Capitolo 2
Talk
Are you lost or incomplete?
Do you feel like a puzzle, you can't find your missing piece?
Tell me how do you feel?
Well I feel they're talking in a language I don't speake.
And they're talking it to me.
L'amicizia è un tormento in più.
Soren Kierkegaard
Entrai
in casa e mi sfilai la giacca, l'ombra del sorriso ancora sulle labbra.
Seguendo il rumore e il vociare di quella che sembrava una partita di
baseball
in tv, salii le scale e subito mi sentii apostrofare dal vocione di
zio Emmett.
«Ehi, peste! Dov’eri finita? Tua madre si
farebbe venire un infarto, se potesse».
Lui e zia Rosalie erano allungati sul
divano, nella zona tv. Lo zio teneva il telecomando, come sempre, e mi
scrutava con
aria indagatrice. Alzai gli occhi al cielo.
«Ho cercato di scappare a
Las Vegas per fare la ballerina in una discoteca, ma Jacob mi ha
fermata».
Rosalie ridacchiò, ma Emmett mi fissò con
cipiglio minaccioso per qualche istante. Questo genere di battute non
gli
andava per niente a genio. Gli feci una linguaccia ed entrai nella
cucina, che era piuttosto affollata: mamma e papà erano alle prese
con la mia
cena, mentre Esme metteva in ordine.
«Ciao a tutti» esordii.
Mia madre sollevò gli occhi dalla pentola che
stava estraendo dal forno e mi guardò storto.
«Finalmente! Sei in ritardo di
mezz’ora».
Montai su uno degli sgabelli del bancone da
lavoro e papà, che detestava farmi le ramanzine
perché poi gli toccava
ascoltare i miei commenti non espressi a voce alta, mi diede un bacio sulla fronte senza dire nulla. «Ero da Emily, lo sai. Quando è
tornata abbiamo chiacchierato un
po’, non mi ero accorta che fosse ora di cena».
La mamma sospirò.
«Okay, magari la prossima volta telefona. Per fortuna ti ha
accompagnato
Jacob».
Dovevano aver sentito la sua
voce. Nessuno si chiese cosa ci facesse con me a casa Uley: lui era
sempre dove
ero io. «E gli altri?» chiesi, cercando di cambiare
argomento.
«Alice e Jasper sono a caccia e Carlisle è
ancora a lavoro» rispose papà.
Di lì a poco sentimmo sbattere la porta
d’ingresso.
«Carlisle» ci informò Edward.
A conferma della
sua infallibilità, dopo un minuto sentimmo dei passi veloci
sulle scale e il
nonno entrò nella cucina tirandosi su le maniche del
maglione.
«Ciao famiglia!» esclamò. Era il suo
modo
tipico di salutarci e ogni volta mi faceva sorridere.
Ci fu un coro di ciao
in risposta e per un qualche minuto nella cucina regnò una
certa confusione, mentre tutti parlavano contemporaneamente.
«Spero che Jacob non abbia trascurato il lavoro,
oggi, per passare da te» disse la mamma a un tratto, a mezza
voce.
«Certo che no, sai quant’è preciso su
queste
cose» risposi, prendendo una forchettata di insalata di
patate. Stavo morendo di fame.
«So anche che quando siete insieme avete una
strana tendenza a perdere il senso del tempo e staccarvi
l’uno dall’altra è
impossibile, neanche foste attaccati con la colla»
borbottò, il tono
leggermente acido.
La guardai, un po’
stupita. «Be’, è anche il
mio migliore amico, non solo il tuo. E da quando questo ti dà
fastidio?»
Mentre parlavo, papà si accostò alla mamma e
le passò un braccio intorno alla vita. Sembrava un gesto
disinvolto, ma a me
parve una specie di avvertimento. Bella fece un respiro profondo e mi
sorrise.
«Non mi dà fastidio, è solo che Jacob
ha già rinunciato al college e non voglio
che cominci anche a disertare il suo lavoro».
Ero perplessa: avevo la sensazione di
essermi persa qualcosa. «Ma che dici? Lo conosci, non lo
farebbe mai. E poi sai
benissimo perché ha dovuto
rinunciare. Non è come per Embry e Quil, che si sono
diplomati per il rotto
della cuffia».
Lei rimase a guardarmi mordendosi un labbro,
incerta. Prima che potesse rispondere, sentimmo una voce annoiata
provenire
dalla porta. «Oh, sì, è un autentico
genio, il tuo cane da compagnia. Perché
non lo spediamo in qualche laboratorio per farlo studiare?».
Era zia Rose che
faceva capolino.
Sospirai. «Zia, potresti per favore smettere
di insultare il mio migliore amico?» domandai con tono
forzatamente cortese.
«Te ne sarei molto grata».
Lei mi fissò con aria inespressiva, come se avessi fatto una
battuta per niente divertente. «Renesmee, tesoro, sai quanto
bene
ti voglio e sai
che per te farei qualsiasi cosa… ma questo
no».
Si voltò e fece per uscire, ma papà la
richiamò. «Come va la partita?» chiese,
ironico.
«Cosa vuoi che me ne importi» borbottò
la zia
per tutta risposta e tornò sul divano.
Edward e Carlisle si scambiarono uno sguardo divertito ed io non
riuscii a trattenere una mezza risata. La mamma mi fissò e
subito dopo rise anche lei, scrollando i lunghi capelli castani
raccolti in una coda.
«Prima o poi le passerà» disse Carlisle
a
bassa voce «dopotutto, ormai sono quasi cinque anni che Jacob
entra ed esce da
questa casa. Ci farà l’abitudine».
Mmm. Secondo me Carlisle era fin troppo
fiducioso, a volte. Finito di cenare, aiutai Esme a caricare la
lavastoviglie,
poi salii di sopra, nella vecchia stanza di papà, e iniziai
a
studiare. Avevo già fatto qualcosa nel pomeriggio, mentre
Levi
dormiva e Claire guardava la tv, ma avevo ancora una montagna di
esercizi di
matematica da fare, dovevo leggere due capitoli di storia e scrivere la
bozza
di una tesina sul ciclo bretone. Ero al lavoro da mezz’ora,
quando qualcuno
bussò piano alla porta e fece capolino: era zia Alice.
«Ehi, siete tornati» la salutai.
«Ciao Nessie» disse dolcemente, allungandomi il
cordless
che stringeva in mano. «C’è Jas al
telefono per
te».
Ero
talmente concentrata da non aver sentito il telefono. Sospirai.
Naturale… Erano
le nove e mezza e ancora non si era fatta sentire. Accidenti a Jas, Jas
Williams. Era la
mia migliore amica e le volevo bene, ma aveva la straordinaria
capacità di
chiamare sempre nei momenti meno opportuni, mentre facevo la doccia o
ero presa dallo studio, alle undici e mezza di sera o alle sette meno
un quarto di mattina…
Presi il telefono, feci un respiro profondo e...
«Pronto?»
«Renesmee? Accidenti, finalmente ti trovo! Lo
sai che ho chiamato tre volte a
casa
tua, oggi? Dov’eri finita?»
«Stavo facendo la baby-sitter». Non avevo
nemmeno avuto il tempo di dirle ciao
e non avrei avuto il tempo di dirle
nient’altro.
«La baby-sitter? Ancora?
Non la capirò mai, questa... Che ci trovi di così
divertente a passare il pomeriggio con dei marmocchi? Be', lasciamo
stare, ci sono cose più urgenti di cui parlare»
continuò Jas e la sua voce divenne di colpo
eccitata. «Ci sono
novità!»
Sospirai
di nuovo. La mia amica era sempre stata un po' scocciatrice, ma da
quando aveva cominciato a
frequentare
Tom Evans era diventata insopportabile: da ben tre settimane mi toccava
ascoltare ogni giorno il resoconto di tutto quello che succedeva tra
loro... resoconto dettagliato, molto
dettagliato, che andava dal numero di volte in cui Tom l'aveva guardata
adorante al numero di minuti che avevano passato tenendosi per
mano.
«Oggi, mentre tornavamo a casa da scuola, mi
ha quasi invitata ad uscire insieme di nuovo, sabato!»
esordì.
«Jas, come si fa a invitare qualcuno quasi
ad uscire?»
«Sono sicura che ci stava pensando perché
non ha fatto altro che parlare dell’ultimo film che
è uscito, quello sulla fine
del mondo».
«Be’, ne parlavano tutti, stamattina»
obiettai con cautela. Ovvio, visto che era l’unico film che
veniva proiettato
al momento nel minuscolo cinema di Port Angeles.
«Sì, ma tu non hai sentito il tono con cui
me ne ha parlato! Insomma, era evidente che voleva chiedermi di andarci
con
lui».
«E perché non l’ha fatto,
allora?»
Rimase in silenzio per un attimo. «Credo che
si senta… spaventato e intimorito da quello che prova per
me».
«Sul serio?»
«Sì! Lui è il mio primo ragazzo, io
sono la
sua prima ragazza, ma deve aver capito quanto è importante
per me e magari non
sa bene come gestire la situazione».
Ne dubitavo fortemente, ma non volevo che ci
restasse male.
«Non pensi che forse proprio perché siete tutti e
due alla prima esperienza e
vi frequentate da poco, è un po' presto per
sentire… un tale coinvolgimento
emotivo?»
A quel punto assunse il suo tipico tono da sto
parlando con una tonta, che usava piuttosto spesso quando
parlava con me. Anche
troppo spesso. «Dici così perché non ci
hai mai visti insieme sul serio!
Tom è più timido di quanto
sembri, con le ragazze, e ancora non vuole baciarmi in pubblico, ma ti
garantisco
che tra noi c’è qualcosa di travolgente! Magari se
tu gli dicessi che io muoio dalla
voglia di vedere quel film…»
«Eh?» sbottai.
«Ma sì! In questo modo sarà certo di
poterlo
fare».
«Di poter fare cosa,
esattamente?»
«Di potermi invitare! Forse ha paura che io
pensi che stiamo correndo troppo se mi invita ad uscire due volte in
una
settimana, ma se tu gli dici che può farlo tutto
andrà liscio!»
E con questo, Jas aveva definitivamente
perso il cervello. «Senti, perché non lo inviti tu
e basta?»
«Non posso!»
«Perché,
J?» sbottai, usando inconsapevolmente il suo nomignolo.
«Magari è lui che pensa che stiamo correndo
troppo, per questo non m’invita di nuovo! Ma se fosse
così e tu parlassi con
Tom, te lo direbbe, così tu poi lo diresti a me ed io saprei
che non c’è niente
di cui preoccuparsi e devo solo aspettare che lui sia pronto».
A quel punto avevo perso il filo. «Senti,
secondo me gli stai troppo addosso... Rischi di farlo innervosire. Tra
poco penserà
che vuoi sposarlo entro la fine dell’anno
scolastico». Lei rispose con una
risata. «Sul serio, Jas: se la darà a
gambe».
«Parli per esperienza personale?»
Esitai. «In che senso?»
«Voglio dire, ti è mai capitato che un
ragazzo scappasse perché si sentiva oppresso da
te?»
Breve pausa. Avevo capito dove voleva andare
a parare. «No. Lo sai che non ho mai avuto un
ragazzo».
A un tratto cambiò completamente e diventò "la
dolce
Jas". Dopo un po' di tempo che la frequentavo, mi ero resa conto che la
mia
amica soffriva a volte di un vero e proprio sdoppiamento della
personalità. «Accidenti! Renesmee, mi dispiace!
Scusami, sono stata odiosa».
Sorrisi. «Non ti preoccupare. Però secondo
me dovresti… Aspetta un attimo». In quel momento
papà si era infilato
silenziosamente dentro la stanza.
«Tesoro, sono le nove e mezza passate: dovresti finire i
compiti. Vi vedrete domani a scuola».
«Capito. Dammi un minuto». Si dileguò
silenzioso come era apparso e io tornai al telefono. «Jas?
Devo andare, è
tardi».
«Sì, anche per me. Ci vediamo domani,
allora».
«Certo. Notte, J. E cerca di non cadere in
qualche bel sogno insieme a Tom».
Lei ridacchiò. «Sta' zitta! Notte!»
Chiusi
la comunicazione con un sorrisino e ripresi a studiare.
Mezz’ora più tardi,
quando cominciavo a sentire che la testa minacciava di staccarsi dal
corpo, misi di
nuovo i
libri nella borsa e scesi al piano di sotto. Per il resto
della
sera dimenticai la mia chiacchierata con Jas mentre guardavo la tv e
giocavo a carte con gli zii, ma più tardi, tornata al
cottage con Edward e Bella, quel pensiero si impose alla mia attenzione. Mentre mi preparavo per andare a
letto, rimuginai sulle parole di Jas e a quello che non
aveva detto, ma
che aveva pensato:
non avevo nessuna esperienza con i ragazzi. Stavo continuamente con
Jacob, sì,
ma lui era il mio migliore amico, quasi un fratello, non un ragazzo
e basta…
Lui era il mio
Jacob. Lui era speciale. Cosa significasse davvero stare con un ragazzo
normale,
cosa si provasse, non lo sapevo.
Eppure, non ero una sprovveduta completa. Avevo letto abbastanza libri
e guardato abbastanza film da nutrire la mia
immaginazione, avevo
ben quattro, innamoratissime coppie da osservare a casa e delle amiche
con una vita sentimentale ben più movimentata della mia...
e,
sebbene non potessi vantare alcuna esperienza diretta, ero a conoscenza
di un paio di cosette fondamentali.
Tanto per cominciare, grazie alle
confidenze delle mie amiche sapevo che la maggior parte degli studenti
del secondo anno delle superiori non erano altro che ragazzini immaturi
ossessionati da sport, videogiochi e spalline del reggiseno in bella
mostra, che uscivano con le compagne di classe soltanto per passare un
pomeriggio a pomiciare da qualche parte e poi raccontarlo ai loro amici
il giorno dopo... Ecco perchè ogni volta che qualcuno mi
osservava o si faceva avanti, chi spavaldo e disinvolto, chi timido e
impacciato, puntualmente lo respingevo. Non avevo alcuna intenzione di
finire sulla lista delle loro conquiste e poi... nessuno di quei
ragazzi mi era mai piaciuto davvero. Eppure, questo non mi impediva di
avvertire un vuoto, dentro di me, quando pensavo a Tom e Jas e a
quanto fossero carini insieme mentre passeggiavano nel cortile della
scuola mano nella mano. Desideravo quello che avevano loro e allo
stesso tempo mi sembrava irrealizzabile, troppo distante da me... Una
mezza vampira con il fidanzatino del liceo? Troppo complicato. Solo a
pensarci mi scoppiava la testa. Finchè si trattava di
frequentare delle amiche, potevo anche farcela, ma avere una storia con
qualcuno... sì, decisamente troppo complicato. Anche se, a
rifletterci bene, niente avrebbe mai potuto essere più
complicato
delle vicende sentimentali di Jas, pensai, sorridendo tra me e me,
appena prima di scivolare nel sonno.
Note.
1. Il link della canzone: http://www.youtube.com/watch?v=_SE4zuXEEXE.
Spazio
autrice.
Eccomi
di ritorno con il secondo capitolo! Anche questo, come il primo,
è un
po' introduttivo, lo so, non succede niente di che... Ma i
primi
capitoli sono sempre introduttivi, non trovate? Nel prossimo capitolo
cominciano gli avvenimenti ;-). A presto!