietro un televisore e un videoregistratore su un mobile dotato di rotelline. Sospirai, afflitta: era già la terza lezione in una settimana che ci propinava quel dannato documentario su uragani, trombe d’aria e il loro impatto ambientale… Per fortuna, quel giorno ci sarebbe toccato ascoltare l’ultima parte.
«Oh santo cielo» si lamentò Jas, seduta nel posto accanto al mio, con voce bassa ma perfettamente udibile. «Ma non finisce mai questo documentario?»
Il professore la fulminò con lo sguardo e tornò ad armeggiare con la videocassetta. Magari l’avrebbe rimproverata, se solo non fosse stato lui stesso così profondamente annoiato dalla sua materia. Fece partire il documentario e nel giro di cinque minuti ero sprofondata nel torpore, complici le imposte delle finestre abbassate per migliorare la visuale. Fissavo lo schermo senza interesse, prendendo svogliatamente qualche appunto, e lasciavo che i miei pensieri vagassero qua e là senza mete precise.
A un tratto, nel bel mezzo del documentario, accadde qualcosa: un piccolo fascio di luce comparve sulla destra, dove si trovava la porta, accompagnato da un lievissimo cigolio, e un istante dopo era scomparso. Qualcuno doveva essere entrato. Prima che potessi girare la testa e guardare, un’ombra scura raggiunse con due passi l'ultima fila, dove ero seduta, e si infilò nel posto vuoto accanto al mio. Era un ragazzo. Gli lanciai un'occhiata sorpresa, cercando di capire chi fosse. Non lo conoscevo. Non era sicuramente qualcuno della mia classe di geografia. Lo guardai meglio e quel ciuffo di capelli neri sulla fronte fu una folgorazione. Oddio, poteva essere... In quel momento, il ragazzo notò che lo stavo fissando a bocca aperta. Mi sorrise. 
«Ehi, Scheggia» sussurrò.
Non afferrai. Scheggia? Guardai velocemente in direzione di Redmont: era seduto alla cattedra, ma dava le spalle alle spalle, la sedia girata in modo da poter vedere il documentario, e a giudicare dalla strana pendenza della sua testa quasi pelata non era tanto più sveglio di noi. Potevo rischiare. Mi sporsi un poco verso di lui. 
«Come, scusa?»
«Ma sì… Sei la ragazza del parcheggio. Quella che stamattina ho quasi investito. Ti ho soprannominato Scheggia... Sembravi parecchio di fretta, tanto da non guardare prima di attraversare la strada».
Il suo tono ironico non mi piacque affatto. 
«E tu hai mai sentito parlare di limiti di velocità? Forse pensavi di essere su un circuito di auto da corsa e non nel parcheggio di una scuola» ribattei, piccata.
Inarcò appena un sopracciglio, poi gli scappò una risatina soffocata. Lanciai un’altra occhiata a Redmont, tesa, ma lui era perfettamente immobile. «Okay, hai ragione» disse. «Scusa. Ho esagerato, stamattina. Mi sono fatto prendere la mano... Volevo provare la macchina. È nuova».
«Buon per te». Mi raddrizzai e mi accorsi che Jas, seduta dall’altro lato a qualche banco di distanza, mi fissava con occhi e bocca spalancati, come se avesse visto un fantasma. Mi augurai che si ricomponesse.
«Allora, sei ancora arrabbiata?» continuò il ragazzo con voce leggermente maliziosa.
«Arrabbiata?» ripetei. «No… Sono un po’ sorpresa, veramente».
«Perché?»
Feci un respiro profondo e per la prima volta sentii il suo profumo. Sapeva di dopobarba, bagnoschiuma e... un vago sentore di rose. Lo assaporai per qualche istante, in silenzio, prima di rispondergli.
«Che ci fai qui? Pensavo frequentassi il terzo anno».
Corrugò la fronte, chiaramente sorpreso del fatto che sapessi di avere di fronte il nuovo arrivato. Forse doveva ancora entrare nella modalità "vita in una cittadina di provincia". «Le voci corrono così in fretta? È vero, sono del terzo anno. Ho avuto solo un piccolo problema».
Un piccolo problema? Che razza di risposta era? Mi voltai per guardarlo di nuovo, stupita. Aveva un viso molto bello: lineamenti fini e regolari, occhi di un azzurro intenso e luminoso, capelli lisci e neri che ricadevano in ciocche morbide sulla fronte ampia e chiara.
«Capisco» sussurrai. «Ma sarebbe meglio se adesso tornassi in classe o ci metterai nei guai, tutti e due». In realtà, probabilmente avremmo potuto continuare a parlare per tutta l’ora visto che Redmont sembrava ormai collassato, ma non mi andava che stesse lì, seduto accanto a me, a parlarmi con quel tono, come se fossimo stati vecchi amici, e a rivolgermi quel sorriso presuntuoso. Mi infastidiva un po'.
Lui annuì, fingendosi serio. «Sì, sarebbe meglio: devo ancora farmi perdonare per stamattina, l’ultima cosa che voglio è metterti nei guai».
«E tu non ti preoccupi di finire nei guai? Vuoi solo salvare me?»
«Nah… Lo vorrei proprio, qualche guaio: scaccerebbe la noia… e il resto».
Okay, era ora di piantarla. «Be’, io non mi stavo annoiando».
«Ah, no?». Lanciò un’occhiata veloce allo schermo della televisione e ridacchiò.
Mi sta prendendo in giro, pensai, stizzita. «Stai bluffando, secondo me» ribattei con tono di superiorità.
Inarcò un sopracciglio, senza smettere di sorridere. «Accidenti Scheggia, mi hai smascherato».
D’accordo, basta. «Non stavi andando via? Per non mettermi nei guai?»
«Hai ragione. E poi credo che il pericolo sia passato». Non capii cosa intendeva dire, ma prima che potessi aprire bocca, controllò velocemente Redmont e si alzò in piedi con cautela, per non far rumore. «Ciao Scheggia, buon divertimento» sussurrò, chinandosi verso di me, poi si diresse alla porta e uscì silenziosamente. Lo seguii con gli occhi finchè potei, perplessa da quello strano incontro, quando la faccia sconvolta di Jas comparve all’improvviso nella mia visuale.
«Era lui?» sussurrò, concitata. «Era quello nuovo? Che faceva qui? Che ti ha detto?». Si sporgeva tanto da sembrare in procinto di saltare sul mio banco.
«Ssh» la rimproverai. «Ne parliamo dopo».
Riuscii a tenerla buona per il resto dell’ora, ma appena suonò la campanella del pranzo non aspettò nemmeno che fossimo uscite e quasi mi si avventò addosso per avere i particolari. Le altre non ci misero tanto a capire cos’era successo e nel giro di due minuti mi ritrovai letteralmente bersagliata di domande, mentre ci dirigevamo verso la mensa. Purtroppo non fui in grado di rispondere alla maggior parte dei loro quesiti: non avevo potuto soffermarmi sul fondoschiena del nuovo arrivato e quindi non sapevo dire niente ad Holly sull’argomento, nonostante le sue ansiose richieste.
Quando entrammo nella mensa mi parve che tutti stessero parlando della stessa, identica cosa. Tutti comprese le mie amiche. Lasciammo le borse al nostro solito tavolo, dove si erano già sistemati Tom Evans, Paul Davis e Scott Green e ci mettemmo in coda al banco delle vivande, senza che loro cambiassero argomento. Si interruppero solo per fare qualche battuta disgustata sul pranzo: il menù del giorno prevedeva tagliatelle alla panna con funghi, ma a me sembrava colla e basta.
Tornammo al tavolo e mi ero appena seduta, quando Paul mi chiamò dall’altro lato del tavolo. «Ehi, Renesmee! Di' un po', è vero che quello nuovo ha un’auto da sballo?»
Lo guardai aggrottando la fronte. Holly, che usciva con lui da qualche mese, se ne stava abbarbicata alle sue spalle come una naufraga a un salvagente. «Non ne ho idea. Le sedie ne sanno più di me in fatto di macchine».
«Ho sentito che è un'Audi coupè» intervenne Tom con aria interessata.
«Nello spogliatoio un ragazzo mi ha detto che è una Mercedes» fece Scott. 
Paul aveva la bocca piena e non aggiunse nulla, si limitò ad annuire calorosamente.
«Oh, ma chi se ne importa della sua macchina!» esclamò Jas. «Pare che abbia degli occhi fantastici, vero, Renesmee?»
Sospirai. «Jas, gli ho parlato per due minuti ed eravamo quasi al buio: non ne ho idea». La verità era che quel discorso mi metteva un po' a disagio. Ripensare a quel ragazzo e al nostro singolare incontro mi causava una strana sensazione... come un formicolio lungo la schiena. E non ne capivo il perchè.
«Chi se ne importa degli occhi» rincarò Holly mentre apriva la sua lattina di Coca. «Sarah Richardson mi ha detto che il suo fondoschiena è da urlo».
«Ah, sì? È solo la trentesima volta che lo dici» fece Danielle con tono esasperato. Holly le dedicò una linguaccia.
«Scusa, vorresti dire che il suo è meglio del mio?» esclamò Paul girandosi verso Holly, indignato.
«Non c’è paragone» rispose Tom imitando l’aria sognante di Holly e scoppiammo tutti a ridere. 
Prima che qualcuno aggiungesse qualcos’altro di stupido, fummo raggiunti da Maggie Smith, ultima componente del nostro solito gruppo, che piombò come una folata di vento accanto al tavolo.
«Alexander Christopher Hayden» annaspò ancora prima di occupare il suo solito posto.
«Cosa?» chiese Jas con aria distratta, prendendo una forchettata di tagliatelle.
«Ciao anche a te» disse Scott, ironico.
«Alexander Christopher Hayden» ripetè Maggie, imperturbabile.
«Ma di che parli?» domandai.
«Di quello di cui parlate anche voi, ci scommetto tutta la paghetta settimanale!» esclamò con tono deciso. Sedette di fronte a me, scostandosi i ricci castani disordinati dalla fronte. «È lui, il ragazzo nuovo, si chiama così».
Holly la guardò, sconvolta. «E tu come lo sai?»
«Me l’hanno detto Jordan e la sua ragazza, li ho incontrati due minuti fa» spiegò Maggie. Jordan era suo fratello maggiore e frequentava proprio il terzo anno. Forse aveva qualche corso in comune con il nuovo arrivato.
«Alexander Christopher Hayden» ripetè Jas, gongolando. «Wow, perfino il suo nome è da sballo». Tom le lanciò un’occhiataccia che lei ignorò.
«È incredibile» esclamò Danielle, guardando Maggie con occhi sgranati. «Non comincerai anche tu, adesso! Bastano già Holly e Jas con il loro telegiornale quotidiano».
«Non preoccuparti, Danielle» la consolò Jas con un sorrisino malizioso. «Oggi Renesmee ci ha battute tutte». Si girò verso Maggie. «Durante l’ora di Redmont, Alexander Christopher Hayden si è intrufolato nella nostra classe e le ha parlato per due minuti!»
«Cosa?» trillò Maggie, girandosi di scatto verso di me. «Racconta! Voglio sapere tutto!»
Sospirai. Sarebbe stata una giornata ancora molto lunga.




****

 

Quando sentii suonare l’ultima campanella, mi trattenni a stento dal fare i salti di gioia. Non mi piaceva essere al centro dell’attenzione e non riuscivo a sentirmi così eccitata da quell’ incontro come sembravano esserlo le mie amiche: era stato tutto troppo veloce e improvviso perché potessi già essermi fatta un’idea.
In cortile salutai le ragazze con un bacio e mi diressi verso la moto metallizzata di zio Jasper, ferma poco lontano. Stavo per attraversare la strada, con più cautela, questa volta, quando con una sgommata una macchina si fermò accanto a me, bloccandomi dov’ero. La riconobbi all’istante.
«Ehi, Scheggia! Com’era il documentario?»
Fissai il profilo dentro l’abitacolo, inorridita. «Allora mi perseguiti» farfugliai.
Lui gettò indietro la testa e rise. «No, giuro! Voglio solo darti un passaggio».
«Cosa?». Non c’era una risposta adeguata a una proposta come quella. «Io nemmeno ti conosco» dissi, sorpresa.
«Sì, ma devo ancora farmi perdonare per averti quasi uccisa, stamattina, e poi per averti quasi messa nei guai… Ah, e devo anche ringraziarti per avermi coperto con quel professore. Andiamo, salta su».
Per un istante, un unico, folle istante, fui tentata di balzare sul posto accanto a lui e scappare come una fuggitiva da zio Jazz e da quello che mi attendeva a casa… la solita, vecchia, noiosa vita di tutti i giorni. Ma l’istante passò e la ragione ebbe la meglio. Ricambiai il sorriso impertinente.
«No, grazie. Voglio vivere ancora un po'. E se proprio vuoi scusarti o ringraziarmi o tutte e due le cose, impara ad usare i freni. Ciao, straniero».








Note.

1. Il  link della canzone:  http://www.youtube.com/watch?v=wJgjyDFfJuU.  Io la adoro e la trovo perfetta per il capitolo, e voi? E poi questo video è molto carino ;-).








 
   
 
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