Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: E m m e _    17/05/2013    2 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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CAP.5 --> C'E' SEMPRE SPERANZA (ENGI)

Hesediel

Il cielo si faceva sempre più grigio, e le nuvole dense minacciavano pioggia.
L’immagine della struttura in mezzo agli alberi era ancora vivida e pulsante nella mia mente, come il ricordo continuo di un incubo quando ci si sveglia.
Le foglie secche si lamentarono ad ogni mio passo, anime angosciate e morenti.
Capii di dovermi affrettare appena il primo tuono vibrò sopra le chiome delle piante, un ringhio basso che riecheggiò fin dentro di me, fondendosi al battito del cuore, vivo e giovane, ancora libero di pompare il sangue. Il respiro del ragazzo era sempre più fievole, e la pressione del suo peso gravava sulle mie spalle ogni attimo di più. Anche il mio, di respiro, suonava spezzato e pesante, ma non potevo cedere alla stanchezza, non in quella situazione.
Non avevo idea del tempo che avrei impiegato a trovare quel posto, né di quello che rimaneva all’Angelo dalle cicatrici…
Quando riaprirà gli occhi, fece la voce, con il suo tono strascicato, ti ucciderà.
Non le diedi retta, ma parve non interessarle che l’ascoltassi oppure no, perché continuò: Qualunque cosa l’abbia ridotto a quello stato, non era sicuramente sua amica.
E con questo?, le domandai, non riuscendo a trattenermi.
Ma non ci arrivi proprio, tu!, ribatté, con fare seccato.
Continuai a camminare, tacendo.
Si sfogherà su di te, oppure ti porterà dai suo amichetti alati.
E le sue parole rimasero ben incise nella mia mente, come marchiate a fuoco.
Non aveva tutti i torti. Come potevo sapere che era dalla mia parte, contro gli Angeli? Come sapevo che meritava il mio soccorso?
E il mio istinto? Perché non mi ordinava di abbandonarlo lì, in mezzo alle pietre e i rami? Tanto sarebbe stato rintracciato dai suoi alleati, no?
Allora?, cominciavo a non sopportarla più quella dannata voce.
- Non credo sia dalla loro parte.
Bisbigliai e, anche se ciò che dissi non lo pensai mentalmente, rispose: Cosa te lo farebbe pensare?
Sesto senso, feci io, sperando di chiudere lì il discorso, ma, evidentemente, non era della mia stessa idea: Tu sei pazzo… E’ per le ali, vero?
Non risposi.
Solo perché ha delle cicatrici al loro posto non significa niente, affermò.
E, ancora una volta, non aveva torto.
Mi morsi la lingua con forza, non avevo alcuna intenzione di risponderle.
Non era un Angelo! Doveva non esserlo, o ciò che stavo facendo, in quel momento, per lui, perdeva ogni significato, ogni senso.
Gli Angeli hanno le ali, mi auto convinsi.
Sai perfettamente che lo è! Perché menti a te stesso?
Non lo sapevo nemmeno io. Doveva essere così e basta.
Mi fermai, riconoscendo ciò che mi circondava. Era lì. Il posto che stavo cercando era quello, ma mancava qualcosa di importante. Mi guardai intorno, perplesso.
Proseguii per qualche metro, confuso e quasi deluso. Ad un certo punto, gli alberi si interruppero in un’ultima e precisa fila orizzontale, e, davanti ai miei occhi, balzò l’asfalto grigio-piombo di una strada.
Tornai indietro.
Dov’era il convento?
Mi girai intorno, provando a spostarmi prima più verso destra, poi a sinistra.
Anche se non era particolarmente caldo, goccioline di sudore scivolarono giù, lungo le mie tempie.
Ero stanco e dolorante.
Afferrai il polso del ragazzo e cercai il battito cardiaco. Veloce, troppo veloce.
Adagiai il suo corpo inerme su un cumolo di foglie e afferrai una pietra. La strinsi con forza e, gridando di frustrazione, la lanciai lontano.
Niente aveva senso.
Un altro tuono brontolò nell’aria umidiccia e carica di elettricità. Alzai lo sguardo e le prime gocce di pioggia caddero sul mio volto, piccole granate gelide che si scagliavano contro le mie guance.
Portai le mani al capo e urlai nuovamente, desideroso di liberarmi della rabbia repressa.
- Chi sei?
Un uomo uscì da dietro il tronco di un albero. La voce estranea si tramutò in un brivido che corse su, per tutta la mia schiena, disperdendosi tra i miei cortissimi capelli scuri.
L’uomo non dimostrava più di trent’anni, ma, anche se il volto era privo di rughe, i folti capelli mori andavano ingrigendosi in prossimità delle tempie. Lì teneva tirati indietro in uno stretto codino, che rendeva il suo viso più duro e squadrato, e, allo stesso tempo, risaltava i luminosi occhi castani, illuminati da uno strano bagliore.
E in quel momento capii che era un Angelo. Sentivo la sua anima, la luce e l’energia che essa sprigionava.
- Io…
Ma i suoi occhi guizzarono alle mie spalle. Mi voltai. Guardava il ferito e, anche prima che potessi battere ciglio, l’uomo scattò in avanti. Si chinò sul giovane e l’osservò, proprio come un inventore possa rimanere affascinato dalla sua stessa creazione o uno scienziato dalla sua scoperta.
- Cosa vuoi fare?
Ringhiai, quando l’Angelo allungò una mano verso il ragazzo.
- Tranquillo…
Fece lui, lanciandomi un’occhiata da sopra la spalla. Un enorme sorriso gli luccicava sulle labbra.
- Non voglio fargli del male… e nemmeno a te.
Lui sapeva. Aveva capito. Appena i suoi occhi si erano posati nei miei, avevano cominciato a leggermi dentro, a rassegnare ogni mio ricordo. Le torture, gli esperimenti, le iniezioni… Tutto.
Sollevò il ragazzo, come se non ne percepisse il peso, e mi guardò. Guardò me. Ciò che ero stato, ma, soprattutto, ciò che ero adesso.
Deglutii il groviglio di spine che, fin da troppo tempo, era incastrato nella mia gola.
- Sarai al sicuro con noi…
- Noi?
La mia domanda si mescolò con la folata di vento freddo, che percosse gli alberi e accompagnò altre delle loro foglie in un valzer leggero e malinconico, finché queste non caddero a terra, abbandonate al loro destino.
L’Angelo sorrise ancora e un’ondata di calore mi prese tutto lo stomaco.
Lo guardai, interrogativo e lui mi fece cenno di girarmi. Obbedii. Il respiro mi morì sulle labbra.
Il convento si innalzava proprio davanti ai miei occhi, lì, dove poco prima non c’erano altro che foglie secche e rami. Le immense mura in mattone erano ricoperte agli angoli da grovigli confusi di rampicanti, e le ampie finestre lasciavano intravedere parte dell’interno dell’edificio.
Strabuzzai gli occhi, più che stupito.
- Ma come… Da dove… Tu…?
Non riuscivo a formulare la domanda. Ero a corto di parole, tutte mischiate tra loro nella mia testa confusa.
- Benvenuto alla Resistenza.
Provai a trattenermi dallo spalancare la bocca per lo stupore, ma riuscii solo a rallentare la caduta della mascella.
Avevo già sentito quel nome, ricordavo qualcuno che lo sussurrava, che lo ripeteva fino alla nausea come una preghiera. Resistenza… L’unica parola che ai Laboratori ti infondeva un briciolo di speranza. Una sorta di leggenda: nessuno l’aveva mai vista, ma si ostinava a sostenere che esistesse. Gli Angeli subito ci informavano che era cosa vecchia, che chi faceva parte della resistenza era già stato eliminato, tutti sterminato. E io avevo sempre pensato che non esistesse nessun superstite, e chi invece sosteneva il contrario lo faceva solo per non pensare a ciò che li attendeva, che a tutti ci attendeva… Ma adesso ero lì, e davanti ai miei occhi c’era la prova vivente che anche le leggende sono vere. Che c’è sempre una speranza, anche se invisibile.
   
 
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