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Autore: Frytty    17/05/2013    4 recensioni
Solephine non ha mai smesso di credere nel futuro.
Quando la incontra, Robert capisce che il suo futuro è lei.
Stanno per coronare il loro primo anno di matrimonio con la nascita di un bambino, quando Solephine rimane coinvolta in un incidente stradale, entrando in coma.
Robert si trova in una situazione in cui non ha mai pensato di potersi trovare: solo, costretto a crescere un bambino che non sa se vedrà mai la mamma, ossessionato dal pensiero che Sole possa non svegliarsi più, troppe cose da fare, mille altre da gestire, emozioni da tenere a freno.
Dal Prologo
Non potevo sapere che avrei fatto bene ad essere spaventato; non sapevo che, quando il telefono era squillato ed io avevo letto il nome di mia madre, la mia vita non sarebbe stata più la stessa. D’altronde, come potevo?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera!

Finalmente sono libera (soltanto per una settimana, però :/) dall'incombenza di libri da studiare e riassunti da fare, perciò credo che, vista la ruota fortunata, mi avventurerò per buona parte (corsi universitari permettendo) nei meandri di questa Ff, cercando di recuperare tutti i miei ritardi, ahimè.

Comunque, bando alle ciance, vi parlo del capitolo; innanzitutto, vi dico che è presente il secondo flash-back della coppia e che, come ho già detto a qualcuna di voi nelle recensioni, ce ne sarà uno in ogni capitolo (non escludo possano essere anche due, dipende dal capitolo) e che spero possano aiutarvi a comprendere meglio i protagonisti della Ff, Solephine e Robert e il loro rapporto; poi che non mi sono affatto documentata sulla professione di Jack, ho soltanto preso come modello di riferimento, il figlio di un collega di mia madre che fa un lavoro simile ed è costretto a viaggiare in giro per il mondo, spesso senza cellulare, rete telefonica e via dicendo, mezzo isolato da tutti, insomma, quindi, se voi siete più informate di me e notate incongruenze, basterà segnalarmelo e riparerò al danno :); entra in gioco Kristen, anche se ancora non è ben definito il suo ruolo e sono curiosa di conoscere le vostre supposizioni al riguardo; fattore temporale da tenere presente: sono trascorse già due settimane dalla nascita di James e, quindi, dal coma di Solephine.

Detto ciò, come sempre, ringrazio tutte coloro che hanno recensito, letto, inserito la Ff tra le preferite/seguite/da ricordare: GRAZIE *.* Siete davvero importanti per me, non mi stancherò mai di ripetervelo.

Qualche settimana fa, la gentilissima Thecarnival ha realizzato un trailer per questa Ff, sotto mia richiesta e il risultato è questo qui: Three Stones Trailer. Non è bellissimo? *.* Un grazie doveroso, quindi, anche a lei.

Ok, ho finito di ciarlare, vi lascio al capitolo :)

 

Buon Fine Settimana e, come sempre...

 

 

 

 

 

 

... Buona Lettura! <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Special Needs-Placebo

 

 

 

 

 

3. It's Gonna be Alright 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Prendersi cura di un neonato è maledettamente difficile. Non credevo avrei speso tutte queste energie, soltanto per capire come cambiargli un pannolino e, al tempo stesso, cercare di farlo smettere di piangere.

< Abbiamo quasi fatto, d'accordo? > In realtà, lo sto dicendo più a me stesso, che al bambino, che continua a dimenarsi senza sosta.

Sistemo le linguette adesive e lo sollevo per controllare la mia opera. Sembra perfetto, o perlomeno, qualcosa che ci si avvicina molto.

Gli sistemo la tutina azzurra e lo adagio lentamente nella culla,facendo partire il carillon, un regalo dei miei genitori e di Tom.

Lo osservo socchiudere gli occhi e poi riaprirli, prima di chiuderli definitivamente, i muscoli del suo corpicino rilassarsi in automatico e il respiro farsi più pesante e regolare.

Sorrido, sistemandogli con dolcezza i capelli biondi sulla fronte.

Quasi non ci credo che sia mio figlio, lo stesso che un giorno mi chiamerà papà, a cui insegnerò ad andare in bicicletta e a regalare fiori alle ragazze.

Riavvio il carillon e mi allontano, socchiudendo la porta.

Non riesco a dormire e, da una settimana a questa parte, non sembra essere una novità. Non faccio altro che vagare in casa come un automa, preparare il latte per James, cambiargli il pannolino, farlo addormentare, tentare di coinvolgerlo in qualcosa che non siano i giochi suicidi di Tom e rimanere in forze, mangiando qualcosa.

La mattina presto, quando mia madre arriva con la spesa, esco e guido fino all'ospedale. Saluto Rupert, indosso il camice verde ed entro nel reparto di terapia intensiva. Solephine è ancora lì, immobile, le macchine che registrano i battiti del suo cuore che mi fanno compagnia con i loro bip, e le sue mani fredde.

I suoi colleghi le hanno portato dei palloncini colorati, ma non mi hanno permesso di legarli alla testiera del suo letto, così li ho portati a casa e li ho sistemati nella stanza di James, accanto alla finestra.

Cerco di parlarle di qualcosa di bello, qualcosa che coinvolga anche James, ma, durante gli ultimi minuti, quando so che, da un momento all'altro, Rupert mi richiamerà, avvertendomi che il mio tempo con lei è scaduto, cedo e non faccio altro che ripeterle che mi manca, mi manca il suo disordine sulla scrivania, mi mancano le bozze dei suoi articoli disseminate per casa, mi manca il suo profumo, mi manca fare la doccia con lei, la mattina, preparare insieme la colazione, farle il solletico solo per vederla saltare come una rana, lasciarmi accarezzare i capelli. Mi manca il suo amore, la tenerezza e il calore che le leggevo negli occhi quando parlava di me.

E' in quel momento che le lacrime mi scorrono sulle guance, senza darmi neanche la possibilità di fermarle o di ribellarmi alla loro discesa.

Mi siedo sul divano, unico arredamento che sembra conciliarmi uno stato di dormi-veglia sufficiente per rilassarmi, e mi stropiccio il viso, sbadigliando.

Ho sonno, ma non riesco a dormire. Sembra assurdo.

Afferro il telecomando dal tavolino di vetro di fronte a me e accendo la televisione, cominciando ad evitare i soliti canali di pubblicità e shopping televisivo, cercando qualcosa di interessante; impresa vana e che fallisce quando mi rendo conto che non trasmettono niente di più impegnativo di un documentario sugli orango.

Sbuffo, spegnendo l'aggeggio e afferrando il plaid per coprirmi, quando l'occhio mi cade sull'iPhone che ho abbandonato poco prima sul bracciolo della poltrona.

Lo afferro, illuminandone lo schermo. Cerco la rubrica e, tra i nomi che la affollano, il suo. Probabilmente non dovrei; probabilmente dovrei lasciar vegetare questo cellulare fino a domani mattina sul quel bracciolo; probabilmente dovrei tentare di dormire, prima che James si svegli; probabilmente dovrei smettere di pensare.

Al diavolo! Penso, sfiorando il numero di cellulare comparsomi, attendendo l'avvio della chiamata.

< Sì? Chi è? > Mi risponde al secondo squillo, la voce assonnata.

< Ehm... c-ciao... > Ma cosa diamine mi è saltato in testa? Sono le tre del mattino!

< Robert?!? > Sembra sorpresa.

< Sì, sì, sono io. Scusa l'ora, sicuramente stavi dormendo e ti ho disturbata... > Tento di giustificarmi, cercando di non alzare troppo la voce.

< No! No... cioè, sì, stavo dormendo, ma non importa, hai fatto bene a chiamarmi. Ho saputo da Tom che... beh, di quello che è successo a Solephine... mi dispiace moltissimo, Rob... > Sembra completamente sveglia, adesso.

Dovrei porre fine a questa telefonata; attaccare e basta, fingere di non aver mai chiamato e non so di preciso cosa mi impedisca di farlo, fatto sta' che rimango in silenzio, con il cellulare contro l'orecchio, ad ascoltare il suo respiro regolare.

< Sì... grazie... > Riesco a rispondere alla fine.

< Come stai? > Mi chiede, la voce comprensiva e triste.

Rido, cercando di smorzare la tensione, ma il risultato è qualcosa che inquieta persino me.

< Uno schifo. > Trattengo le lacrime, inquadrando la boccia dei pesci poco distante.

La sento sospirare dall'altro capo del telefono e tirare su col naso, quasi come se stesse sforzandosi anche lei di non cedere alle lacrime.

< Vuoi parlarne? > Sono mesi che non ci parliamo, eppure è al telefono con me, a cercare di rassicurarmi.

< Di cosa dovrei parlare? Del fatto che mi sento una completa nullità, che vorrei che Sole fosse qui, a prendersi cura di James con me, come avevamo progettato di fare, che vorrei essere al suo posto, in quel dannato letto d'ospedale, perché James ha più bisogno di lei che di me? Dovrei parlare di questo? > Sono arrabbiato e frustato anche, ma, per qualche strana ragione, la mia voce nasconde solo tristezza e delusione. Dentro mi sento ribollire come un vulcano; fuori, sono solo la stessa persona triste e stanca di qualche minuto fa.

< Sì, beh, di quello che provi. > Risponde e quasi me la figuro alzare le spalle, nel suo modo un po' goffo e infantile, che sa di innocenza.

< Vorrei che fosse solo un incubo, ecco quello che provo. > Sospiro, stendendomi sul divano, osservando il soffitto.

< Vorrei poterti essere d'aiuto. Sai, ne ho parlato con Tom, prima che partisse e... non so, mi è sembrata una buona idea. Voglio dire, se tu vuoi, se te la senti di affidare il bambino a qualcuno che non siano i tuoi genitori o la madre di Solephine... > Non ho bisogno d'aiuto. Ho Tom, i miei genitori, i colleghi di Sole, i nostri amici, Sofia... non ho bisogno di lei.

< Kristen, vorrei che fosse chiaro che la mia telefonata non vuol dire ti perdono. Non ti ho chiamata per discutere vecchie faccende, né tanto meno per chiedere aiuto. Ho pensato che era stato carino da parte tua chiedere informazioni a Tom e mi sarebbe sembrato scortese non ricambiare con una telefonata. Ho scelto l'ora meno indicata, probabilmente, ma... insomma, non vorrei che tu fraintenda questo mio gesto... > Lo dico a bassa voce, come se potesse fare meno male, ma è la verità. Non l'ho chiamata per seppellire l'ascia di guerra, né per ricevere aiuto, né per essere compatito, né per discutere. Sono giorni che non faccio altro che sentire le stesse voci, vedere gli stessi volti, ricevere continui mi dispiace, e avevo voglia di una voce diversa, di parole diverse.

< No, no, certo... non intendevo dire certo che... insomma, lo so. > Risponde precipitosamente e tira su col naso. Forse sono stato troppo duro, forse non avrei dovuto farle presente la brusca fine della nostra relazione.

< Grazie dell'offerta, comunque. E' molto gentile da parte tua. > Continuo, sorridendo appena al buio.

< Sì, già... figurati. > Probabilmente è arrossita e si starà maledicendo per non avere niente di meglio da dire.

< Allora... buonanotte e scusa ancora del disturbo. > Il momento di debolezza è svanito, ora posso anche porre fine a questa conversazione e fingere che non sia mai esistita.

< Buonanotte, Rob. > Mormora.

Abbandono il cellulare sul tavolino di fronte a me e provo a chiudere gli occhi, nella vana speranza di riuscire a prendere sonno.

 

Solephine si voltò nel letto, sbuffando al soffitto. Possibile che, con tutta la stanchezza che aveva accumulato quel giorno, tra riunioni, articoli da redarre e bozze da correggere, non riuscisse a prendere sonno?

Lanciò un'occhiata alla sveglia sul comodino, che segnava le due in punto.

Sbuffò nuovamente, girandosi su un fianco, scontrandosi con il profilo addormentato di Robert: i capelli che gli ricadevano dolcemente sulla fronte, facendolo assomigliare ad un bambino, le labbra appena imbronciate, come se stesse sognando qualcosa di poco piacevole, una mano sotto il cuscino e l'altra abbandonata sulla sua parte di letto, poco distante dalla sua spalla.

Sorrise appena e si fermò a studiarlo con attenzione. I suoi occhi, ormai abituati al buio della camera, riuscivano a carpire ogni più piccolo dettaglio.

Avrebbe dovuto svegliarlo?

Voleva un po' di compagnia, ma, al tempo stesso, le dispiaceva rubarlo ad un sonno così pacifico e tranquillo.

Avrebbe potuto alzarsi e andare a prepararsi la sua solita camomilla, come faceva sempre quando non riusciva a dormire, ma non aveva voglia di scontrarsi con il freddo della casa.

Gli si avvicinò con attenzione, fino a condividere il suo stesso cuscino, sfiorandogli un fianco con la mano, come per abbracciarlo.

Lui parve non rendersene neanche conto, perché continuò a mantenere gli occhi chiusi e la sua solita espressione imbronciata.

Chiuse gli occhi anche lei, avvicinandosi alle sue labbra, sfiorandole con le proprie in un contatto delicato, ma deciso.

Robert socchiuse gli occhi, cercando di inquadrare ciò che lo circondava, rendendosi conto di essere stato svegliato da colei, della quale, in quel momento, riusciva ad intravedere solo gli occhi scintillanti, persino nell'oscurità semi-totale.

Sorrise, richiudendo gli occhi, stendendo un braccio per circondarle la vita e trarla a sé, immergendo il viso tra i suoi capelli profumati.

< Non riesci a dormire? > Le domandò in un sussurro, accarezzandole la schiena.

Lei scosse appena la testa, abbracciandolo a sua volta.

< Troppi pensieri? > Continuò, sospirando di stanchezza e di uno sbadiglio a malapena trattenuto.

Solephine fece spallucce.

< Un folletto ti ha rubato la lingua, per caso? > Scherzò, scostandola appena da sé per osservarla.

Per tutta risposta, Sole la cacciò fuori in una linguaccia, dimostrandogli che ne era ancora provvista, gli occhi velati di sfida.

< Ehi! Birbante che non sei altro! > Le pizzicò un fianco, facendola contorcere per via del solletico che quel semplice gesto le aveva causato.

< No! Il solletico no, non vale! > Quasi urlò, cercando di distogliere le mani di lui dai suoi fianchi sensibili.

< Te lo sei cercata. > Rise lui, capovolgendo le coperte e assediandola, bloccandole i polsi sul cuscino, sostando a cavalcioni su di lei, osservandola ridere e poi sbuffare per far tornare al loro posto due ciuffi di capelli finitili davanti agli occhi.

< Ti arrendi? > Le chiese, non riuscendo a trattenere un sorriso.

Solephine scosse energicamente la testa, mordendosi un labbro, nella speranza di non ridere.

Robert le si avvicinò provocatoriamente, insinuandosi tra le sue gambe schiuse, solleticandole la pelle con il respiro leggermente affannato.

Lo osservò con attenzione in ogni movimento, dubitando della sua resistenza.

Robert raggiunse il suo viso, occhieggiando alle sue labbra piene, pronte ad essere baciate, guardandola poi negli occhi per un istante, prima di baciarle semplicemente un angolo della bocca.

< Ti arrendi, ora? > Le domandò nuovamente.

Pur di non dargliela vinta, scosse ancora la testa, nonostante la voglia di sfiorarlo, di stringere i suoi capelli tra le dita e di baciarlo fino a quando le labbra non le avrebbero fatto male.

Robert continuò il suo percorso lungo il mento, fino a raggiungere la pelle più morbida e sensibile del collo, baciandole la gola e spostandosi verso le clavicole, avvertendo piccoli brividi scuoterla.

< Credi che dovrei prendere sul serio il consiglio di mia madre di andare da un dottore? > Mormorò, accarezzandogli i capelli, osservandolo serio, mordendosi le labbra.

Robert, ancora su di lei, incrociò il suo sguardo e sospirò, chiudendo appena gli occhi, come per concentrarsi meglio.

< Tua madre esagera, come sempre. > Sorrise, baciandole una guancia.

< E se dovesse peggiorare? > Chiese, spaventata.

< Non si muore di insonnia, Sole, e poi è un periodo stressante per te, questo, con tutta quella storia della promozione e della mole di articoli che devi consegnare... ti è già successo, no, di non riuscire a dormire? > Le fece presente, cercando di tranquillizzarla.

< Sì, è vero, mi è già successo, ma è comunque frustrante e contro-producente per il lavoro. > Rispose, sbuffando.

Robert le baciò le labbra a lungo, avido del suo sapore e del suo profumo.

< Vuoi che ti legga qualcosa? > La prese in giro, separandosi da lei e sistemandosi su un fianco. < Bianceneve e i Sette Nani, Cappuccetto Rosso, Pinocchio... hai da scegliere. > Continuò.

< Smettila di prendermi in giro! > Gli tempestò di pugni un braccio, ridendo.

< D'accordo, d'accordo, mi arrendo. > Alzò le mani in segno di resa definitiva, permettendole di accoccolarsi contro di lui.

Le accarezzò i capelli profumati, morbidi e setosi, osservandola chiudere gli occhi e sospirare rilassata.

< Ti amo. > Le mormorò, stringendola a sé.

< Ti amo anch'io. > Sussurrò lei in risposta, sollevando appena il viso e socchiudendo gli occhi, per baciargli il mento, leggera e fugace come una farfalla.

 

Mi sveglio di soprassalto, respirando a fatica, con il pianto di James nelle orecchie. Mi guardo intorno, stropicciandomi il viso, rendendomi conto che è già mattino.

< Ci penso io. > La voce di Tom mi riporta a voltare nuovamente la testa per inquadrarlo mentre entra nella camera del bambino.

Le urla si chetano e Tom ritorna in salotto, James in braccio con le mani in bocca e lo sguardo sveglio e attento.

< Buongiorno! > Tom mi osserva, ma io non riesco a muovermi, non riesco neanche a pronunciare una sillaba.

Mi è appena tornata in mente la telefonata di quella notte a Kristen.

< Rob? Che succede? Sembra tu abbia appena visto un fantasma. > Mi si siede accanto, sistemandosi James tra le braccia.

< Tutto bene, devo... devo essermi svegliato troppo in fretta, tutto qui, mi sono spaventato... > Mento, cercando di sorridere.

James allunga le braccia corte verso di me, lamentandosi e Tom lo asseconda, sollevandolo per tenderlo a me.

< Buongiorno, amore, dormito bene? > Gli bacio una guancia con delicatezza e gli sistemo i capelli biondi, alzandomi in piedi e portandolo con me in cucina, addossato contro la mia spalla.

Cerco di preparargli il latte con una mano sola, cercando di non farmi distrarre dai miei pensieri, quando il telefono di casa suona.

< Tom, rispondi tu? > Alzo appena la voce, affinché mi senta.

< Sì, capo. > Mi risponde, mentre lo immagino tendersi verso l'aggeggio e poi studiare il numero sul display, come faccio sempre io.

La suoneria si interrompe e, qualche istante dopo, i passi di Tom mi raggiungono. Mi volto e lui è lì, che mi tende il telefono.

E' Jack, mi mima con le labbra.

Jack. 

Il fratello di Solephine.

Gli tendo James, anche se lui non sembra contento di separarsi da me e gorgoglia qualcosa di indistinto, niente che una mia carezza non riesca a sistemare, mentre spengo il latte e lascio che se ne occupi Tom, spostandomi verso l'ingresso per rispondere.

< Pronto? >

< Robert, sono Jack. Dio! Vorrei dirti tante di quelle cose... ho appena avuto la notizia da mia madre e mi dispiace, mi dispiace per non esserci stato per tutto questo tempo e... santo cielo! Non riesco a credere che lei... che sia... > E' sul punto di piangere e anch'io.

Jackson, Jack per gli amici, è il fratello adottivo di Solephine. Sofia e suo marito Evan, l'avevano adottato quando lui aveva soltanto tre anni e Solephine pochi mesi. Avevano visitato un orfanotrofio della zona in cui abitavano, per caso, in occasione di una cerimonia di beneficenza a cui erano stati invitati e l'avevano scorto in mezzo agli altri bambini, solo e intimorito e avevano capito che non l'avrebbero lasciato lì, spaventato e triste.

Erano riusciti a superare i numerosi controlli e a firmare il modulo di adozione da lì a quattro mesi e Jack era entrato a far parte, a tutti gli effetti, della famiglia.

Sole lo adorava e, anche se quando era venuta a conoscenza del fatto che non fosse suo fratello di sangue, si era rifiutata di rivolgergli la parola per una settimana, arrabbiata che non glie l'avesse mai rivelato, gli voleva bene e ne aveva sempre parlato con affetto, stima e orgoglio, quella che, solitamente, hanno i fratelli minori nei confronti di quelli maggiori.

Non lo biasimo per non averci raggiunto prima. Jack lavora come ingegnere nucleare presso una famosa azienda australiana ed è costretto ad allontanarsi per molti periodi da New York-luogo in cui ha sede una succursale dell'azienda per cui lavora-e fare tappa in Medio Oriente o dovunque sia richiesto, presso le centrali che reclamano assistenza.

Durante i periodi di lontananza, sua moglie Nuria e la piccola Phoebe, nata da poco più di dieci mesi, si trasferiscono da i genitori di lei, in Oregon, perciò non ho bisogno di giustificazioni da parte loro, so che vorrebbero essere qui, accanto a Sole e a Sofia.

< Non potevi saperlo, Jack, non è colpa tua. > Rispondo, tirando su col naso.

< Prendo un aereo tra venti minuti. Nuria e Phoebe sono già in viaggio per raggiungervi. > Il suo tono risoluto mi tranquillizza.

< Vi aspettiamo, allora. > Sorrido appena.

< Si sveglierà, Robert, ne sono sicuro. Andrà tutto bene. > Continua.

Già.

Continuano a ripeterlo tutti.

 

 

 

 

 

 


   
 
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