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Autore: shesfelix    20/05/2013    2 recensioni
Questa è la mia prima ff in assoluto, quindi spero siate comprensivi se non è il massimo. Ce la metterò sempre tutta per migliorare e rendere più comprensibili possibile gli avvenimenti e gli stati d'animo.
Il titolo è una frase latina che significa "se tu sarai felice, lo sarò anch'io". Se volete contattarmi su twitter, sono @shesfelix. Vi sarei anche grata se recensiste per farmi sapere come vi sembra. Grazie in anticipo!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Phoebe

«Sì che la colpa è tua! Ti ho visto, sai? Non negare l’evidenza!» urlò affondandogli l’indice nel petto, incollerita.
Niall la sovrastava e osservava dalla sua altezza considerevole con quegli occhioni celesti. «Ma io non gli ho fatto nulla! È solo inciampato davanti ai miei occhi, Phe, e non sono riuscito a trattenermi da qualche risata, tutto qui. Poi quel… com’è che si chiama? Ah, Louis, ha attaccato briga. Secondo te, non avrei dovuto rispondere alla provocazione?»
«Fammi il favore di risparmiarmi le tue storie fantasiose, Niall, ti prego» rispose esasperata, gesticolando.
«Puoi anche chiedere in giro, potranno confermarti che è andata così»
« È meglio se vado a prendere un po’ d’aria» annunciò «Non provare a seguirmi»
«Lo so che tornerai da me, tanto»
Lei gli scoccò un’occhiataccia e si diresse verso l’uscita. Aveva bisogno di calmarsi e riflettere bene sulla questione, e per ora l’unica cosa che voleva era andare via di lì. Spinse con maleducazione chiunque non si spostasse al suo passaggio, imprecando. I suoi pensieri correvano veloci, più delle sue gambe.
Aveva da poco passato il tavolo delle bevande, quando… «Cenerentola, già scappi? Non è mezzanotte, da quel che mi è parso di capire»
Phoebe sgranò gli occhi e si bloccò di colpo. Liam. Il cuore cominciò a battere velocemente, mentre lo stomaco le si chiudeva. Era indecisa sul da farsi, poi si risolse a  voltarsi verso di lui. Rimase inchiodata al pavimento: la stava osservando cupamente con un sorrisetto che sapeva il fatto suo, con schiena e piede destro appoggiati al muro. Nella mano stringeva un bicchiere di plastica, che portava alla bocca di tanto in tanto. Poteva vedere, anche da quella distanza, il pomo d’Adamo spostarsi quando deglutiva. Si sentiva stranamente calma.
«Ciao, Payne…!» lo salutò imbarazzata quando gli fu vicina; parlare con qualcuno, anche solo per distrarsi, le avrebbe fatto bene.
«Dove credevi di andare, eh?» ammiccò sorseggiando la Coca-Cola.
«A fare una passeggiata» rispose poco convita.
«Non si direbbe, dalle fiamme nei tuoi occhi. Sembrerebbe proprio che hai litigato col biondino. Questa è una benedizione!»
«Non dire sciocchezze, non ne sai nulla»
«Vi ho visti, Malik, e tu sembravi anche abbastanza presa in causa» fece notare alzando il sopracciglio.
Phoebe non rispose, solo abbassò lo sguardo, dato che quello fisso con cui lui la osservava  l’aveva messa in soggezione. Si chiese come facesse a tenere gli occhi aperti per così tanto a lungo senza sbattere le palpebre.
«Ti va?» chiese, porgendole un bicchiere di Martini.
«Grazie» sussurrò prendendolo e bevendo.
«Che hai da sorridere?»
«Pensavo» disse lei lasciando che le bollicine le solleticassero il palato.
«A cosa?»
«Al fatto che bevi la Coca-Cola, quando in pratica tutto il resto della scuola è ubriaco fradico. Mi ricorda di quando eravamo piccoli» confessò, persa nei suoi pensieri.
«Già, bei tempi» ammise con una punta di nostalgia, riprendendosi subito «Io credo di avere un grosso punto a mio favore, rispetto a tutti questi alcolizzati» disse indicandole la calca col bicchiere.
«E quale sarebbe, Payne? Fammi sentire» domandò divertita.
«Primo: non puzzo come un animale morto; secondo: posso contare sull’aiuto di un amico molto “gasato”»
«Ma sta’ zitto!» scoppiò a ridere Phoebe, spingendogli leggermente il braccio.
Liam rise, strizzando gli occhi. Lei lo guardava incantata. Negli ultimi anni non lo aveva mai visto scherzare con qualcuno in quel modo.
«È la verità. Se vuoi, puoi provare tu stessa»
Lei scosse la testa sorridendo. «Non cambierai mai»
«Chi ti dice che tu mi conosca davvero?»
«Il mio buon senso» ribatté lei saccente incrociando le braccia al petto.
«E vediamo… Saresti sorpresa se ti invitassi a ballare?»
«Tu, ballare con me? No, è alquanto impossibile» rise nervosa  versandosi dell’altro Martini.
«Vieni» la incoraggiò prendendole la mano libera, e accennò col capo alla pista «Il biondino non ne saprà nulla, se hai paura di lui»
Il ricordo di Niall e della lite le guizzò nella mente come un lampo, azionando in lei una specie di desiderio di rivincita. In fondo, si stava solo prendendo una libertà di cui non sarebbe mai venuto a conoscenza, per di più con Liam, il quale intrecciava le sue dita in modo molto invitante. Si morse il labbro inferiore.
«Va bene» accettò.
Trangugiò d’un fiato l’alcolico, fino all’ultima goccia. Rise briosamente e gli strinse dolcemente la mano guardandolo nelle iridi tendenti al miele. Appena si furono spostati in un punto più appartato, Liam poggiò gli arti sui suoi fianchi, mentre Phoebe gli cingeva il collo con gli avambracci. Fortunatamente era di poco più alto di lei e non doveva fare grandi sforzi per tenere gli occhi inchiodati ai suoi, dondolando a ritmo di musica. Lei poggiò il capo sul suo petto, coperto da una camicia bianca leggermente sbottonata. Poteva sentire il battito del suo cuore; era tutto così irreale.
Liam cominciò a baciarle leggermente il collo e ad accarezzarle il fondoschiena, facendola rabbrividire. La testa prese a girarle.
«Malik… sii mia» le sussurrò all’orecchio, mordendole piano il lobo.
Phoebe gemette impercettibilmente, allungando il collo. Si strinse maggiormente a lui e gli lasciò languidi baci sulla pelle scoperte, riuscendo solo a dire che lo era già. «Andiamo…»
 
Rebecca

La palestra era piena di gente; era impossibile metterci un passo. Non aveva mai notato che ci fossero così tanti studenti in quella scuola. Diede un’occhiata panoramica alla stanza. Era soddisfatta di se stessa – aveva organizzato quella festa completamente da sola. Sembrava che tutti si stessero divertendo; tranne lei. A nessuno era passato nemmeno per l’anticamera del cervello il pensiero di invitarla. Aveva passato la serata registrando nomi, intrufolandosi di tanto in tanto nella camera per scroccare qualche bicchiere di Bacardi. Adesso non aveva più ragioni di trovarsi lì e si sentiva abbastanza a disagio. Decise che era meglio tornare a casa. Con Charlie e gli altri si sarebbe scusata l’indomani o al limite avrebbe mandato un messaggio più tardi.
Prese una bottiglia a caso dal tavolo lì vicino, infilò il copri-spalle e si diresse verso l’uscita, proprio quando avevano messo Iris dei Goo Goo Dolls. Avrebbe solo dovuto mandare un messaggio e sua madre e Mr. Bicipiti sarebbero andati a prenderla.
«And I’d give up forever to touch you, ‘cause I know that you feel me somehow…» canticchiava lei seguendo la musica, passeggiando per il corridoio deserto.
All’improvviso le venne da pensare a Zayn, magnifico com’era. Lo aveva incontrato all’entrata del ballo. Avevano scambiato qualche parola e lui le aveva sorriso, facendola dimenticare del mondo intero. Erano stati secondi preziosi, tra i più belli che avesse mai vissuto. Poi lui era entrato e Rebecca aveva compreso che già le mancava. Come poteva mancarle qualcosa che non era mai stata sua?
«And I don’t want the world to see me, ‘cause I don’t think that they’d understand…» fece eco al cantante un ragazzo che le era appena passato accanto, con passo poco più svelto del suo, che procedeva a capo chino con la giacca nera poggiata sulla spalla.
Rebecca si arrestò di colpo. «When everything’s made to be broken, I just want you to know who I am» continuò lei, sorridendo lievemente.
Vide il ragazzo fermarsi, come se stesse metabolizzando una notizia inaspettata. Lei restò immobile, soprattutto quando inchiodò gli occhi ai suoi.
«Rebecca…!» la salutò imbarazzato accarezzandosi il dorso del collo «Scusami, non ti avevo proprio vista»
«Ciao, Zayn…» sorrise, diventando lievemente rossa in viso. Fece qualche passo, raggiungendolo. Poi ripresero a camminare. «Non preoccuparti. Anche tu a gironzolare per i corridoi?»
«Tornavo a casa»
«Anch’io. Festa di cattivo gusto?» domandò osservando il suo profilo.
«No, anzi. Preferisco andare via, non mi sento a mio agio. Tu?»
«Stesso» rispose accigliata.
«E quella cos’è?» chiese divertito accennando alla bottiglia.
«Oh…» rise nervosa rigirandola tra le mani «Non so neanch’io perché l’ho presa» confessò.
Zayn sorrise. «È un peccato non consumarla»
«Concordo; ed è ancora presto per tornare a casa»
Nel frattempo, erano giunti davanti alla porta che dava sul campo da calcio. La guardarono entrambi.
«Potremmo fare un giro, se ti va» propose lui «Sempre meglio di pensare e auto-commiserarsi» aggiunse, rivolto più che altro a se stesso.
«Certo!» accettò Rebecca, elettrizzata, e si mostrarono al cospetto di una luna pallida.
Mentre camminavano piano a bordo campo, lei studiava il suo profilo, illuminato da una luce lattiginosa. Era sempre più bello; assomigliava a un angelo; no, lui era un angelo. Le iridi ramate si socchiusero e lui sollevò il mento ed espirò rumorosamente.
«A volte mi chiedo se a questo mondo valgo qualcosa» esordì Zayn  rompendo il silenzio.
Aggrottò la fronte. «Che intendi dire?»
«Ti sei mai sentita un “niente”? come se fossi invisibile?» cercò di spiegare, guardando un punto imprecisato davanti a sé.
Rebecca capì subito che quella volta avrebbe dovuto stare in silenzio e ascoltare: stava avendo fiducia in lei, si stava confidando con lei, non più di un’estranea. Non doveva lasciarsi sfuggire nessuna delle sue preziose parole.
«Sì,ti capisco benissimo» rispose. In effetti sì, poteva davvero.
Lui fece cenno col mento alle tribune. Lei comprese che la stava invitando a sedersi, così non sprecò tempo e salì tre gradini più in alto, facendogli posto.
«Tu non puoi capire» fece quasi con scherno.
«Perché non potrei?»
«Non immagini minimamente cosa sento, Rebecca; tutto ciò che corre incessantemente qui» indicò esasperato il capo con l’indice.
Le si strinse il cuore nell’accorgersi che gli si erano inumiditi gli occhi. Sotto la luce della luna le sembrava ancor più vulnerabile; più di quanto non lo fosse stato quando lo aveva soccorso in quel vicolo buio.
«Mi hai appena chiesto se mi fossi mai sentita invisibile… sì, mi succede; tutti i giorni»
«Scusa, non immaginavo…» abbassò il capo, visibilmente pentito.
«Lascia stare» sorrise lievemente e gli accarezzò la schiena in modo protettivo, sperando che continuasse.
«Penso di essere un errore. Insomma… nulla mi va mai bene; tutto ciò che faccio è sbagliato o ferisce gli altri»
«Non dovresti scusarti per chi sei» rispose accarezzandogli dolcemente i capelli. Era una sensazione incredibile, quei momenti le sembravano irreali. «Credo che tu sia speciale»
«Lo dici perché non mi conosci»
In effetti, non lo conosceva. Aveva sentito sul suo conto certe storie di pessimo gusto -della cui stragrande maggioranza erano leggende metropolitane- ma Rebecca non si lasciava persuadere dall’aura demoniaca di cui tutta la scuola gli aveva fatto carico. Rebecca osservava tutto ciò che gli succedeva, e ora poteva avvertire il suo dolore tanto che le veniva da piangere.
«Tu dici?»
Lo vide annuire. «Per esempio, se sapessi cos’ho fatto stasera…»
Capì che Zayn aveva un disperato bisogno di confidarsi. «Mi piacerebbe, saperlo» ribatté decisa guardandolo negli occhi, fremente per la confessione.
«Conosci Louis, il fratello di Evanna Tomlinson?»
«Sì, da poco. Sono simpatici» rispose mascherando l’inquietudine che cresceva.
«Ecco… Poco fa l’ho baciato»
Zayn le raccontò di ciò che provava per lui, di quanto non potesse più tenerglielo segreto, della reazione che aveva avuto e di Elisabeth. A ogni parola, Rebecca si sentiva schiacciare sempre più. Il cuore le si era frantumato in tanti piccoli pezzettini.
Nonostante non avesse nemmeno più la forza di respirare, lo abbracciò forte appoggiando il capo nell’incavo del suo collo e inspirandone il profumo delicato. Si sentì al sicuro, protetta come non mai; pensò che non le importava nient’altro che vederlo felice. La fragilità che le aveva mostrato, anche se inconsciamente, le aveva fatto rendere conto di aver bisogno di lui nonostante non potesse minimamente pensarlo, e che doveva prendersi cura di lui a ogni costo.
«Non sei solo» sussurrò sorridendogli, dopo che si furono sciolti dall’abbraccio.
Zayn le sorrise lievemente, riconoscente. «Ora tocca a te»
«Cosa?»
«Dire perché ti senti invisibile»
Rebecca esitò. «Al ragazzo che mi piace, piace qualcun altro; per lui più o meno non esisto»
«Benvenuta nel club, allora» e le strinse la mano energicamente, mostrandole una dentatura candida.
 
Charlie

Aveva fatto la strada con i Tomlinson, rifiutando il passaggio di Elisabeth ed Harry.
«Sicura che non vuoi che ti accompagniamo?» chiese Louis appoggiandosi allo stipite del portone.
Lei annuì. La salutarono, con un velo di preoccupazione negli occhi.
Charlie s’incamminò stringendosi nella giacca. Stava scendendo l’umidità e le strade erano deserte. La Londra notturna l’aveva affascinata e spaventata allo stesso tempo, sin da piccola. Ricordava che aspettava trepidante sotto le coperte che i suoi genitori uscissero dalla sua camera dopo averle augurato la buonanotte, per poi venire allo scoperto e rintanarsi nella finestra a diamante, a scrutare il viale tutt’altro che affollato; sino alla loro morte.
Era stato un trauma fortissimo per lei apprendere la straziante notizia. Aveva solo sette anni quando quella notte aveva visto le auto della polizia fermarsi sotto casa sua e, sentendo suonare il campanello, incuriosita era andata a origliare ciò che gli agenti stavano riferendo alla sua baby-sitter. Da allora aveva cercato di occupare la mente in continuazione, e lo studio era ciò che glielo permetteva al massimo. Non doveva soffermarsi a pensare, mai; se lo avesse fatto sarebbe arrivata la sua fine.
Louis ed Evanna le erano stati simpatici sin da subito; aveva visto nei loro occhi qualcosa in cui si riconosceva. Venire a conoscenza della loro storia le aveva fatto capire che quello era il suo stesso identico sguardo: lo sguardo di chi ne ha passate tante e soffre in sordina. Avevano parlato a lungo delle loro esperienze, davanti a una tazza di tè in libreria. Charlie per la prima volta si era sentita capita, e i tre ormai uniti da un legame particolare. Li ammirava: riuscivano a tenere sotto controllo il loro dolore. Lei invece no.
 
Niall

In palestra non era rimasto quasi più nessuno. Decise di salutare chi conosceva e si diresse verso Soho. Sospirò. Era stata una lunga e faticosa giornata: a scuola era stato convocato dal preside per un atto di vandalismo con cui non aveva a che fare, sua mamma aveva perso il lavoro, le tubature del bagno erano scoppiate e, dulcis in fundo, aveva litigato con Phoebe; per Zayn, per di più. Avrebbe dovuto stare attento, se voleva prendersi i suoi piccoli momenti di gloria. Tra lui e la sua ragazza non c’erano stati mai battibecchi; non poteva permettersi di perdere l’unica persona a cui stava a cuore, oltre sua madre. Aveva bisogno di lei; della sicurezza che gli faceva sentire.
«’Fanculo!» sussurrò calciando con forza una lattina di birra, bloccandosi subito per mettersi in ascolto.
«Aiuto…» piagnucolava una voce proveniente da una stradina buia «Ti prego, no…»
Niall si sentì a disagio, gli vennero i brividi: gli passarono per la testa diverse scene spiacevoli; alcune in cui era vittima, altre in cui era carnefice. La sua mente cominciò a pensare sul da farsi, mentre passava davanti alla scena. Notò due sagome nella penombra: una che schiacciava l’altra alla parete mentre quest’ultima piangeva e si dimenava – era sicuramente una ragazza. Aveva, a grandi linee, due alternative: far finta di nulla e lasciare che un delitto venisse consumato, oppure intervenire ed essere d’aiuto a qualcuno. Non voleva sentirsi codardo.
O la va, o la spacca, pensò avvertendo l’adrenalina scorrergli in tutto il corpo. Subito raggiunse i due e scaraventò al suolo quello che si rivelò un barbone.
«Che stavi tentando di fare, eh?» gli gridò avventandosi sull’uomo malandato e sferrandogli più pugni sul viso.
Si fermò solo quando vide fuoriuscire dalle narici del sangue. Si rialzò, prendendo fiato e guardandolo con disprezzo. Era evidente che fosse ubriaco, e a lui ricordava troppo suo padre. La violenza sulle donne era ciò che odiava di più al mondo: si era sempre ripromesso che non ne avrebbe mai toccato una senza il suo consenso. Non sarebbe diventato come il suo genitore. Ma Zayn, allora…?
Il corso dei suoi pensieri fu interrotto dai singhiozzi irrefrenabili della vittima, rannicchiata su se stessa come un gattino spaventato. Niall le si avvicinò cautamente. Vide che tremava e le avvolse le spalle con la sua giacca. Lei sussultò, stringendosi maggiormente a sé.
«Hey, è tutto finito… Non voglio farti del male» sussurrò accarezzandole i capelli ricci, sorprendendosi ad abbracciarla.
«G-grazie…» gemette flebilmente.
«Ti ha fatto qualcosa?»
«N-no, n-no…»
Niall ne fu di gran lunga sollevato. «È meglio andare via. Ti accompagno a casa, vieni» sussurrò dolcemente porgendole la mano.
La ragazza gliela prese tremante e si alzò barcollando, così che poterono guardarsi finalmente negli occhi. Lui rimase completamente pietrificato.
«Niall…»
«Atkinson» disse con una leggera asprezza nel tono «Cristo, che cazzo ci fai a Soho a quest’ora, sei impazzita? Hai visto che cazzo stava per succedere?» disse alzando la voce.
Era arrabbiato con lei, ma la verità era che si era preoccupato a morte. Si calmò quando vide che le lacrime avevano ripreso a solcarle gli zigomi e lei a tremare come una foglia.
«Niall, io…»
«Sta’ zitta, microbo» e l’abbracciò forte.




Ciao a tutti, sono tornata! Direi che questo capitolo è abbastanza più lunghetto dei precedenti, forse per farmi perdonare per la mia assenza. Io personalmente lo adoro, ma vorrei sapere dei vostri pareri, sinceramente. Mi farebbe davvero molto piacere! Grazie di leggere ciò che scrivo :) Fel.
  
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