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Autore: ChiiCat92    17/05/2013    3 recensioni
Tom e Bill Kaulitz sono gemelli, e questo, ancora prima degli Hunger Games, ha complicato la loro vita.
Contro Capitol City non c'è speranza, si cerca di morire nel modo più dignitoso possibile.
è questo che pensa Tom, quando ogni anno aspetta che il suo nome venga estratto durante la Mietitura...
Genere: Avventura, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2: Capitol City

 

Nei dieci minuti seguenti, succedono un migliaio di cose intorno a me.

Vedo le telecamere che mi corrono dietro, mentre i Pacificatori mi spingono dentro il Municipio; vedo sparire dietro una porta tutte le facce degli abitanti del Distretto.

Mi hanno sbattuto in una stanza, da solo, e non capisco perché.

Poi, una vocina dentro la mia testa, pacatamente, mi fa notare che questi sono gli ultimi istanti che passerò al Distretto 10, e che stanno per arrivare le persone che sono intenzionate a salutarmi. Perché sono un Tributo, e non tornerò mai più indietro.

Strizzo gli occhi per la sorpresa e all'improvviso il mondo torna cosciente a se stesso.

Sento in lontananza il suono del treno ad alta velocità che mi porterà a Capitol City, i freni stridono e si sente un fischio.

Vedo la luce intensa del giorno che filtra dall'unica finestra della stanza, posizionata abbastanza in alto perché non possa raggiungerla e usarla come via di fuga.

Sento il mio corpo, vivo, con il sangue che scorre nelle vene, l'elettricità che percorre i nervi, e il cuore che pulsa morbosamente, quasi attaccato ad ogni battito, sapendo che potrebbe essere l'ultimo. Mi sento respirare e inspirare.

E sento dei passi, che lentamente si avvicinano alla porta.

Un Pacificatore la spalanca e grida un “muoviti!” poco cortese.

Vorrei avere la forza per distogliere lo sguardo da mio fratello in lacrime che viene praticamente gettato dentro la stanza, e che mi raggiunge strascicando i piedi.

- Che cosa ci fai qui? -

Lo aggredisco. La mia voce non mi sembra neanche più mia, ha qualcosa di burbero e profondo, come se avesse acquisito una ventina d'anni in più nel giro di un istante.

Bill apre la bocca per parlare, ma non esce alcun suono.

Se ne rende conto, e comincia a piangere come una fontana.

L'unica cosa che posso fare è avvicinarmi a lui e abbracciarlo.

Sarebbe il momento di dirgli qualcosa di confortante. Non posso lasciarlo in queste condizioni, non posso permettergli di sprofondare in un baratro dal quale nessuno lo tirerà fuori.

Gli prendo il volto tra le mani e faccio in modo che lui mi stia a guardare, e a sentire soprattutto.

- È quello che volevo, hai capito? Non è colpa tua. Non ti avrei permesso in nessun modo di essere un Tributo. Per nessuna ragione al mondo. Non è neanche una sorpresa, mi avevano già scelto, ti ricordi, no? - lo vedo mordersi le labbra mentre un'altra ondata di lacrime gli cade dagli occhi castani - Georg non avrebbe dovuto offrirsi al mio posto, come non avresti dovuto tu. Se è andata così, deve esserci una ragione, no? Magari è vero quello che ha detto quel citrullo, e questo è una specie di segno del Destino. - faccio una pausa - Magari vinco pure. - ho azzardato troppo.

Ma sembra che sia quello che Bill voglia sentirsi dire, perché il suo sguardo si addolcisce, anche se i singhiozzi cominciano a scuoterlo.

Si libera dalla mia stretta e mi abbraccia di nuovo, con tale forza che non so se i Pacificatori riusciranno a strapparlo dalle mie braccia.

È in questo momento che capisco che, qualsiasi cosa succeda, io devo tornare. Non tanto per me, quanto per lui.

Non ho nessun diritto di lasciarlo solo.

Sarebbe troppo facile decidere di morire senza neanche provare a lottare.

Ecco, il fatto è che non posso permettermi il lusso di morire.

- Tempo scaduto, fuori. -

Alziamo la testa nello stesso momento, quando il Pacificatore irrompe nella stanza.

Non mi piace il fucile che porta in spalla.

Allontano Bill con delicatezza.

Gli asciugo una lacrima e gli sorrido.

Torna”, sillaba con le labbra, “torna, torna.” e mi afferra il mignolo con il suo, come simbolo di promessa.

Il Pacificatore lo prende per un braccio e lo trascina fuori, tranciando di netto il contatto.

Prima che la porta sia chiusa, gli mostro il mignolo.

Tornerò.” cerco di pronunciarlo bene, muovendo con calma le labbra così che lui possa leggerle senza sbagliare.

Vedo che si accascia tra le braccia del Pacificatore, e si fa portare via di peso come una bambola di pezza priva d'anima.

Rimango di nuovo solo, in quella stanza enorme con la finestra irraggiungibile.

Uno potrebbe anche impazzire in un posto del genere.

Mi guardo intorno con circospezione, e mi rendo conto che hanno eliminato ogni oggetto contundente o tagliente, non ci sono prese di corrente, non ci sono fili scoperti. Una stanza a prova di suicidio.

La porta si apre per l'ennesima volta, e vedo mia madre.

Mi viene quasi spontaneo sbuffare. Quando finirà la sfilata delle persone che non voglio assolutamente vedere?

Lei non mi abbraccia, non dice niente, non si avvicina neanche.

Rimane lontana, a fissarmi, come se volesse imprimersi ogni particolare di me, prima che io sia freddo e senza vita sdraiato in una bara.

L'unica cosa che fa, è sfilarsi dal collo una catenella d'oro, a cui è appeso un ciondolo di due o tre centimetri di grandezza, di forma rettangolare, piatto, in cui è incastonata una lastra di pietra nera.

Me lo porge con reticenza, quasi avesse paura.

Lo prendo e lo guardo.

Sento un colpo allo stomaco.

Su quella che mi sembrava una pietra, è incisa l'immagine di un'ecografia. Si vedono distintamente due bambini, uno di fronte all'altro, rannicchiati in posizione fetale.

- È l'immagine della vostra ultima ecografia, pochi giorni prima della nascita. È stato vostro padre a farla fare. - visto che non riesco più a controllare gli spasmi delle mani, lei riprende la catenella, e la fa passare intorno al mio collo. Sento un click. Il ciondolo pende al mio collo, arrivando quasi a metà petto. Lei ci poggia una mano sopra e sospira. È un sospiro che sa di lacrime. - Tuo padre ti starà accanto, farà tutto il possibile per farti sopravvivere. - alza gli occhi e mi guarda - Sei un ragazzo forte. -

Mi da un bacio sulla guancia e si allontana.

Non riesco ad impedire al mio corpo di prenderle la mano e fermarla.

Vorrei dirle qualcosa, ma non ci riesco.

Ho la testa piena di pensieri, di frasi, di immagini. Mi sembra di stare dentro un caleidoscopio.

Lei mi rivolge un sorriso triste, e mi lascia, uscendo da quella porta, e dalla mia vita, per sempre.

Pochi istanti dopo, i Pacificatori mi annunciano, con un certo tono sadico, che il treno è in stazione, e che devo affrettarmi.

Automaticamente infilo il ciondolo dentro la maglietta, e li seguo.

 

Solo sul treno ho la possibilità di incontrare la ragazza che sarà la mia compagna di sventura.

Non ricordo il suo nome. Per fortuna, lo sento pronunciare da qualcuno mentre salgo in carrozza, e cerco di memorizzarlo.

Lei è una specie di vamp, dai capelli rosso fuoco (niente a confronto con il rosso intenso e naturale di mia madre), le labbra a canotto, e il seno prosperoso.

È il genere di ragazza che mi farebbe venire un certo prurito, se non sapessi che, alla fine, dovrò ammazzarla, o sarà lei a farlo.

Sarà alta un metro e settanta, e si muove come se fosse pronta a saltarmi addosso da un momento all'altro.

La porta del vagone si chiude alle mie spalle, e solo in quel momento mi accorgo di essere rimasto a fissare la ragazza per tutto il tempo mentre salivo sul treno.

Agli occhi di Capitol City, che non ha fatto altro che guardarci attraverso le telecamere, deve essere sembrato uno sguardo da maniaco.

Vorrei avere il tempo di imbarazzarmi, ma lei mi porge una mano.

- Ciao, io sono Ria. -

Si presenta.

Ha una voce starnazzante, mi ricorda i versi di certe galline che si sentono uscire da alcuni laboratori in periferia.

- Ciao. -

Le rispondo, ignorando la sua mano tesa verso di me.

La supero senza darle molto conto, e con la coda dell'occhio vedo che si imbroncia e mi fa una smorfia.

Poco male, tanto ho altri 22 nemici, uno più, uno in meno, non mi cambia la vita.

Percorro il corridoio nella speranza di arrivare al vagone ristorante, dove credo che troverò mio padre.

Ho un serio bisogno di vedere un volto familiare.

So che non potrò sbilanciarmi molto, né con lui, né davanti alle telecamere, altrimenti sembrerà che io sia favorito dal mio Mentore, e potrebbe giocare a mio sfavore.

Chissà che piano ha già in mente per...

- Tom. -

Mi volto di scatto.

- Papà! -

Non l'ho sentito arrivare.

Lui mi fa cenno di abbassare la voce, e indica lo scompartimento alla mia sinistra.

Io annuisco e apro la porta, lui si infila dentro con me.

Rispetto a me e Bill, nostro padre ha dei lineamenti duri, da uomo vissuto. Benché sia alto, le spalle muscolose e il torso ampio lo fanno sembrare più tarchiato di quanto non sia.

Mi ha sempre ispirato forza e rispetto quella sua figura enigmatica, capace di dispensare amore quanto odio.

Quando gli guardo le mani, quelle mani enormi dalle dita lunghe, immagino la violenza che ha dovuto essere capace di dimostrare, per poter tornare a casa vivo e vegeto.

Mi viene un brivido al solo pensiero di dover fare lo stesso.

- Prima di tutto. - comincia lui - Mi dispiace, figliolo. - il suo sguardo s'incupisce - Se avessi potuto, avrei preso io il tuo posto. E questo sarebbe valso anche per tuo fratello. - stringe i pugni con una rabbia tale che vedo affiorare le vene sul dorso delle mani - Da qui in poi, però, non puoi più considerarmi tuo padre, e io non posso più considerarti mio figlio. Sarebbe troppo rischioso. - Come sospettavo. Non c'è da stupirsene. Annuisco e lui sembra sollevato. Doveva essere una pietra sul cuore per lui. - Davanti alle telecamere, e in generale davanti agli altri, cercheremo di mantenere un rapporto distaccato. Io sono il tuo Mentore, e niente di più. -

La domanda che mi preme fargli, è se giocherà tutte le sue carte per farmi sopravvivere.

In mezzo c'è anche la vita di quella ragazza (Ria? Si chiamava così? Come faccio a dimenticarmelo in continuazione?). Si prenderà la responsabilità della sua eventuale morte?

- Va bene. C'è altro? -

Gli dico invece. Sarebbe troppo perverso chiederglielo.

È tanto il mio desiderio di vivere?

Comincio a pensare che dovrà essere mille volte più grande, per permettermi di uccidere gli altri Tributi.

- No. - mi squadra dalla testa ai piedi - Per il momento no. -

Non aggiunge altro, ed esce dallo scompartimento.

 

Non so quanto durerà il viaggio, e non intendo scoprirlo.

Questa deve essere lo scompartimento a me assegnato. Sembra la stanza da letto di un principe.

C'è un armadio. Apro un'anta e scopro un tesoro di capi firmati, roba che, nonostante i soldi di mio padre, non ho mai potuto permettermi.

Incredibile come abbiano voglia di prendersi cura di me, adesso che sono più un cadavere vivente che una persona.

C'è anche un bagno con una vasca, che mi sembra una piscina, e una doccia.

L'istinto è troppo forte, e mi sento troppo sporco.

Mi svesto nel bel mezzo della stanza e mi fiondo sotto l'acqua della doccia.

Non credo di avere diritto di lamentarmi, la mia vita è stata abbastanza tranquilla, e piena di confort.

Ma con tutto che mio padre è un Vincitore, a casa nostra abbiamo l'acqua calda un solo giorno la settimana.

E se da noi funziona così, da noi che possiamo permettercelo, allora come se la passano i meno abbienti, giù nel Distretto?

A volte penso che, se solo fossi riuscito a superare il muro di ostilità che mi circonda, avrei potuto aiutare qualcuno, avrei potuto offrire denaro, cibo, ospitalità.

Quante volte ho desiderato poter dare metà della mia pagnotta a un bambino sporco e abbandonato in mezzo alla strada, e quante volte mi sono sentito additare e chiamare “mostro”.

Se non ho il diritto di lamentarmi, non ho neanche quello di sentirmi in colpa.

L'acqua calda lava via tutti i pensieri negativi. Chiudo gli occhi e per un attimo riesco a sentire la voce di Bill che urla fuori dal bagno.

La finirai tutta, esci di lì! Voglio fare la doccia anch'io!”

Mi viene quasi da rispondergli.

Altri cinque minuti, non morirai mica!”

Poi il treno ha un leggero scossone, che si riverbera su per le piante dei piedi e mi scuote leggermente la schiena; capisco dove sono e sbarro gli occhi per l'improvvisa ondata di panico che mi ha preso il petto.

In lontananza si sente il rumore sordo del mondo che sfila intorno a me, e del mio Distretto, della mia casa, di mio fratello che si allontano inevitabilmente.

Scuoto la testa ed esco.

Mi asciugo i capelli alla bell'e meglio.

Dovrei trovare un modo per tenerli acconciati, sono diventati troppo lunghi, ed io troppo pigro per prendermene cura.

Li lego in un codino basso che poi attorciglio.

Dall'armadio prendo una maglietta e un pantalone qualsiasi, sospiro e mi getto sul letto, incredibilmente comodo.

Se non stessi andando incontro alla mia fine, potrei passare le notti migliori, dormendo qui.

 

Mi sveglio di soprassalto, mentre qualcuno mi scuote con una mano.

Mi tiro su e mi metto in posizione di difesa.

Mi ritrovo davanti agli occhi Ria, con lo sguardo innocente di chi non ha fatto niente.

Devo essermi addormentato senza rendermene conto. Come diamine ho fatto ad addormentarmi in un momento del genere?

La prima cosa che noto, è che lei indossa una canottiera tanto risicata da lasciarle buona parte del seno scoperto, e un paio di pantaloncini cortissimi.

- Oh, scusa, non volevo spaventarti. -

Fa lei, con una vocetta irritante al mio udito appena sveglio.

Sta ben attenta a farmi notare le sue bocce, strizzate in quella canottiera nera.

Strizzo gli occhi, senza riuscire a ignorare gli impulsi di piacere del mio inguine.

- Che vuoi? -

Non mi riesce di risponderle in modo più cordiale.

Lei non si lascia abbattere dal mio tono di voce; mi fa un sorriso che dovrebbe essere dolce, ma sembra solo famelico.

- Il pranzo è pronto, ho preferito venire io piuttosto che far venire un inserviente. -

Verrebbe spontaneo chiederle il perché, ma evito: non voglio saperlo.

- Va bene. - sbuffando mi alzo, e cerco di non passarle troppo vicino, anche se lei trova comunque il modo di strusciarsi contro di me - Ma quel'è il tuo problema? - mi sembra inebetita e si tira un po' indietro.

Scuoto la testa, forse non è il caso di mettersi a fare inutili questioni.

Esco dallo scompartimento con lei al seguito, come un cagnolino.

Benché mi sforzi, non riesco a ricordarmi di questa ragazza.

E credo che mi sarei accorto prima di lei, se mi avesse sbattuto il suo davanzale davanti agli occhi più spesso.

Invece, del suo corpo snello e provocante, dei suoi capelli rosso fuoco e del suo viso scialbo, non ricordo niente.

E dalle risatine senza senso che lancia ogni tanto, sono sicuro che non sia un peccato.

Ria mi precede, per indicarmi la strada perso il vagone ristorante.

Camminando nel corridoio, non si ha l'impressione di trovarsi su di un treno lanciato in corsa.

Sembra di essere in un albergo a cinque stelle.

Il vagone ristorante è un tributo allo sfarzo. Ci sono broccati di velluto e bicchieri di cristallo in ogni angolo.

La tavola che è stata apparecchiata per noi è qualcosa di sconvolgente.

C'è talmente tanto cibo che lo stomaco per ribellione si chiude.

Lancio un'occhiata a mio padre, che ricambia velocemente per poi distogliere lo sguardo.

Seduto accanto a lui c'è l'addetto alle estrazione dei nomi alla Mietitura.

- Ah, Gordon! Questo è uno dei tuoi figlioli, vero? - comincia l'uomo. Mio padre risponde bofonchiando qualcosa che suscita il riso incontrollabile nell'uomo - Ricordo quando eri piccolo così! - continua quel mentecatto, indicando, più o meno, con le mani la grandezza di una ventina di centimetri - Ne hai suscitato di scalpore a Capitol City, eh? E ancora non sapevi neanche di essere nato! -

E giù a ridere.

Che storia divertente, sul serio.

Mi siedo di fronte a mio padre, senza dire niente.

Un cameriere mi mette davanti una zuppa di legumi che ha un profumo ottimo, ma che non ho assolutamente voglia di mangiare.

Ringrazio il cameriere, che sembra sorpreso, tanto che arrossisce e si nasconde, dandomi le spalle per prendere gli altri piatti.

Ria mi si è seduta accanto, un po' troppo vicino per i miei gusti.

Il tizio, che finché non mi avrà ricordato il suo nome (ammesso che io l'abbia mai saputo) chiamerò solo Tizio, ci guarda e sorride.

- Se non doveste partecipare insieme agli Hunger Games, formereste una bellissima coppia. -

Ria si mette a ridere, e questo amplifica in me la sensazione che sia una gallina dei laboratori genetici del Distretto - Quel'è la tattica di quest'anno, Gordon? - continua Tizio.

Mio padre evita di guardarmi, e si fissa su Ria.

- Innanzi tutto, punteremo sull'aspetto fisico. Hanno tutti e due l'età giusta e il viso giusto per poter essere nel mirino di ammiratori e ammiratrici. E Capitol City è piena di ragazzini. - è la prima volta che mi sento dire da mio padre di avere un bel faccino. Di certo, non sono brutto, ho abbastanza autostima da capire almeno questo. Ma da qua a parlare di fascino...bhè, per come mi si è gettata addosso Ria, potrebbe anche darsi - Parlerò personalmente con gli Stilisti, devono farli brillare. - mi lancia una velocissima occhiata, poi torna su di lei - Ria, tu sei fidanzata? Innamorata? -

- No, niente del genere. -

Quasi me l'aspettavo, non sembra una persona che potrebbe innamorarsi. Bhè, non sul serio almeno.

Hai preso davvero in simpatia la tua compagna di giochi, molto bene.” mi ritrovo a pensare.

- Ottimo. -

Dice solo mio padre. Vedo quasi il suo cervello pensare. Che cosa avrà in mente?

Tizio ridacchia.

- Non credo che sarà un problema farli brillare, abbiamo già due pietre preziose su cui lavorare. - anche Ria, colto il complimento, comincia a ridacchiare. Tizio schiocca le dita, e ordina ad un cameriere di portare dello champagne. Quando si ritrova tra le mani un calice pieno di liquido frizzante, lo solleva in alto - Brindiamo a questi due giovani, e speriamo che gli Hunger Games possano avere di nuovo un vincitore del Distretto 10! -

Sono obbligato ad alzare a mia volta il bicchiere e a farlo tintinnare contro quello di mio padre.

Ho come l'impressione che Tizio si stesse riferendo a Ria, quando ha parlato del vincitore del Distretto 10.

 

Il resto del pranzo è di una noia mortale, oltre che di una pena mortale.

Il televisore trasmette a tutta forza le immagini della Mietitura dei vari Distretti.

È penoso vedere tutti quei ragazzini terrorizzati che vanno incontro a morte certa.

Del Distretto 12 ci sono due Tributi dodicenni, sembra quasi fatto apposta.

M'irrigidisco quando mandano la registrazione della nostra Mietitura.

È terribile vedersi in televisione.

Non appena viene fatto il mio nome, tutti si ammutoliscono; la telecamera gira l'inquadratura su me e Bill.

Vedo perfettamente le mie labbra pronunciare “non ci provare nemmeno” e le lacrime di Bill. Poi c'è un taglio, che mostra Ria che mi si affianca sul palco.

Subito dopo, la voce fuori campo di un giornalista comincia a parlare.

- Non lo so, Steve. Quel Kaulitz mi sembra uno pericoloso, lo sapevi che, ancora neonato, è stato spedito a Capitol City? Pare ci siano diversi punti interrogativi sulla nascita sua e di suo fratello. -

- Allora lo scopriremo durante l'intervista, John! - risponde una seconda voce, mentre sullo schermo si ripetono all'infinito le immagini di me e Bill che ci guardiamo, prima che io salga sul palco - Caesar farà meglio a fargli le domande giuste, perché il pubblico vuole sapere! -

Mio padre spegne la tv, prima che possa essere detta qualche altra cavolata.

- Bene, direi che per oggi è abbastanza. Potresti lasciarmi qualche minuto da solo con i ragazzi? -

Dice, cupo, rivolto a Tizio.

Lui ridacchia, quasi pensasse che deve dirci dei segreti di stato.

E in fondo non è così?

Tizio è come un infiltrato speciale direttamente da Capitol City, è meglio che non sappia come ci muoveremo. Anzi, meno persone lo sanno, meglio è.

- Certamente. Buon lavoro. -

Ci rivolge un sorriso sporco. Si alza e se ne va.

Solo quando si è chiuso la porta alle spalle, mio padre sembra sciogliersi. Gli occhi gli diventano più limpidi, ma è ancora sul chi va là.

- Ho pensato a qualcosa, ma dovrete essere bravi. -

Comincia.

- Cosa, signor Kaulitz? -

Trilla Ria. Tutta questa allegria mi sembra fuori luogo. Vorrei urlarle nelle orecchie qualcosa come “lo sai che non stiamo andando ad una sfilata di moda ma ad un raduno di assassini?”.

In che razza di famiglia deve essere cresciuta per avere la testa così sulle nuvole?

- Come vi dicevo, dobbiamo puntare sul vostro aspetto fisico, crearvi un'immagine, qualcosa che faccia colpo. Ria, tu sei una bella ragazza, se condissi il tuo aspetto provocante con un tocco di purezza e ingenuità, sarebbe la perfezione. I ragazzi devono guardarti, ma sapere che c'è qualcosa di casto dentro di te. - sgrano gli occhi. No davvero, se questo è il modo di mio padre per farci sopravvivere, allora mi butto giù dal treno che facciamo prima. - Devi stuzzicare la loro fantasia, senza dargli troppi elementi. Comportati come...una principessa delle favole. Aspetta il cavaliere sul cavallo azzurro. Sei libera, single, languida e aspetti il vero amore. Pensi di poterlo fare? -

Lei ci pensa qualche secondo. Anche se non so se sia in grado di pensare. È inquietante il modo in cui mi infastidisce.

- Sì, credo di sì. -

E fa un sorriso.

Mio padre annuisce, e si rivolge a me.

Mi squadra per un attimo, e so che dirà delle cose estremamente imbarazzanti, cose che non avrebbe mai tirato fuori, se non fosse stato per le circostanze.

- Tu, sei in grado di sostenere la parte dello spaccone? - corruccio le sopracciglia, lui mi indirizza un sorriso imbarazzato - Insomma, riusciresti ad essere molto spontaneo e menefreghista, sul genere battuta pronta e malizia? Divertente, arguto, spigliato. - non sembra la mia descrizione, e lui deve saperlo - Anche per te vale la tesi della ricerca del vero amore. Single, finché l'amore serio non viene a bussare alla porta... -

- Il duro dal cuore tenero? -

Provo a suggerirgli, dato che non sembra in grado di andare avanti. Sta cominciando a diventare color porpora.

- Sì, in sintesi. -

Annuisco.

È un'ottima occasione per difendermi, per difendere il vero me stesso.

Non lo offrirò in pasto alle telecamere.

Con questa facciata, posso virtualmente dire e fare tutto ciò che voglio.

Non mi sembra neanche un ruolo così difficile da sostenere.

- Perfetto. Per il momento è tutto. Quando arriveremo a Capitol City, verrete consegnati agli Stilisti. Se dovete osare, osate. In linea di massima, vi consiglio di decidere con loro cosa fare, senza però opporvi. - si alza, lo sento sospirare. Deve essere stata una prova veramente dura per lui. E pensare che lo fa ogni anno. Ogni anno porta al macello due ragazzi del Distretto, ragazzi con cui ha vissuto ogni giorno della sua vita, che ha visto camminare e giocare per le strade, che ha visto crescere. Adesso, con me in gioco, deve essere terribile. - Ci vediamo a cena. Andate a riposare. -

Si dilegua in fretta, e ci lascia soli.

Ria si stiracchia, in maniera poco languida e, dopo avermi calorosamente salutato, se ne va.

Rimango un'altra manciata di minuti a pensare a tutto quello che, in poche ore, mi è successo.

Mi sembra passato solo un secondo da quando ero ancora nel mio letto, al Distretto, e di Mietitura non si parlava, perché era lontana diversi mesi.

E invece adesso...sono un Tributo.

Mi vengono i brividi solo a pensarlo.

È una parola pesante, sa di morte.

Se Caesar Flickerman ha intenzione di puntare l'intera intervista su me e mio fratello, non saprò che cosa dirgli.

Il pensiero mi viene così, dal nulla, e ammazza tutti gli altri.

Mi stringo nelle spalle e mi alzo.

Raggiunto il mio scompartimento, chiudo a chiave e mi butto sul letto.

Ho bisogno di indossare la maschera più elaborata della mia vita, nessuno deve sapere niente di me, niente più del necessario.

Mi sfilo le scarpe e mi accuccio su un fianco.

Con gli occhi chiusi provo a immaginare cosa stia facendo Bill, in quel momento.

Spero che non stia guardando la tv.

Ma ormai è l'unico mezzo che ci consente di rimanere in qualche maniera in contatto.

Durante i giochi cercherò di fargli avere qualche messaggio, lui di certo capirà.

Mi costringo ad addormentarmi, e faccio in modo che il mio orologio biologico non mi disturbi fino a domani mattina.

 

Mi sarebbe piaciuto riuscire a dormire fino a domani, ma uno stupido incubo mi ha costretto a sbarrare gli occhi nel buio.

È notte fonda, e non si sente un rumore, se non il ronzio leggero del treno in corsa, e del paesaggio che gli sibila intorno.

Mi stropiccio gli occhi e cerco di capire che cosa diavolo mi abbia svegliato, ma non riesco a ricordarmi niente, se non un senso di oppressione al petto.

Mi tiro su e mi stiracchio.

Avrei voglia di qualcosa da mangiare, rimpiango di essere stato tanto schizzinoso a pranzo.

Esco sul corridoio; non c'è nessuno. Almeno non rischio di fare brutti incontri.

Mi dirigo al vagone ristorante a piedi scalzi.

Qualche luce di servizio illumina il pavimento, per evitare il pericolo di inciampare in giro.

Come speravo, c'è ancora il buffet apparecchiato sul tavolo.

Non so se sia per la colazione di domattina, o se sia normale che ci sia del cibo a tutte le ore del giorno e della notte.

Afferro qualche pezzo di pane e del rosbif freddo e lo divoro in un boccone.

Mi sembra la cosa più buona del mondo.

Forse assaggerò anche la torta al cioccolato.

- Ciao. -

Oddio, ma non è possibile. Questa qui deve avere una specie di sensore che le dice in ogni momento dove mi trovo.

Ria si avvicina al tavolo.

Si versa un bicchiere di vino bianco che fa girare a lungo nel calice.

Vorrei non dire che la sua presenza mi stuzzica, soprattutto adesso.

Indossa solo l'intimo, e una vestaglia, trasparente, che se non avesse avuto, sarebbe stato uguale.

Ha proprio un bel corpo.

- Cosa ti porta qui a quest'ora della notte? Non riuscivi a dormire? -

- No, ho saltato la cena, avevo voglia di mangiare qualcosa. -

Non so come ho fatto a rispondere, con il groppo alla gola che mi soffoca.

- Capisco. - fa lei, sorniona - Io mi sentivo così sola nel mio scompartimento... -

- Mi dispiace. -

Ride.

- Mi piaci quando fai finta di non capire. - si avvicina, mi poggia una mano sul petto - Sei così carino. -

Mi faccio un po' indietro. La testa mi gira come una trottola.

Non che io faccia finta di non capire, è che non posso proprio capire.

Che diavolo vuole da me? Spera di farmi cadere tra le sue braccia, così sarà più facile farmi fuori?

Posso immaginarla tranquillamente mentre seduce quelli del Distretto 1 e 2 e li obbliga a uccidersi a vicenda per lei.

È questo il personaggio che lei porterà in scena di fronte alle telecamere? La vedova nera?

Eppure mi era sembrato di sentir dire altro, a mio padre, sulla sua linea di comportamento.

Mi getta le braccia al collo e si stringe a me. Sento il suo seno schiacciarsi al mio petto, mentre il cuore abbandona la sua sede, per trasferirsi nelle zone basse.

- Mi fa impazzire che non mi guardi. - sussurra. Si fa sempre più vicina, sento il suo profumo, e il suo respiro sul mio viso - Non l'hai mai fatto. Io, invece, ti guardo da sempre. -

L'afferro per le spalle e l'allontano. Non la voglio vicina al mio corpo neanche per sbaglio.

- A che gioco stai giocando? -

I suoi occhioni languidi non mi dicono niente, e comincio a sentirmi confuso.

- Nessun gioco. - mi sorride - Mi piaci un casino. -

E che dovrei fare? E che dovrei dire?

Non sarebbe neanche la prima volta; anche se Bill non lo sa, e mi crede ancora bianco e puro come il completo che indossiamo alla Mietitura e...

Ma che cosa sto pensando.

Ho tra le braccia una ragazza che dovrò uccidere con le mie mani se voglio tornare a casa vivo e vegeto, e sto pensando a mio fratello e alla sua verginità e alla mia che non c'è più e a lei che non so che cosa voglia da me, o meglio, so che cosa vuole da me ma...

Non sapevo che i baci funzionassero anche per zittire i pensieri; ora lo so, perché le labbra di Ria che si poggiano sulle mie hanno la forza di togliere la voce a qualsiasi cosa io stessi pensando prima.

Oddio, dovrei allontanarla, dovrei...ma proprio non ci riesco.

Le mie mani scivolano senza pensarci sui suoi fianchi. La biancheria che ha addosso è troppa, troppa, dovrebbe togliersela, subito!

Mi spinge sul tavolo, sento tutti i piatti che si fracassano a terra, e qualcosa di appiccicoso e poco piacevole che mi si spalma sulla schiena. Che fosse la famosa torta al cioccolato?

Ria si mette cavalcioni su di me e mi bacia ancora, e il pensiero della torta al cioccolato spiaccicata sulla mia schiena sbava nella mia mente e scivola via.

Si slaccia il reggiseno e rimane nuda.

Ok, tanto lei deve morire, che male c'è a farsi una scopata e via?

Posso pensare a come ucciderla più tardi, quando saremo nell'Arena. Ora come ora, va bene così.

 

Qualche ora dopo, vengo svegliato dalle urla poco gentili di una cameriera.

Non riesco bene a capire perché, ma quando metto a fuoco il mio corpo nudo sul tavolo, contornato di intrugli vari, tra cui anche la torta al cioccolato (sì, ce l'ho tutta sulla schiena).

Cercando di coprirmi, mi agito troppo e finisco col cadere giù dal tavolo, e picchiare forte il fondoschiena a terra.

Mi sfugge un'imprecazione di dolore mentre la cameriera fugge, in preda all'isteria.

Sotto il tavolo trovo i miei pantaloni e la maglietta, che uso per coprirmi almeno le parti intime.

Non c'è traccia di Ria, da nessuna parte.

Certo, avrà aspettato che l'orgasmo mi facesse crollare per svignarsela e lasciarmi qui come un deficiente.

Dato che non arriva nessuno, mi alzo di corsa e torno nel mio scompartimento, chiudendo a chiave la porta.

Ho bisogno di una doccia, una lunga, lunghissima doccia.

 

Diverse volte vengono a bussare alla mia porta, ma non apro a nessuno.

Quando è mio padre a farlo, mi sale il panico e corro a girare la chiave nella toppa per dare un'altra mandata, ma come uno stupido sbaglio, e invece di chiudere, apro.

Mio padre entra come una furia dentro lo scompartimento, mi afferra per la collottola e mi sbatte contro il muro.

- Ma che diavolo ti è saltato in mente! -

Urla, non l'ho mai visto tanto arrabbiato prima d'ora.

- Niente, è stato un incidente! -

Lo schiaffo mi arriva inaspettato, e mi brucia l'orgoglio ancor prima che la pelle.

- Sei uno stupido avventato. - sembra privo di forze. Si passa una mano sul viso. - Se devi...se devi fare certe cose...almeno falle nella tua stanza! Hai messo in subbuglio tutto il treno. - comincia a fare avanti e indietro; lo osservo da un angolo, temo che abbia voglia di uccidermi con le sue mani - I camerieri parleranno di certo. - fissa gli occhi nei miei - Se dovesse uscire qualcosa su questa storia, proveremo a girarla a nostro favore. -

Insomma, per una scopata, quante storie. Vorrei dirglielo, ma penso di avere rovinato tutto il suo piano.

Forse sperava che il mio visetto d'angelo facesse impietosire qualcuno che pagasse perché tornassi vivo a casa. Che l'idea del mio cuore dolce ammorbidisse gli sponsor. Ma questo, sarebbe successo solo se fossi stato single e disponibile, libero come l'aria, abbordabile idealmente da ogni ragazza, donna, vecchia con il portafogli stracarico di soldi.

Ma se fossero venute a sapere quello che era successo sul treno, le cose cambiavano. Non ci sarebbe stato più niente di angelico, nel mio viso, in quel caso.

- Va bene, lasciamo perdere. Non parlarne, mai. E speriamo che Ria non se lo lasci sfuggire. - lo dice come se sapesse già che fosse una cosa impossibile - Siamo quasi arrivati a Capitol City. -

Riesco solo ad annuire, mentre lui esce e mi lascia solo con il mio errore.

Il treno intanto comincia a rallentare, si sente il rumore dei freni che cominciano ad azionarsi.

Fuori dal finestrino, il mondo viene ingurgitato del buio, fagocitato dalla lunga galleria scavata nella montagna che porta alla città.

Rimango incollato con il naso al vetro, contro ogni mio desiderio.

Ma voglio vederla in faccia Capitol City, voglio che mi parli, voglio vedere i suoi occhi.

Il treno cammina ormai a passo d'uomo; esce dalla galleria e mi ritrovo davanti l'abbagliante sfarzo di una città di cristallo, in cui camminano pittoreschi personaggi usciti dai libri.

Rimango a bocca aperta.

Poi il treno entra in stazione, e nasconde la città.

Su un grosso cartello luminoso si legge la scritta “Capitol City”.

Capitol City, bello” comincia la mia vocina interiore “ultima fermata.”

Raggiungo mio padre, Ria e Tizio.

Fuori dal treno, sulla banchina, si è radunata tanta folla che sembra l'accoglienza per una super star.

Ci sono fotografi, e telecamere ovunque.

Riconosco anche il giornalista del telegiornale della sera in mezzo a tutte le altre facce.

Non so se sentirmi onorato o schifato da quest'accoglienza.

Come fanno tutte queste persone ad idolatrarmi così quando sanno che mi vedranno morire, in modo violento probabilmente?

È l'idea delle mie budella sparpagliate in giro che li esalta così tanto?

Probabilmente, le persone comuni che abitano a Capitol City non hanno ben capito cosa sono gli Hunger Games.

Provo un po' di pena per loro, anche se sono io che sto andando a morire per colpa loro.

Mio padre mi poggia una mano sulla spalla.

- Sorridi, sorridi sempre, più che puoi. Anche quando non ti sembra che ti stiano riprendendo. E saluta, mostrati entusiasta. -

Gli lancio un'occhiata da che-ti-sei-bevuto; poi ricordo che per colpa mia potrebbe saltare l'unico piano che avevamo, e mi sento terribilmente in colpa.

Il treno si infila in un tunnel sotterraneo, e la città, con tutti i suoi abitanti e tutti i suoi fotografi, sparisce.


The Corner

Ciao bellissimi,
scusate il ritardo!
ma succede sempre che il giovedì ho qualche impegno che mi impedisce di postare .-.
ieri la colpa va a mio cugino che si sposa e che è venuto a casa a cena per portare la partecipazione!
è stata una giornata di pulizie generali in casa ahahahah
comunque sia, buona lettura, e a giovedì prossimo!
Chii

   
 
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