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Autore: Keros_    16/05/2013    7 recensioni
[Future!Seblaine]
Blaine, dopo anni di matrimonio con Sebastian e aver messo su una famiglia, decide di divorziare dal marito a causa di un tradimento subito da quest'ultimo. Così va a vivere con suo fratello Cooper e la sua compagna Elizabeth, facendo fare ai bambini avanti e in dietro da una casa all'altra; ma affrontare un divorzio non è mai così facile come si pensa, sopratutto se si provano ancora dei sentimenti profondi verso colui che dovrebbe diventare l'ex.
Abbiamo: Cooper che è stufo d'avere il fratello in giro per casa, Elizabeth che non ne può più di ascoltare i suoi monologhi depressi, Grant che è furioso con entrambi i genitori, Juliette che vuole la felicità dei due uomini, Sebastian che decide di riconquistare Blaine, Tony innamorato di Sebastian, John che vorrebbe creare una relazione con Blaine e quest'ultimo che vorrebbe continuare ad andare avanti con il divorzio.
Ma lo sappiamo tutti, ottenere ciò che si vuole non è mai così facile.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10

 

Sebastian non ce la poteva fare, lo sapeva.

Lo sapeva da quando aveva aperto gli occhi quella mattina e il pensiero della partita lo colpì in faccia come il ceffone che si meritava. Perché aveva sbagliato un’ altra volta, e lui poteva pur aver ripreso il suo voto di castità o come poteva definirsi quel compromesso che aveva fatto con se stesso, visto che continuava a toccarsi e a fantasticare su suo marito, come un quindicenne o come Grant.

Grant.

 Alla partita ci andava per lui, il football non gli era mai interessato, neanche un po’. Proprio come di Kurt Hummel mentre ci provava spudoratamente con Blaine, come quando erano ancora adolescenti, non esisteva. Ma suo figlio sì e, anche se non l’avrebbe ammesso molto facilmente, soprattutto con il suddetto, ci teneva a vederlo in campo con il suo completino bianco con dietro la scritta “Anderson-Smythe.”

Anderson-Smythe e pensandoci su, per un istante, Sebastian avrebbe voluto che sula schiena del figlio ci fosse scritto solo il cognome di Blaine.

Blaine.

Tutti i suoi dubbi, pensieri e sensi di colpa, erano scattati in lui quando realizzò di doverlo incontrare. Ma il tipo di ansia che lo assaliva mentre si dirigeva al palazzetto dello sport, era diverso dal solito che gli prendeva quando solitamente doveva incontrarlo. A dir la verità, Sebastian non era mai ansioso di dover vedere Blaine; perché lui era confortante, era suo marito, sapeva di casa ed era il suo amore più grande. Per lui non c’era differenza tra i suoi figli e Blaine, li amava tutti e tre con la stessa intensità, solo con modi e manifestazioni differenti.

Era stato ansioso d’incontrarlo soltanto al Municipio, il giorno del loro matrimonio. Ma anche lì era stato diverso; sapeva di poterlo baciare se ne avesse avuto voglia, che lui aveva le sue stesse paure e il suo stesso panico, che si amavano e che, in verità, erano solo agitati perché erano stati distanti per giorni e non soltanto il giorno prima come era solito fare, nonostante entrambi avessero fatto notare che erano due uomini e non c’era nessuna sposa. Quella volta era ansioso e non voleva far altro che incontrare Blaine.

Questa volta, se avesse potuto, sarebbe scappato a milioni di anni di distanza solo per non vederlo. Non vedere i suoi occhi ambrati, i suoi capelli impacchettati nel gel, le sue labbra carnose che si sarebbero, inevitabilmente, incurvate in un sorriso, almeno una volta.

E Sebastian non ne sarebbe uscito vivo. Non sarebbe riuscito a farcela, a smettere di sentirsi in colpa, a poterlo guardare in quegli occhi cangianti.

Si era sentito soltanto un’altra volta in quel modo in tutta la sua vita ed era stato per lo stesso motivo.

E non poteva far altro che sentirsi in colpa, sporco, ingrato.  

Aveva agito d’impulso, quel giorno e anche con Tony. Entrambe le volte l’aveva fatto per ferirlo, per ferirsi; non sapendo che quello che ne usciva peggio, era sempre lui. Blaine aveva tutti: Cooper, Elizabeth, Grant, Juliette, Riccioli d’oro, Louis, Margaret, tutti i suoi colleghi di lavoro di cui non si ricordava mai i nomi, i suoi studenti della NYADA che lo reputavano un’insegnate fantastico. Blaine aveva persino lui, sempre e comunque. Anche dopo avergli chiesto il divorzio c’era stato per lui. Anche dopo l’ultima trovata di far separare i figli perché l’avvocato diceva di sì.

Quello che c’era uscito peggio di tutti, anche se non lo sapeva, era lui. Gli erano rimasti i suoi genitori, Juliette e Grant quando gli girava. Amici di lavoro non ne aveva, o comunque non erano così stretti da poterli definire così; aveva un brutto carattere, era risaputo, e quello incideva molto. Gli era rimasto Hunter, ma di certo non era uno su cui poter fare affidamento. A Sebastian non importava di chi era rimasto, ma di chi non era rimasto.

Blaine. Insieme a lui. Insieme a Blaine, aveva perso anche se stesso.

Quel pensiero gli fece venir voglia di rimanere seduto sul sedile della sua auto e non alzarsi mai più, ma poi i suoi occhi caddero sull'orologio che aveva al polso, facendogli notare che era pure il leggero ritardo. Non si preoccupò, perché sapeva che nel calcio si diceva un orario e poi non si rispettava mai, così prese un respiro profondo, si guardò allo specchio per preparare la sua faccia più allegra e rilassata allo stesso tempo e si fece pure l’occhiolino prima d’uscire dalla macchina, ignorando il voler rompere lo specchio retrovisore con un pugno ben assestato.

Scese dalla macchina e percorse il parcheggio, per poi entrare e salire le scale. Infilò la mano nella tasca dei pantaloni e uscì il biglietto della partita che gli aveva dato Grant il giorno precedente. Per qualche motivo sorrise, poi si diresse verso gli spalti e, senza pensarci, iniziò a cercare il suo posto sperando che per qualche rancore da parte del figlio, di cui lui non ne era a conoscenza, l’avesse sbarcato da qualche parte completamente opposta a quella di Blaine.

Ma capì di non essere stato così fortunato circa due minuti dopo quando, camminando come un idiota con il viso basso per controllare il numero dei posti, vide Juliette con gli zii e il padre che chiacchieravano animatamente tra di loro.

Sebastian prese un altro respiro profondo e prima di poter fare qualsiasi altra cosa, iniziò a camminare verso di loro con passo deciso. Appena arrivato lì, Juliette staccò la presa dalla mano dello zio per catapultarsi verso di lui e senza esitazione, Sebastian si chinò sui polpacci, per accoglierla tra le sue braccia.

“Ciao papà!” lo salutò, lasciandogli un bacino sulla guancia. “Mi sei mancato tanto, tanto!”

“Sono solo due giorni che non ci vediamo.” Gli fece notare lui, con un sopracciglio alzato, ma con tono più che divertito.

“Si, però mi sei mancato lo stesso.” Miagolò lei, stringendosi nelle spalle, mentre le sue guance di tingevano leggermente. Guance che diventarono rosso fuoco nel momento esatto in cui Sebastian gli lasciò un tenero bacio di sfuggita sulle labbra. Lei si ammutolì del tutto e lui non si prese nemmeno la briga di camuffare la sua risata con un leggero colpo di tosse.

Juliette, per rimediare al momento imbarazzante, lo afferrò per una mano, facendolo costringere ad alzarsi e lo trascinò accanto agli altri.

“Guardate chi è venuto!” Annunciò lei, felicissima e Sebastian salutò Elizabeth e Cooper con la mano, mentre fece semplice cenno con la testa a Blaine.

“Ciao Sebastian!” Lo salutò quest’ultimo, sorridendogli allegramente. Con uno di quei sorrisi belli, sinceri, capace d’illuminare intere giornate e Sebastian non avrebbe voluto far altro che scomparire.

“Ciao Blaine.” Rispose semplicemente, guardandolo soltanto il tempo di dire quelle due parole, prima di tornare a parlare con la figlia che sembrava non poter più contenere la gioia che provava.

Restarono così per almeno dieci minuti buoni, Cooper, Elizabeth e Blaine che parlavano tra di loro e Sebastian che rideva e scherzava con Juliette, sentendo sempre due occhi color caramello addosso, anche se cercava di non pensarci. Poi, il comizio terminò nel momento esatto in cui le due squadre entrarono in campo.

“Noi andiamo,” li salutò Cooper, prendendo per mano la nipote. “Ci vediamo più tardi.”

“Cosa?” Chiesero gli altri due uomini all’unisono, sbarrando gli occhi.

“I nostri posti sono di là e la partita sta per cominciare.” Chiarì Elizabeth, prima di prendere l’altra mano della nipote e iniziare a camminare prima che i due potessero anche solo dire “State scherzando?” che se n’erano già andati; anche se Sebastian avrebbe giurato di vedergli fare un occhiolino a Blaine.

Decise di non soffermarsi ulteriormente a pensarci e si sedette accanto al moro, evitandolo. Rimasero entrambi in silenzio, anche se dopo qualche minuto, Sebastian sentì gli occhi dell’altro addosso e istintivamente si girò a guardarlo. Lo trovò con un sorriso genuino in volto, gli occhi brillanti in cui si poteva leggere tutta la sua felicità.

Sebastian non riuscì a non sorridergli di rimando e sentirsi in colpa subito dopo.

Stavano per cominciare a chiacchierare, ma poi l’arbitro diede il fischio d’inizio ed entrambi si concentrarono sul campo da gioco.
 
 

 


Sebastian non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura, ma il calcio non era poi così male.

O forse si sentiva solo troppo fiero di suo figlio che aveva già segnato un goal, chi poteva dirlo?

Erano a quasi metà del primo tempo e già erano due a zero per la squadra di Grant e la felicità, Sebastian poteva sentirla nell’aria. Eppure lui non riusciva a esserlo totalmente.

Avrebbe voluto potersi godere a fondo quel momento, poter dire di essere totalmente felice, e invece non poteva. Perché aveva Blaine vicino e si sentiva in colpa.

Era bello e perfetto, era esaltato e fiero di tutto quello. Aveva un sorriso a trentadue denti che Sebastian non faceva altro che fissare quando lui non se ne accorgeva.

Blaine era felice come non lo era da molto tempo e lui si sentiva sporco, perché l’aveva voluto ferire, anche se ancora lui non ne era a conoscenza. L’aveva fatto di proposito, per ripicca a quel bagliore nei suoi occhi caldi ed espressivi; aveva voluto ferire un essere così perfetto e si fece schifo da solo.
 
 

 



La partita ormai stava per svolgere al termine.

Le cose si erano riprese per le due squadra avversaria, stavano ormai due a due, ma non era un problema, anche la se la tensione era palpabile, perché Grant e i suoi amici stavano giocando bene. Perlomeno era quello che credeva Sebastian, visto che di football non ne capiva.

Si limitava a tenere gli occhi sul figlio, sulla palla e su Blaine.

Era lì che aveva gli occhi da più di cinque minuti abbondanti e fortunatamente il moro non sembrava essersene accorto.

Ad un certo punto, vide il suo volto illuminarsi ancora di più di quanto non fosse e portarsi una mano alla bocca, stupito ed eccitato, guardando il campo. Istintivamente si girò a guardare, vedendo Grant correre con la palla al piede. In quel momento si dimenticò di Blaine, di averlo accanto e concentrò l’attenzione sul figlio, seguendolo con gli occhi mentre sfrecciava con la palla al piede.

Si sentì così fiero di lui.

Grant passò la palla a un altro giocatore, facendola passare proprio accanto a uno della squadra avversaria, per poi continuare a correre fino a raggiungere quasi la porta avversaria. L’altro giocatore in completino bianco, passò la palla a un altro che era libero e senza altri giocatori vicino. Questi iniziò a correre, ma quando si trovò una schiera di altri giocatori dell’altra squadra, si ritrovò spiazzato e con un gesto repentino la passo di nuovo al giovane Anderson-Smythe.

E fu in quel momento che Sebastian smise di guardare la partita, perché Blaine gli aveva appena stretto la mano, intrecciando le dita. Forse era troppo preso dal gioco o forse lo aveva fatto volontariamente, ma qualsiasi fosse la causa, non gli importava perché il suo cuore in quel momento fece una capriola all’indietro, per poi cominciare a battere forte nel petto.

Rimase lì a guardare le loro mani, sorridendo. Erano così belle.

D’un tratto, il moro si alzò in piedi, iniziando a urlare insieme alla platea e Sebastian fece lo stesso, dimenticandosi delle loro dita intrecciate quando capì che a segnare era stato suo figlio.

“Vai, Grant!” Urlò Blaine con tutto il fiato che aveva in corpo, ma anche se il ragazzo non lo sentì, continuò ad urlare di felicità, facendo sorridere compiaciuto Sebastian.

“Sebastian?” Lo chiamò dopo un po’ il moro, prima di risedersi. Lui si voltò a guardarlo. “Ti va se dopo andiamo a festeggiare insieme?”

In quel momento il cuore di Sebastian, si fermò per un attimo.

 

 

 
 
Si dice che non si capisce di essere felici, fin quando la felicità non la si perde.

Ma non è vero. Quando si è felici lo si capisce subito, si sorride senza un motivo, si ci sente pieni di vita e si ha continuamente voglia di fare qualcosa perché si è pieni di energia; si ha voglia di correre, saltare e gridare, rimanendo sempre vicino a ciò che ci rende così.

In un secondo la vita diventa bella e meravigliosa, tutto sembra sorriderci, sembra che tutto giri nel verso giusto e si dimentica persino il morivo per cui si è stati tristi per tanto tempo.

E’ un po’ come se il nostro cervello si staccasse dalla realtà e ci catapultasse in un universo parallelo, dove tutto è splendente, pieno di colori, di magia e musica perfino; si, perché quando si è felici di solito si ha sempre una di quelle fastidiosissime canzoncine in testa, magari proprio una delle pubblicità dei cereali.

Quando si è in questo stato, si tende a perdonare tutti, a non portare più rancore verso nessun altro e a sentirsi soddisfatti dentro perché il bianco e il nero scompaiono, ritornando dar posto ai colori.

Dopo un periodo triste, i colori sembrano essere più brillanti.

Il blu è più brillante, il giallo, il rosso, il viola, l’azzurro, il marrone.

Il verde è più brillante.

E Blaine in quel momento non poteva far altro che abbagliarsi gli occhi di quel colore senza voler mettere gli occhiali da sole, perché non era una stella a rendere le iridi di Sebastian di quel verde così intenso, ma era la felicità che aveva dentro in quel momento, mentre lo guardava ridere con i suoi figli e i cognati, seduto difronte a lui.

La partita era finita da poco meno di un’ora e subito dopo erano andati a festeggiare la vittoria in quel locale per famiglie. Gli schiamazzi degli altri ragazzi della sala riempivano le orecchie di Blaine, permettendogli di capire davvero poco di ciò che stava raccontando il fratello, ma non gli importava, perché riusciva benissimo a sentire la risata di Sebastian e non c’era nient’altro che volesse sentire al momento.

Alla fine aveva ceduto.

Aveva deciso di andare oltre e di dare un’altra delle sue possibilità a Sebastian; perché lo amava e gli stava dimostrando di meritarselo, infondo, tra una litigata e l’altra.

“Papy, mi compri il gelato?” Blaine venne bruscamente riportato alla realtà dalla voce di Juliette che aveva pure preso a strattonargli la manica della camicia, visto che non le dava le giuste attenzioni. “Papy?”

“Tesoro, non vedi che papà è troppo occupato a fare la faccia da pesce lesso per ascoltarti?” la rimproverò dolcemente Elizabeth, afferrandola per il braccio per avvicinarla a sé. “Dopo andiamo a prendere il gelato, per il momento stai qui.”

“Non ho la faccia da pesce lesso.” Controbatté lui, cercando di difendersi.

“Ma se è da tre ore che fissi Sebastian come un cretino.”  lo canzonò Cooper, prima di scambiarsi uno sguardo complice con la donna, mentre l’uomo in questione deglutì in maniera appena percettibile.

Blaine guardò torvo il fratello, ma si limitò a restare in silenzio, maledicendosi per essere stato scoperto. Ma alla fine che importava? Il suo mondo era di nuovo a colori e quelli di Sebastian gli erano mancati così tanto, che non poteva far a meno di fissarli per impregnarsi le giuste tonalità nella memoria.

Perché era felice e non gli importava, voleva soltanto poter comunicare quella notizia al marito per poi sperare in una risposta che concordasse alla sua decisione intrecciando le dita dietro la schiena. Voleva potergli dire tutto e che i colori restassero brillanti per sempre. Voleva tornare a dormire nel suo letto con Sebastian, magari con Juliette che ogni tanto si intrufolava dentro per avere un po’ di coccole in più.

“Zio CoopCoop, andiamo a prendere il gelato?” provò la bambina con lo zio, attaccandosi al suo fianco e guardandolo con occhioni adoranti.

“Va bene, ma soltanto se posso interpretare uno dei personaggi-“

“Zio, fa come vuoi. Andate a prendere il gelato.” lo interruppe Grant, dicendo le ultime quattro parole con tono eloquente, prima di scambiarsi un occhiata con Elizabeth e poi tornare a guardare lo zio che lo guardava con un sopracciglio alzato, alquanto confuso.

“Zio... Andate, Juliette vuole il gelato.” Continuò il ragazzo, indicando il bancone con la testa quando disse il primo verbo.

Aaaaah! Il gelato. Certo, andiamo principessa.” disse ad un tratto Cooper, ricordandosi qualcosa che di sicuro doveva ricordarsi molto prima. Si alzò dal tavolo e aiutò nipotina a uscire dal sedile in pelle rosso, prima di prenderla per la mano.

“…che pessima memoria,” borbottò Elizabeth tra sé e sé, seguendo anche lei la bambina per affiancare il compagno. “Torniamo tra un po’, non vi preoccupate!” Annunciò sorridente, prima di prendere l’altra mano di Juliette e iniziare a camminare.

I tre Anderson-Smythe rimasti al tavolo, si guardarono per un attimo con circospezione, poi Blaine scivolò lentamente vicino a Sebastian, senza farsi accorgere troppo e con la coda dell’occhio vide il figlio fare una faccia preoccupata.

“Allora, bella partita, no?” Esordì Blaine dopo poco, rompendo il ghiaccio che si era formato in quei pochi attimi di silenzio.

“Si, anche se è stata abbastanza facile da vincere. Quelli non sapevano nemmeno come si gioca, a football.”

Il moro ridacchiò per la risposta del figlio. “Il solito esagerato, sono sicuro che anche loro non sono niente male.”

“Certo, per aver perso tre a due.”

“Ti ricordo che avete sempre subito due goal; non sono pochi.” Intervenne Sebastian, riportando il figlio con i piedi per terra. “E non eravate nemmeno tanto più bravi di loro, forse solo tu.”

L’uomo non ebbe bisogno di aggiungere altro, perché Blaine vide Grant sorridere soddisfatto a quel complimento camuffato e sorrise a sua volta. “Comunque, sei stato davvero bravo.”

“E’ stato fantastico, Blaine. Non per niente è uno Smythe.”

Ed ecco che per l’ennesima volta, quando Grant faceva qualcosa di buono, diventava subito e soltanto suo figlio e tanti saluti all’Anderson-Smythe. Il diretto interessato, arrossì appena per i numerosi complimenti che stava ricevendo dai genitori; quando notò che Sebastian lo stava guardando con un ghigno, tossì appena, prima di guardarsi in giro e annunciare in modo vago: “Sapete, lì ci sono alcuni miei compagni di squadra, vado a salutarli, ciao.” Detto questo si alzò dal tavolo un po’ troppo frettolosamente per sembrare una cosa improvvisata e scomparì dalla circolazione e Blaine lo seguì con gli occhi finché non arrivò dov’erano seduti alcuni suoi coetanei.

“Tu che ci fai qui?” Chiese Sebastian, sbattendo le palpebre, confuso dal vederlo così vicino quando prima era dalla parte opposta del divanetto.

“Ti da’ fastidio?” Chiese a sua volta il moro, sorridendogli.

“Killer, quando mai la tua vicinanza mi ha infastidito?” Blaine decise di non rispondere, non gli andava di fargli un vero e proprio elenco. Si limitò ad alzare un sopracciglio e a sorridergli.

Deglutì rumorosamente, non trovando più il coraggio di staccargli gli occhi di dosso e di dirgli ciò che da un po’ gli frullava per la testa. Sebastian gli stava ghignando e il suo cervello stava per non connettere più. Si sentiva il cuore martellare violentemente nel petto e credette che se non gliel’avesse detto entro pochi minuti, sarebbe scoppiato. “Sebastian, vorrei parlarti di una cosa importante e... non so bene come dirtela.”

“Blaine, se si tratta un’altra volta dell’avvocato non c’è bisogno-“

“Non si tratta dell’avvocato!” Esclamò subito tutto d’un fiato, vedendolo già portarsi sulla difensiva. “Si tratta di me, di te e della nostra famiglia.”

Sebastian si sistemò meglio, prima di intrecciare le braccia al petto in segno d’ascolto. Non poteva sbagliare, non in quel momento.

“Io.. ci ho riflettuto molto, e ho preso la mia decisione.”

“Blaine...”

“No, no, Sebastian! Fammi finire. In quest’ultimo periodo abbiamo passato molto tempo insieme, più di tanto ne abbiamo passato da quando abitiamo in case diverse e... e ho capito. E mi-“

“Blaine, ascolta-“

“No, Sebastian! Voglio dirtelo, perché finalmente ho preso la mia decisione, ho capito.” Sebastian gli annuì impercettibilmente e lui gli sorrise prima di continuare. “Voglio ritornare con te, voglio tornare ad essere una famiglia, perché mi manca troppo e tu mi hai dimostrato di meritartelo.”

Sebastian cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore con gli incisivi.

“Mi hai ricordato quanto siamo fatti l’uno per l’altro, senza il tuo aiuto forse non l’avrei mai fatto. Quando abbiamo dormito insieme, ho capito quante cose mi mancassero, quanto tu mi mancassi. Hai ripreso i rapporti con Grant e hai insistito tanto per non far dividere i nostri figli. Non mi sono mai sentito così desiderato da te come quando hai fatto quella scenata stile bambino al ristorante davanti a John e non ho mai realizzato quanto volessi tornare insieme a te fino all’altra sera. Mi dispiace così tanto, Sebastian. E... e di qualcosa, ti prego.”

Il volto di Sebastian restò indecifrabile fin a quel momento, poi un sorriso gli delineò le labbra e Blaine capì che anche lui stava iniziando a vedere i colori più brillanti. “Blaine, l’ho voluto tanto anch’io e ho capito tante cose grazie a te. Dispiace anche a me, tanto. Mi dispiace di tutto. Ti amo, Blaine.”

“E… non sei arrabbiato con me?” Chiese titubante per la troppa felicità, sentiva già le lacrime pizzicargli gli angoli degli occhi.

“No, non lo sono,” Rispose Sebastian con un sorriso, prima passargli un braccio sulla spalla, attirandolo a sé e Blaine lo abbracciò forte, poggiando il mento sopra la sua spalla. Avevano entrambi voglia di baciarsi, ma non lo fecero per la gran confusione all’interno del locale, e anche se a Sebastian non importava, a Blaine non piaceva dare spettacolo in pubblico.

Il moro sciolse l’abbraccio, ma restò comunque con il braccio del marito sulle spalle, sistemandosi un po’ meglio contro di lui. “So che forse è un po’ presto, o forse no visto che siamo sposati da anni,” disse confuso, “ma, Grant è stato invitato ad uscire con dei suoi amici e io e Juliette andiamo con lui.. ti andrebbe di uscire con noi?”

Sebastian scoppiò a ridere, prima di baciargli la fronte. “Mi stai invitando ad un appuntamento con tanto di nostri figli, per caso?” Lo canzonò scherzosamente, facendogli l’occhiolino. “Mi sembra ovvio che verrò.”

“A me non così tanto.” Disse un’altra voce maschile. Entrambi i due uomini alzarono gli occhi, per incontrarne un paio di un celeste chiaro. Blaine sentì Sebastian irrigidirsi come una tavola di legno accanto a sé.

“Scusa, ma tu chi saresti?” Chiese il ricciolo, un po’ confuso dall’arrivo di quel ragazzo.

“Sono Tony, il nuovo-“

“Nessuno. Non è nessuno.” Intervenne Sebastian, togliendo il braccio dal marito, prima di sporgersi sul tavolo e sibilare: “Che stai facendo, vattene da qui.”

“Ah, Sebastian mi ha parlato di te!” Continuò Blaine, facendo sbarrare gli occhi agli altri due, “Sei l’ultimo arrivato al suo ufficio, quello che si è preso una cotta per lui.”

“Tony, vattene,” gli bisbigliò Sebastian, guardandolo minaccioso.

Il ragazzo per tutta risposta sfoderò uno dei suoi sorrisi compiaciuti e con un gran tono da stronzo disse: “E’ questo che ti ha detto Sebastian, perché mentre era nel mio letto ha detto altro.” E con il massimo della nonchalance, scostò di poco la camicia sul petto, facendo intravedere un succhiotto quasi sbiadito.

Ci volle meno di un nanosecondo per far tornare il mondo di Blaine in bianco e nero.

“Tony!” Lo rimproverò Sebastian.

“Amore mio.” Rispose dolcemente l’altro, sorridendogli soddisfatto.

Sebastian fece per alzarsi, ma Blaine lo afferrò per il braccio, ributtandolo giù sulla sedia. “Restate pure qui, avrete sicuramente questioni da risolvere.”

“Blaine, aspetta-“ Ma lui non lo fece parlare, gli fece cenno di stare zitto, che non voleva sentirlo parlare e scivolò fuori dal divanetto, prima di afferrare il giubbotto e allontanarsi dal tavolo, da Sebastian e da quel ragazzo.

Superò il bancone del bar, dove vide Juliette mangiare un gelato con accanto gli zii che parlavano tra di loro. Sperò che nessuno lo notasse, ma sapeva benissimo di non essere così fortunato, così non fece nemmeno una piega quando vide il fratello avvicinarsi e lui si fermò per aspettarlo.

“Ch’è successo?”

“Niente, che sono un completo idiota!” Disse trattenendo le lacrime e con un sorriso amaro stampato sulle labbra. “Torno a casa, prendo un taxi.”

“Blaine, aspetta! Ne vuoi parlare? Sono tuo fratello, puoi dirmi tutto.” Continuò Cooper, seguendolo fino in strada, e correndogli dietro quando vide una macchina gialla fermarsi davanti al fratello.

Questi aprì lo sportello posteriore e sedendosi disse: “No, lasciami solo.”




 



Comunicazione importante: 
Come molti di voi sapranno mancano solo poco più di due settimane alla fine della scuola e purtroppo sono piene zeppe di interrogazioni e compiti e io ho poco tempo per scrivere i capitoli (anche perché vorrei provare a fare qualcosa per la Seblaine Week) Quindi, quindi, quindi.. Per prendere tempo visto che ho soltanto pochi capitoli betati a disposizione, io la prossima settimana FORSE potrei postare uno spin-off e di conseguenza far slittare l'aggiornamento per il prossimo capitolo. Ma ancora non è niente di confermato, mi devo decidere completamente. 
 
Tornando a noi: 
Mi linciate se vi dico che uno dei motivi principali per cui ho iniziato a scrivere questa long è.. questo capitolo insieme all'ottavo e il tredicesimo? Si?
Bene allora mi ritiro per cercare di evitare le lattine, gli smalti, le pietre e le ciabatte che mi state per tirare. 
Per insultarmi, se proprio volete farlo, potete trovarmi qui e qui, oppure tramite una recensione :D
 
*sparisce nel nulla* 
   
 
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