Salve.
Grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite e...che dire, spero di ricevere qualche parere in più per questa storia!
AVVISO: questo è l'ultimo capitolo che avevo postato la prima volta, l'ultimo che avete letto quindi dal prossimo...iniziano le novità! :D
Un bacione,
Chuck.
#5
Non
scusarti, ragazzo
senza nome.
Le
sue labbra si muovevano dolcemente sulle mie, pressandole leggermente.
Aveva le
labbra più dolci che avessi mai saggiato. Ci staccammo
quando entrambi avemmo
la necessità di prender fiato. Non sapevo come eravamo
arrivati a quel bacio.
Non credo fossero causati dall’alcool ingerito, e neanche
dall’erba fumata,
semplicemente era nato da sé come nelle più
classiche scene da film, solo che
l’ambientazione era diversa.
Sdraiata
sul parco a fumarmi una sigaretta.
Poi
si avvicina questo qua, Mallory, mi chiede una sigaretta, mi sorride
sofferente, e ci baciamo.
Era
dolce, straordinariamente dolce il ragazzo senza nome.
Per
tutta la notte siamo rimasti assieme, l’uno accanto
all’altra, in silenzio.
Credo
che in quella notte di silenzio ci siano state tutte le parole che mai
sono
riuscita a dire.
Hai
presente, no, quelle parole che porto dentro, che ognuno di noi porta
dentro ma
non riesce a dire.
Ecco,
Mallory, esattamente questo.
Abbiamo
parlato con il silenzio.
Abbiamo
urlato con il silenzio.
Ci
siamo amati con il silenzio.
Sai
che io non so cosa sia l’amore. Mai provato, mai ricevuto,
sempre negato.
Eppure,
quella notte, con quel ragazzo, credo di essermi innamorata.
Non
so perché, non so come, semplicemente lo so.
Eppure,
mi basta vedere i lividi sul fianco destro di fronte allo specchio, e
il corpo
dimagrito per convincermi che mai ci sarà amore per me.
Mi
tasto il livido, gemendo silenziosamente di dolore, guardando i miei
occhi
senz’anima.
Decisamente
non c’è amore per me, Mallory.
Isabella.
Ed
ora
eccolo, il ragazzo senza nome.
Affianco
a me, mano per la mano.
Non
ci
scambiamo parole, esattamente come quel giorno, semplicemente restiamo
in
silenzio.
In
silenzio ci chiediamo come stiamo, ci baciamo con gli occhi e fingiamo
che vada
tutto bene.
Ma
ormai
è una costante fingere, no?
Tutti
fingono; sentimenti che non provano, sentimenti che vorrebbero provare,
felicità inesistente nonostante il dolore persistente.
Tutti
fingono.
Tutti
fingono di non fingere.
Ed
ecco
noi due, chiaro esempio di finta non finzione.
Lo
continuo a chiamare ragazzo senza nome, malgrado sappia qual
è.
Edward.
Suona
bene nella mia mente, talmente bene che tremo al pensiero di storpiarlo
con la
mia voce reale.
La
voce
della coscienza ha un qualcosa di più poetico, romantico, sui generis.
Improvvisamente
ci fermiamo di fronte ad una palazzina che con leggerezza spintona,
aprendola
giusto per far passare i nostri corpi.
Proseguiamo
per una piccola rampa di scale che odorano di lavanda, di pulito, fino
ad
arrivare al terzo piano dove ci fermiamo di fronte ad una porta in
legno scuro,
tendente al nero.
Come la tua
anima, sussurra
la mia amata coscienza.
«Ecco
casa mia. Ordino una pizza? Le birre dovrei averle nel
frigorifero.»
Piano, piano
ragazzo senza nome;
non inondare questo silenzio urlato con il tuo fiume di parole.
Non
rispondo, limitandomi ad accarezzare con mano ed occhi le pareti
chiare, la
televisione di bell’aspetto sebbene dietro il cranio sbuchino
fuori un turbinio
di colori dei fili, le tende rosse; e la chitarra.
A
quella
visione, sono pronta anch’io ad interrompere il nostro non
silenzio.
«Ho
sempre voluto imparare a suonare, peccato soltanto che per una perfetta Isabella Swan non andasse
bene.» Sputai con ironia e tristezza.
Afferrò
la mia mano destra e con lentezza la posò su di essa.
Ne
accarezzai ad occhi chiusi la sua superficie liscia, le sue corde
ruvide al
tatto.
«Posso
insegnarti io, se vuoi.»
«Lo
faresti davvero?» aprii gli occhi imprigionandoli
volontariamente nei suoi.
Oh, ragazzo
senza nome, quanto ti
ho sognato.
«Per
te
sì.»
Per
te sì.
Non
svegliatemi. Se è un sogno, non svegliatemi.
Almeno
qui, fatemi sognare.
Almeno
qui, fatemi credere di esser amata, voluta bene; considerata.
Almeno
qui, fatemi essere me stessa.
Portò
le
mani sui capelli, tirandoli leggermente, mentre con un mormorio di
scuse si
dirigeva in cucina per chiamare una pizzeria d’asporto.
Non scusarti
ragazzo senza nome.
Non ora.
Non scusarti.
Scusati
quando mi lascerai,
quando le mie mani tremeranno nel ricordare un calore dimenticato,
quando
piangerò nella mia stanza la tua assenza e
sorriderò agli altri.
Scusati
quando opprimerò me
stessa ancora.
Scusati
quando mi struggerò per
un bacio non dato ma voluto.
Scusati
quando un lampo nei tuoi
occhi ti fermerà dal saggiare nuovamente le mie labbra.
Scusati
allora, Edward.
«Che
pizza preferisci?» urlò dalla cucina per farsi
sentire.
Non urlare,
non mi piacciono le
urla.
Ti sento,
anche se mormori, ti
sento.
«Con
più
schifezze possibili.» mormorai sorridendogli.
Mi
sorrise e mi uccise.
Spense
il telefono, comunicandomi che entro un’ora avrebbero portato
pizza e patatine.
«Cosa
ne
pensi se intanto proviamo a suonare qualcosa?»
Gli
sorrisi, stringendogli la mano che mi porgeva.
Non scusarti
ora Edward.
-Edward.
«Grazie
per la splendida serata, Isabella». Mormorai stringendo le
mani a pugno, per impedire
che questi si allunghino ad accarezzare il suo volto meraviglioso.
Non devi
diventare come me,
piccola. Tu devi tornare a sorridere, a vivere.
Non posso
contaminarti.
Non posso.
Lei,
dal
canto suo, mi sorrise con le sue adorabili fossette.
Si
avvicinò
e, con lentezza estenuante, con le nostre labbra che prendevano il
respiro
dell’altro data la vicinanza, mi ringraziò.
Poi
con
lentezza scese le
scale.
Corsi
immediatamente alla finestra, ansioso di vedere il suo volto ancora una
volta e
lei si voltò.
Poggiò
delicatamente il palmo della mano sul finestrino del taxi,
così come io
appoggiai il mio sulla finestra di casa; e se ne andò.
Vai, piccola
bugiarda fintamente coraggiosa.
Torna nella
tua casa, sogna il
bacio tanto agognato e non dato.
Torna nella
tua casa e sogna una
nostra possibile relazione.
Torna a casa
e sogna di tenermi
per mano.
Torna a casa
e sogna di divenire
felice.
Torna a casa
e sogna di non
mentire più.
Torna a casa
e dormi, piccola
mia.
Dormi.
Dormi,
piccola donna andata e
sempre rimasta.
Dormi con i
tuoi fantasmi così
come io dormirò con i miei, piccola finta coraggiosa.
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«Isabella,
Stefan, questa è la vostra nuova scuola.»
mormorò Marie, con ancora il suo cipiglio imbronciato in
volto.
Sorrisi
e mi sporsi dal sedile posteriore per darle
un bacio soffiato sulla guancia.
«Non
è successo nulla con quel ragazzo nonna,
nulla.»
Non
è successo nulla con quel ragazzo nonna, nulla. Stai
tranquilla, ti sto
mentendo come al solito.
Sto
mentendo come sempre.
Con
il ragazzo senza nome è successo tutto, non nulla.
Mi
sono sentita viva, protetta, al sicuro, me stessa.
«Non
è successo nulla.» ripetei come una nenia.
«Non
vi siete baciati quindi? Nulla di nulla?»
continuò con voce acuta, Marie.
«No,
non ci siamo baciati.» mormorai uscendo
dall’auto, salutandola con un finto sorriso.
Oh,
nonna! Non solo ci siamo baciati, abbiamo fatto l’amore
guardandoci negli
occhi.
Abbiamo
suonano la chitarra, e per “sbaglio” ci siamo
accarezzati più volte le mani.
Poi
è arrivata la pizza, ed ho riso.
Ho
riso talmente tanto da sentir la mascella dolere, Marie.
Abbiamo
bevuto, ci siamo fatti il solletico.
E
poi ci siamo ritrovati l’uno sopra all’altra.
Eravamo
così vicini al bacio…
Ma
si è scusato il ragazzo senza nome.
Si
è scusato.
«Stefan
chiama Isabella!»
«Scusami,
stavo pensando»
«Sai
che io sono qui, vero? Quando vuoi parlarne ti
ascolterò.»
Sorrisi
scompigliandoli i capelli, il mio modo non
verbale per ringraziarlo di tutto ciò che lui fa per me.
Ma
d’altro canto, lui lo sa.
«Vedi
di non fare
troppe conquiste, migliore amico!»
«Oh,
dovrei essere io a dirtelo!» rise, scuotendo
leggermente il capo mentre le ragazze con mormorii concisi, morivano al
suo
passaggio.
Sei
troppo melodrammatica e poetica, Isabella!
Girai,
voltai, spiegazzai la cartina scolastica più
volte alla ricerca della classe in cui avrei svolto la prima lezione,
che non
trovai.
Sbuffai
nervosamente e continuai a camminare finché,
come un miracolo, ecco la classe di arte…con la porta
già chiusa.
Bussai
leggermente ed entrai.
Immediatamente
trovai gli occhi di tutta l’aula
fissarmi e combattei con voglia di abbassare il mio sguardo.
Ho
subìto occhi che mi squadravano, giudicavano, per tutta la
vita.
Adesso
non sto con il ragazzo senza nome, adesso sto con un branco di odiosi
essere
umani impiccioni.
Alza
la maschera, Isabella.
«Scusi
il ritardo professore, ma ho avuto difficoltà
a trovare la classe.»
Voce
certa, sicura, chiara.
Non
sono io ad avere paura.
Non
voglio più esser io, ad avere paura.
Non
più.
«Lei
è la ragazza nuova?» mormorò Mr.White
portando
le mani tra i capelli.
Non
poteva farlo.
Non
poteva portare le mani tra i capelli come il ragazzo senza nome.
Non
poteva farmelo ricordare con un gesto.
Non
dovevo pensarlo costantemente.
«Sono
Isabella Swan.»
Ed
eccoli i mormorii concisi.
“Ma è la
figlia della stilista di fama mondiale”
“Sarà
senz’altro antipatica, guarda come si è
presentata”
“Senz’altro
riuscirò a portarmela a letto, spero.”
“Il
padre è avvocato, chissà se potrà
aiutarmi
parlare con lei per trovare a mio padre un lavoro”.
«Si
accomodi.»
L’unico
che rimase composto di fronte al mio nome e
soprattutto cognome, fu l’insegnante di arte.
«La
lezione di oggi, signorina Swan, riguardava i
fantasmi. Forse lei non lo sa, ma son solito porre domande ai miei
studenti sul
loro credo o meno verso i fantasmi, perché i primi disegni del corso
sono… i fantasmi appunto.
Ora, continua signor Jackson»
Non
ascoltai le risposte degli altri, troppo
impegnata a pensare alla mia di risposta.
«Signorina
Swan, lei crede nell’esistenza dei
fantasmi?»
Aveva
un qualcosa che mi inquietava, che mi portò ad
incrociare le braccia attorno alla vita.
Il
suo sorriso gelido e cortese, gli occhi color
ghiaccio mi ricordavano colui che non volevo ricordare.
Respira
Isabella, respira.
Pensa
ad Edward.
Mi
tranquillizzai all’istante e, con finta sicurezza
ritrovata, lo guardai negli occhi pronta a rispondere alla sua domanda.
Non
mi curai degli sguardi altrui. Non meritavano
una mia preoccupazione.
«Quali
fantasmi intende, Mr.White?»
Lessi
la sorpresa e l’affronto nei suoi occhi.
«Tutti
i tipi di fantasmi.»
«I
fantasmi esistono, ma non sotto forma di tanti Casper.
I fantasmi sono tutto ciò che ci
circonda, tutti quei ricordi che teniamo dentro di noi e la notte
vengono a
farci visita nei nostri incubi. I fantasmi sono la speranza di
ciò che
diventeremo dopo la morte. I fantasmi sono i nostri scheletri
nell’armadio. I
fantasmi esistono e fanno male.»
«Teoria
interessante, Swan.»
«Signorina
Berry, a lei.»
Voltò
lo sguardo da me e tornai a respirare.
-Edward.
«E
così ieri hai rincontrato quella ragazza di cui
mi parlasti allora?» mormorò sgranando gli occhi
Thomas, ripetendo la stessa
domanda per l’ennesima volta.
«Sì,
Tom, sì. E’ la ventesima volta che ti rispondo sì.»
«Non
è successo nulla?» mormorò malizioso,
sorridendo ad una ragazza appena entrata nel negozio.
Alzai
gli occhi al cielo.
«No,
non è successo nulla.»
Non
è successo nulla, ma tutto Thomas.
Tutto.
Perché
non ti butti?»
«Da
un ponte?» mormorai sarcastico, al
che Tom mi diede un pugno sulla spalla.
«Dalla
tue paure, dalla tua maschera di cera, da te.
Per quella ragazza ne vale la pena Ed, me lo sento qui.» E
batté la mano sul
cuore.
Non
posso trascinarla nei miei casini, Tom, lo sai.
Lei
ha già altrettanti problemi, perché aggiungerle
anche i miei?
Lei
può salvarsi, Tom.
Lei
può.
Mi
guardò negli occhi e come se avesse letto nei
miei pensieri mi rispose:
«Voi
potete salvarvi a vicenda, basta solo che
troviate il coraggio di non scusarvi.»
Buttati
e non scusarti.
Buttati
e non scusarti.
-Bella.
«Mi
inquieta Stefan. Io, mi ricorda lo sguardo
cattivo di lui.»
Mi
strinse tra le braccia, inondandomi
con quel calore che in quel
momento mi mancava e sfregò le mie braccia con le sue mani.
«Calmati
piccola, calmati. Ci sono io okay? Ci sono
io. Nessuno ti farà più del male,
nessuno.»
Mi
sta già facendo, del male.
Il
ricordo mi uccide, mi opprime, mi tormenta.
Fuori
sembrerò una ragazza normale, tranquilla ma dentro
marcirò, soffrirò e morirò,
Stefan.
Sono
già morta, dentro.
«Bella!»
Mi
voltai sgranando gli occhi, alla vista del
ragazzo senza nome.
«Cosa…
cosa ci fai qui?»
Non
mi rispose a parole, ma mi
abbracciò.
Con
quell’abbracciò mi comunicò tutto.
Con
questo abbraccio lui è qui.
«Cosa
ci fai qui?» mormorai contro il suo torace.
«Volevo
cercare di dirti che proverò a smettere di scusarmi,
ma la strada è lunga e
tortuosa, Bella.»
Sorrisi,
baciandogli dolcemente la guancia sfregando
poi le labbra contro la leggere barba che ricopriva la sua guancia.
«Grazie.»
Sentii le sue labbra tendersi un sorriso.
«Spero
possiate perdonare la mia presenza!» Disse
ironico Stefan.
«Ehm,
Edward lui è Stefan il mio migliore amico e bè
fratello lui sai chi è.»
Dire
che ero imbarazzata è un eufemismo.
«Oh,
finalmente conosco il ragazzo senza nome!»
«Ragazzo
senza nome…?»
«Nulla
Edward, tranquillo!»
«Non
ho capito sinceramente! » Si grattò la nuca,
con un’espressione confusa stampata in volto.
«Neanche
io se per questo.»
Guardai
in maniera eloquente Stefan, che alzò le
mani al cielo sorridendomi.
«Che
ne dite se andiamo in un bar dietro l’angolo?
Fanno dei dolci squisiti.»
«Io
ho da fare, una ragazza mi aspetta! Comunque
stasera Edward sei invitato a cena da noi, non puoi opporti!»
«D’accordo,
non mi oppongo.» Disse ridendo.
Quando
Stefan se ne fu andato, Edward mi prese per
mano e ci incamminammo verso il bar.
Ti
stai facendo perdonare ragazzo senza nome.
Ti
stai facendo perdonare… ma per cosa?
“The
wall” era
un delizioso bar con l’atmosfera soffusa e le
pareti tappezzate di citazioni di musicisti. Era un locale che
trasmetteva una
vivacità contenuta, non eccessiva e inoltre Edward sembrava
conoscere le
persone che ci lavoravano.
«Ehi
Sam! Un tavolo appartato per due per favore.»
«Certo
Ed! Chi è questa bella ragazza?»
Degli
occhi piccoli e vispi, appartenenti ad un
volto paonazzo mi scrutarono simpaticamente.
«E’
semplicemente lei, Sam.»
E’
semplicemente lei.
E’
semplicemente lei.
E’
semplicemente lei.
Mi
gustai queste parole ripetendole come una nenia
nella mia mente.
Sono
semplicemente io, ragazzo senza nome.
«Piacere,
Isabella.» Allungai una mano verso l’uomo
che prontamente la strinse.
«Il
piacere è il mio, Isabella! Sono Sam, prego
accomodatevi su quel tavolo laggiù, se volete ordinare
fatemi un cenno e
arriverò.»
Gli
sorrisi educatamente e mi sedetti sul tavolo
isolato che aveva richiesto.
Mi
trasmetteva calore e amore questo locale.
Mi
sentivo a casa.
Ma
era merito del locale o merito del ragazzo senza
nome?
Del
ragazzo senza nome, lo sai.
«Vorrei
parlarti, Isabella.»
«Dimmi»
Mormorai stringendo la sua mano,
giocherellando con le sue dita.
Un
modo per far evadere l’ansia che repentinamente
mi aveva assalito.
«Io,
vorrei dirti che voglio provarci. So che può
sembrare assurdo, che è assurdo,
infondo non ci conosciamo neanche eppure io sento di conoscerti. Sento
che mi
conosci meglio tu che chiunque altro. Sento che voglio provare a
rompere questa
diga di silenzio tra noi con le parole
che tengo da troppo tempo imprigionate in me. Sento che
voglio smettere
di scusarmi. Sento che voglio essere la tua ancora Isabella,
così come tu sarei
la mia… se vorrai. Non ti chiedo di frequentarci o di stare
insieme, perché tu
ed io non apparteniamo a nessuna di queste categorie. Siamo solo Edward
e
Bella.»
Ma
tu hai già inondando questo silenzio di parole, tesoro.
Tu
non comprendi che anche silenziosamente parliamo.
Se
tu mormori, io ti sento.
Se
tu parli, io ti sento.
Se
stai in silenzio, io ti sento.
Io
ti sento, Edward.
Io
ti sento, mia ancora.
Io
ti sento.
Mi
alzai dal posto e delicatamente appoggiai le mie
labbra sulle sue. Non feci alcuna pressione, così come
nessuna pressione fece
lui.
Stavamo
respirando l’altro, stavamo parlando, stavo
rispondendo.
Poi,
dopo un tempo indefinito, tornai a sedere sulla
sedia sorridendogli.
«Non
sarà facile, Edward. Io sono una ragazza
complicata, sofferente. Io fuori sorrido e dentro muoio.»
«Trovo
le cose semplici noiose.»
«Arriverà
un punto in cui amerai la semplicità che
ora sdegni.»
«Arriverà
un punto in cui ci salveremo.»
«Arriverà
un punto in cui ci distruggeremo.»
«Arriverà
il punto in cui ci sarà luce.»
«Arriverà
un punto in cui mi lascerai, come tutti
gli altri.»
«Ed
è qui che ti sbagli piccola; io non sono “tutti
gli altri”»
E
sugellò questa frase con un bacio dal retrogusto
amaro, dal retrogusto del dolore ma con un sapore preciso che porta il
nome di
speranza.
Riusciremo
a salvarci, ragazzo senza nome?
Riusciremo
ad essere Edward e Bella?
Non
gli chiesi nulla e lui non mi rispose.
Strinse
la mia mano e mi baciò nuovamente.
Mi
baciò e riemersi dalle acque oscure che
puntualmente mi facevano annegare.
Riemersi.