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Autore: ila74cullen    17/05/2013    3 recensioni
Breaking Dawn lo conososciamo tutti, a raccontarcelo sono stati Bella e Jacob, ma gli altri personaggi che hanno popolato il libro come hanno vissuto la storia? Qual'era il loro pensiero? In questa FF proverò a dare voce, oltre che ad Edward, anche al resto della famiglia Cullen e a tutta una serie di personaggi minori che nel libro originale non hanno avuto molto spazio.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
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Come sempre grazie infinite a tutti!

 

Buona Lettura!!

 

Cap. 26

Edward

 

«Charlie, tutte le informazioni sulla compagnia sono ancora top secret, per motivi di riservatezza. So che è passata più di una settimana da quando hai visto Renesmee, ma in questo momento non è una buona idea venirla a trovare. Che ne dici se porto lei da te?». Aveva detto Bella questa mattina dopo l’ennesima telefonata di Charlie. Solitamente era molto restia nel portare Renesmee a giro per Forks, troppi occhi indiscreti in una cittadina così piccola; ma oggi sembrava quasi impaziente di potersi assentare da casa.

A dire il vero erano già diversi giorni, per l’esattezza da quando Alice e Jasper ci avevano lasciati, che ogni tanto notavo un comportamento scostante: più volte l’avevo vista al computer, sembrava sempre impaziente, tesa e sul chi vive tanto che ebbi l’impressione che la telefonata di Charlie fosse stata accolta come la manna dal cielo.

Ero più che convinto che Alice, in qualche modo, fosse responsabile di tutto ciò, ma se Bella non mi aveva reso partecipe sicuramente era per un ottimo motivo.

DOVEVA.ESSERE.PER.FORZA.COSI’.

Ciò non toglieva che fossi in ansia.

Saperla a giro chissà dove senza poterla proteggere mi faceva letteralmente impazzire, senza contare che non sopportavo ci fossero segreti tra noi. Sicuramente erano a fin di bene, ma erano pur sempre segreti.

Bella non sapeva mentire e di ciò era perfettamente cosciente, questo rendeva questa farsa ancora più irritante … immaginavo che il copione prevedesse che dovevo far finta di crederle, ed io lo stavo rispettando … ma a quale prezzo? … ci restava talmente tanto poco tempo … perché dovevamo sprecarlo così?

Jacob sarebbe andato con loro. Gli chiesi di fare qualche domanda …

La scusa ufficiale per uscire da casa, fu che portare un umano in una casa con ventisette vampiri “male assortiti”, per dirla con le sue parole, non era una grande idea.

Non potei darle torto.

Avevano giurato di non uccidere nessuno nel raggio di cinquecento chilometri, ma era meglio evitare di servirgli lo spuntino su un vassoio d’argento.

Riuscivamo a convivere più o meno pacificamente anche se in ogni momento una qualsiasi sciocchezza poteva far accendere la miccia.

I più strani e insondabili erano i rumeni. Nessuno li aveva invitati ma avevano deciso di sposare la nostra causa: l’atavico risentimento che covavano nei confronti dei Volturi li avrebbe spinti ben oltre una semplice testimonianza. Non mi piacevano, e non soltanto a me; come non mi piaceva che si fosse sparsa la voce che stessimo reclutando un esercito per dare battaglia ad Aro e il suo seguito. Non era vero e Dio solo sa come stavano elaborando la cosa a Volterra. Poi c’era Amun, era rimasto solo per compiacere Benjamin e ogni stupidaggine era buona per polemizzare sulla situazione e tentare di convincerlo a tornare in Egitto … al sicuro … fondamentalmente voleva tenere il suo pupillo lontano da occhi indiscreti e ingordi, come quelli di Aro. Poi c’era Alistair, sebbene se ne stesse la maggior parte del tempo chiuso in soffitta, non perdeva occasione, ogni qualvolta decideva di omaggiarci con la sua presenza, di renderci partecipi delle sue rimostranze nei nostri confronti, illuminandoci dettagliatamente su come sarebbe stata la nostra fine.

Questa convivenza semi pacifica non sarebbe durata a lungo …

Speravo solo che resistessero qualche altro giorno, ormai eravamo agli sgoccioli. Mancavano solo un paio di settimane a Natale poi avremmo affrontato il nostro destino.

 

J. Jenks

 

Stravaccato sul divano con April che mi massaggiava la schiena, questo era il miglior modo di affrontare un pomeriggio noioso. Non avevo in programma nessun appuntamento, le consegne erano state effettuate, ero in ufficio solo per proforma … e le mani di April erano un toccasana … avrei dovuto invitarla a cena prima o poi … magari poi avremmo potuto riprendere il discorso da me …

Inaspettatamente il telefono di emergenza squillò.

Guardai stranito il Display e imprecai dentro di me. “Perché lo avevo assunto? PERCHÈ???” … a quanto pareva per Max non era chiaro il concetto di: “Lasciami un’ora di pace!”

«… E che diavolo! Possibile che Max non riesca a capire il significato della parola EMERGENZA?!?!». Grugnii ad alta voce vedendo l’ennesima chiamata di colui che doveva fare da filtro tra me, i miei clienti, ed il resto del mondo. Non aspettavo nessuno quel pomeriggio, quindi chiunque mi stesse cercando faceva parte della categoria “resto del mondo”… e per lui il “resto del mondo” era un’entità astratta. Scocciato, risposi alla chiamata.

April sgattaiolò fuori dalla stanza.

«Ehi J., sono Max. So che devo chiamarti a questo numero solo in caso di emergenza ...». Esclamò tutto d’un fiato.

«C'è un'emergenza?» chiesi immaginandomi l’entità del problema.

«Be', non proprio. C'è una ragazza che vuole vederti...» Appunto.

Avevo assunto un idiota, ormai ne ero certo.

«Non capisco che emergenza c'è. Perché non hai seguito la procedura normale?».

«Non l'ho seguita perché lei non mi sembra affatto normale... ». Il fatto che non le sembrasse normale era già un passo avanti, sicuramente non aveva un terzo occhio in fronte quindi era il caso di identificare meglio questa stranezza.

«Non sarà mica uno sbirro?!».

«No...».

«Non si sa mai. Sembra uno degli uomini di Kubarev...?»

«No... fammi parlare, va bene? Dice che conosci sua sorella, o qualcosa del genere».

«Improbabile. Lei com'è?».

«È... Be', sembra una top model, che cavolo, ecco com'è». “Sei messo maluccio ragazzo mio se consideri strana una Top Model” pensai. «Corpo da urlo, pallida come un lenzuolo, capelli castano scuro lunghi fino alla vita, ha l'aria di aver bisogno di una bella dormita... ti ricorda qualcuno?».

«Niente affatto. Non mi fa piacere che, a causa del tuo debole per le belle donne, tu abbia interrotto... ».

«Sì, va bene, mi piacciono le ragazze carine, e allora? Che male c'è? Mi spiace di averti disturbato, bello. Lasciamo perdere». Stavo per chiudere quell’insulsa telefonata quando «Ah, giusto. Aspetta», disse Max. «Dice che si chiama Bella Cullen. Ti ricorda qualcosa?».

Il sangue mi si gelò nelle vene. Non conoscevo molti Cullen … a dire il vero ne conoscevo parecchi, ma personalmente, uno solo e pensandoci bene poteva benissimo somigliare alla descrizione della donna che Max mi aveva appena fatto …

Jasper Cullen non poteva considerarsi una persona per bene; non mi aveva mai fatto nulla di male e pagava sempre profumatamente per i miei servizi ma quando si avvicinava avvertivo nell’aria una tensione che lentamente si tramutava in terrore. Sì, quell’uomo mi trasmetteva terrore. Più di una volta avevo temuto volesse sbranarmi … chissà cosa di lui riusciva a tormentare così il mio subconscio …

In quel preciso momento realizzai che un suo “parente” mi stava attendendo e tutti i peli del mio corpo scattarono sull’attenti.

Questo evento era molto più che un’emergenza!

«BRUTTO PEZZO D’IDIOTA!!! DOVEVI DIRMELO SUBITO!!! TI RENDI CONTO DI COSA HAI FATTO!?!?!?! IN VECE DI TANTI GIRI DI PAROLE PERCHE’ NON HAI DETTO SUBITO IL SUO NOME!!!!! CRETINO!!!!»,

«Non te l'ho detto perché non me l'hai chiesto!», farfugliò in preda al panico Max.

Presi un profondo respiro e cercai di darmi un contegno.

«Carina e pallida?» chiesi cercando di sembrare più calmo.

«Te l'avevo detto, no?».

«RAZZA DI INCAPACE!!! TU NON HAI NEMMENO IDEA DEL GUAIO IN CUI MI HAI CACCIATO!!! È UNA CULLEN CAPITO?!?!?! UNA CULLEN!!!!!».

«Ma il giovedì incontri solo i clienti del centro...».

«È UNA CULLEN!!!!! IDIOTA!!! FALLA VENIRE SUBITO DA ME!! SPIEGALE LA STRADA E CHE NESSUNO CI DISTURBI!! CI SIAMO INTESI!?!?!? METTITI DI GUARDIA ALLA PORTA E NON MUOVERTI DI Lì!!».

«Va bene, va bene! Mi ci metto subito». Farfugliò e chiusi la chiamata.

«April!, », strillai perentorio nell’interfono. « Fra poco deve arrivare una certa signora Cullen. La faccia entrare subito da me. Ha capito? Non importa se m'interrompe.», Gridai nervoso.

«È proprio qui», rispose.

«Come? La faccia entrare! Cosa sta aspettando?»,

«Subito, signor Scott!».

«Prego», dissi, facendola accomodare.

Dio mio!

Era da levare il fiato.

Come faceva una donna simile ad aver sposato il signor Jasper …

«Si chiuda la porta alle spalle», le ordinai, e con le gambe che mi tremavano dal terrore, mi alzai dalla poltrona e le porsi la mano. «Signora Cullen. È davvero un piacere».

«Signor Jenks. O preferisce che la chiami Scott?». Mi salutò cordialmente lei … stessa temperatura corporea … stesso pallore … ma molto più affabile. Almeno al primo impatto.

«Come desidera, naturalmente».

«Che ne dice se lei mi chiama Bella ed io, la chiamo J.?».

«Come vecchi amici», “Ovviamente” e cercando di tamponare la sudarella che questi incontri sempre mi causavano le feci cenno di accomodarsi ed io feci altrettanto.«Devo proprio chiederglielo: sto facendo conoscenza, finalmente, con l'adorabile moglie del signor Jasper?».

«Con la cognata, a dire il vero». Rispose dopo un attimo di esitazione.

La cognata … cosa diavolo sta succedendo … non è mai capitato che altri membri della famiglia richiedano i miei servizi personalmente … di solito passa tutti tramite il Sig. Jasper … a meno che …” «Il signor Jasper sta bene, immagino?» chiesi, cauto.

«Gode di ottima salute. Al momento si è preso una lunga vacanza».

Si … certo … una vacanza …” «Per l'appunto. Avrebbe dovuto venire nel mio ufficio principale. Le segretarie l'avrebbero condotta direttamente da me, facendole evitare canali meno ospitali».

La donna annuì.

«Be', comunque, ora è qui. Cosa posso fare per lei?».

«Documenti», disse telegrafica.

«Ma certo», risposi all’istante. «Parliamo di certificati di nascita, di morte, patenti, passaporti, tessere sanitarie...?».

«Due certificati di nascita, due passaporti, una patente», disse prontamente ma con un fil di voce, una nota di nervosismo la tradì … cosa c’era dietro.

«A nome di chi?».

«Jacob... Wolfe. E... Vanessa Wolfe». Mormorò come se non fosse pronta per dare quella risposta.«E i secondi nomi?». Chiesi ostentando indifferenza, mentre prendevo nota.

«Si inventi lei qualcosa di generico.»

«Come preferisce. Le età?»

«L'uomo ha ventisette anni, la bambina cinque.»

Mai fatti documenti per un bambino …” «Se preferisce dei documenti completi, mi servono le foto», chiesi titubante. «Di solito il signor Jasper li finiva personalmente».

«Aspetti un attimo», rispose frugando nel portafoglio e porgendomi poi una foto. «Ecco».

Un ragazzo di chiare origini native americane e una bambina … cosa avevano a che fare con questa famiglia?

«Sua figlia le somiglia molto». Chiesi per sondare il terreno

«Somiglia di più a suo padre». Rispose in fretta e furia.

Bene … almeno è sua figlia …” «Che non è quest'uomo». Mormorai sfiorando l’immagine del pellerossa.

L’espressione della donna cambiò, e qualcosa dentro di me mi suggerì di non indagare oltre. «No. È un carissimo amico di famiglia». Rispose con una strana inflessione della voce.

«Scusi», borbottai e continuai a prendere appunti. «Quando le servono i documenti?».

«Ce la fa in una settimana?».

Devono essere veramente nei guai.” «È un ordine urgente. Costerà il doppio... anzi no, scusi. Mi sono dimenticato che stavo parlando con lei». Mi corressi immediatamente pensando al Sig. Jasper

«Mi dica la cifra».

Più che lampante che non fosse pratica di certe trattative, e senza pormi ulteriori problemi scrissi la cifra su un bloc notes.

Annuì senza battere ciglio. «Ecco». Disse snocciolandomi sulla scrivania una dietro l’altra piccole mazzette da cinquemila dollari.

«Ah, Bella, non occorre che mi dia subito tutta la somma. Di solito il cliente ne conserva la metà per garantirsi la consegna». Era più che evidente che il sig. Jasper non aveva avuto modo di istruirla a dovere su come si svolgevano certi tipi di trattative … questa donna doveva essere veramente disperata.

«Ma io mi fido di lei, J. E poi, le darò un bonus: la stessa cifra appena ricevo i documenti». Rispose sorridendo dolcemente e qualcosa in lei mi rattristò.

«Le assicuro che non è necessario».

«Non si preoccupi». disse. «Ci vediamo qui la settimana prossima alla stessa ora?».

«A dire il vero, preferisco svolgere certe transazioni in luoghi che non abbiano a che fare con il mio impiego abituale». “Ed è sempre meglio assicurarsi qualche testimone prima di sparire nel nulla.”

«Capisco. So già che non mi sto comportando come lei si aspettava».

«Sono abituato a non avere aspettative quando si tratta della famiglia Cullen». Il Signor Jasper era una persona alquanto imprevedibile «Vediamoci alle otto fra una settimana al Pacifico, va bene? Si trova sul lago Union e si mangia divinamente». Non so perché ma questa donna in certi momenti riusciva a turbarmi più di suo cognato.

«Perfetto». Esclamò alzandosi e porgendomi nuovamente la mano. «Avrà grossi problemi a rispettare la scadenza?» chiese tradendo una certa ansia.

«Come?». Chiesi preso alla sprovvista da quell’insolita domanda. «La scadenza? Oh, no. Non si preoccupi. Le farò avere i documenti in tempo, di sicuro».

«Ci vediamo fra una settimana, allora». E chiudendosi dietro la porta sparì.

Come sollevato da un peso, mi accasciai sulla poltrona.

«Speriamo solo che non siano invischiati in un traffico di minori …» borbottai tra me e senza perdere tempo mi misi al lavoro.

 

Edward

 

Quel pomeriggio sembrò infinito … Jacob mi aveva mandato un messaggio, Isabella non si era fermata con loro da Charlie, ma non ne ero per niente stupito, già immaginavo sarebbe andata così.

Aveva alcune commissioni da fare, aveva detto.

Di più non era riuscito a sapere.

Ormai erano quasi le nove di sera … e oltre all’agitazione che quest’ assurdo comportamento mi stava dando, avevo dovuto anche far buon viso a cattivo gioco alla marcatura a uomo che Tania mi aveva fatto tutto il pomeriggio. Apertamente non osava dire niente ma i suoi pensieri tradivano ancora risentimento nei confronti di Bella, e sapeva benissimo che non erano un mistero per me. Senza contare i voli pindarici che per tutto il giorno avevano fatto i miei di pensieri … ero arrivato persino a pensare che si stesse mettendo in contatto da sola con i Volturi per immolarsi spontaneamente in nome di tutti … il suo spirito da crocerossina ne sarebbe stato perfettamente capace. Era preoccupata di non riuscire a gestire il suo scudo, era ossessionata dal pensiero di non essere in grado di proteggerci tutti, che il suo potere avesse delle falle, per il solo motivo che Renesmee riusciva a escluderlo.

Onor del vero anch’io avevo riflettuto a lungo su questa curiosa circostanza, con Bella avevo cercato di mantenere la calma per non gravarla di nuove preoccupazioni e angosce, ma non ero convinto al cento per cento della giustificazione che le avevo dato. Secondo la teoria di Carlisle sembrava che il dono di mia figlia facesse esattamente l'opposto di ciò che ero in grado di fare io, dopo un’attenta riflessione ero propenso a credere che facesse lo stesso con il dono di Bella ovvero riusciva a entrare nella mente di tutti, al contrario di sua madre che bloccava tutti all’esterno, era pertanto impossibile che qualcuno bloccasse il flusso dei suoi pensieri una volta che aveva deciso di mostrarli … se così fosse stato sarebbe bastato che Aro ci concedesse il beneficio del dubbio per lasciarla spiegare e forse … ma non era comunque detto che accettasse la nostra versione dei fatti … c’erano troppi SE in quel ragionamento … era meglio non covare inutili speranze … e per mettere un freno a tutto quell’inutile rimuginare cercai una valvola di sfogo nel pianoforte … era da quando Alice se n’era andata che non mi ero più avvicinato ai suoi tasti d’avorio … tutto quello che ne uscì fu solo l’espressione della mia struggente malinconia, la melodia esprimeva solitudine, abbandono, queste erano le uniche sensazioni che riuscivo a trasmettere, fino a quando dal fondo del viale riconobbi il motore della Volvo.

Fu come rivedere la luce dopo secoli di tenebra.

In un attimo fu davanti a casa, in quello stesso istante le mie mani decisero spontaneamente di darle il benvenuto e tutta la tristezza che fino a quel momento avevano suonato si trasformò in quell’istante nel dolce suono della ninna nanna che avevo composto per lei più di un anno prima … Mi era mancata … volevo che lo sentisse …

«Bentornata a casa», la salutai, senza smettere di suonare, appena apparve sulla soglia di casa «Ti sei divertita oggi con Charlie?» chiesi mantenendomi fedele al mio copione.

«Sì. Scusa se sono stata via così tanto. Sono uscita a comprare un po' di regali di Natale per Renesmee. So che non festeggeremo in grande stile, però...». Rispose stringendosi nelle spalle.

“… Natale …” pensai smettendo di suonare. “Non lo festeggeremo nemmeno quest’anno …” Per un motivo o per un altro non eravamo mai riusciti a festeggiarlo insieme … Quest’anno, però c’era Renesmee … lei meritava di avere dei ricordi … potevano essere gli unici che avrebbe mai avuto «Non ci avevo pensato granché. Se vuoi proprio festeggiarlo in grande stile...» le dissi attirandola a me, incurante del pubblico che avevamo nel salone.

«No», m’interruppe con una certa veemenza . «Semplicemente, non volevo lasciarlo passare senza farle un regalino».

“… Potrebbe essere l’unico regalo di Natale che riceverà dai suoi genitori …” «Posso vedere?».

«Se vuoi. È una sciocchezza». Disse frugando nella borsa «L'ho visto nella vetrina di un antiquario passandoci davanti in macchina». E fece scivolare nella mia mano un piccolo medaglione d'oro.

Era rotondo, con incisa una bordura sottile di piante rampicanti. Lo aprii e vidi su un lato lo spazio per una piccola foto e sull’altro un’incisione: “Plus che ma propre vie”.

Non avrebbe potuto essere più appropriata.

«Sai cosa vuol dire?», le chiesi.

«Il negoziante mi ha detto che significa qualcosa del tipo: "Più della mia stessa vita". È così?».

«Sì, è vero». Risposi cercando di studiare ogni sua minima espressione lei finse di guardare la televisione. “Ti prego non mi ignorare … non chiudermi l’accesso ai tuoi occhi …”

«Spero che le piaccia», mormorò.

«Certo che le piacerà», risposi cercando di mantenere naturalezza.

«Portiamola a casa», suggerii, alzandomi e circondandole le spalle con un braccio.

Ma lei esitò.

Ti prego amore … ho bisogno di te …” «Che c'è?» chiesi.

«Volevo allenarmi un po' con Emmett...». Farfugliò e sul suo viso un’espressione colpevole. «Fantastico. Il bosco ha bisogno di una spuntatina». Esclamo mio fratello già in fibrillazione.

Li fulminai con lo sguardo, prima lui, che ancora non capiva quando diventava inopportuno, poi lei, che non si rendeva conto di quanto mi fosse mancata e di quanto avevo bisogno di lei «Avete tutto il tempo di farlo domani» replicai acido.

«Non essere ridicolo», si lamentò. «Lo sai benissimo che non esiste più il concetto di "tutto il tempo". Non esiste più. Ho molte cose da imparare e...».

«Domani». La interruppi perentorio.

E nessuno dei due insistette oltre.

 

  
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