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Autore: Chuck    16/05/2013    5 recensioni
Quel giorno avevi la bocca secca di chi ha sorriso per tutta una vita per finta, e gli occhi di chi ha trattenuto troppe lacrime.
Ti abbracciai, di un abbraccio che entra sotto la pelle, come quelle schegge di legno che si infilano lì sotto e tu, nonostante sai dove si trovano, non riesci a toglierlo.
Mi sei entrato dentro le ossa, dentro il cuore, mi sei entrato come una scheggia di legno sotto al cuore, amore.

Isabella Swan, figlia del magnate dell'economia Charlie Swan e della stilista di fama mondiale Renée Dwyer; indossa una maschera di perfezione per nascondere le sue ferite.
Edward Cullen, figlio di famiglia che non accetta, lavora in una libreria; si reputa senza speranza.
Entrambi, a un passo dall'autodistruzione si incontrarono.
Riusciranno a salvarsi? Riusciranno ad essere Edward e Bella?
Genere: Drammatico, Malinconico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Salve.

Grazie a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite e...che dire, spero di ricevere qualche parere in più per questa storia!

AVVISO: questo è l'ultimo capitolo che avevo postato la prima volta, l'ultimo che avete letto quindi dal prossimo...iniziano le novità! :D

Un bacione,

Chuck.

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#5

Non scusarti, ragazzo senza nome.

Le sue labbra si muovevano dolcemente sulle mie, pressandole leggermente. Aveva le labbra più dolci che avessi mai saggiato. Ci staccammo quando entrambi avemmo la necessità di prender fiato. Non sapevo come eravamo arrivati a quel bacio. Non credo fossero causati dall’alcool ingerito, e neanche dall’erba fumata, semplicemente era nato da sé come nelle più classiche scene da film, solo che l’ambientazione era diversa.

Sdraiata sul parco a fumarmi una sigaretta.

Poi si avvicina questo qua, Mallory, mi chiede una sigaretta, mi sorride sofferente, e ci baciamo.

Era dolce, straordinariamente dolce il ragazzo senza nome.

Per tutta la notte siamo rimasti assieme, l’uno accanto all’altra, in silenzio.

Credo che in quella notte di silenzio ci siano state tutte le parole che mai sono riuscita a dire.

Hai presente, no, quelle parole che porto dentro, che ognuno di noi porta dentro ma non riesce a dire.

Ecco, Mallory, esattamente questo.

Abbiamo parlato con il silenzio.

Abbiamo urlato con il silenzio.

Ci siamo amati con il silenzio.

Sai che io non so cosa sia l’amore. Mai provato, mai ricevuto, sempre negato.

Eppure, quella notte, con quel ragazzo, credo di essermi innamorata.

Non so perché, non so come, semplicemente lo so.

Eppure, mi basta vedere i lividi sul fianco destro di fronte allo specchio, e il corpo dimagrito per convincermi che mai ci sarà amore per me.

Mi tasto il livido, gemendo silenziosamente di dolore, guardando i miei occhi senz’anima.

Decisamente non c’è amore per me, Mallory.

Isabella.

 

 

 

 

Ed ora eccolo, il ragazzo senza nome.

Affianco a me, mano per la mano.

Non ci scambiamo parole, esattamente come quel giorno, semplicemente restiamo in silenzio.

In silenzio ci chiediamo come stiamo, ci baciamo con gli occhi e fingiamo che vada tutto bene.

Ma ormai è una costante fingere, no?

Tutti fingono; sentimenti che non provano, sentimenti che vorrebbero provare, felicità inesistente nonostante il dolore persistente.

Tutti fingono.

Tutti fingono di non fingere.

Ed ecco noi due, chiaro esempio di finta non finzione.

Lo continuo a chiamare ragazzo senza nome,  malgrado sappia qual è.

Edward.

Suona bene nella mia mente, talmente bene che tremo al pensiero di storpiarlo con la mia voce reale.

La voce della coscienza ha un qualcosa di più poetico, romantico, sui generis.

Improvvisamente ci fermiamo di fronte ad una palazzina che con leggerezza spintona, aprendola giusto per far passare i nostri corpi.

Proseguiamo per una piccola rampa di scale che odorano di lavanda, di pulito, fino ad arrivare al terzo piano dove ci fermiamo di fronte ad una porta in legno scuro, tendente al nero.

Come la tua anima, sussurra la mia amata coscienza.

«Ecco casa mia. Ordino una pizza? Le birre dovrei averle nel frigorifero.»

Piano, piano ragazzo senza nome; non inondare questo silenzio urlato con il tuo fiume di parole.

Non rispondo, limitandomi ad accarezzare con mano ed occhi le pareti chiare, la televisione di bell’aspetto sebbene dietro il cranio sbuchino fuori un turbinio di colori dei fili, le tende rosse; e la chitarra.

A quella visione, sono pronta anch’io ad interrompere il nostro non silenzio.

«Ho sempre voluto imparare a suonare, peccato soltanto che per una perfetta Isabella Swan non andasse bene.» Sputai con ironia e tristezza.

Afferrò la mia mano destra e con lentezza la posò su di essa.

Ne accarezzai ad occhi chiusi la sua superficie liscia, le sue corde ruvide al tatto.

«Posso insegnarti io, se vuoi.»

«Lo faresti davvero?» aprii gli occhi imprigionandoli volontariamente nei suoi.

Oh, ragazzo senza nome, quanto ti ho sognato.

«Per te sì.»

Per te sì.

Non svegliatemi. Se è un sogno, non svegliatemi.

Almeno qui, fatemi sognare.

Almeno qui, fatemi credere di esser amata, voluta bene; considerata.

Almeno qui, fatemi essere me stessa.

Portò le mani sui capelli, tirandoli leggermente, mentre con un mormorio di scuse si dirigeva in cucina per chiamare una pizzeria d’asporto.

Non scusarti ragazzo senza nome.

Non ora.

Non scusarti.

Scusati quando mi lascerai, quando le mie mani tremeranno nel ricordare un calore dimenticato, quando piangerò nella mia stanza la tua assenza e sorriderò agli altri.

Scusati quando opprimerò me stessa ancora.

Scusati quando mi struggerò per un bacio non dato ma voluto.

Scusati quando un lampo nei tuoi occhi ti fermerà dal saggiare nuovamente le mie labbra.

Scusati allora, Edward.

«Che pizza preferisci?» urlò dalla cucina per farsi sentire.

Non urlare, non mi piacciono le urla.

Ti sento, anche se mormori, ti sento.

«Con più schifezze possibili.» mormorai sorridendogli.

Mi sorrise e mi uccise.

Spense il telefono, comunicandomi che entro un’ora avrebbero portato pizza e patatine.

«Cosa ne pensi se intanto proviamo a suonare qualcosa?»

Gli sorrisi, stringendogli la mano che mi porgeva.

Non scusarti ora Edward.

 

-Edward.

 

«Grazie per la splendida serata, Isabella». Mormorai stringendo le mani a pugno, per impedire che questi si allunghino ad accarezzare il suo volto meraviglioso.

Non devi diventare come me, piccola. Tu devi tornare a sorridere, a vivere.

Non posso contaminarti.

Non posso.

Lei, dal canto suo, mi sorrise con le sue adorabili fossette.

Si avvicinò e, con lentezza estenuante, con le nostre labbra che prendevano il respiro dell’altro data la vicinanza, mi ringraziò.

Poi con lentezza  scese le scale.

Corsi immediatamente alla finestra, ansioso di vedere il suo volto ancora una volta e lei si voltò.

Poggiò delicatamente il palmo della mano sul finestrino del taxi, così come io appoggiai il mio sulla finestra di casa; e se ne andò.

Vai, piccola bugiarda fintamente coraggiosa.

Torna nella tua casa, sogna il bacio tanto agognato e non dato.

Torna nella tua casa e sogna una nostra possibile relazione.

Torna a casa e sogna di tenermi per mano.

Torna a casa e sogna di divenire felice.

Torna a casa e sogna di non mentire più.

Torna a casa e dormi, piccola mia.

Dormi.

Dormi, piccola donna andata e sempre rimasta.

Dormi con i tuoi fantasmi così come io dormirò con i miei, piccola finta coraggiosa.

 

----------------

 

«Isabella, Stefan, questa è la vostra nuova scuola.» mormorò Marie, con ancora il suo cipiglio imbronciato in volto.

Sorrisi e mi sporsi dal sedile posteriore per darle un bacio soffiato sulla guancia.

«Non è successo nulla con quel ragazzo nonna, nulla.»

Non è successo nulla con quel ragazzo nonna, nulla. Stai tranquilla, ti sto mentendo come al solito.

Sto mentendo come sempre.

Con il ragazzo senza nome è successo tutto, non nulla.

Mi sono sentita viva, protetta, al sicuro, me stessa.

«Non è successo nulla.» ripetei come una nenia.

«Non vi siete baciati quindi? Nulla di nulla?» continuò con voce acuta, Marie.

«No, non ci siamo baciati.» mormorai uscendo dall’auto, salutandola con un finto sorriso.

Oh, nonna! Non solo ci siamo baciati, abbiamo fatto l’amore guardandoci negli occhi.

Abbiamo suonano la chitarra, e per “sbaglio” ci siamo accarezzati più volte le mani.

Poi è arrivata la pizza, ed ho riso.

Ho riso talmente tanto da sentir la mascella dolere, Marie.

Abbiamo bevuto, ci siamo fatti il solletico.

E poi ci siamo ritrovati l’uno sopra all’altra.

Eravamo così vicini al bacio…

Ma si è scusato il ragazzo senza nome.

Si è scusato.

«Stefan chiama Isabella!»

«Scusami, stavo pensando»

«Sai che io sono qui, vero? Quando vuoi parlarne ti ascolterò.»

Sorrisi scompigliandoli i capelli, il mio modo non verbale per ringraziarlo di tutto ciò che lui fa per me.

Ma d’altro canto, lui lo sa.

«Vedi di non fare  troppe conquiste, migliore amico!»

«Oh, dovrei essere io a dirtelo!» rise, scuotendo leggermente il capo mentre le ragazze con mormorii concisi, morivano al suo passaggio.

Sei troppo melodrammatica e poetica, Isabella!

Girai, voltai, spiegazzai la cartina scolastica più volte alla ricerca della classe in cui avrei svolto la prima lezione, che non trovai.

Sbuffai nervosamente e continuai a camminare finché, come un miracolo, ecco la classe di arte…con la porta già chiusa.

Bussai leggermente ed entrai.

Immediatamente trovai gli occhi di tutta l’aula fissarmi e combattei con voglia di abbassare il mio sguardo.

Ho subìto occhi che mi squadravano, giudicavano, per tutta la vita.

Adesso non sto con il ragazzo senza nome, adesso sto con un branco di odiosi essere umani impiccioni.

Alza la maschera, Isabella.

«Scusi il ritardo professore, ma ho avuto difficoltà a trovare la classe.»

Voce certa, sicura, chiara.

Non sono io ad avere paura.

Non voglio più esser io, ad avere paura.

Non più.

«Lei è la ragazza nuova?» mormorò Mr.White portando le mani tra i capelli.

Non poteva farlo.

Non poteva portare le mani tra i capelli come il ragazzo senza nome.

Non poteva farmelo ricordare con un gesto.

Non dovevo pensarlo costantemente.

«Sono Isabella Swan.»

Ed eccoli i mormorii concisi.

“Ma  è la figlia della stilista di fama mondiale”

“Sarà senz’altro antipatica, guarda come si è presentata”

“Senz’altro riuscirò a portarmela a letto, spero.”

“Il padre è avvocato, chissà se potrà aiutarmi parlare con lei per trovare a mio padre un lavoro”.

 

«Si accomodi.»

L’unico che rimase composto di fronte al mio nome e soprattutto cognome, fu l’insegnante di arte.

«La lezione di oggi, signorina Swan, riguardava i fantasmi. Forse lei non lo sa, ma son solito porre domande ai miei studenti sul loro credo o meno verso i fantasmi, perché i primi  disegni del corso sono… i fantasmi appunto. Ora, continua signor Jackson»

Non ascoltai le risposte degli altri, troppo impegnata a pensare alla mia di risposta.

«Signorina Swan, lei crede nell’esistenza dei fantasmi?»

Aveva un qualcosa che mi inquietava, che mi portò ad incrociare le braccia attorno alla vita.

Il suo sorriso gelido e cortese, gli occhi color ghiaccio mi ricordavano colui che non volevo ricordare.

Respira Isabella, respira.

Pensa ad Edward.

Mi tranquillizzai all’istante e, con finta sicurezza ritrovata, lo guardai negli occhi pronta a rispondere alla sua domanda.

Non mi curai degli sguardi altrui. Non meritavano una mia preoccupazione.

«Quali fantasmi intende, Mr.White?»

Lessi la sorpresa e l’affronto nei suoi occhi.

«Tutti i tipi di fantasmi.»

«I fantasmi esistono, ma non sotto forma di tanti Casper. I fantasmi sono tutto ciò che ci circonda, tutti quei ricordi che teniamo dentro di noi e la notte vengono a farci visita nei nostri incubi. I fantasmi sono la speranza di ciò che diventeremo dopo la morte. I fantasmi sono i nostri scheletri nell’armadio. I fantasmi esistono e fanno male.»

«Teoria interessante, Swan.»

«Signorina Berry, a lei.»

Voltò lo sguardo da me e tornai a respirare.

 

-Edward.

«E così ieri hai rincontrato quella ragazza di cui mi parlasti allora?» mormorò sgranando gli occhi Thomas, ripetendo la stessa domanda per l’ennesima volta.

«Sì, Tom, sì. E’ la ventesima volta che ti rispondo sì.»

«Non è successo nulla?» mormorò malizioso, sorridendo ad una ragazza appena entrata nel negozio.

Alzai gli occhi al cielo.

«No, non è successo nulla.»

Non è successo nulla, ma tutto Thomas.

Tutto.

Perché non ti butti?»

«Da un ponte?» mormorai sarcastico, al  che Tom mi diede un pugno sulla spalla.

«Dalla tue paure, dalla tua maschera di cera, da te. Per quella ragazza ne vale la pena Ed, me lo sento qui.» E batté la mano sul cuore.

Non posso trascinarla nei miei casini, Tom, lo sai.

Lei ha già altrettanti problemi, perché aggiungerle anche i miei?

Lei può salvarsi, Tom.

Lei può.

Mi guardò negli occhi e come se avesse letto nei miei pensieri mi rispose:

«Voi potete salvarvi a vicenda, basta solo che troviate il coraggio di non scusarvi

Buttati e non scusarti.

Buttati e non scusarti.

 

-Bella.

 

«Mi inquieta Stefan. Io, mi ricorda lo sguardo cattivo di lui.»

Mi strinse tra le braccia,  inondandomi con quel calore che in quel momento mi mancava e sfregò le mie braccia con le sue mani.

«Calmati piccola, calmati. Ci sono io okay? Ci sono io. Nessuno ti farà più del male, nessuno.»

Mi sta già facendo, del male.

Il ricordo mi uccide, mi opprime, mi tormenta.

Fuori sembrerò una ragazza normale, tranquilla ma dentro marcirò, soffrirò e morirò, Stefan.

Sono già morta, dentro.

«Bella!»

Mi voltai sgranando gli occhi, alla vista del ragazzo senza nome.

«Cosa… cosa ci fai qui?»

Non mi rispose a parole, ma  mi abbracciò.

Con quell’abbracciò mi comunicò tutto.

Con questo abbraccio lui è qui.

«Cosa ci fai qui?» mormorai contro il suo torace.

«Volevo cercare di dirti che proverò a smettere di scusarmi, ma la strada è lunga e tortuosa, Bella.»

Sorrisi, baciandogli dolcemente la guancia sfregando poi le labbra contro la leggere barba che ricopriva la sua guancia.

«Grazie.» Sentii le sue labbra tendersi un sorriso.

«Spero possiate perdonare la mia presenza!» Disse ironico Stefan.

«Ehm, Edward lui è Stefan il mio migliore amico e bè fratello lui sai chi è.»

Dire che ero imbarazzata è un eufemismo.

«Oh, finalmente conosco il ragazzo senza nome!»

«Ragazzo senza nome…?»

«Nulla Edward, tranquillo!»

«Non ho capito sinceramente! » Si grattò la nuca, con un’espressione confusa stampata in volto.

«Neanche io se per questo.»

Guardai in maniera eloquente Stefan, che alzò le mani al cielo sorridendomi.

«Che ne dite se andiamo in un bar dietro l’angolo? Fanno dei dolci squisiti.»

«Io ho da fare, una ragazza mi aspetta! Comunque stasera Edward sei invitato a cena da noi, non puoi opporti!»

«D’accordo, non mi oppongo.» Disse ridendo.

Quando Stefan se ne fu andato, Edward mi prese per mano e ci incamminammo verso il bar.

Ti stai facendo perdonare ragazzo senza nome.

Ti stai facendo perdonare… ma per cosa?

“The wall” era un delizioso bar con l’atmosfera soffusa e le pareti tappezzate di citazioni di musicisti. Era un locale che trasmetteva una vivacità contenuta, non eccessiva e inoltre Edward sembrava conoscere le persone che ci lavoravano.

«Ehi Sam! Un tavolo appartato per due per favore.»

«Certo Ed! Chi è questa bella ragazza?»

Degli occhi piccoli e vispi, appartenenti ad un volto paonazzo mi scrutarono simpaticamente.

«E’ semplicemente lei, Sam.»

E’ semplicemente lei.

E’ semplicemente lei.

E’ semplicemente lei.

Mi gustai queste parole ripetendole come una nenia nella mia mente.

Sono semplicemente io, ragazzo senza nome.

«Piacere, Isabella.» Allungai una mano verso l’uomo che prontamente la strinse.

«Il piacere è il mio, Isabella! Sono Sam, prego accomodatevi su quel tavolo laggiù, se volete ordinare fatemi un cenno e arriverò.»

Gli sorrisi educatamente e mi sedetti sul tavolo isolato che aveva richiesto.

Mi trasmetteva calore e amore questo locale.

Mi sentivo a casa.

Ma era merito del locale o merito del ragazzo senza nome?

Del ragazzo senza nome, lo sai.

«Vorrei parlarti, Isabella.»

«Dimmi» Mormorai stringendo la sua mano, giocherellando con le sue dita.

Un modo per far evadere l’ansia che repentinamente mi aveva assalito.

«Io, vorrei dirti che voglio provarci. So che può sembrare assurdo, che è assurdo, infondo non ci conosciamo neanche eppure io sento di conoscerti. Sento che mi conosci meglio tu che chiunque altro. Sento che voglio provare a rompere questa diga di silenzio tra noi con le parole  che tengo da troppo tempo imprigionate in me. Sento che voglio smettere di scusarmi. Sento che voglio essere la tua ancora Isabella, così come tu sarei la mia… se vorrai. Non ti chiedo di frequentarci o di stare insieme, perché tu ed io non apparteniamo a nessuna di queste categorie. Siamo solo Edward e Bella.»

Ma tu hai già inondando questo silenzio di parole, tesoro.

Tu non comprendi che anche silenziosamente parliamo.

Se tu mormori, io ti sento.

Se tu parli, io ti sento.

Se stai in silenzio, io ti sento.

Io ti sento, Edward.

Io ti sento, mia ancora.

Io ti sento.

 

Mi alzai dal posto e delicatamente appoggiai le mie labbra sulle sue. Non feci alcuna pressione, così come nessuna pressione fece lui.

Stavamo respirando l’altro, stavamo parlando, stavo rispondendo.

Poi, dopo un tempo indefinito, tornai a sedere sulla sedia sorridendogli.

«Non sarà facile, Edward. Io sono una ragazza complicata, sofferente. Io fuori sorrido e dentro muoio.»

«Trovo le cose semplici noiose.»

«Arriverà un punto in cui amerai la semplicità che ora sdegni.»

«Arriverà un punto in cui ci salveremo.»

«Arriverà un punto in cui ci distruggeremo.»

«Arriverà il punto in cui ci sarà luce.»

«Arriverà un punto in cui mi lascerai, come tutti gli altri.»

«Ed è qui che ti sbagli piccola; io non sono “tutti gli altri”»

E sugellò questa frase con un bacio dal retrogusto amaro, dal retrogusto del dolore ma con un sapore preciso che porta il nome di speranza.

Riusciremo a salvarci, ragazzo senza nome?

Riusciremo ad essere Edward e Bella?

Non gli chiesi nulla e lui non mi rispose.

Strinse la mia mano e mi baciò nuovamente.

Mi baciò e riemersi dalle acque oscure che puntualmente mi facevano annegare.

Riemersi.

 

 

   
 
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