Come
sempre grazie infinite a tutti!
Buona
Lettura!!
Cap.
26
Edward
«Charlie,
tutte le informazioni sulla compagnia sono
ancora top secret, per motivi di riservatezza. So che è
passata più di una
settimana da quando hai visto Renesmee, ma in questo momento non
è una buona
idea venirla a trovare. Che ne dici se porto lei da te?».
Aveva detto Bella
questa mattina dopo l’ennesima telefonata di Charlie.
Solitamente era molto
restia nel portare Renesmee a giro per Forks, troppi occhi indiscreti
in una
cittadina così piccola; ma oggi sembrava quasi impaziente di
potersi assentare
da casa.
A
dire il vero erano già diversi giorni, per
l’esattezza da quando Alice e Jasper ci avevano lasciati, che
ogni tanto notavo
un comportamento scostante: più volte l’avevo
vista al computer, sembrava
sempre impaziente, tesa e sul chi vive tanto che ebbi
l’impressione che la
telefonata di Charlie fosse stata accolta come la manna dal cielo.
Ero
più che convinto che Alice, in qualche modo, fosse
responsabile di tutto ciò, ma se Bella non mi aveva reso
partecipe sicuramente
era per un ottimo motivo.
DOVEVA.ESSERE.PER.FORZA.COSI’.
Ciò
non toglieva che fossi in ansia.
Saperla
a giro chissà dove senza poterla proteggere mi
faceva letteralmente impazzire, senza contare che non sopportavo ci
fossero
segreti tra noi. Sicuramente erano a fin di bene, ma erano pur sempre
segreti.
Bella
non sapeva mentire e di ciò era perfettamente
cosciente, questo rendeva questa farsa ancora più irritante
… immaginavo che il
copione prevedesse che dovevo far finta di crederle, ed io lo stavo
rispettando
… ma a quale prezzo? … ci restava talmente tanto
poco tempo … perché dovevamo
sprecarlo così?
Jacob
sarebbe andato con loro. Gli chiesi di fare
qualche domanda …
La
scusa ufficiale per uscire da casa, fu che portare
un umano in una casa con ventisette vampiri “male
assortiti”, per dirla con le
sue parole, non era una grande idea.
Non
potei darle torto.
Avevano
giurato di non uccidere nessuno nel raggio di
cinquecento chilometri, ma era meglio evitare di servirgli lo spuntino
su un
vassoio d’argento.
Riuscivamo
a convivere più o meno pacificamente anche
se in ogni momento una qualsiasi sciocchezza poteva far accendere la
miccia.
I
più strani e insondabili erano i rumeni. Nessuno li
aveva invitati ma avevano deciso di sposare la nostra causa:
l’atavico
risentimento che covavano nei confronti dei Volturi li avrebbe spinti
ben oltre
una semplice testimonianza. Non mi piacevano, e non soltanto a me; come
non mi
piaceva che si fosse sparsa la voce che stessimo reclutando un esercito
per
dare battaglia ad Aro e il suo seguito. Non era vero e Dio solo sa come
stavano
elaborando la cosa a Volterra. Poi c’era Amun, era rimasto
solo per compiacere
Benjamin e ogni stupidaggine era buona per polemizzare sulla situazione
e
tentare di convincerlo a tornare in Egitto … al sicuro
… fondamentalmente
voleva tenere il suo pupillo lontano da occhi indiscreti e ingordi,
come quelli
di Aro. Poi c’era Alistair, sebbene se ne stesse la maggior
parte del tempo
chiuso in soffitta, non perdeva occasione, ogni qualvolta decideva di
omaggiarci
con la sua presenza, di
renderci partecipi delle
sue rimostranze nei nostri confronti, illuminandoci dettagliatamente su
come
sarebbe stata la nostra fine.
Questa
convivenza semi pacifica non sarebbe durata a
lungo …
Speravo
solo che resistessero qualche altro giorno,
ormai eravamo agli sgoccioli. Mancavano solo un paio di settimane a
Natale poi
avremmo affrontato il nostro destino.
J.
Jenks
Stravaccato
sul divano con April che mi massaggiava la
schiena, questo era il miglior modo di affrontare un pomeriggio noioso.
Non
avevo in programma nessun appuntamento, le consegne erano state
effettuate, ero
in ufficio solo per proforma … e le mani di April erano un
toccasana … avrei
dovuto invitarla a cena prima o poi … magari poi avremmo
potuto riprendere il
discorso da me …
Inaspettatamente
il telefono di emergenza squillò.
Guardai
stranito il Display e imprecai dentro di me. “Perché
lo avevo assunto? PERCHÈ???” …
a quanto pareva per Max non era chiaro il
concetto di: “Lasciami un’ora di
pace!”
«…
E che diavolo! Possibile che Max non riesca a
capire il significato della parola EMERGENZA?!?!». Grugnii ad
alta voce vedendo
l’ennesima chiamata di colui che doveva fare da filtro tra
me, i miei clienti,
ed il resto del mondo. Non aspettavo nessuno quel pomeriggio, quindi
chiunque
mi stesse cercando faceva parte della categoria “resto
del mondo”… e per
lui il “resto del mondo” era
un’entità astratta. Scocciato, risposi alla
chiamata.
April
sgattaiolò fuori dalla stanza.
«Ehi
J., sono Max. So che devo chiamarti a questo
numero solo in caso di emergenza ...».
Esclamò tutto
d’un fiato.
«C'è
un'emergenza?» chiesi immaginandomi
l’entità del
problema.
«Be',
non proprio. C'è una ragazza che vuole
vederti...»
Appunto.
Avevo
assunto un idiota, ormai ne ero certo.
«Non
capisco che emergenza c'è. Perché non hai seguito
la procedura normale?».
«Non
l'ho seguita perché lei non mi sembra affatto
normale... ».
Il fatto che non le sembrasse normale era già un
passo avanti, sicuramente non aveva un terzo occhio in fronte quindi
era il
caso di identificare meglio questa stranezza.
«Non
sarà mica uno sbirro?!».
«No...».
«Non
si sa mai. Sembra uno degli uomini di
Kubarev...?»
«No...
fammi parlare, va bene? Dice che conosci sua
sorella, o qualcosa del genere».
«Improbabile.
Lei com'è?».
«È...
Be', sembra una top model, che cavolo, ecco
com'è». “Sei messo maluccio ragazzo mio
se consideri strana una Top Model”
pensai. «Corpo da urlo, pallida come un lenzuolo, capelli
castano scuro lunghi
fino alla vita, ha l'aria di aver bisogno di una bella dormita... ti
ricorda
qualcuno?».
«Niente
affatto. Non mi fa piacere che, a causa del
tuo debole per le belle donne, tu abbia interrotto... ».
«Sì,
va bene, mi piacciono le ragazze carine, e
allora? Che male c'è? Mi spiace di averti disturbato, bello.
Lasciamo perdere».
Stavo per chiudere quell’insulsa telefonata quando «Ah,
giusto.
Aspetta», disse Max. «Dice che
si chiama Bella Cullen. Ti ricorda
qualcosa?».
Il
sangue mi si gelò nelle vene. Non conoscevo molti
Cullen … a dire il vero ne conoscevo parecchi, ma
personalmente, uno solo e
pensandoci bene poteva benissimo somigliare alla descrizione della
donna che
Max mi aveva appena fatto …
Jasper
Cullen non poteva considerarsi una persona per
bene; non mi aveva mai fatto nulla di male e pagava sempre
profumatamente per i
miei servizi ma quando si avvicinava avvertivo nell’aria una
tensione che
lentamente si tramutava in terrore. Sì, quell’uomo
mi trasmetteva terrore. Più
di una volta avevo temuto volesse sbranarmi …
chissà cosa di lui riusciva a
tormentare così il mio subconscio …
In
quel preciso momento realizzai che un suo “parente”
mi stava attendendo e tutti i peli del mio corpo scattarono
sull’attenti.
Questo
evento era molto più che un’emergenza!
«BRUTTO
PEZZO D’IDIOTA!!! DOVEVI DIRMELO SUBITO!!! TI
RENDI CONTO DI COSA HAI FATTO!?!?!?! IN VECE DI TANTI GIRI DI PAROLE
PERCHE’
NON HAI DETTO SUBITO IL SUO NOME!!!!! CRETINO!!!!»,
«Non
te l'ho detto perché non me l'hai chiesto!»,
farfugliò in preda al panico Max.
Presi
un profondo respiro e cercai di darmi un
contegno.
«Carina
e pallida?»
chiesi
cercando di sembrare più calmo.
«Te
l'avevo detto, no?».
«RAZZA
DI INCAPACE!!! TU NON HAI NEMMENO IDEA DEL
GUAIO IN CUI MI HAI CACCIATO!!! È UNA CULLEN CAPITO?!?!?!
UNA CULLEN!!!!!».
«Ma
il giovedì incontri solo i clienti del centro...».
«È
UNA CULLEN!!!!! IDIOTA!!! FALLA VENIRE SUBITO DA
ME!! SPIEGALE LA
STRADA E CHE NESSUNO CI
DISTURBI!! CI SIAMO INTESI!?!?!? METTITI DI GUARDIA ALLA PORTA E NON
MUOVERTI
DI Lì!!».
«Va
bene, va bene! Mi ci metto subito». Farfugliò
e chiusi la chiamata.
«April!,
», strillai perentorio nell’interfono. «
Fra
poco deve arrivare una certa signora Cullen. La faccia entrare subito
da me. Ha
capito? Non importa se m'interrompe.», Gridai nervoso.
«È
proprio qui»,
rispose.
«Come?
La faccia entrare! Cosa sta aspettando?»,
«Subito,
signor Scott!».
«Prego»,
dissi, facendola accomodare.
Dio
mio!
Era
da levare il fiato.
Come
faceva una donna simile ad aver sposato il signor
Jasper …
«Si
chiuda la porta alle spalle», le ordinai, e con le
gambe che mi tremavano dal terrore, mi alzai dalla poltrona e le porsi
la mano.
«Signora Cullen. È davvero un piacere».
«Signor
Jenks. O preferisce che la chiami Scott?». Mi
salutò cordialmente lei … stessa temperatura
corporea … stesso pallore … ma
molto più affabile. Almeno al primo impatto.
«Come
desidera, naturalmente».
«Che
ne dice se lei mi chiama Bella ed io, la chiamo
J.?».
«Come
vecchi amici», “Ovviamente”
e cercando di
tamponare la sudarella che questi incontri sempre mi causavano le feci
cenno di
accomodarsi ed io feci altrettanto.«Devo proprio
chiederglielo: sto facendo
conoscenza, finalmente, con l'adorabile moglie del signor
Jasper?».
«Con
la cognata, a dire il vero». Rispose dopo un
attimo di esitazione.
“La
cognata … cosa diavolo sta succedendo … non
è mai capitato che altri
membri della famiglia richiedano i miei servizi personalmente
… di solito passa
tutti tramite il Sig. Jasper … a meno che
…” «Il
signor Jasper
sta bene, immagino?» chiesi, cauto.
«Gode
di ottima salute. Al momento si è preso una
lunga vacanza».
“Si
… certo … una vacanza …”
«Per
l'appunto. Avrebbe dovuto venire nel mio ufficio principale. Le
segretarie
l'avrebbero condotta direttamente da me, facendole evitare canali meno
ospitali».
La
donna annuì.
«Be',
comunque, ora è qui. Cosa posso fare per lei?».
«Documenti»,
disse telegrafica.
«Ma
certo», risposi all’istante. «Parliamo di
certificati di nascita, di morte, patenti, passaporti, tessere
sanitarie...?».
«Due
certificati di nascita, due passaporti, una
patente», disse prontamente ma con un fil di voce, una nota
di nervosismo la
tradì … cosa c’era dietro.
«A
nome di chi?».
«Jacob...
Wolfe. E... Vanessa Wolfe». Mormorò come se
non fosse pronta per dare quella risposta.«E i secondi
nomi?». Chiesi
ostentando indifferenza, mentre prendevo nota.
«Si
inventi lei qualcosa di generico.»
«Come
preferisce. Le età?»
«L'uomo
ha ventisette anni, la bambina cinque.»
“Mai
fatti documenti per un bambino …”
«Se preferisce
dei documenti completi, mi servono le foto», chiesi
titubante. «Di solito il
signor Jasper li finiva personalmente».
«Aspetti
un attimo», rispose frugando nel portafoglio
e porgendomi poi una foto. «Ecco».
Un
ragazzo di chiare origini native americane e una
bambina … cosa avevano a che fare con questa famiglia?
«Sua
figlia le somiglia molto». Chiesi per sondare il
terreno
«Somiglia
di più a suo padre». Rispose in fretta e
furia.
“Bene
… almeno è sua figlia …” «Che
non è
quest'uomo». Mormorai sfiorando l’immagine del
pellerossa.
L’espressione
della donna cambiò, e qualcosa dentro di
me mi suggerì di non indagare oltre. «No.
È un carissimo amico di famiglia».
Rispose con una strana inflessione della voce.
«Scusi»,
borbottai e continuai a prendere appunti.
«Quando le servono i documenti?».
«Ce
la fa in una settimana?».
“Devono
essere veramente nei guai.”
«È un ordine
urgente. Costerà il doppio... anzi no, scusi. Mi sono
dimenticato che stavo
parlando con lei». Mi corressi immediatamente pensando al
Sig. Jasper
«Mi
dica la cifra».
Più
che lampante che non fosse pratica di certe
trattative, e senza pormi ulteriori problemi scrissi la cifra su un
bloc notes.
Annuì
senza battere ciglio. «Ecco». Disse
snocciolandomi sulla scrivania una dietro l’altra piccole
mazzette da
cinquemila dollari.
«Ah,
Bella, non occorre che mi dia subito tutta la
somma. Di solito il cliente ne conserva la metà per
garantirsi la consegna».
Era più che evidente che il sig. Jasper non aveva avuto modo
di istruirla a
dovere su come si svolgevano certi tipi di trattative …
questa donna doveva
essere veramente disperata.
«Ma
io mi fido di lei, J. E poi, le darò un bonus: la
stessa cifra appena ricevo i documenti». Rispose sorridendo
dolcemente e
qualcosa in lei mi rattristò.
«Le
assicuro che non è necessario».
«Non
si preoccupi». disse. «Ci vediamo qui la
settimana prossima alla stessa ora?».
«A
dire il vero, preferisco svolgere certe transazioni
in luoghi che non abbiano a che fare con il mio impiego
abituale». “Ed è
sempre meglio assicurarsi qualche testimone prima di sparire nel
nulla.”
«Capisco.
So già che non mi sto comportando come lei
si aspettava».
«Sono
abituato a non avere aspettative quando si
tratta della famiglia Cullen». Il Signor Jasper era una
persona alquanto
imprevedibile «Vediamoci alle otto fra una settimana al
Pacifico, va bene? Si
trova sul lago Union e si mangia divinamente». Non so
perché ma questa donna in
certi momenti riusciva a turbarmi più di suo cognato.
«Perfetto».
Esclamò alzandosi e porgendomi nuovamente
la mano. «Avrà grossi problemi a rispettare la
scadenza?» chiese tradendo una
certa ansia.
«Come?».
Chiesi preso alla sprovvista da
quell’insolita domanda. «La scadenza? Oh, no. Non
si preoccupi. Le farò avere i
documenti in tempo, di sicuro».
«Ci
vediamo fra una settimana, allora». E chiudendosi
dietro la porta sparì.
Come
sollevato da un peso, mi accasciai sulla
poltrona.
«Speriamo
solo che non siano invischiati in un
traffico di minori …» borbottai tra me e senza
perdere tempo mi misi al lavoro.
Edward
Quel
pomeriggio sembrò infinito … Jacob mi aveva
mandato un messaggio, Isabella non si era fermata con loro da Charlie,
ma non
ne ero per niente stupito, già immaginavo sarebbe andata
così.
Aveva
alcune commissioni da fare, aveva detto.
Di
più non era riuscito a sapere.
Ormai
erano quasi le nove di sera … e oltre
all’agitazione che quest’ assurdo comportamento mi
stava dando, avevo dovuto
anche far buon viso a cattivo gioco alla marcatura a uomo che Tania mi
aveva
fatto tutto il pomeriggio. Apertamente non osava dire niente ma i suoi
pensieri
tradivano ancora risentimento nei confronti di Bella, e sapeva
benissimo che
non erano un mistero per me. Senza contare i voli pindarici che per
tutto il
giorno avevano fatto i miei di pensieri … ero arrivato
persino a pensare che si
stesse mettendo in contatto da sola con i Volturi per immolarsi
spontaneamente
in nome di tutti … il suo spirito da crocerossina ne sarebbe
stato
perfettamente capace. Era preoccupata di non riuscire a gestire il suo
scudo,
era ossessionata dal pensiero di non essere in grado di proteggerci
tutti, che
il suo potere avesse delle falle, per il solo motivo che Renesmee
riusciva a
escluderlo.
Onor
del vero anch’io avevo riflettuto a lungo su
questa curiosa circostanza, con Bella avevo cercato di mantenere la
calma per
non gravarla di nuove preoccupazioni e angosce, ma non ero convinto al
cento
per cento della giustificazione che le avevo dato. Secondo la teoria di
Carlisle sembrava che il dono di mia figlia facesse esattamente
l'opposto di
ciò che ero in grado di fare io, dopo un’attenta
riflessione ero propenso a
credere che facesse lo stesso con il dono di Bella ovvero riusciva a
entrare
nella mente di tutti, al contrario di sua madre che bloccava tutti
all’esterno,
era pertanto impossibile che qualcuno bloccasse il flusso dei suoi
pensieri una
volta che aveva deciso di mostrarli … se così
fosse stato sarebbe bastato che
Aro ci concedesse il beneficio del dubbio per lasciarla spiegare e
forse … ma
non era comunque detto che accettasse la nostra versione dei fatti
… c’erano
troppi SE in quel
ragionamento … era meglio non
covare inutili speranze … e per mettere un freno a tutto
quell’inutile
rimuginare cercai una valvola di sfogo nel pianoforte … era
da quando Alice se
n’era andata che non mi ero più avvicinato ai suoi
tasti d’avorio … tutto
quello che ne uscì fu solo l’espressione della mia
struggente malinconia, la
melodia esprimeva solitudine, abbandono, queste erano le uniche
sensazioni che
riuscivo a trasmettere, fino a quando dal fondo del viale riconobbi il
motore
della Volvo.
Fu
come rivedere la luce dopo secoli di tenebra.
In
un attimo fu davanti a casa, in quello stesso
istante le mie mani decisero spontaneamente di darle il benvenuto e
tutta la
tristezza che fino a quel momento avevano suonato
si trasformò in quell’istante nel dolce suono
della ninna nanna che avevo
composto per lei
più di un anno prima … Mi era
mancata … volevo che lo sentisse …
«Bentornata
a casa», la salutai, senza smettere di
suonare, appena apparve sulla soglia di casa «Ti sei
divertita oggi con
Charlie?» chiesi mantenendomi fedele al mio copione.
«Sì.
Scusa se sono stata via così tanto. Sono uscita a
comprare un po' di regali di Natale per Renesmee. So che non
festeggeremo in
grande stile, però...». Rispose stringendosi nelle
spalle.
“… Natale
…”
pensai smettendo di suonare. “Non lo festeggeremo
nemmeno quest’anno …” Per un
motivo o per un altro non eravamo mai riusciti
a festeggiarlo insieme … Quest’anno,
però c’era Renesmee … lei meritava di
avere dei ricordi … potevano essere gli unici che avrebbe
mai avuto «Non ci
avevo pensato granché. Se vuoi proprio festeggiarlo in
grande stile...» le
dissi attirandola a me, incurante del pubblico che avevamo nel salone.
«No»,
m’interruppe con una certa veemenza .
«Semplicemente,
non volevo lasciarlo passare senza farle un regalino».
“… Potrebbe
essere l’unico regalo di Natale che riceverà dai
suoi genitori …”
«Posso vedere?».
«Se
vuoi. È una sciocchezza». Disse frugando nella
borsa «L'ho visto nella vetrina di un antiquario passandoci
davanti in
macchina». E fece scivolare nella mia mano un piccolo
medaglione d'oro.
Era
rotondo, con incisa una bordura sottile di piante
rampicanti. Lo aprii e vidi su un lato lo spazio per una piccola foto e
sull’altro un’incisione: “Plus
che ma propre vie”.
Non
avrebbe potuto essere più appropriata.
«Sai
cosa vuol dire?», le chiesi.
«Il
negoziante mi ha detto che significa qualcosa del
tipo: "Più della mia stessa vita".
È così?».
«Sì,
è vero». Risposi cercando di studiare ogni sua
minima espressione lei finse di guardare la televisione.
“Ti prego non mi
ignorare … non chiudermi l’accesso ai tuoi occhi
…”
«Spero
che le piaccia», mormorò.
«Certo
che le piacerà», risposi cercando di mantenere
naturalezza.
«Portiamola
a casa», suggerii, alzandomi e
circondandole le spalle con un braccio.
Ma
lei esitò.
“Ti
prego amore … ho bisogno di te …”
«Che c'è?»
chiesi.
«Volevo
allenarmi un po' con Emmett...». Farfugliò e
sul suo viso un’espressione colpevole. «Fantastico.
Il bosco ha bisogno di una
spuntatina». Esclamo mio fratello già in
fibrillazione.
Li
fulminai con lo sguardo, prima lui, che ancora non
capiva quando diventava inopportuno, poi lei, che non si rendeva conto
di
quanto mi fosse mancata e di quanto avevo bisogno di lei
«Avete tutto il tempo
di farlo domani» replicai acido.
«Non
essere ridicolo», si lamentò. «Lo sai
benissimo
che non esiste più il concetto di "tutto il tempo". Non
esiste più.
Ho molte cose da imparare e...».
«Domani».
La interruppi perentorio.
E
nessuno dei due insistette oltre.