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Autore: Portuguese_D_Ace    20/05/2013    0 recensioni
A Sydney sembra tutto normale.
Ace, Ace Harlem vive tranquillo la sua adolescenza. Ace è popolare, bravo a scuola, gioca a rugby, ha buoni amici, non sopporta le ingiustizie, va d'accordo con i suoi genitori.
Un normale ragazzo. Ma la normalità è davvero ciò che sembra?
O è solo una copertura, un'apparenza?
Un giorno, verranno a mancare tutte le sue sicurezze, tutto crollerà. Quel muro che è la vita e che noi, ogni singolo giorno, costruiamo, mattoncino per mattoncino, crollerà. Solo alcuni pezzi rimarranno interi.
Ace aveva sempre pensato che il fuoco fosse un fenomeno interessante, affascinante.
Eppure non avrebbe mai immaginato di essere capace di cose del genere.
Non avrebbe mai pensato di essere un Racane.
Genere: Comico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11








Direi che oggi è un giorno da segnare sul calendario. Non ho fame, e questa si che è una cosa strana ed epica. E dire che non ho fatto nemmeno colazione! Mi dirigo comunque in mensa, più che altro per chiarire con Kyle e Derek, credo che il nervoso mi sia passato.
Entro in mensa e mi guardo intorno; non sono ancora arrivati. Quando mi giro, per uscire da quel luogo affollato, mi sento afferrare dal polso. Credo già di sapere chi è, lo noto dalla sensazione di frustrazione mista al disgusto che mi pervade.
“Ace.” Biascica con quella vocetta che mi fa saltare i nervi.
Mi volto, con un bel sorriso finto stampato in faccia e un’aria apparentemente tranquilla. “Felicity. Qual buon vento?” Certo che questo “buon vento” ce la deve avere per forza con me.
“Credo che sia solo destino, Ace.” Ma quale destino avverso e sfortunato mi si è rivoltato contro? Con uno strattone mi libero dalla sua presa in stile colla-attack e nei suoi occhi celeste chiaro percepisco un certo disappunto, dovuto probabilmente al mio gesto.
“Che c’è, Felicity?” Con la mano perfettamente curata, si porta indietro i lunghi capelli, mettendo in atto la sua strategia “acchiappa ragazzi”.
“Niente, volevo stare un po’ con te. C’è qualcosa di sbagliato?” Prima che io possa ribattere con un bel “Si, c’è qualcosa di sbagliato” o con un “vattene” decisamente meno cordiale, lei mi stringe nuovamente il braccio e mi trascina fuori dalla mensa. Continua a correre con me al seguito, costretto a seguirla. La sua stretta è abbastanza debole da poter essere facilmente debellata, ma non faccio niente e continuo a seguirla perché liberandomene potrei farle male e non sono così stupido. Per quanto mi possa dare fastidio, è solo una ragazza che ci prova con me e che è abituata ad avere una schiera di ragazzi, a cui lei non darà nemmeno retta, ai suoi piedi. Finalmente si ferma, davanti ad un fila di armadietti grigio metallizzato, decorati da adesivi e abbellimenti vari procurati dai proprietari degli armadietti stessi. Credo che tra quelli ci sia anche il suo. Adesso la domanda è: perché mi ha portato qui? In una zona della scuola al momento desolata? Mi libera il braccio e io mi appoggio agli armadietti.
“Sai, Ace, non ho mai capito perché tu non sei mai caduto ai miei piedi, perché non mi hai mai chiesto di uscire o di diventare il mio ragazzo.” Wow, ora parte il discorso filosofico da film. Lo dovrei ascoltare? Ma si, un po’ di divertimento a volte non fa male! “Sei…diverso.” Oh, e non immagini quanto.
“E con questo?” Non rispondo in modo acido solamente perché voglio davvero ascoltare quello che ha da dirmi.
“Mi hai stupito e continui a farlo ancora oggi.” Prende a camminare avanti e indietro, tira un sospiro e ricomincia a parlare. “Rispondi con acidità e mi spiattelli in faccia quello che pensi. Come l’altra volta alla festa, ad esempio. Mi hai detto a chiare lettere che il mio vestito ti faceva schifo e nessuno mi aveva mai rivelato una cosa del genere.”
“Era la verità.”
“Lo so. Andiamo, Ace…da quant’è che ti vengo dietro?” Da parecchio, anche troppo. Non rispondo poiché penso che la signorina volesse continuare il suo elogio nei miei confronti, invece si ferma, come se volesse una risposta da me.
“Se non lo sai tu, lo posso sapere io?” Seriamente, in un film che si rispetti lei non si sarebbe mai fermata per pormi effettivamente quella domanda.
Sospira. “Da tanto, tanto tempo. Non hai mai ceduto ai miei complimenti e al mio carisma. Rimani sempre indifferente.” Si ferma davanti a me e mi guarda negli occhi. “E’ per questo che mi piaci.” Anche se è sempre stato sottinteso, sentirmelo dire in faccia provoca in me un certo imbarazzo che cerco immediatamente di reprimere.
“Ma tu non piaci a me, non sei mai piaciuta.” Ammetto io con durezza.
Ridacchia scuotendo il capo, lievemente triste. Forse sono stato un po’ troppo duro. “E quando dici queste cose mi piaci ancora di più.”
“Allora sei masochista.” Non è normale, no, non lo è, ne sono certo.
“Sicuramente.” Risponde lei come se la cosa fosse ovvia. “Ma cosa ti costa conoscermi meglio?”
“Felicity, ti risparmio l’infelice delusione di sentirti illusa. Non sei il mio tipo.” Risolvo io semplicemente.
“E che ne sai?” Mi domanda con superbia.
“Ne so abbastanza per arrivare a dire una cosa del genere.”
“Quel giorno…quella ragazza mi aveva provocato.” Tutto ad un tratto mi sento nervoso e penso seriamente di dover prendere una tazza di camomilla prima di affrontare un giorno al liceo.
“Ti rendi conto di quello che stai dicendo?! L’hai umiliata! Ti piacerebbe provare quello che ha provato lei in quel momento?” Non potrò mai scordare quell’episodio, quel giorno, quella cattiveria.
“Quella ragazza aveva baciato il mio ragazzo!”
“Che a me risulta avessi già lasciato.” Si vede messa in difficoltà, lo noto dalla sua espressione.
“Mi aveva rinfacciato il fatto di essersi messa con lui.” Si può essere più meschini? Sta inventando, non è andata così.
“Non è vero e tu lo sai.” La ammonisco io. Mi massaggio le tempie e poi esclamo. “Tra l’altro, parli proprio tu che hai un ragazzo nuovo ogni settimana e non ti fai scrupoli a costringerli di lasciare proprie fidanzate?!” Abbassa lo sguardo; colpita e affondata. Non si può certo negare l’evidenza. Quel giorno, io mi ritrovavo ad attraversare il corridoio dove siamo io e lei adesso. Stavo per girare l’angolo, quando ho sentito delle risatine e una ragazza che parlava. Allora, avevo parlato solo una volta con Felicity, ma già mi aveva, come dire, “avvistato”. Mi nascosi e seguii l’episodio. Le persone che ridevano erano se non altro le amiche-oche di Felicity e qualche altro ragazzo. Stavano prendendo in giro una ragazza, che poi scoprii si chiamava Rosie. Aveva i capelli rossi e le lentiggini, nel complesso però era carina, più di Felicity sicuramente ed era proprio quello che le dava fastidio. Se poi aggiungiamo il fatto che quella ragazza si era messa con l’ex di Felicity, l’odio diventa qualcosa d’incommensurabile. L’ha semplicemente umiliata, screditata davanti a mezza scuola. Rimasi allibito e come al mio solito, non stetti zitto. Andai lì e la difesi. Stava quasi per mettersi a piangere; poverina, quanta pena mi aveva fatto. In quel momento sento accendersi una lampadina nel mio cervello, una lampadina che rimpiango non aver azionato prima di adesso. Solo lei sapeva che Ran era la mia “ragazza”, quindi come faceva Blake a saperlo? Glielo ha detto lei! Blake si è vendicato contro di me e Felicity contro Ran!
“Tu…” Comincio a balbettare con rabbia. “Tu…come hai potuto?
“Fare cosa scusa?” Ora fa la finta ingenua. E no, non funzionerà.
“Pensavi che io e Ran ci lasciassimo? Ti sbagli di grosso.” Un sorrisetto furbo anima il suo volto pieno di trucco.
“Non so proprio di cosa tu stia parlando.” Proferisce tranquilla. Mi stacco dagli armadietti e mi avvicino a lei.
“Non pensavo fossi così meschina! Non credevo che potessi arrivare a fare una cosa del genere!” Sono davvero arrabbiato e sto anche urlando. Avvicinandomi ancora, la costringo ad indietreggiare.
“Ma non ho fatto niente di male!” Grida lei. Finisce per doversi appoggiare al muro.
“Sai che Blake aveva un coltello? Lo sapevi?!” Mi allontano, prendendo un respiro profondo. Di solito non m’innervosisco così facilmente, tento di mantenere sempre la calma.
“Scusa, non lo sapevo.” Dice con voce flebile. Non volevo di certo farla spaventare.
“No, scusa tu, non volevo urlare in quel modo. Comunque sia, mi hai deluso, per l’ennesima volta. Quindi ciao, non abbiamo più niente da dirci.”
Comincio ad allontanarmi, quando sento lei che dice: “Una settimana, una sola settimana. Stai con me una sola settimana e conoscimi davvero.” Se si fosse trattato di un’altra persona, avrei accettato, forse per compassione o forse per vero interesse. Nel suo caso, però, non c’è niente che m’induca ad accettare.
“Quale parte della frase “io sono fidanzato con Ran” non ti è chiara?”
“Lasciala, so che non ti piace davvero.”
“Ecco. Vedi, Felicity? Non potremmo mai stare insieme.” Detto ciò me ne vado via, senza esitare, senza far caso ai suoi continui richiami. Guardo l’orologio: la pausa pranzo sta per finire e io non ho per niente voglia di fare lezione. La campanella suona e un fiume di ragazzi m’investe. Ora ho inglese, per giunta. Nonostante il delirio iniziale, non posso fare a meno di pensare alla discussione con Felicity. Sto fermo a rimuginare, fin quando mi accorgo che sono rimasto solo nel corridoio. Cavolo! La lezione è iniziata da ben cinque minuti. Ora la professoressa mi ammazza. Corro e arrivo in classe, bussando e spalancando la porta proprio mentre la professoressa stava chiamando me all’appello.
“Ace Harlem.” Si girà verso di me. “A quanto pare il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Oggi i tuoi genitori saranno contenti di ricevere un altro richiamo da parte mia.” Tengo in bocca tutti gli insulti (e sono davvero tanti) che mi vengono in mente in quel momento.
“Scusi, professoressa. Non avevo fatto caso alla campanella.” Scoppia a ridere, come se avessi appena raccontato una barzelletta.
“Harlem! Stai scherzando, vero? Il richiamo non te lo toglie nessuno, quali pensieri puoi avere alla tua età?!”
“Che ci creda o no, anche io ho i miei pensieri, professoressa. Non è nemmeno sera e già questa giornata sta andando per il verso sbagliato, quindi cerchi di non rompere anche lei. Ci prova gusto a torturarmi? Bene, scriva e firmi quel maledetto richiamo così lo faccio vedere ai miei genitori e la sua vita potrà continuare liscia e serena. Ne ho già abbastanza.” Per quanto abbia sempre cercato di trattenermi, sempre, ad ogni sua lezione, oggi sono scoppiato. Ho detto tutto ciò ad un fiato e non me ne pento poi così tanto, tranne per il fatto che so che mi farà espellere (perché lei può) o mi darà una bella punizione.
“Bene, Harlem. Vedrà, non sarà solo un semplice richiamo stavolta. Vada a sedersi.”
Benissimo, mi sono cacciato in un bel guaio.

***

Infilo la chiave nella toppa e apro la porta. So che stasera mi aspetterà una bella sgridata da parte dei miei genitori, per quello che è successo oggi a scuola, ovviamente. Sono stato convocato dal preside, al quale ho spiegato che era stata una giornata piena di nervosismo e che, a causa dei ripetuti richiami giustificati da parte della professoressa, me la sono presa con lei. Lui mi ha liquidato immediatamente, rassicurandomi sul fatto che non ci sarebbero state delle gravi conseguenze, a causa della mia buona condotta e della mia media alta. Poi mi ha anche rivelato, con fare scherzoso, che conosce la professoressa d’inglese, poiché sono vecchi amici e che sa quanto sia permalosa. E’ una fortuna avere un preside del genere. Ovviamente, l’arpia avrà chiamato i miei genitori, ne sono certo. Non gli sarà bastato il richiamo del preside e la nota sul registro…si vuole assicurare che abbia pure una bella punizione. Entro in cucina, butto lo zaino sulla poltrona e mi dirigo verso il frigorifero per prendere dell’acqua fresca. La verso in un  bicchiere di vetro e mi giro, volgendo lo sguardo verso il salone. Sobbalzo quando scorgo i miei genitori seduti sul divano con un espressione indignata stampata in volto.
“Ace!” Incominciamo bene. Ma come mai sono rincasati così presto?
“Come mai siete già a casa?” Domando io, ignorando il tono duro utilizzato da mio padre pochi secondi fa.
“Questo non importa.” Fa un gesto con la mano. “Cosa ti è saltato in mente?!”
“Ace, siamo molto delusi dal tuo comportamento. Non ci aspettavamo che tu, proprio tu, potessi ricevere un richiamo dal preside.” E io che credevo ci fosse una possibilità, una minima possibilità, in cui avrebbero capito, in cui non avrebbero affrettato conclusioni. Evidentemente chiedevo troppo.
“Insomma! Non si risponde in quel modo, a prescindere da quanto la professoressa possa essere seccante!” La voce di mio padre rimbomba, possente.
“Lasciate che vi spieghi, no? Avevo litigato con Kyle, Derek e una mia amica.” Mi schiarisco la gola quando pronuncio l’ultima parola. Felicity non è una mia amica, ma in questo momento, non trovo  il termine più giusto da utilizzare. “Ero nervoso, estremamente nervoso. Mi ero messo a pensare e non ho sentito la campanella.”
“Come fai a non sentire la campanella, Ace? Come fai?” Mio padre si mette una mano sul volto, come se fosse disperato. “Se devi mentire, almeno abbi la decenza di inventare frottole credibili!” Rimango immobile, sconcertato. Pensa che stia mentendo?
“Papà, io non sto mentendo! E’ la verità, se vi avessi mentito e sai che non lo avrei fatto, avrei davvero detto qualcosa di credibile. Questa è la verità, che ti piaccia o no!” Il tono della mia voce è più alto del solito. So che alzare il volume non porta a niente, eppure è una cosa naturale, quasi come respirare.
“Dì la verità! Che è successo realmente?” E’ cretino, allora! Mi dispiace pensare queste cose di mio padre, ma deve essere ottuso per non capire che sto dicendo la verità.
“Hai sbattuto la testa da qualche parte?! Ti ho appena detto che è questa la verità! Quando quella strega mi ha spiattellato in faccia il fatto che avrebbe firmato un altro richiamo da farvi vedere, con un’aria soddisfatta, le parole sono uscite da sole dalla bocca.” Restano un attimo in silenzio, guardandomi irati.
“E tu, mamma? Non hai niente da dire?” Mi sto arrabbiando anche con loro, non ci posso fare niente. Il viso di mamma si contorce in un espressione dapprima stupita e poi corrucciata.
“E’ davvero questa la verità, Ace?” Allora sono cretini entrambi. Sto parlando in aramaico o in cinese?
“Si!” Urlo io.
“In punizione. Per tre settimane. A meno che tu non dica la verità, raccontando quello che è successo veramente oggi.” Taglia corto lui. Noto che sui fornelli vi è un bollitore; mia madre ama il tè. Chissà come sarebbe fargli prendere fuoco…un attimo…che diamine sto pensando?!
“Ma, papà…”
“Basta. Discussione chiusa.” Discussione chiusa un corno. Tre settimane, finché non dico la verità. Ringhio, su tutte le furie, mi volto e mi dirigo verso la porta e prendo le chiavi di casa, rigorosamente poggiate sul tavolino all’entrata.
“Dove stai andando?” Domanda mio padre furioso.
“Non ti, anzi, non vi riguarda.” Non mi ero mai comportato così con loro, è come se oggi fossi impazzito, lasciando il senno in una cassaforte di cui ormai non ricordo la combinazione.
“Ace!” Le loro urla mi sembrano così lontane, nonostante la distanza minima tra noi. Mentre chiamano il mio nome, li sento avvicinarsi. Apro la porta e la sbatto chiudendola dietro di me. Comincio a correre, in modo che non mi possano raggiungere e riportarmi in casa.
Non ho una meta, sto semplicemente correndo verso un luogo a me sconosciuto.
Sento il vento sferzarmi il volto e scompigliarmi i capelli. E’ una bella sensazione questa.
Essere consapevoli di trovarsi lontani da tutto e da tutti, di star correndo verso una luogo non preciso, solamente per sbollire la rabbia, fregandosene di quello che ti accade intorno. Non posso ignorare la sensazione provata mentre litigavo con loro, una sensazione che m’induceva a distruggere qualcosa, a far accadere qualcosa per mano dei miei poteri. Le idee c’erano, si ammucchiavano una sopra l’altra nella mia mente, come la polvere che va a crearsi sui mobili, su un oggetto. Mancava solamente il mio volere. Non voglio certo farli spaventare o far loro del male, per quanto io possa essere arrabbiato.
Corro ancora, veloce…fin quando mi fermo, ansimante.
Resto per un po’ con la testa china, con i capelli neri che mi coprono gli occhi color ametista. Quando alzo lo sguardo rimango sorpreso: sono finito davanti a casa di Ran.
In effetti, oggi ho dimenticando di andare a prendere la mia macchina fotografica e poi, sento di aver bisogno di un’amica, di aver bisogno di lei. Scavalco il cancelletto, decidendo di andare direttamente a suonare il campanello. Premo il bottone, con insolita delicatezza, delicatezza che in realtà nasconde una profonda impazienza. Apre la porta e mi dice prontamente: “Che è successo?” Non usa un tono freddo e scocciato, ma caldo e ricco di comprensione. “Vieni, entra.” Mi fa cenno di entrare e si chiude la porta dietro. Senza pensarci ulteriormente, la abbraccio. Lei è presa alla sprovvista, lo sento dai muscoli tesi del suo corpo. Affondo il viso tra i suoi capelli al profumo di pesca e mi sento d’improvviso calmo. Da quando in qua ha questo potere su di me? La sento finalmente rilassarsi fra le mie braccia.
“Non stai usando la magia, vero?” Domando io scettico.
“Che magia?” Mi risponde lei confusa.
Ridacchio. “Niente, lascia stare.” Chiudo gli occhi e respiro un’altra boccata del suo odore. Stiamo in silenzio e ad un certo punto, Ran chiede ironica: “Mi ci devo abituare, ai tuoi abbracci?”
“Non saprei…tu cosa vorresti?” Sta zitta, probabilmente stupita dalla mia risposta. Intanto, rimaniamo sempre abbracciati, come fosse la cosa più naturale del mondo.
“Non lo so. Tu, invece?”
“Non lo so.” In questo momento, rimarrei così per sempre. E’ come essere vittime di un incantesimo…un incantesimo che ti assicura felicità e tranquillità interiore. “Oggi è stata una giornata…difficile.” Mi sciolgo lentamente dall’abbraccio, che questa volta è servito a confortare me.
“I tuoi genitori?” Domanda lei come se mi avesse letto nel pensiero. Annuisco e mi fa cenno di seguirla. Mi porta in balcone, dal quale si accede attraverso una stanza con un letto che probabilmente è una camera per gli ospiti. Ran si appoggia alla ringhiera, con lo sguardo rivolto verso ciò che si estende sotto di noi. Si tratta di un piccolo boschetto, col prato inglese e qualche albero dal tipo a me sconosciuto. “Avanti, racconta.” Mi sistemo nella posizione opposta alla sua, ovvero con la schiena e i gomiti appoggiati alla ringhiera di ferro che sarà stata ridipinta nel tempo con della vernice grigio metallizzata.
“Stamattina litigo con Kyle e Derek perché devono fraintendere il…” Mi fermo e mi accorgo che la persona con cui sto parlando è proprio la ragazza facente parte del “rapporto parecchio fraintendibile”.
“Cosa devono fraintendere?” Mi chiede per incitarmi, guardandomi. “Se non me lo dici tu, ti induco io a finire la frase.”
“Ok ok, possibile che la manipolazione mentale sia così utile?” Sospiro. “Devono fraintendere la…nostra amicizia.”
“E che dicono su di noi?” Dicono semplicemente che sono preso da te e si sono eccitati perché gli ho detto che mi piaci esteticamente.
“Niente, solo cretinate.” Taglio corto io.
“Guarda che ti costring…” Non le lascio finire la frase che subito mi affretto a dire.
“Non usare i tuoi poteri in situazioni inopportune, Ran.” Le do un buffetto sulla guancia. “Non si fa.” E le faccio no con l’indice, proprio come se stessi parlando con una bambina di due anni. Lei mi abbassa la mano con la sua, incitandomi a continuare il discorso.
“Poi ci si mette Felicity, che viene a farmi un discorso in cui ha dichiarato apertamente il suo ‘innamoramento’ nei miei confronti e il masochismo nei suoi.” Direi che come riassunto della chiacchierata con Felicity è abbastanza banale.
“Felicity Arrows, masochista? Ne sei certo?”
“Mi ha detto che, quando le dico cosa penso di lei, e sono sempre cose negative, le piaccio ancora di più.” Ran mi guarda scioccata. Nemmeno lei si aspettava una cosa del genere.
“Allora le piaci proprio tanto.” Il suo sguardo lontano, è pensieroso. Dovrei dirle che Felicity c’entra con il suo “rapimento”? So che la mia amica è abbastanza forte da potersi tirare fuori dal qualsiasi situazione e che non ha utilizzato i suoi poteri solo perché voleva vedere se io ero l’ultimo Racane, però non deve essere stata un’esperienza tanto divertente.
“Non saprei. “ Abbandono la posizione tenuta fino ad allora e siedo sul pavimento, con la schiena appoggiata al muro bianco e le gambe piegate. Ran avverte il mio movimento e si sistema a gambe incrociate di fronte a me.
“Eri nervoso. Per questo quella reazione con la professoressa, oggi?” Chiudo gli occhi. “Esattamente. Il preside mi ha giustificato, perché non avevo mai preso note e non ero mai stato richiamato da lui. Poi mi ha anche confessato che conosce al di là del piano professionale la professoressa e sa che è parecchio permalosa. Quindi il problema rimane l’arpia. Ma sai qual è la cosa peggiore?”
Apro gli occhi. Noto che mi sta fissando e fa cenno di no con il capo.
“I miei genitori non mi credono. Mio padre non pensa che io non abbia sentito la campanella. Mi hanno messo in punizione per tre settimane, che magari diminuirebbero se io dicessi questa immaginaria verità.” Restiamo in silenzio. Incasso la testa fra le ginocchia. “Non voglio tornare a casa. In poche parole sono scappato, con loro che urlavano il mio nome al seguito.”
“Sei uno stupido.” Mormora lei. Alzo la testa e la osservo. Sorride tristemente. “A quest’ora saranno preoccupatissimi per te.” In questo momento non me ne frega proprio niente se si stanno preoccupando o no. Magari durante questi minuti capiranno che ho detto la verità. “Ace, ragiona.” Il tono della sua voce è apprensivo, carezzevole.
“Io non torno a casa. Non stasera, almeno. Posso restare qui?” Mi alzo e Ran mi segue con lo sguardo. Sono stato molto sfacciato a chiederle ciò, ma rivedere i miei genitori in questo momento è proprio l’ultima cosa che desidero. “Sembrerò sciocco e so di esserlo.” Mi fermo un attimo. “Però, per favore, fammi restare qui.” Le faccio gli occhioni dolci, nella speranza di convincerla.
“Non guardarmi in quel modo.” Distoglie lo sguardo. “Ritorna a casa, Ace.” Mi raccomanda piano con nella voce una dolcezza incredibile, con una dolcezza che non avrei mai associato a lei, alla sua personalità.
“Per favore…solo una notte, lo prometto.” Si gira nuovamente verso di me. I suoi occhi scintillano ed un guizzo di poca convinzione li attraversa.
“Ace…” Scuote la testa. Non per dirmi no, però. E’ come se stesse riflettendo e dentro di lei si aggirassero pensieri e suggerimenti discordanti.
“Ti prego.” Mormoro io implorante, in un tono che non si addice per niente a me.
Non dice niente. Va bene, ho capito, me ne vado a casa. Faccio per andarmene, quando la vedo sorridere impercettibilmente. Capisco che quello è un sì e che lei, nonostante il suo evidente disappunto, mi sta facendo un grande favore. Sorrido anche io e le prendo le mani tra le mie.
“Grazie, grazie mille. Davvero.” Le sue mani fredde aderiscono alle mie.
“Sei caldissimo.” Bisbiglia lei abbassando la testa, probabilmente per guardare incredula le mie mani. Porta la sua mano sinistra prima sulla mia guancia e poi sulla fronte. La sua pelle è davvero morbida e fresca. “Non è che hai la febbre?” Le scosto delicatamente la mano che è ancora posata sulla mia fronte.
“Guarda che io ho una salute di ferro!” Rido leggermente. “Ricordi? Luce, fuoco e gas. Dovrebbe essere normale.” Si ritrae ed entra dentro.
“Sicuramente sarà per questo. Anche perché se avessi la febbre vorresti stare nel letto al caldo e borbotteresti parole senza senso.” Entriamo nella stanza che io avevo giudicato come quella degli ospiti. Accende la luce. “Questa sarà la tua stanza, almeno per stanotte.” Osservo meglio il mobilio della camera.
Vi è un armadio di legno scuro, una cassettiera con sopra un largo specchio decorato e dall’aria antica. Il letto è provvisto di coperta e lenzuola e accanto ad esso è sistemato un piccolo comodino sempre in legno scuro. Infine, una scrivania dello stesso tipo di legno degli altri mobili, ospita una vecchia macchina da scrivere grigia. A lato vi sono pure dei fogli bianchi e una lampada da tavolo provvista di una delicata cordicella di metallo che funge da interruttore. Il dipinto di una natura morta è contenuto in una cornice dorata e appeso accuratamente al muro.
“Quello lo ha dipinto mia nonna.” Mi risveglio dalla trance e guardo la mia amica che, invece, sta fissando il quadro. “Quando era giovane amava dipingere ed era pure brava.” Si ferma un attimo per prendere fiato o secondo me, per raccogliere quel poco di forza che le serve per continuare a parlare. “Nello sgabuzzino sono conservati ancora il suo cavalletto, la sua tavolozza, qualche tela già dipinta e qualcuna ancora vuota. Una volta mi è sembrato anche di scorgere qualche bottiglia di colore, ma non ne sono sicura.”
“Era molto brava.” Doveva tenere molto a sua nonna. Quando ne parla, una grande tristezza le vela gli occhi. “Comunque Ran, con cosa dormo?”
“Eh?!” Esclama lei stizzita.
“Con cosa dormo?” Alla fine questa domanda che è servita se non altro a sdrammatizzare un po’, merita veramente una risposta.
“Con i vestiti?” Ironizza lei.
“Secondo te devo dormire con i jeans? Mi sciolgo tra le lenzuola!” A meno che non voglia lenzuola grondanti del mio profumatissimo sudore…
“Ace, ci sono solo cose da donna in questa casa. Se poi vuoi una camicia da notte, possiamo anche parlarne…” Mi sta prendendo in giro? Io non ci dormo con i jeans, sono troppo caldi.
“Io con una camicia da notte? E’ una visione orribile persino per me! Andiamo Ran, non hai un pantalone che ti sta largo?” Sento lei che scoppia a ridere all’improvviso. “E adesso cos’hai?”
Balbetta qualcosa di poco comprensibile mentre ride e alla fine quando si è calmata (mi sta deridendo?) biascica: “Mi sono immaginata te con una camicia da notte rosa con i cuoricini!” E ride ancora.
“Guarda che sei tu ad avere i pigiami con i cuoricini!” Ancora devo capire se l’animale che c’era stampato nella canottiera del suo pigiama fosse un orso o un panda. “Con animali dal tipo e dalle origini sconosciute, per giunta.”
“Ah ah, simpatico. E comunque i cuoricini di quel pigiama sono azzurri non rosa.” Precisa lei.
“Beh, alla fine posso dormire anche in boxer.”
Il sangue defluisce nelle sue guance e diventa tutta rossa.
“Che c’è, piccola? Ti imbarazza la cosa?” Ammicco io.
“N-no, assolutamente.” Balbetta Ran. “ Comunque, dovrei avere un pantalone largo da qualche parte. Aspetta che lo cerco.” Esce dalla stanza e la sento salire le scale.
Sfilo il cellulare dalla tasca. 13 chiamate perse.
Per una volta in tutta la mia vita ho fatto bene a lasciare il silenzioso.
Che chiamino quanto vogliono! Mi vedranno domani, probabilmente di sera, perché loro non trascureranno mica il loro lavoro.
E’ in quel momento che mi arriva un messaggio di Kyle.

Aceeeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!
Dove sei andato a finire???
I tuoi genitori hanno chiamato
a casa mia, per chiedermi se eri
qui. Sono molto preoccupati.
Non fare cretinate, ok?
‘Notte.


Eccolo qui, il mio migliore amico. Quello che ha voluto intendere con questo sms non è “torna subito a casa, stupido che non sei altro” ma “Ace non fare stupidaggini e torna a casa quando ti sentirai di farlo”. Gliene sono grato. Controllo le chiamate: mamma, mamma, mamma, papà, mamma, papà, papà, mamma...che stiano in pensiero! Non gli farà certo male. Mi guardo intorno. Ran non è ancora arrivata con il mio “pigiama”. Salgo le scale. Mi ritrovo di fronte ad un piccolo corridoio con cinque stanze. La seconda porta a sinistra è socchiusa e ne proviene una forte luce gialla. Sbircio nella stanza senza farmi vedere e vedo che Ran sta girando nervosamente nei cassetti. La sua stanza è dipinta di un leggero azzurro, mentre i mobili sono di legno chiaro, totalmente opposto a quello del mobilio nella stanza di sotto.
“Trovati!” Esulta tutta contenta, girandosi e sobbalzando alla mia vista. “Come fai ad essere così silenzioso? Mi hai fatto prendere un colpo!” Spalanco la porta e lei mi porge i pantaloni.
“Grazie. Comunque chi pensavi che fosse? Un assassino munito di pistola?” Mi dà una leggera gomitata.
“Spiritoso.” Un angolo della sua camera attira particolarmente la mia attenzione. Quattro chitarre sono sistemate accuratamente l’una accanto all’altra. Un leggio, nel quale sono posti diversi spartiti sparpagliati, è in piedi accanto alla scrivania, dove sono posti libri di scuola e di musica. Sulla parete, è stata dipinta una grande chiave di violino con l’inizio di un pentagramma ricco di note. Sulla scrivania si trova anche il portatile con le cuffie ancora attaccate e una libreria ricca di libri scolastici e altro.
“Quello lo ha dipinto tua nonna, vero?” Domando io all’improvviso.
“Si.”
“E’ molto bello. Hai un sacco di libri!” Le indico la libreria. Sorride.
“Ti meravigli per quelli? Oh, non hai visto niente!” Esclama estasiata con gli occhi che le brillano.
“Vieni.” Usciamo dalla sua stanza e scendiamo le scale. Mi conduce verso un'altra stanza. Resto imbambolato appena vi entro. Ogni parete è occupata da immense librerie di legno scuro piene di libri. Un lungo tavolo si estende al centro della stanza, circondato da cinque sedie in pelle nera e ornato da un candelabro in argento posto su un centrino dal motivo intricato e particolare. Un tappeto persiano sui toni del rosso scuro, del beige e del blu notte copre il pavimento in mattonelle lucide. Un lampadario maestoso e ricco di cristalli luccicanti e riflettenti la luce da esso stesso prodotta domina sulla visuale della stanza. Altre lampade si trovano sparpagliate nell’ambiente, una vicina ad un divanetto sempre in pelle nera sistemato vicino all’angolo. Delle tende in velluto dello stesso rosso scuro del tappeto incorniciano due finestre dagli infissi bianchi aperte. Appesi al muro color crema, vi sono dei piccoli quadretti. Mi avvicino incuriosito e noto che non sono né foto né dipinti. Quelle sono frasi; e non semplici frasi filosofiche, ma parole pronunciate da letterari rimasti nella storia.

Ira brevis furor est.
L'ira è un breve momento di follia.
Orazio

Abbasso lo sguardo, incredulo. Questa frase si adatta perfettamente a questa situazione. Eppure, mi rendo conto che è vero. Quando si è arrabbiati si agisce d’istinto, non si pensa alle conseguenze. Solo quando la rabbia sbollisce, ti chiedi che cos’hai fatto e pensi che sarebbe stato meglio pensare, essere ragionevoli, piuttosto che fare stupidaggini. Faccio qualche passo in avanti e mi ritrovo di fronte ad un altro quadretto.

Obsequium amicos, veritas odium parit.
L'adulazione procura gli amici, la sincerità i nemici.
Terenzio.

Sorrido. Quante persone false esistono al mondo? Persone che davanti dicono di stimarti, persone che apparentemente sono tue amiche e che alle tue spalle parlano male di quello che fai e mettono voci in giro? Tante, troppe. E quante persone al mondo vanno in giro a servire su un piatto d’argento la purissima verità? Poche, pochissime. Ci ritroviamo quindi ad ammirare e a ritenere amiche quelle persone che si servono dell’adulazione e ad evitare quelle che, invece, sono semplicemente sincere. Un altro quadretto, questa volta più grande degli altri.
 

« Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero. »
«
 Mentre parliamo il tempo sarà già fuggito, come se ci odiasse: cogli l'attimo, confidando il meno possibile nel domani. »
Orazio.

Carpe diem. Questa parola, che sembra quasi superflua, in realtà racchiude in sé un significato enorme. Cogliere l’attimo. Si dovrebbe sempre fare, si dovrebbe sempre sfruttare ogni ora, ogni minuto, ogni secondo della propria vita, cogliendone ogni singolo momento, perché non si sa mai quando potrebbe finire. Per quanto possa essere cupa questa prospettiva, la verità non si può cambiare. Dall’altra parte della stanza, altri quadretti attirano la mia attenzione, così l’attraverso e vado a leggere le altre frasi.
 

Non omnia possumus omnes.
Non tutti possiamo tutto.
Virgilio.

Questa citazione mi riporta subito alla mente un altro detto.
Niente è impossibile.
Sono due concetti così in netto contrasto…e dire che sono d’accordo con Virgilio rovinerebbe speranze e sogni, i quali si rivelerebbero vani. Tutti hanno delle aspirazioni, alcune talmente tanto impossibili da raggiungere che nel profondo si sa sempre che è una cosa troppo complicata da fare. Nonostante ciò, si continua a confidare nei propri sogni e anche quando si capisce che è praticamente impossibile fare ciò che desidereresti fare con tutto te stesso, nel tuo cuore pervade sempre un barlume di speranza che non si spegnerà mai.
Pulvis et umbra sumus.” Mi distacco da quel mondo governato dai miei pensieri e dalle mie opinioni e ritorno alla realtà.
“Cosa?”
“Pulvis et umbra sumus.” Ripete ancora Ran. “Secondo te è vero?”
“Che siamo polvere e ombra?” Annuisce e mi guarda intensamente. “Beh, non saprei.”
“Questa frase mi ha sempre affascinata, sin da quando ero piccola ed entravo di nascosto in questa camera, come se stessi facendo qualcosa di proibito, violando un qualche divieto improrogabile. Mi piaceva, sentivo di star vivendo un’avventura.” Osserva le imponenti librerie con gli occhi luccicanti. “E col tempo i libri sono finiti per diventare i miei migliori amici. Nel momento in cui m’immergevo nella loro lettura, al mondo non esisteva altro che la storia che veniva narrata in quelle pagine.” Possibile che a sentirla parlare in questo modo mi si stringe il cuore? E dire che non sono mai stato un tipo sensibile o troppo sentimentale. “Mi sono ricordata una cosa.” Sobbalza lievemente e raggiunge un altro quadretto appeso al muro.
<< Somnia ne cures, nam mens humana quod optat, dum vigilat sperat, per somnum cernit id ipsum. >> Legge ad alta voce. << Non badare ai sogni: ciò che la mente umana desidera, quando è sveglia lo spera, nel sogno lo vede realizzato. Catone. >>
Magari fosse vero. I sogni (almeno nel mio caso) non sono certo desideri della mia mente. E’ tutto collegato con i miei poteri, con il mio essere Racane. “Non è vero.” Sbotto io. “Catone non conosceva noi, Ran.”
“Non conosceva il mondo soprannaturale in generale.” Dice lei, mentre si avvicina ad un libreria, sfiorando con la mano il dorso dei libri conservativi. 
“In che senso il mondo soprannaturale in generale? Insomma, esistiamo solamente noi Racane, giusto?” Cioè, esistono tutte quelle creature mitologiche e immaginarie? O solo noi Racane siamo dotati di poteri magici? Possibile che ancora io non conosca una vasta parte di questa storia?
“Sì, sì, certo. Con mondo soprannaturale, intendevo noi Racane e i nostri poteri.” Ah, ecco. La mia mente già stava viaggiando in qualcosa di inesplorato. “Che ne dici se ordino una pizza?”
Proprio in questo momento, mi rendo conto di avere una fame da lupi. Ci credo, non ho né fatto colazione né pranzato. “Sì. Per me va bene, conosco a memoria il numero di una pizzeria che fa una pizza fantastica.”
Mi sorride. “Bene, vado a prendere il cordless.” Esce dalla libreria e io continuo a guardarmi in giro. Vi sono conservati dei libri davvero molto antichi, dalla copertina marrone e dalle pagine ingiallite. In netto contrasto a quelli, ci sono dei libri dalle copertine colorate e dai titoli stampati sul foglio plastificato; insomma, i libri di oggi. Sono davvero moltissimi, Ran deve leggere davvero tanto. Il fatto che mi abbia rivelato che i libri sono divenuti i suoi migliori amici, non fa altro che confermarmi la sua solitudine. E non fa altro che ricordarmi che, d’ora in poi, non sarà mai più sola.

***


Dall’altra parte della città o chissà, del mondo, una figura incappucciata osserva la stessa luna che prima ha ricevuto l’attenzione di Ace.
“Il deterioramento interiore porta alla cattiveria.” Sussurra talmente piano che chiunque potrebbe pensare che stesse parlando con qualcuno al suo fianco, che in realtà non c’è.
“Il potere porta alla distruzione.”Bisbiglia ancora. Una folata di vento fa oscillare il suo mantello nero.
“La bontà presto svanisce.” Espira e ride malvagiamente.
“Non lo sai questo, Ace?” E con uno schiocco, la figura, la bocca di quelle parole, scompare.





Lo stupido angolo dell'autrice


Ace che respinge Felicity °-°
Poverina!
Giuro che mi è dispiaciuto :(
E sta iniziando a starmi simpatica, perciò cominciate a preoccuparvi.
So che, in realtà, anche voi la amate.
E devo dire che ci ho messo parecchio impegno in questo capitolo.
Insomma, anche le frasi fighe in latino. 
Ehehehehe pure il titolo è figo, solo perché è in latino.
Eppure io odio il latino (a me piace la matematica c: )
*si sente un'aliena venuta da un altro mondo*
Ran ha ospitato Ace a casa sua! I due stanno entrando molto in confidenza e
ad Ace piace molto abbracciarla e farla arrossire e abbracciarla.
Awwnn *-*
E, inoltre, anche se hanno litigato, amo Kyle e Derek.
Li adoro, semplicemente.
Mi diverto un sacco a scrivere le loro prese in giro!
L'ispirazione proviene dai miei di pazzi amici.
Ma gli amici sono tutti pazzi! E' una loro fantastica caratteristica:')
Hauhahuahuahua ho deciso che scriverò la one-shot su Ran, 
non adesso, però, poiché si collocherà più avanti nella storia.
Ringrazio tutti tutti tutti tutti (un altro tutti no, eh?!)
E' bello sapere che ci sono persone che leggono le tue storie:)
A presto
Ciaoooooooooo
   
 
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