Embrace
Me With Your Mind.
Attraction At
First Sight.
«Buongiorno
amore mio.»- Sussurra Tanya, accarezzandomi il
petto, alzo gli occhi al cielo, sospirando di rabbia, già
alle sei del mattino.
La sua mano sale sul mio petto, per poi lisciare la spalla e finire
sulla
schiena. E come se fosse già tutto programmato, sento il suo
sedere alzarsi dal
letto e i suoi passi dirigersi in cucina. Ogni mattina sempre la stessa
recita,
finge di avvicinarsi, cercando di convincermi del fatto che noi ci
amiamo e che
siamo una delle coppie più felici al mondo, una di quelle
coppie senza
problemi, ma lei non sa che è tutta una finzione, da parte
sua, da parte mia.
Non c’è mai stata quella scintilla, che per
qualche anno ho creduto arrivasse,
all’inizio credevo che magari, anche involontariamente, sarei
riuscito ad
amarla, ma amare una persona che non ti ama avrebbe forse un senso?
Nemmeno lei
mi ama, credevo di sì, credevo che la sceneggiata avesse
preso atto proprio
perché credevo che lei mi amasse, ma non era quello lo scopo
evidentemente. E
quindi, entrambi siamo quelle persone fredde, cattive, quelle che non
pensano
alla vita altrui, quelle che pensano solo ai soldi, ai proprio
interessi, alle
proprie ambizioni, infischiandosene degli altri.
Io ci sono diventato così. Ricordo quel tempo lontano,
quando al mio posto c’era un ragazzo di diciassette anni,
quel ragazzo che
voleva diventare un pediatra, perché l’unica cosa
che riusciva ad amare era il
sorriso dei bambini. Ho lottato tanto per tenermela, quella sensazione
che si
prova quando curi un bambino, quando la madre ti ringrazia, quando puoi
scherzarci, quando sei sicuro che quel bambino si fida di te. Forse non
sono
poi così tanto gelido, forse nel mio cuore è
rimasto un piccolo incentivo,
riuscire a sorridere tramite l’abbagliante sorriso di un
bambino.
Mi alzo dal letto, stufo di esserci rimasto anche fin
troppo, stufo dell’odore di fondotinta spalmato sulle
lenzuola, hanno creato il
latte detergente apposta, porca troia. Entro in bagno, cercando di non
guardare
lo specchio che ho davanti e quindi iniziare a
imprecare contro di me. Mi infilo dentro il box doccia e
sinceramente,
ammiro la mia nudità. Dal primo giorno che io e Tanya ci
siamo sposati –avevo
solo ventidue anni- mi sono chiesto il perché della sua
indifferenza alla vista
del mio corpo nudo, le altre donne pagherebbero un malloppo per avermi,
mentre
lei che potrebbe tutti i giorni, tutte le ore del giorno, è
come se io non ci
fossi, tante volte ho pensato fosse omosessuale, non che io abbia
niente
contro, ma cazzo sono suo marito. Sarebbe da stronzi dire: mi sembra
giusto
tradirla, dato che lei non fa nulla. Ed io lo dico. Io sono un fottuto
stronzo.
«Quanti bambini ci sono oggi? Età?»-
Sussurro distrattamente,
sfilandomi il giaccone per sostituirlo col camice.
«Due.»
«Solamente due?»- Chiedo confuso. Ben annuisce e si
alza
avvicinandosi a me.
«Ricorda le selezioni? Per gli specializzandi?»- Mi
batto
una mano in fronte, rendendomi conto che non ci avevo proprio pensato.
Devo
scegliere due ragazzi in un gruppo di sette. Sono stato scelto dal
primario per
il compito di insegnare loro il mio mestiere. Annuisco e accendo il mio
computer.
«A che ora arrivano?»- Chiedo velocemente.
«Alle undici dottore. Prima i bambini. Allison tra cinque
minuti e Erik alle dieci.»- Annuisco e sospiro di sollievo.
Dopo aver visitato
i piccoli, mi rendo conto di avere mezz’ora a disposizione.
Scendo al piano di
sotto, al reparto Ginecologia e cerco tra le stanza Marie. Dovrebbe
essere di
turno oggi.
«Edward! Che fai qui?»- Esclama Marie,
picchiettandomi sulla
spalla destra.
«Ti cercavo.»- Sussurro, con voce grave, bassa e
roca,
mentre lei mi fa l’occhiolino maliziosamente. Annuisco e
scendo al piano meno
uno. Non c’è mai nessuno lì sotto. E se
anche fosse, qui mi conoscono in molti,
non mi sono mai creato problemi, anche se essere scoperto manderebbe a
puttane
anche l’ultima cosa che mi è rimasta: il mio
lavoro. Mi infilo dentro lo
spogliatoio femminile, e, dopo essermi spogliato completamente,
appoggiando la
mia schiena sulle piastrelle fredde del box doccia, attendo Marie. Dopo
qualche
minuto, Marie entra, anche lei svestita, come ogni volta, come se fosse
una
regola. Accarezzando sensualmente il mio petto, coperto da pochi peli,
che si
raddrizzano per l’eccitazione, le sue gambe si ancorano ai
miei fianchi e senza
preamboli, senza parlare, senza baciarci o aggiungere smancerie di
alcun
genere, il mio membro sfiora la sua intimità, un attimo
prima di entrare del
tutto. Butto la testa all’indietro e per pochi minuti non
penso a niente, se
non al sesso.
«Dottor Cullen. Sono arrivati.»- Annuncia Ben,
sulla soglia
del mio studio. Mi sistemo la cravatta e
preparo un sorriso per accogliere quei ragazzi. E’ un piacere
farlo, avrei
voluto anch’io la loro stessa possibilità, forse
non sarei a questo livello, ma
sarei comunque stato un pediatra. Rimango seduto al mio posto, ma Ben
mi guarda
sorridendomi strano.
«Dottore, in sala riunioni.»- Scoppio a ridere,
rendendomi
conto di quanto posso essere sembrato ridicolo, rendendomi conto ancor
di più
di quanto non sia all’altezza di quello che pensa la gente.
Mi alzo e inizio a
camminare. Ben si schiarisce la voce facendomi arrestare. Indica i miei
pantaloni e, ne sono sicuro, qualche anno fa sarei arrossito per
questo. Mi
sistemo la lampo dei pantaloni e ricomincio da dove mi ero fermato.
«Ben.»- Sussurro sicuro che abbia capito, infatti
annuisce e
con un gesto teatrale imita il “bocca cucita”.
Entriamo nella sala riunioni e
la prima cosa che vedo mi lascia basito, con un sorriso da ebete in
faccia, e
mi ci vorrebbe anche un aggiustata al pacco se la cosa non cambia. Vedo
un
sedere, tonico e sodo, dove continuano due gambe snelle ma al punto
giusto. La
ragazza si rimette in piedi, infilando il cellulare sulla borsa,
sicuramente le
era caduto.
«Buongiorno.»- Mormoro, non guardando
più verso la sua
direzione, in modo da non pensare ad altro e parlare in modo per niente
casto,
davanti a questi sette ragazzi che sono qui per la specializzazione.
Loro al mio saluto si alzano e mi sorridono, agito la mano,
facendogli segno di sedersi, devo ammettere che mi piace quando arrivo
e la
gente si alza per rispetto, ma a volte no, dipende dai casi, dipende se
sono
fiero di me in quel momento. Perché sì, ci sono
quei momenti in cui lo sono,
anche se può sembrare difficile. Al momento non lo sono,
quindi non mi va che
la gente si alzi alla vista del mio arrivo. Mi presento, sentendomi un
verme,
ma facendo comunque attenzione alla classe, al portamento, prima cosa
che mi
hanno detto entrato in ospedale: per accogliere, parlare con i pazienti
bisogna
essere posati, gentili ma allo stesso tempo gelidi con loro, mantenere
una
certa classe, farli fidare di te dal primo istante in cui posano i loro
occhi
su di te. Ed io, da copione lo faccio e, come me, Ben. Che mi
aiuterà con i
ragazzi che poi selezioneremo insieme.
Prendo i fascicoli dei ragazzi, guardando con la coda
dell’occhio la ragazza di poco prima, i suoi capelli sono
lunghi e castani, i
suoi occhi sono grandi ma non ho ancora notato il colore, la sua bocca
è
carnosa. Il suo modo di muoversi, di toccarsi nervosamente i capelli,
la rende
infantile, imbarazzata, molto più eccitante di una qualsiasi
donna che non
appena mi vede alza l’orlo della minigonna. I ragazzi
cominciano a presentarsi,
esponendo le loro qualità, faccio qualche domanda di base e
nessuno mi delude.
Poi tocca a lei.
«Sono Isabella Swan, ho ventisette anni. Sono al quarto anno
di specializzazione.»- Mormora imbarazzata, con le gote che
diventano
irrimediabilmente rosse.
«Come mai è qui?»- Chiedo strafottente.
«Per lo stesso motivo di questi altri sei
ragazzi.»- Mormora
assumendo il colore della pelle normale, alterandosi, confondendosi.
«Mi dia una motivazione, perché dovrei scegliere
lei al
posto di qualcun altro?»- Continuo, facendole corrucciare le
sopracciglia.
«Perché io amo i bambini. Perché
l’unica cosa positiva che c’è
al mondo è il loro sorriso.»- Mi dice, con ferma
sicurezza sulla voce. Rimango
spiazzato e continuo a guardarla.
«Si sente abbastanza competente per questo
lavoro?»- Chiedo.
«Si. Ma se non ci provo non posso esserne certa al cento per
cento. Lei. per esempio, è molto giovane. Nel momento in cui
ha iniziato a lavorare,
si sentiva competente?»- Mi chiede con una nota di rabbia
nella voce. Mi giro
guardando Ben, che mi guarda con gli occhi sgranati, rimango
impassibile agli
occhi degli altri, ma sentendo comunque un moto di rabbia che vorrebbe
annebbiare i miei sensi.
«Bene. Grazie per essere venuti. Vi faremo sapere la
prossima settimana.»- Dico guardando tutti tranne lei. Mi
alzo e mi dirigo
fuori.
«Dottor
Cullen. C’è Denali sulla linea.»-
Mormora Ben
distrattamente, passandomi il telefono. Sospiro e alzo gli occhi al
cielo.
«Pronto?»
«Edward. Le selezioni come vanno?»- Mi chiede con
tono
burbero, suo solito.
«Stiamo giusto decidendo, io e il mio assistente.»
«Le voglio entro oggi. Chiaro?»- Chiude la
telefonata ed io
annuisco come un automa, invano. Ben mi guarda preoccupato ed io gli
faccio
cenno di continuare quello che stava facendo.
«Jacob Black?»- Mi chiede, guardando la lista dei
ragazzi
che sono venuti cinque giorni fa. Jacob, trent’anni, viene
dall’America, mh…forse.
«Poi?»
«Marlene Yanks.»- Scuoto la testa, ricordando
quella ragazza
così impacciata che avrebbe paura di fare un
piccolo prelievo, figuriamoci operare un bambino. Ben
scoppia a ridere e
scuote la testa.
«Isabella Swan?»- Ecco dove volevo che arrivasse,
annuisco
con vigore e lui mi guarda con gli occhi sgranati.
«Darà filo da torcere Dottor Cullen.»
Ammette, cercando di
farmi ripensare alla mia scelta.
«Ed è proprio per questo che le daremo una
possibilità.»-
Lui mi guarda confuso e riprende la lista.
«Va bene così. Jacob Black e Isabella Swan.
Saranno loro gli
specializzandi scelti da noi. Sempre se per te va bene.»-
Mormoro guardando la
scheda della ragazza.
«Per Black va bene, ma la Swan. Non mi sembra che possa
andare d’accordo con lei. Non credo che sarà
facile con lei.»- Dice, alzando i
suoi occhiali e gesticolando animatamente.
«E’ proprio per questo che ho scelto lei. Mi
piacciono le
sfide, lo sai. Chiama Black. Io contatterò la
ragazza.»- Annuisce, sicuro che
sia deluso per la mia decisione, ma in fin dei conti uno gli va bene,
l’altra
me ne occuperò personalmente io. Un sorriso strafottente
nasce sulle mie labbra
e prendo la cornetta componendo il suo numero.
“Pronto?”
«Parlo con Mrs Isabella Swan?»- Sussurro con voce
roca,
senza farlo neanche apposta.
“S-si”- Sussurra flebilmente.
«Volevo avvisarla che dal prossimo Lunedì
potrà venire qui
come specializzanda. E’ stata scelta.»- Dico
sorridendo tra me.
“Oh, grazie! Io…davvero, volevo-” -Dice
balbettando. La
interrompo immediatamente.
«Stia tranquilla. Ci vediamo Lunedì. Buona
giornata.»-
Chiudo la chiamata e guardo fuori dalla finestra. Oggi piove, non che
sia una
novità, gli alberi sono spogli, il cielo è scuro,
opaco. Dovrebbe influenzarmi,
ma non lo fa. Sono impaziente di incontrare Isabella. Voglio vedere,
costatare
se quello che penso, se quello che voglio fare, sia fattibile. Guardo
L’orologio,
si è fatta ora di pranzo, prendo la mia valigetta e scendo
chiedendo a Ben se
vuole qualcosa da mangiare, ma come sempre nega.
«Cosa c’è che non va Edward? Ti vedo
distante.»- Sussurra
Tanya, lasciando a mezz’aria la forchetta con le uova. La
guardo sgranando gli
occhi, mentre sorseggio il mio caffè e leggo il mio giornale.
«Cosa c’è?»-Dico rivolgendomi
a lei infastidito. Lei sbuffa
e scuote la testa continuando a mangiare. Sbuffo pesantemente,
facendomi
sentire da lei.
«Come va il lavoro Edward?»- mi chiede con
nonchalance. Io
annuisco, dicendole “bene” con quel gesto.
E’ sempre stato così tra di noi.
Molti credono che siamo la copia perfetta, per i soldi, per il lusso.
Ma la
coppia perfetta non esiste. Se non hai i soldi, anche se
c’è l’amore, ci sono
problemi causati dalla situazione economica. Se ci sono i soldi e il
lusso, nel
90% dei casi non si amano, o uno non viene ricambiato. Noi siamo nella
percentuale delle persone che non si amano, stiamo insieme per il
popolo, tante
volte mi sono chiesto perché siamo ancora qui? Come due
conoscenti che devono
dividere la casa. Lei mi tradisce, io la tradisco, per quale motivo
dobbiamo
entrambi convivere con una persona che non consideriamo minimamente?
Io,
certamente, non ho il coraggio, né l’idea di
iniziare questo tipo di conversazione,
lei non lo ha mai fatto, ed io aspetto, aspetto il giorno che
finalmente
prenderà un’iniziativa. Per capire, parlare di
quanto diversi siamo, di quanta
indifferenza ci sia tra noi due, siamo sposati, questa è
l’unica cosa che ci fa
stare qui, questa è l’unica cosa che abbiamo in
comune.
«Vado a lavoro.»- Sussurro alzandomi, lei,
cogliendomi di
sorpresa, si alza e prende la mia giacca. Mi aiuta a infilarmela per
poi
lasciarmi un bacio a fior di pelle sul mento. Alzo le sopracciglia e mi
avvio a
lavoro.
«Jacob, oggi inizierà con me. Domani ci
sarà Isabella con me
e così via. A saltellare lavorerete sia con me che con il
Dottor Cullen. Vieni
Jacob.»- I due vanno via ed io rimango a guardare Isabella.
Lei abbassa lo
sguardo mordendosi sensualmente il labbro inferiore. Appoggio la
schiena allo
schienale della mia poltrona e mi fermo a fissarla. Indossa un
maglioncino nero
attillato, i jeans sono marroni così stretti che credo che
le sue gambe stiano
urlando per essere liberate. Ai piedi indossa delle
decolleté nere lucide, col
tacco medio. I suoi capelli sono sciolti, con un fermaglio che tiene
quelli
davanti, in modo da avere il viso completamente scoperto. Non mi
guarda, è
intimorita da me, dal mio aspetto, cosa che mi infastidisce ma a cui
sono
abituato. Mi schiarisco la voce, cercando di attirare la sua attenzione
e
questo succede.
«Si?»- Chiede balbettando.
«C’è qualcosa che non va?»-
Chiedo apparendo preoccupato.
Lei scuote la testa alzando le sopracciglia. Guardo
l’orologio, sono le otto e
trenta.
«Ha bisogno di qualcosa? Tra mezz’ora iniziamo le
visite.»
«No. Mi chiedevo come mai avesse scelto me.»- Mi
chiede,
pare stia prendendo almeno un minimo di coraggio.
«Bè, non si sente
all’altezza?»- Chiedo sorridendole. Lei mi
sorride e scuote la testa. E tutto questo mi sembra troppo eccitante,
anche se
magari non lo è per niente.
«Abbiamo scelto anche Mr Black. Potevamo scegliere
un’altra
persona al suo posto, è vero. Ma i voti, il curriculum
notevole, hanno messo
lei nella via giusta per entrare a far parte della nostra squadra. Se
vuole tirarsi
indietro può sempre farlo.»- Le dico, cercando di
farle capire che non è stata
assolutamente una cosa personale e, se anche lo è stata,
qualsiasi medico l’avrebbe
scelta, sia per il curriculum, sia per i suoi voti. Forse se non avesse
attirato la mia attenzione in quel modo, se non mi fosse sembrata
così sensuale
ed eroticamente affascinante, l’avrei scelta comunque. Lei
annuisce e poggia la
sua borsa per terra, afferrando il camice che Ben le ha lasciato. Mi
avvicino a
lei, aiutandola a mettersi il camice. Annuso, per quel che mi
è concesso. Il suo
odore emanato dalla sua chioma profumata, e vorrei scoparmela fino a
farle
perdere i sensi. Mantengo un po’ di
contegno
e mi allontano aprendo la porta dello studio.
Dopo aver visitato quattro bambini – ci sono riuscito,
nonostante la distrazione è stata notevole- è
arrivata l’ora di staccare e
lasciare posto alla Dottoressa Coleman. L’altra pediatra che
occupa questo
studio. Mi sfilo via il camice e prendo la mia valigetta.
«Posso offrirle il pranzo?»- Chiedo gentile. Lei mi
sorride
e annuisce. Prendiamo l’ascensore, che si ferma al primo
piano, Marie entra
sorridendoci. Mi guarda, mordendosi il labbro ed io le faccio segno con
gli
occhi. Lei annuisce impercettibilmente e tutti e tre usciamo fuori
dall’ospedale.
«Ha preferenze?»- Le chiedo girandomi verso di lei,
accorgendomi di quanto bella sia in realtà, oltre che sexy.
Lei scuote la testa
e decido di portarla in un ristorante qui vicino.
Ordiniamo entrambi una bistecca di manzo, con un insalata
mista e un semplice vino rosso da bere.
«Posso dirgli una cosa? Siamo fuori dall’orario di
lavoro
no?»- Mi chiede divertita, io le sorrido e annuisco.
«Sono contenta che non sia così stronzo,
all’inizio credevo
fosse molto peggio.»- ammette arrossendo.
«Ah si? Sono contento allora. Questo significa che
continuerà a lavorare con me?»- Chiedo
interessato. Lei annuisce e il cameriere
ci porta il vino. Apre la bottiglia e riempie a metà i
calici di entrambi.
«Alla nostra squadra.»- Mormoro alzando il calice.
Lei
sorride e mi imita facendo tintinnare i nostri calici. Iniziamo a
mangiare,
mentre le parlo delle varie operazioni che ho fatto a dei bambini, lei mi guarda teneramente
e si congratula.
Finiamo il nostro pranzo, pago il conto con qualche protesta da parte
sua. E
iniziamo a camminare. Lei guarda l’orologio e si scusa con
gli occhi.
«Se devi andare.»- Sussurro guardando i suoi occhi,
sono
marroni, anzi no, sono più color cioccolato al latte.
«Si. Ci vediamo domani allora.»- Annuisco e le
porgo la
mano.
«E’ stato un piacere Mr Cullen.»- Mormora
non appena la sua
piccola mano tocca la mia, facendomi sentire piacere nel stringerle la
mano.
«Lo sarà ancor di più
continuando.»- Sussurro rocamente
avvicinandomi di più a lei. Lei mi sorride e girandosi va
via.
Ecco il primo capitolo
effettivo di questa storia. Grazie.
Sono contenta che abbiate accettato il prologo con entusiasmo,
nonostante fosse
molto corto. Grazie infinite e spero, andando avanti, di non deludervi.
Alla prossima.
Un bacione.
Roby.