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Autore: jas_    17/05/2013    4 recensioni
«Ricordi il giardino di tua madre, te lo ricordi?»
Annuii, «come dimenticarselo» dissi acida, tirando su col naso.
Pierre mi asciugò una lacrima col pollice e mi accarezzò una guancia senza smettere di guardarmi.
«Tu sei come una di quelle primule che io ti ho aiutato a portare in casa quando ci siamo conosciuti, sei bellissima e hai tanto da dare se solo... Se solo riuscissi a tirare fuori il coraggio! Ti nascondi sempre dietro a questi occhi tristi, so che è difficile ma così non fai altro che renderti piccola. Io vedo cosa sei, so il tuo potenziale, sei come una primula in inverno. Fa' arrivare la primavera e sboccia, mostrando i tuoi colori veri.»
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Endless love'
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Capitolo 15



 
La piccola tavola calda dove mi ero data appuntamento con Lou era stranamente semi deserta.
Mi tolsi la giacca e sistemai leggermente la gonna a vita alta che indossavo prima di sedermi ad uno dei tavoli liberi e prendere in mano il menu.
Diedi una breve sbirciata alle insalate che proponevano, alzai distrattamente lo sguardo e quando questo mi cadde su una delle persone alla cassa riconobbi Ryan.
Prima che riuscissi a nascondermi dietro al menu lui mi notò, fece un rapido cenno con la mano al cameriere, che probabilmente stava a significare di tenersi la mancia, e poi si avvicinò rapidamente a me.
«Ciao!» esclamò sorridente, chinandosi per darmi due educati baci sulle guance.
Gli sorrisi riluttante e scambiai il saluto molto freddamente.
Lui si accorse del mio strano comportamento perché aggrottò le sopracciglia lasciandosi andare ad una risatina nervosa, «che c'è?» chiese poi.
Mi strinsi nelle spalle, «come va con mia sorella?» domandai, acida.
Ryan si irrigidì immediatamente alle mie parole, «bene...» borbottò poi insicuro, «perché?»
Mi lasciai andare ad una semplice alzata di spalle prima di guardare nuovamente il menu, in particolar modo la foto di un piatto che mi era saltata all'occhio.
«Così per... Sapere» dissi tranquilla, leggendo gli ingredienti dell'insalata. «È solo che mi è parso strano che Gigì abbia dovuto mentire la settimana scorsa, quando io e mia madre le abbiamo chiesto dove fossi visto che non c'eri a pranzo.»
«Ho avuto da fare» disse lui, rigido.
Alzai lo sguardo verso di lui e mi lasciai andare ad un sorriso tranquillo, «questo non lo metto certamente in dubbio ma sai, quando mia sorella si sente a disagio fa confusione con tutto, e per andare in panico alla semplice domanda "dov'è Ryan?" mi sembra un po' strano... Non trovi?»
Ryan deglutì, e notai le sue mani stringersi in due pugni così stretti che le nocche gli diventarono bianche, andando a contrastare con la carnagione olivastra della sua pelle.
«A meno che tu non abbia un'amante e lei lo sappia...» conclusi, con nonchalance, chiudendo il menu e sorridendogli affabile.
In quel momento la porta del locale si aprì, e vidi Lou guardarsi in giro alla mia ricerca.
«Scusa ma ora sarei impegnata» lo liquidai, indicando con un cenno della testa la mia amica che ancora non mi aveva trovata.
«Posso parlarti?» domandò, quasi disperato, Ryan.
Lo guardai indecisa, perché avrebbe dovuto volermi dire qualcosa? Se c'era qualcuno con cui doveva parlare, questa persona era Gigì, non di certo la sottoscritta.
«Okay» gli concessi con una smorfia non molto convinta.
Ryan annuì velocemente, «stasera alle nove a casa mia, sii puntuale» stabilii decisa, prima di liquidarlo con un cenno della mano.
Nell'istante in cui Ryan se ne andò, con la cosa tra le gambe, Lou mi vide e si avvicinò a me con un sorriso a trentadue denti dipinto sulle labbra.
«Allora, com'è?» domandò entusiasta, sedendosi di fronte a me e guardandomi in attesa di informazioni.
«Normale, stavo solo parlando con Ryan, stasera ci vediamo.»
«Ma che Ryan! Io voglio sapere di Pierre!» esclamò Lou, «ma... Aspetta un attimo. Che Ryan? Il marito di tua sorella? Perché hai un appuntamento col marito di tua sorella?» squittì allarmata, alzando notevolmente il tono della voce.
«Lou tranquilla non è niente di che» la interruppi prima che iniziasse a farsi troppi complessi inutili. «Credo che tradisca mia sorella, anzi, ormai ne sono certa. Mi ha detto che mi vuole parlare, probabilmente per giustificare la sua infedeltà, non so, ma soprattutto non so perché voglia dirle a me determinate cose quando l'unica persona alla quale deve delle spiegazioni è mia sorella» osservai, pensierosa.
Elouise mi ascoltò in silenzio, annuendo assorta, «forse vuole che tu convinca tua sorella a perdonarlo, non saprei. Purtroppo conosco la psicologia dei bambini, non quella dei trentenni.»
Presi un grande respiro e mi passai una mano tra i capelli, «non so» dissi soltanto.
Rimanemmo entrambe in silenzio per alcuni secondi prima che Lou partisse in quarta con l'interrogatorio che avevo rimandato per troppi giorni secondo i suoi gusti.
«Com'è che stai con Pierre?» domandò, improvvisamente entusiasta.
«Non stiamo insieme» la corressi, «ci siamo solo baciati.»
Elouise sospirò lasciandosi andare sulla sedia e osservando fuori dalla vetrina alle mie spalle con aria sognante, «me lo sentivo io che la scintilla non si era ancora spenta. E com'è? Ha acquisito esperienza il ragazzo oppure... ?»
Guardai Lou smarrita per un attimo prima di capire a che cosa si stesse riferendo, «non abbiamo fatto niente!» esclamai, alzando eccessivamente il tono della voce. «Ci siamo solo baciati! Un semplice e castissimo bacio.»
«Ma non eravate davanti a camera tua?»
Annuii, «e non avete fatto niente?» quasi strillò, incredula.
Scoppiai a ridere e scossi la testa, «niente di niente.»
«Ma almeno vi siete baciati con la lingua? Cioè... Dettagli Lola, voglio dettagli!»
Mi presi un secondo per calmarmi, vedere Elouise agitarsi per così poco mi faceva sempre ridere più del dovuto, e poi parlai.
«Certo che ci siamo baciati con la lingua, secondo te?»
«E poi?»
Sorrisi ricordando il momento, «e poi... Sono andata in camera a dormire, prima che tu inciampassi nel mio letto svegliandomi» la ripresi.
Elouise alzò le spalle, «non l'ho fatto apposta, ma è stata una cosa proprio così spiccia? Non è che mi stai nascondendo qualcosa, vero?»
Sospirai divertita da tutta quella insistenza, «non è successo niente! Davvero Lou! Che motivo avrei di mentirti? Ci siamo baciati, se proprio ci tieni a saperlo lui mi ha palpato un po' il sedere e basta» le concessi, arrossendo lievemente al ricordo.
«Beh, questo è già qualcosa.»
 
Rientrai al lavoro con mezz'ora di ritardo, sgattaiolai alla mia postazione in punta di piedi e tirai un sospiro di sollievo quando mi sedetti sulla mia comoda poltrona senza essere scoperta.
«Roland!» mi sentii chiamare in quel momento dallo studio del capo.
Presi un respiro profondo osservando il mio riflesso nel monitor nero del computer in stand-by e poi mi alzai, sforzando un grand sorriso, e mi diressi nell'ufficio di Alec.
«Mi ha chiamata?» domandai, non appena entrai nella stanza.
Lui annuì pensieroso, «doveva essere buono il tuo pranzo, visto che sei arrivata con trentadue minuti di ritardo.»
Trasalii a quelle parole ed abbassai lo sguardo sulla moquette scura, improvvisamente in imbarazzo. «Mi dispiace» sussurrai, sentendomi le guance andare in fiamme.
«Non c'è problema, non ti ho convocata qui per farti la predica, siediti» mi suggerì, indicando con un cenno una delle due poltrone di pelle posizionate di fronte alla sua scrivania.
Obbedii in silenzio e improvvisamente in ansia, in quattro anni che lavoravo per lui non mi ero mai seduta in una di quelle sedie, e in realtà non ci tenevo nemmeno.
«Venerdì c'è stato il processo, lo sai?»
Annuii sicura, «certo» risposi.
«E la settimana prossima ce ne sarà un altro, l'ultimo.»
«Certo» dissi, e per un attimo mi venne da ridere.
Conoscevo a memoria vita, morte e miracoli dell'imprenditore Wilson, avendo analizzato io tutto il suo fascicolo, eppure non sapevo nemmeno che faccia avesse.
«Il tuo contributo è stato decisivo per tutta la durata della causa, hai trovato gli appigli giusti, piccoli vizi di forma non decisivi ma che hanno comunque fatto in parte cadere le accuse, voglio che continui così, voglio che tu faccia quest'ultimo sforzo per portare a casa una grande vittoria, non solo tua personale ma anche mia e di tutto lo studio.»
Cominciai ad agitarmi sulla sedia nell'udire quelle parole, come osava?
La faccia tosta di quell'uomo era infinita, pensai, non solo mi faceva fare tutto il lavoro sporco ma si complimentava pure perché grazie a me la bella figura ce la faceva lui.
Che soddisfazione personale potevo avere io nel sentirmi sfruttata? Il mio nome non sarebbe comparso da nessuna parte, anche se avessimo vinto quella causa, il mio orgoglio me lo sarei tenuta per me, nessun altro sarebbe venuto a sapere del mio contributo in quella causa.
«Sarai premiata per questo.»
A quelle parole non riuscii a trattenere un ghigno, prima lieve ma che poi si trasformò in una vera e propria risata liberatoria.
Alec mi guardava disorientato e confuso, «stai bene? Vuoi un bicchiere d'acqua?» chiese.
Scossi la testa e cercai di riprendermi ma con pochi risultati, «mi scusi, è che...»
Rimasi interdetta per un attimo, sapevo che se avessi aperto la bocca me ne sarei pentita probabilmente per il resto dei miei giorni ma se non l'avessi fatto...
Cos'avevo da perdere infondo? Facevo la segretaria, ma ero laureata in giurisprudenza, facevo il lavoro di un avvocato ma ero pagata come una semplice assistente. Nulla. Non avevo nulla da perdere.
«Che premio? Un altro plico di documenti più alto di me da analizzare? Un altro weekend passato chiusa in casa tra fascicoli piuttosto che fuori a divertirmi coi miei amici? E per cosa poi, per nessun riconoscimento, per uno stipendio misero, per non assistere nemmeno alla vittoria di una causa per la quale ho lavorato sodo, per passare la mia vita a fare un lavoro quando sono qualificata per farne uno dieci volte meglio? No grazie.»
Alec mi guardava sbigottito, boccheggiò alcune volte, in assenza di qualcosa da dire, e quando la sua bocca si aprì e si chiuse per la quarta volta, in assoluto silenzio, mi alzai.
«Dove stai andando?» mi riprese, ritrovando l'uso della parola quando ero ormai giunta alla porta.
«A prepararle i documenti no di certo» ribattei, arrestandomi per un attimo.
«Ragiona Lola, potresti pentirti di ciò che stai per fare. Ovviamente stai avendo un crollo emotivo, prenditi del tempo per te e rifletti sulle opportunità che questo lavoro ti sta dando, non buttare via quattro anni della tua vita così.»
«Quattro anni sono già spazzatura» spiegai, tranquilla.
Alec rimase in silenzio ma dal modo in cui stringeva le labbra e dal colore che assunse la sua pelle, sempre più tendente al rosso, capii che era infuriato.
«Te ne pentirai!» sbottò poi, alzando notevolmente il tono della voce.
Sorrisi lievemente nel vederlo così alterato per colpa mia, «ma vaffanculo» dissi tranquilla, come se gli stessi dando un consiglio, prima di uscire dal suo ufficio.
Mi avvicinai alla mia scrivania, presi la giacca appoggiata alla sedia e la borsa nascosta dietro al cestino ed uscii dallo studio dell'onorevole Baldwin senza voltarmi indietro. 


 

-




Ueilà!
Scusate per il ritardissimo, non so come farmi perdonare, davvero, ma il prossimo aggiornamento arriverà prestissimo!
Finalmente Lola si è liberata di quell'odioso del suo capo, le cose con Ryan si stanno complicando e per quanto riguarda Pierre, presto ci saranno ulteriori svolte!
Grazie mille per le recensioni e per aver messo la storia tra le preferite, fatemi sapere che ne pensate anche di questo capitolo!
Alla prossima!
Jas




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