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Autore: hummelssmythe    16/05/2013    11 recensioni
SHIPS: Muse!Kurt/Artist!Sebastian - accenni Blaine/Sam, Quinn/Rachel;
Quando Sebastian Smythe si trasferisce a New York per studiare arte ed architettura, è più che certo del fatto che sarà un’avventura entusiasmante.
Per un grande artista, vedere una nuova città, studiarla nel dettaglio, è il massimo che si possa chiedere.
Tuttavia, la Grande Mela non è come si aspetta.
Soprattutto, non aveva mai creduto che gli angeli potessero esistere; non prima di incontrarne uno almeno.
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Le successive settimane passarono rapidamente: Sebastian cominciava a trattare la questione in modo professionale. Rapidamente, il ragazzo misterioso divenne il soggetto di tutti i suoi schizzi e progetti, finché non cominciò a presentarli ai docenti. Fu meraviglioso: ogni volta che un suo lavoro era ispirato da quella visione (perfino progetti di architettura), i suoi voti erano tra i migliori del corso se non i migliori in assoluto. Finalmente sapeva cosa significava l’ispirazione pura: con il ragazzo del palazzo di fronte in mente, Sebastian Smythe avrebbe potuto conquistare il mondo con una stupida matita.
 
Perfino in quel momento, mentre preferiva riempire di schizzi il suo quadernino degli appunti piuttosto che seguire la lezione, si sentiva un artista, si sentiva perfetto (non perfetto quanto la sua musa, mai, ma perfetto a sufficienza da potersi ispirare a lui), anche se stava deliberatamente ignorando le parole del suo docente.
 
“Psss.” Sentì qualcuno accanto a lui ma pensò semplicemente che si stesse rivolgendo a qualcun altro. “Hey! Psss.”
 
Si voltò allora, con le sopracciglia arcuate, per guardare la ragazza mora seduta accanto a lui che stava spiando i suoi disegni. Istintivamente, portò le braccia intorno ai fogli per coprirle la visuale, sentendosi iperprotettivo.
 
“E’ bellissimo. E’ il tuo ragazzo?” Domandò, con un sorrisetto curioso sulla labbra. “Uhm. Scusa. Non hai detto di essere gay. Sono Rachel Berry.” Gli porse la mano oltre il banco e l’espressione di Sebastian si fece ancora più dubbiosa.
 
“Sono gay.” Confermò subito, fiero e senza esitazioni, stringendo la sua mano. “Sebastian Smythe.”
 
“Mmmh okay.” Premette le labbra insieme Rachel, guardando nuovamente i fogli, quel poco che riusciva. “Quindi, Sebastian Smythe, è il tuo ragazzo quello? E’ da mezz’ora che lo disegni e conosci benissimo i suoi tratti. Mi sembra una di quelle bellissime relazioni in cui si disegna il proprio ragazzo continuamente perché si è in perfetta armonia dei corpi e con i sentimenti. Scommetto che avete una relazione bellissima e-”
 
“Non lo conosco.” Sputò Sebastian, interrompendo il suo discorso e Rachel sbarrò gli occhi.
 
“Cosa?” Chiese e lui annuì, facendo spallucce.
 
“E’ …” Pensò per qualche secondo a cosa dire: ‘spio il mio vicino e lo ritraggo perché è fottutamente bello ed attraente’? Suonava un po’ come stalking, e violazione della privacy nel momento in cui si sporgeva per spiare una proprietà privata. “E’ una persona che conosco poco. L’ho visto un paio di volte, party, cose così. Ha solo un bell’aspetto suppongo, mi diverto a disegnare i suoi tratti.”
 
La ragazza sembrò un po’ pensierosa, forse era una di quelle persone che leggevano i romanzi, guardavano i musical e quindi credevano nelle grandi storie d’amore. Il che fu principalmente il motivo per cui, dopo un istante di riflessione, si illuminò di nuovo.
 
“Quindi … oddio!” Tentò di non strillare quando un paio di ragazzi, seduti davanti a loro, la guardarono male. “Quindi tu sei attratto da questo misterioso ragazzo che hai visto soltanto pochissime volte, con il quale non hai mai parlato e non riesci a smettere di disegnarlo perché lo trovi bellissimo! E’ una cosa stupenda!”
 
Sebastian spalancò immediatamente le palpebre.
 
No. Non è così.” Protestò, ma stava già arrossendo un po’ lungo gli zigomi. “Non sono attratto da lui, né innamorato. Ha solo bei tratti e … mi piace disegnarli.”
 
“Quindi perché stai arrossendo?” Domandò la ragazza, ridacchiando, e Sebastian si morse il labbro inferiore.
 
“E tu perché porti un cappello in aula?” Chiese, facendo ruotare gli occhi. “Non sono più un ragazzino, non mi viene duro ogni volta che vedo un tipo carino, figurarsi se sul terrazzo di fronte e sconosciuto. E’ una cosa patetica e … non sono più quel ragazzo.”
 
Rachel lo stava guardando con la confusione in volto ora e con le labbra arricciate.
 
“Non stavo insinuando.” Rispose, facendo spallucce, ma Sebastian la guardò malissimo perché era esattamente quello che aveva fatto. “Credevo soltanto che tu fossi attratto da lui visto che ti ho visto sfogliare le pagine e sono piene di ritratti, schizzi, profili …”
 
“Mi stavi spiando?” Domandò Smythe, sentendo una piccola stretta allo stomaco quando pensò ‘è quello che fai anche tu con quel ragazzo, Sebastian’. “Sono quasi certo del fatto che sia una cosa illegale.”
 
“Guardare cosa disegna il ragazzo seduto accanto a te ad un corso di architettura?” Sbuffò la mora, incrociando le braccia al petto. “Denunciami.” Lo sfidò, sollevando un sopracciglio e Sebastian sospirò definitivamente, posando la matita e chiudendo il quaderno.
 
“Ascolta, non sono fatti tuoi e, comunque, questi … sono i miei schizzi.”
 
Oh, no, signor Smythe, lei non è assolutamente attratto da questo misterioso tipo.” Gli fece la Berry evidentemente sarcastica. “Sei geloso del fatto che io lo guardi anche se è soltanto disegnato. Direi che stai piuttosto bene.”
 
“E quindi? Sarei una specie di maniaco?” Domandò Sebastian e il ragazzo davanti a loro si girò per schiarirsi la gola.
 
“Potreste stare un po’ zitti?” Chiese con un tono di voce che, pregiudizi o meno, sapeva terribilmente di gay, gelandoli con i propri occhi chiari. Anche il ragazzo di colore seduto accanto a lui si voltò e li guardò malissimo.
 
“Se non vi interessa il corso, potete anche-Hey Rachel!” Cambiò immediatamente espressione appena vide la mora, sorridendole. Anche l’altro fece lo stesso. “Hai il raffreddore? Non avevo riconosciuto la tua voce.”
 
“Un po’ di mal di gola.” Rispose la mora. “Lui è Sebastian Smythe,” lo indicò, facendo ad entrambi un occhiolino, “è un figo, è gay ed è single. Le tre doti che mi avete chiesto.” Ridacchiò ed entrambi squadrarono Sebastian in maniera decisamente inquietante.
 
“Non sono-”
 
“Libero?” Chiese Rachel, interrompendolo con evidente malizia, probabilmente riferendosi al discorso precedente. “Oh, ma certo Smythe, tu stai con i tuoi disegni, sei perfino geloso di condividerli …”
 
Figo.” Rispose Sebastian, subito. “Non sono figo. E’ un termine troppo riduttivo per me.”
 
“Però.” Fece il ragazzo di colore, sorridendo compiaciuto.
 
“Sa il fatto suo.” Commentò l’altro e poi si voltò verso il vicino di banco. “Cinquanta dollari che me lo faccio prima io.”
 
Sebastian fece ruotare gli occhi: quando era al liceo aveva assistito ad un migliaio di siparietti del genere ed aveva sinceramente creduto che sarebbero terminati e che al college avrebbe incontrato persone un po’ più adulte. Divertirsi era un bene, ma era un momento della sua vita in cui voleva essere una persona seria per qualche ragione (le novità lo esaltavano sempre, quindi pensò che magari era perché si trovava in una città diversa, tutto solo, e gli andava di sentirsi responsabile perché non l’aveva mai fatto prima in vita sua).
 
“Nessuno si farà nessuno.” Rispose serio e vide Rachel ruotare gli occhi, come se volesse dirgli qualcosa del tipo ‘ti farai i tuoi disegni?’.
 
Per qualche ragione, quel pensiero gli fece male.
 
Non eraattratto dal ragazzo della terrazza accanto, okay? Ma l’idea di non averlo e doversi accontentare di qualche disegno non era proprio il massimo. E non lo voleva, no di certo, ma era il pensiero che se anche lo avesse voluto, forse non avrebbe potuto averlo, a rattristarlo. Sentì un leggero crampo allo stomaco e si diede dello stupido: cosa diavolo c’era di sbagliato in lui da fargli prendere una fissa? Non poteva permetterselo, era una cosa stupida ed infantile.
 
“Beh, peccato.” Il ragazzo biondo stava rispondendo, sollevando un sopracciglio. “Scommetto che c’era molto da farsi.”
 
Nate.” Rachel lo rimproverò ridacchiando e il biondo si girò un po’ di più sulla sedia per porgere la mano a Sebastian.
 
“Nathan Portman.”
 
Sebastian fece ruotare immediatamente gli occhi per trattenere una risata.
 
“Cioè, fammi capire, sei gay e ti chiami Nathan Portman. Come non sentirsi umiliati dalle scelte dei propri genitori.” Stava per stringergli la mano, ma il ragazzo la tirò indietro alla battuta e allora Sebastian notò che aveva lo sguardo fisso su di un foglio A4 che sporgeva leggermente fuori dal quaderno chiuso e lasciava intravedere uno schizzo.
 
“E’ un ragazzo? Sembra carino. E’ iltuo ragazzo?” Domandò, passando con lo sguardo da lui al disegno e Sebastian fece ruotare gli occhi.
 
“Perché pensate tutti che uno non possa disegnare un ragazzo se non ci sta insieme?” Borbottò e il ragazzo di colore scosse la testa.
 
“Nate, non hai origliato bene. Ha già detto a Rach che non è il suo ragazzo. Secondo me lo spia … altro che amico.” Rispose arricciando le labbra.
 
“Louis.” Ridacchiò la mora, con finto rimprovero.
 
“Sembra davvero carino.” Ripeté con più enfasi Nathan. “Perché non mi fai vedere qualche disegno?”
 
“No.” Ringhiò quasi Sebastian e i due ragazzi lo guardarono confusi.
 
Non poté controllare quell’istinto, quel nervosismo che incendiò il suo petto ed il modo in cui si sentì improvvisamente iperprotettivo verso quel pezzettino di carta. Stringeva le palpebre minacciosamente verso il biondo e Rachel si preoccupò di spiegare prima che lui potesse ucciderli in pubblico.
 
“E’ geloso dei suoi disegni. Forse sta con i disegni invece che con il soggetto.” Ridacchiò e Sebastian era troppo impegnato a guardare male il biondo per potersi concentrare su quella presa in giro. “Però potresti farcene vedere qualcuno. Non abbiamo intenzione di rubarteli, sai?”
 
“No.” Rispose di nuovo Smythe, senza esitazione, cercando di non mostrare un sorriso troppo falso: era ora che si facesse qualche amico che non fosse il duo Blam perché non poteva passare la vita a fare il terzo incomodo. “Sono solo degli stupidi schizzi,” quasi si fece del male da solo quando lo disse, “quando avrò qualcosa di più completo da mostrarvi ne riparleremo. Non mi va di mostrare dei lavori così incompleti.”
 
“Ci tieni a fare bella figura …” Mormorò Nathan divertito. “Però.”
 
Si voltarono entrambi, dando le spalle a lui e a Rachel e quasi Sebastian sospirò di sollievo, guardando quei tratti a matita che spuntavano appena fuori dal quaderno chiuso davanti a lui. Rachel rise chiaramente.
 
“Hai bisogno di un buon psicologo.” Lo prese in giro, ma il suo tono non era né arrogante, né offensivo. “Ma devo concederti almeno che se è davvero così bello come sembra nei tuoi disegni e non stai esagerando perché tu lo vedi perfetto, allora posso capire la tua mania. Anche a me piace disegnare la persona che amo perché è perfetta. E lo è sul serio, non soltanto ai miei occhi.”
 
Sebastian si lasciò andare ad un sorriso più spontaneo allora, picchiettando con la matita sul banco.
 
“Ah, quindi hai qualcuno? E io che pensavo che fossi una povera zitella e spiassi i miei disegni proprio perché non avevi una vita. Sono stupito.” Rispose, riprendendo un po’ il suo tono sarcastico dei tempi del liceo. “Molto stupito perché al momento sto tentando di immaginare quanto santo debba essere un ragazzo per sopportare quanto tu sia petulante. Lo sei con me e non mi conosci, figurarsi con qualcuno che ti conosce bene.”
 
Una ragazza, in realtà.” Corresse Rachel e Sebastian rimase per qualche secondo a bocca aperta: di certo non si sarebbe aspettato quella risposta.
 
“Sempre più colpito.” Ridacchiò, cercando di concentrarsi finalmente sulla lezione. Ovviamente fu tutto vano.
 
“Ti va di andare a prendere un caffè dopo? Potresti venire con noi!” Propose la ragazza, distraendolo subito.
 
“Potrei dirlo alla tua ragazza.” Ironizzò Sebastian. “Non lo farò soltanto perché mi dovete un caffè per scusarvi del tentato abuso nei confronti dei miei disegni.” Ridacchiò e i due ragazzi davanti si voltarono appena per sogghignare.
 
“Mmh. Okay.” Rispose Rachel, facendo spallucce. “Siamo comunque sempre abituati così: paga uno per tutti, come capita.”
 
Sebastian sospirò e tornò alla lezione, questa volta concentrandosi definitivamente sulle parole del professore. Chiaramente, Sebastian non poté fare a meno di distrarsi ogni tanto, il suo pensiero traditore che vagava verso quel terrazzo ed il meraviglioso ragazzo avvolto in quell’accappatoio blu. Era difficile non pensarci, non quando era così preso da lui in un modo che neanche voleva ammettere a se stesso, figurarsi a qualcun altro. Sorprendentemente, quelle distrazioni si dimostrarono piuttosto utili a far passare il tempo più rapidamente, tanto che i restanti quarantacinque minuti di corso praticamente volarono e neanche si accorse del fatto che fosse terminato finché Rachel non prese a strattonarlo.
 
***
 
Il caffè era stato una distrazione piacevole: aveva chiacchierato con qualcuno che non fosse Blaine o Sam, o sua sorella a telefono, e la sensazione non era stata spiacevole come avrebbe dedotto dai tipi che aveva appena conosciuto. Avevano parlato di cose diverse: architettura, Broadway, sport, stupidissimi programmi televisivi di dubbia qualità. Insomma da tutto a nulla e viceversa.
 
Per quasi mezz’ora, dalla prima volta che lo aveva visto, Sebastian sembrava aver rimosso il meraviglioso ragazzo misterioso, soggetto delle sue opere. Mezz’ora di tre ore era un sesto del tempo passato con loro, ma era comunque un progresso.
 
La verità però, era che Sebastian non sapeva se considerarlo un progresso o meno: in fondo, per quale motivo avrebbe dovuto essere una cosa negativa? Certo, cominciava a diventare un po’ ossessivo nei confronti del suo vicino – possessivo sui suoi schizzi a matita – ma non lo stava infastidendo. Non sapeva se il ritrarre qualcuno di nascosto mentre era in casa propria fosse un reato, una violazione della privacy come scattare delle fotografie, ma gli sembrava un’esagerazione.
 
In fondo, voleva soltanto raffigurare una persona di bell’aspetto.
 
Quando tornò a casa quel giorno però, si sentiva un po’ più leggero: non che avesse dimenticato sul serio. L’angelo era ancora fortemente impresso nella sua mente e, anzi, stava poggiando la sciarpa e la borsa da studio sul tavolo proprio per fingere di andare fuori a fumare, giusto pretesto per sperare almeno un po’ nella sua presenza. Tuttavia, aveva almeno cominciato a costruirsi una vita a New York che non dipendesse soltanto da quella figura. O da una coppia di amici gay che pomiciavano decisamente troppo per avere dei veri e propri rapporti sociali al di fuori dello spazio occupato dai loro corpi sempre fin troppo intrecciati.
 
Afferrò una sigaretta e l’accendino, e si precipitò immediatamente fuori.
 
Era bello avere una vita sociale nella Grande Mela, studiare, chiacchierare, fare dei progetti, tutto lontano dall’appartamento.
 
Tuttavia, quando Sebastian rientrava nella propria dimora, c’era una sola cosa che voleva: lui.
 
Non avrebbe nascosto a se stesso che, ultimamente, la notte, gli capitava di sognare un paio di occhi chiari, anche se da quella distanza o a causa delle luci suffuse di quel famoso party, non avrebbe saputo dire se erano azzurri o verdi. A suo parere, azzurri. Rispecchiava di più il suo viso angelico ma definito.
 
Si poggiò immediatamente sulla ringhiera, con le braccia incrociate e fissò lo sguardo sull’attico momentaneamente vuoto.
 
Il fatto di non poterlo vedere lo condusse immediatamente in uno stato confusionale che non aveva programmato. Una piccola consapevolezza lo colpì proprio quando i pensieri nella sua mente stavano scorrendo con semplicità e naturalezza, senza neanche troppe preoccupazioni che, nel caso, non sarebbero poi state così innecessarie.
 
In qualche secondo, si rese conto del fatto che non avrebbe mai ottenuto più di quello: mettersi in agguato, attendere che venisse fuori, spiarlo e, all’occorrenza, raffigurarlo con la propria arte.
 
Non c’era un continuo, non era un sentiero verso una meta.
 
Era un viale senza fine che lo avrebbe condotto al punto in cui la strada sfumava e spariva in disperazione.
 
Probabilmente non lo avrebbe mai incontrato.
 
Non si sarebbero mai parlati.
 
Non avrebbe mai conosciuto la sua voce, il suo nome, il vero colore dei suoi occhi.
 
Non avrebbe mai saputo chi fosse.
 
Non ci sarebbe stato nulla.
 
Spense la sigaretta sulla ringhiera, teso e sospirante.
 
Magari avrebbe dovuto utilizzare meglio il suo tempo, tornando dentro e studiando. Non riusciva a farlo però: dentro di lui c’era la paura che il ragazzo spuntasse fuori proprio dopo essere entrato nell’appartamento. Era una cosa stupida che nonostante avesse capito che non c’era nulla di reale, non riuscisse a concentrarsi su di un’urgenza della sua vita piuttosto che sulla fantasia che quell’incantevole visione stava diventando all’interno della sua testa.
 
Avrebbe voluto avere la forza di volontà necessaria per rientrare. O, almeno, pensò questo per un paio di secondi, prima che si pentisse anche soltanto di aver pensato una cosa del genere: l’angelo sbucò fuori, cellulare tra le mani, solito accappatoio blu scuro ed una risata che Sebastian poteva sentire in lontananza mentre il pigro sole pomeridiano contornava la sua pelle nuovamente, in uno spettacolo di colori al quale i suoi occhi si stavano già abituando fin troppo rapidamente.
 
Senza che potesse neanche rendersene conto, stava sorridendo, un piccolo senso di felicità che riempiva veloce il suo petto in un’esplosione meravigliosa.
 
Fanculo tutto.
 
Fanculo lo stupido pensiero di tornare dentro a studiare.
 
Per un artista come lui, non esisteva nulla di migliore dell’ammirare un’opera d’arte come passatempo. E luiera un’opera d’arte, era così perfetto ai suoi occhi distanti che tutto quello che chiedeva al cielo era di vederlo una volta,una volta soltanto, più da vicino per poter capire cosa significasse davvero osservare la perfezione.
 
La perfezione pura.
 
Lo osservava camminare lungo l’attico, chiaramente intento a chiacchierare e scherzare con qualcuno al cellulare. La sua risata era meravigliosa, il suo sorriso stava decisamente facendo fare una pessima figura al sole, umiliandolo con il proprio bagliore. Quando sorrideva, Sebastian ne era certo, era uno dei momenti in cui metteva più in mostra la propria perfezione, esponendola così che i maligni potessero invidiarla e che gli artisti potessero tentare di imitarla.
 
Una specie di inconscio Dorian Grey.
 
O forse conscio.
 
Sebastian non ne era ancora sicuro.
 
Una delle poche cose che non aveva ancora capito era se quell’angelo fosse consapevole della propria bellezza, se venisse fuori dall’interno del suo appartamento per mettere in mostra il proprio essere e permettere agli altri di ammirarlo, oppure se facesse tutto nella più totale naturalezza, senza neanche comprendere a pieno l’effetto che poteva fare sugli altri; l’effetto che faceva su di lui.
 
Forse era meglio che fosse inconscio: magari, in quel caso, non si sarebbe messo troppo in mostra altrove e Sebastian sarebbe stato l’unico ad ammirarlo nella sua bellezza.
 
Quindi – realizzò Sebastian, ricordando anche l’episodio dei disegni nell’aula quella mattina – era geloso di lui. Si era perfino innervosito alla semplice idea che qualcuno toccasse dei disegni, figurarsi cosa avrebbe fatto se si trattava di lui.
 
Durò poco quel giorno comunque.
 
Il ragazzo rientrò semplicemente dopo qualche minuto, tuttavia sembrò sufficiente ad ispirare Sebastian.
 
Quando tornò alla scrivania, questa volta, le dita fluirono con semplicità, eleganti e rilassate, la matita che accarezzava la carta.
 
Nemmeno dieci minuti dopo, camminò verso la sua stanza e fissò il foglio proprio accanto al primo disegno. Non erano come tutti gli altri. Quelli che appendeva lì, erano quelli che disegnava subito dopo averlo visto, quando lo aveva ancora perfettamente impresso nella mente.
 
In questo, il ragazzo, semplicemente rideva, perfetto quasi metà di come lo era dal vivo.
 
Lo fissò lì e con la matita lo firmò – più per abitudine che per altro – e gli diede un titolo.
 
The Angel’s Perfection.
 
***
 
Passò una settimana da quel disegno, tutto era un po’ più sobrio e nitido nella testa di Sebastian. La vaga e remota possibilità di conoscere quel ragazzo sfumava sempre di più, ed era perfino un po’ doloroso, proprio come non si sarebbe aspettato.
 
Di certo, da qualche parte dentro di lui, Sebastian aveva già considerato quella possibilità. Ciò che lo turbava era che, improvvisamente, aveva realizzato che non si trattava di una possibilità, ma di una realtà, più che altro.
 
Faceva più male perché, fino a quel momento, Sebastian ci aveva sperato davvero.
 
Aveva davvero sognato di incontrare quel ragazzo, scoprire qualcosa di lui, ma non c’erano stati segnali: non aveva rincontrato Brody, neanche ad un party con Blaine e Sam; nessuno dei suoi colleghi universitari sembrava sapere qualcosa a riguardo e si limitavano a prenderlo in giro per la gelosia verso i disegni.
 
Nulla di nulla.
 
Dal momento in cui Sebastian si sedette in quell’aula, di venerdì, i sospiri che provenivano dalla sua bocca erano di totale rassegnazione.
 
Nulla sembrava riuscire a distrarlo: né le chiacchiere di Rachel, né i subdoli tentativi di flirt di Nate, tantomeno i consigli di moda di Louis. Tutto quello che riusciva a pensare, tristemente, era che non avrebbe mai incontrato la persona che aveva ispirato le sue ultime opere.
 
Non avrebbe mai incontrato la sua musa ispiratrice.
 
Il pensiero si era insediato profondamente nella sua pelle e non riusciva a pensare ad altro che non fosse quella triste realtà.
 
Mentre tornava a casa, si guardava intorno disperatamente, come se quel tratto fosse la sua ultima occasione, come se sperasse di vederlo nella folla newyorkese, e di trovare una scusa per avvicinarlo.
 
In fondo, era stato piuttosto ipocrita a negare la propria ossessione perché era così evidente che negare serviva soltanto a rendersi ridicolo. L’aveva negata per giorni e settimane a Rachel, e grazie al cielo Sam e Blaine non ne sapevano nulla, altrimenti sarebbe stato almeno difficile il doppio fingere indifferenza o semplice passione artistica.
 
Quando tornò a casa, non ebbe neanche il coraggio di uscire fuori sul balcone: si infilò sotto le coperte ed affondò la testa nel cuscino, più forte che poteva.
 
Non aveva la benché minima idea di quanto sbagliati fossero i suoi pronostici.
 
***
 
Tutto cambiò proprio nel momento in cui pensava che non sarebbe più accaduto nulla, proprio nel momento in cui aveva pensato di arrendersi e di cominciare a farsi una vita.
Passò una settimana da quando aveva preso quella decisione fermamente e non immaginava quanto il destino si sarebbe divertito a beffarsi di lui (probabilmente in parte proprio perché aveva deciso di cedere, come se volesse fargli capire che non poteva liberarsi di quel tormento).
 
Stava tornando a casa da quello straziante corso di letteratura, un esame che neanche gli interessava più di tanto, con lo sguardo all’asfalto e i soliti occhi stanchi (soliti perché durante quella settimana non era riuscito a chiudere occhio), quando la sua borsa a tracolla andò a sbattere contro qualcosa, o meglio, qualcuno.
 
Quando sollevò gli occhi dal cemento newyorkese, rimase senza fiato nell’incontrare quegli occhi azzurri che tanto aveva ammirato da lontano senza neanche essere sicuro del fatto che avessero davvero quel colore. Finalmente poteva vederli da vicino e confermare quella teoria.
 
Si sentì male.
 
Realizzò che era ancora più bello visto da vicino, per quanto sembrasse incredibile e per qualche secondo immaginò che si trattasse soltanto di un maledetto sogno che volesse turbare la sua saggia scelta di andare avanti.
 
Ne aveva la certezza: quello che aveva davanti era un angelo in terra. Si rese conto del fatto che era rimasto come un idiota a bocca aperta mentre il ragazzo misterioso lo scrutava attentamente, in attesa di qualcosa.
 
Capì con un po’ di ritardo di cosa si trattasse.
 
“Oh, scusami!” Fece, realizzando soltanto in quel momento che lo aveva colpito. Aveva colpito un angelo. Ma gli importava poco perché quel contatto spiacevole gli aveva permesso di guardarlo negli occhi. Gli occhi più belli del mondo, avrebbe detto senza pensarci due volte.
 
“No, scusami tu.” Lo era. Era la voce più bella che avesse mai sentito. Era sublime, era celestiale, era meglio di tutto, di qualsiasi cosa. Era il timbro più particolare che avesse mai sfiorato le sue orecchie. Era qualcosa di indescrivibile. Tutto. “Io-io ero … assorto nelle mie meditazioni.”
 
Era un modo un po’ strano di parlare, ma era perfettamente in linea col suo fascino irresistibile. Almeno per lui. Non era neanche abbastanza lucido da rendersi conto del fatto che il suo angelo (se ne era già appropriato nuovamente, dimenticando in uno schiocco di dita di aver pensato di rimuoverlo totalmente dalla propria testa – come se potesse riuscirci) stesse balbettando. Perché sembrava troppo perfetto per balbettare, forse.
 
Stava pensando ad un modo per dirgli che aveva visto che viveva di fronte a lui, senza sembrare però un maniaco, ma non fece in tempo a giungere ad una conclusione che lo vide fargli un cenno con la mano.
 
“Beh, scusa ancora, ciao!”
 
In una frazione di secondo riuscì a pensare a mille cose diverse. Fece una sintesi del tutto con un ragionamento specifico: il destino gli era andato incontro. Lui non poteva permettersi di voltargli le spalle e alterare i suoi piani, non in quel modo.
 
La sua mente stava già cominciando a rassegnarsi all’idea che quello fosse il loro unico e solo incontro, che non si sarebbe ripetuto mai più. E non gli stava bene.
 
Lo vide scattare per allontanarsi e, istintivamente, afferrò il suo braccio. Dall’espressione confusa sul volto del ragazzo, realizzò che forse aveva esagerato con la forza, senza volerlo.
 
Gli sembrò confuso a quel gesto, quindi seppe che doveva affrettarsi a spiegarsi. Ma finì per pasticciare con le labbra. Ci fu qualche secondo di silenzio prolungato in cui desiderò sprofondare nel nulla per la pessima figura che stava facendo.
 
Ma si ricordò del destino.
 
Si ricordò dell’occasione.
 
“Potrei … sapere il tuo nome?” Gli domandò e non avrebbe mai voluto farlo. Il ragazzo avanti a lui scoppiò a ridere e lui si sentì morire perché non poteva reggere quella visione celestiale, il suono magnifico della sua risata incantevole (e poi stava anche arrossendo stupidamente e forse non si sentiva a suo agio all’idea di farsi vedere imbarazzato come un bambino timido o un sedicenne con una cotta).
 
“Prometto di dirtelo, se mi lasci il braccio.” Rispose il ragazzo, facendolo arrossire ancora di più: giusto, gli stava ancora tenendo il braccio. Lo lasciò andare, profondamente imbarazzato e dispiaciuto per essersi comportato come un idiota.
 
“Io-scusa, non …” tentò di scusarsi, ma l’unica cosa che ne venne fuori furono paroline confuse e prive di ogni senso. Respirò lentamente. Doveva riprovarci. “Non volevo.”
 
Notò con piacere che il suo sorriso non era sparito. Un ottimo segno, avrebbe detto, se fosse stato abbastanza lucido da pensarci.
 
Kurt.” Gli disse semplicemente in un sussurro, senza rispondere verbalmente alle sue scuse. Sebastian non capì per certo cosa gli stesse dicendo, forse perché non poteva credere di aver saputo il suo nome. Deglutì e trattenne il respiro, per assicurarsi di sentirlo bene, e non confonderlo con qualsiasi altro nome. “Mi chiamo Kurt.”
 
Kurt, Kurt, Kurt.
 
Suonava fin troppo bene.
 
Aveva dato un senso nuovo e diverso a quel nome.
 
Gli stava benissimo, era magicamente perfetto per lui, nonostante non fosse neanche lontanamente nella lista di tutti i nomi che aveva immaginato. Si accorse del fatto che … Kurt – ancora non poteva credere di poterlo chiamare per nome – stava aspettando qualcosa da lui.
 
Se ne rese conto e realizzò che si stava rendendo troppo, troppo ridicolo in quell’occasione.
 
Si maledisse perché era sempre maledettamente sobrio, in ogni situazione, lucido e anche un po’ distaccato. Per altro, tenere sempre quell’espressione fiera e snob in viso era una delle caratteristiche principali del suo fascino quindi come poteva sembrare una persona interessante se nascondeva quel lato di sé?
 
Proprio in quel caso doveva venir meno?
 
“Sebastian.” Esitò un istante, incerto su quello che stava facendo, vistosi il modo in cui gli aveva stretto e tenuto il braccio appena prima. Ma … la tentazione di toccarlo di nuovo per vedere se fosse vero era troppo forte. Allungò il braccio in avanti, porgendogli la mano.
 
Seguì lo sguardo di … Kurt, mentre scrutava la  mano, piuttosto incerto, inarcando le sopracciglia e arricciando le labbra contemporaneamente. Proprio quando stava per tirarla via, rendendosi conto del fatto che doveva essergli sembrato uno di quei ragazzi estremamente euforici all’idea di conoscere il tipo che gli piace … Kurt la prese con la propria.
 
Sebastian sentì qualcosa consumarlo dentro a quel contatto così stregato: quella pelle era liscissima, delicata, poteva dirlo, e appena un po’ più fredda della sua.
 
Accarezzò appena il suo palmo, facendolo sembrare un gesto casuale e non desiderato, per rendersi conto del fatto che persino le linee delle sue mani erano estremamente morbide. Doveva curare molto la propria pelle.
 
Tuttavia, quel contatto durò fin troppo poco per i suoi gusti: le loro mani si allontanarono proprio quando Sebastian pensava di poter restare per un bel po’ a studiarne ogni minimo particolare, a catturarlo e farlo suo come era abituato a fare con tutte le cose belle del mondo – una lista nella quale, sicuramente, Kurt era compreso.
 
Era finita.
 
Quello sarebbe stato il momento in cui Kurt avrebbe voltato l’angolo sparendo dalla sua vista; e non si sarebbero parlati mai più; e sarebbe rimasto bloccato tra un presente fatto di ritratti e un futuro che non riusciva a desiderare perché troppo preso da quella nuova ossessione.
 
Il suo nome sarebbe stato l’addio e Kurt avrebbe camminato lungo le strade chiedendosi chi era lo strano e buffo ragazzo che aveva conosciuto.
 
Poi, dopo qualche giorno, avrebbe dimenticato per sempre la sua esistenza.
 
Il destino gli aveva almeno concesso di toccarlo, di sapere che era vero.
 
Ma forse faceva ancora più male sapere che esisteva sul serio.
 
Era così preso da quelle riflessioni sull’imminente addio che ci mise qualche secondo prima di realizzare che Kurt era ancora avanti a lui, a guardarlo con un sorriso sulle labbra.
 
Okay, forse voleva dirgli ‘è stato un piacere, adieu’.
 
“E … vivi da queste parti … Sebastian?”
 
Quella domanda, nonostante fosse pronunciata con quell’esitazione, gli aprì un cielo, una galassia anzi, in testa.
 
Non avrebbe titubato, non quella volta.
 
“S-sì, sì! Cioè …” Balbettò confusamente, prima di indicargli il palazzo alle loro spalle. Non poteva neanche credere che glielo avesse chiesto. “Abito lì, nono piano.”
 
Kurtpasticciò un secondo con le labbra, mantenendole però curvate in un sorriso.
 
“Wow.” Commentò, abbassando lo sguardo, quasi stesse pensando a qualcosa di carino e non sapesse come dirlo. No. Si stava decisamente illudendo troppo su quella situazione. Avrebbe finito per farsi male, lo sapeva. “E’ strano, vedi, io … abito di fronte e …”
 
No, lo stava dicendo sul serio.
 
Sentì i battiti del proprio cuore accelerare per quell’ ‘e …’ lasciato così, in sospeso, proprio quando aveva più bisogno di un continuo; ma si rese conto del fatto che Kurt avrebbe difficilmente continuato quella frase. Non sapeva perché, ma gli sembrava in difficoltà.
 
“Sul serio?” Chiese con tutta la naturalezza del mondo, ma lo sapeva, sapeva che viveva lì, sapeva esattamente tutti i colori di accappatoi che aveva, sapeva che alle cinque prendeva il tè, usanza inglese, ogni giorno, sapeva che amava fare lunghe chiacchierate a telefono mentre prendeva il  timido sole pomeridiano, disteso su quell’attico.
 
Sul serio, viveva lì.
 
Lo sapeva perfettamente.
 
“Sì, cioè …” Pensò che quello teso dei due dovesse essere lui. Eppure Kurt continuava a balbettare confusamente; ed era così dolce mentre lo faceva, con quella sua vocina. “Non ti ho mai visto.”
 
Sebastian sorrise spontaneamente perché avrebbe voluto dirgli che lui lo aveva visto.
 
Ogni singolo giorno.
 
Ogni ora.
 
Ogni secondo.
 
Ogni volta che poteva da quando lo aveva visto la prima volta.
 
Ogni volta che chiudeva gli occhi perfino.
 
E in quel momento lo stava ammirando da vicino. Kurt era proprio lì, davanti a lui, in carne ed ossa.
 
“Beh, neanche io, è …” gli rispose, probabilmente con la bugia più epica che la storia dell’umanità possa ricordare. “E’ una cosa strana, ma … New York è molto grande e …”
 
Stavano entrambi farneticando cose senza senso, e la cosa lo faceva sentire molto a suo agio anche se non voleva illudersi del fatto che fosse una questione di emozione, forse Kurt era semplicemente timido o perennemente entusiasta, o amava le cose nuove o … qualsiasi cosa fosse o pensasse, Sebastian era certo di volerla sapere.
 
“Sì, infatti, lo è …” rispose l’angelo, mentre continuavano a scambiarsi battute senza senso. “Beh, io dovrei andare.”
 
Fortunatamente non gli sembrò essere una scusa e si era intrattenuto fin troppo a blaterare con lui per passare per uno che si era annoiato.
 
“Oh, sì, anche io …” rispose Sebastian, tentando di farsi venire in mente un modo veloce per aprire una possibilità ad un secondo incontro senza sembrare troppo invadente.
 
“Posso avere il tuo numero?” Domandò però improvvisamente Kurt anticipandolo. “Non conosco nessuno qui. Ho solo un paio di amici, ma mi annoiano profondamente.” Ridacchiò, arrossendo un po’, adorabile davanti ai suoi occhi.
 
Sebastian dovette passare un paio di secondi a mettere a fuoco ciò che aveva detto prima di poter rendersi conto del fatto che avrebbe dovuto rispondergli. Realizzato a pieno che gli avesse chiesto il suo numero di telefono, Sebastian sentì un po’ della sua capacità di flirt riaffiorare e trasformò il proprio sorriso incantato in un ghigno incantatore.
 
“Puoi avere tutto quello che vuoi se continui a sorridere così.” Non pensò neanche a quanto patetica fosse quella frase perché Kurt sorrise subito, chiazze rosse che tingevano il suo viso, impedendogli di pensare di essersi reso ridicolo.
 
“Uhm … quindi … se mi sforzo di sorridere ancora un po’, mi porti a prendere un caffè qualche volta?” Domandò timidamente e Sebastian tentò di non mostrargli troppo apertamente il battito che aveva appena perso.
 
Gli stava chiedendo un caffè, quindi … stava assecondando il suo tentativo d’approccio? Dio, Sebastian non era pronto a quella prospettiva.
 
“Se sorridi ancora un po’ … posso portarti anche sulle giostre.” Sorrise, ignorando il tamburo rumoroso all’interno del suo petto che lo stava costringendo a tremare. Erano lì, in piedi, per strada, posizioni rigide ed un po’ tese, era tutto reale.
 
Kurt rise di nuovo, riempiendo le strade di New York di quella voce celestiale che gli altri neanche avrebbero meritato di sentire.
 
“Un caffè va bene. Magari possiamo organizzarci per le giostre mentre lo beviamo.” Lo prese chiaramente in giro.  “Stai prendendo tempo per non darmi il tuo numero? Potrei esserne offeso.” Rise ancora e Sebastian scosse immediatamente la testa, non riuscendo assolutamente a trovarlo divertente.
 
“Oh no, credimi. Vorrei davvero avere il tuo numero nella mia rubrica riservata ai bei ragazzi.” Mormorò, cercando ancora una volta di sembrare seducente, ma rendendosi conto del fatto che forse aveva ancora un po’ di quegli occhi sognanti che glielo impedivano del tutto. “Il caffè andrà benissimo.” Cercò di non dare peso alle sue gambe tremanti perché stavano programmando un appuntamento.
 
New York era davvero la città dove i sognipiù assurdi potevano diventare realtà.
 
“Così ci conosciamo un po’, magari.” Kurt fece spallucce e si allungò per sfilarsi il cellulare dalla tasca. Sebastian avrebbe voluto così tanto approfittare del movimento per studiare ogni singolo muscolo del suo corpo, ma era troppo agitato per farlo, non riusciva neanche a pensare razionalmente perché voleva conoscerlo un po’.
 
Allungò il cellulare verso di lui e Sebastian lo prese, cominciando a digitare il proprio numero con il respiro in sospeso.
 
“Hai freddo?” Gli chiese Kurt, facendogli alzare gli occhi per incontrare i suoi bellissimi gioielli azzurri e costringendolo ad una risata nervosa.
 
“Uhm, no.” Rispose, inarcando le sopracciglia.
 
“Ti tremano le mani.” Commentò con innocenza Kurt.
 
‘Certo che mi tremano le mani,’ pensò Sebastian, ‘sei il soggetto di ogni mio singolo disegno, ti spio da settimane.’
 
“Forse sono le mie mani ad avere freddo.” Rispose un po’ stupidamente, ma fece sorridere Kurt, quindi andava benissimo così. “Tieni.” Gli porse il cellulare qualche secondo dopo, sentendo il cuore battere quando le loro dita si sfiorarono in quello scambio.
 
“Ti faccio uno squillo più tardi, così … se vuoi, puoi salvare il mio numero.” Mormorò, mordendosi il labbro inferiore – sexy, anche sexy. “Devo andare ora, sono sul serio in ritardo. Uhm … non … non vedo l’ora di prendere un caffè con te, Sebastian …”
 
Gli sorrise anche lui, conscio del fatto che probabilmente avrebbe avuto ansia e tachicardia a mille fino al momento in cui Kurt non gli avesse fatto quel maledetto squillo.
 
“Ciao, Kurt.” Mormorò, facendogli un occhiolino e vedendolo arrossire, mentre faceva un inchino scherzoso e si allontanava.
 
Sospirò, soffermandosi peccaminosamente ad osservare il modo in cui quei jeans stretti e chiari tracciavano il suo sedere meraviglioso. Dio, aveva anche un sedere come quello? Un uomo da sposare, per quanto gli riguardava. Carino, adorabile, con un didietro così …
 
Quando Kurt fu sparito all’angolo, sfuggendo alla vista dei suoi occhi, Sebastian si stiracchiò, lungo quel marciapiede, lasciando che il vento autunnale lo coccolasse un po’ e sorridendo soddisfatto a se stesso per la prontezza con la quale non lo aveva lasciato andare subito e gli aveva bloccato il braccio.
 
La sua giornata ora consisteva nell’attendere uno squillo.
 

 
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A/N: Update, update. Dopo essere sparita per una settimana, sono di nuovo qui con due aggiornamenti yo! Non mi soffermo molto a parlare perché scrivere due angoli di fila mi lascia senza nulla da dire lol Vi dico che, se v'interessa, ho postato due Kunter molto, molto lontano da EFP: 1 e 2 (in corso, in inglese). Speriamo che le prossime settimane siano meglio *sospira*. Grazie per la pazienza bbies <3 - A presto, xoxo RenoLover <3

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