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Autore: 2calzona3    21/05/2013    4 recensioni
La specie umana può continuare. Un nuovo pianeta totalmente intoccato dall'uomo e quattro ragazzi nati diciottenni su quelle terre. Si risveglieranno nudi, senza aver mai imparato a parlare, a leggere o ad avere un Dio.
Questa è la mente umana che vive senza pregiudizi.
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Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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L' INCONTRO

 

 

 

 

 

 

Si svegliò dopo diciotto anni di sonno. Sarebbe rimasto stupito della cosa, ma non sapeva il significato di dormire, non sapeva cosa fosse il sonno o cosa rappresentassero i sogni. L'Aspera non poteva sapere se su quel pianeta si sognasse. Si mise seduto mostrando una completa confusione, la sua reazione fu prevedibile, era circondato da alte figure, magre e immobili, dotate di appendici che toccandosi emettevano un rumore lieve, un rumore che in mezzo a quel silenzio non poteva che essere spaventoso.

Gli alberi su Eden erano diversi dagli alberi terrestri. In un primo momento il respiro del ragazzo sembrò frenetico, spasmodico e sull'orlo di un attacco di panico. Probabilmente se fosse andato avanti in quel modo sarebbe stato traumatizzato a vita da degli alberi. Semplicissimi e innocui alberi. Notò quanto l'aria fosse calma, tiepida e quanto quelle figure alte fossero ferme. Si mise in piedi e incespicò nelle proprie gambe. “o si, ne hai due giovane ragazzo, ti servono per stare in piedi”. Solo allora, seduto in una posizione scomoda, si accorse di avere un corpo. Dovette muovere ogni millimetro di sè stesso per comprendere fin dove arrivasse, nella sua mente stava dividendo il suo essere da ciò che gli era intorno. Distese le braccia, distese le gambe e allungò una ad una le dita dei suoi arti, una volta che capì che gli appartenessero, prese ad usarli per toccare il resto del corpo. Non si toccò il viso, come se fosse scontato possederlo.

Subito scoprì il tatto, quel magico senso che nessuno di noi si ricorda di aver scoperto. Toccò la vegetazione del sottobosco, e toccò le radici di quegli alberi spaventosi, per seguirne la traiettoria avrebbe dovuto usare quelle splendide gambe nuove di zecca. Accantonò così la voglia di scoprire e si appoggiò ad una radice. Gli alberi erano diversi da quelli che conosceva l'uomo sulla terra.

Le radici erano completamente esterne al terreno, si appoggiavano con grandi arcate e labirinti al sottobosco, strutture che superavano l'altezza del ragazzo di poco. Si appoggiò sulle gambe forti, rimase qualche secondo ad oscillarsi comprendendo il suo equilibrio, il suo peso.

Appoggiandosi come un uno zoppo alla radice la seguì con le dita, senza staccare il contatto con questa, era solida, dura e liscia. Il colore era leggermente più scuro del busto dell'albero, un verde bluastro che andava a sfumarsi verso la fine. Aveva un olfatto perfetto, perchè mai dell'inquinamento lo aveva scalfito. Aveva un udito perfetto, perché il rumore della natura era il silenzio. Gli ci volle un secondo per sentire qualcosa che mai aveva conosciuto, che non poteva catalogare non avendo archivi in cui farlo. Si acquattò avvicinando il petto alle ginocchia e osservò, annusò e ascoltò.

Qualcosa di chiaro si stagliava nel colore scuro degli alberi. Nella sua mente un'idea i era affermata, forse la prima di tutte: ciò che rimane immobile non può farti male. Così vedendo che quella figura non stava ferma, vedendo che si dirigeva verso di lui, cominciò a respirare con affanno. Si trovarono a due metri di distanza senza ancora essersi visti. Quando il giovane acquattato notò un particolare: le dita dei piedi che scorgeva tra le radici erano uguali alle sue. Si toccò le dita, come per assicurarsi che ciò che vedeva poco più distante non fossero le sue stesse dita. Non era solo, qualcosa gli assomigliava...

Decise di stare immobile e fermo sperando che quella cosa lo superasse, ma una radice fece inciampare la figura in piedi e portò entrambi allo stesso livello di visuale, a guardarsi con degli occhi spaventati, fuori dalle orbite. Un urlo maschile e uno femminile ruppero il silenzio di quel boschetto.

Non aveva senso per nessuno dei due correre nella direzione opposta, quando visibilmente l'altro era spaventato. Si allontanarono incespicando per qualche metro e rimasero fermi a fissarsi. Si capirono con uno sguardo, l'onda di paura cominciò a dileguarsi e le spalle dei due si rilassarono. Portarono entrambi le mani sulle spalle, volgendo uno sguardo al braccio e uno alla persona di fronte a loro, si toccarono il collo e si guardarono di nuovo a vicenda, poi portarono le mani al viso, capirono di avere un volto, capirono che l'urlo di pochi momenti prima era uscito dalla loro bocca. Il ragazzo si toccò il naso e si spaventò per un momento, per aver smesso di respirare. Si toccò con più delicatezza gli occhi e capì che senza non poteva vedere. Con un altro sguardo si intesero nuovamente, si avvicinarono alzandosi sfoggiando il senso dell'equilibrio, capirono di essere nuovi in due in quel mondo e cercarono di mostrarsi superiori l'uno all'altro fin da subito, cercando di camminare più correttamente dell'altro. Si lasciarono toccare l'una dall'altro. Loro vivevano da pochi minuti e già stavano facendo esperienze che nessun essere terrestre aveva mai compiuto. Toccare un umano per la prima volta e ricordarselo.

 

 

 

Guardate il nostro campione, allunga già le mani!” dallo studio dell'Aspera un'ondata di risate sommesse riscaldò l'ambiente. Fare dell'ironia su ciò che stava accadendo era un modo per mettersi in pace l'anima. Un modo per non sentirsi un Dio malvagio e per non pensare all'uso dell'essere umano che si stava compiendo. Alleggeriva l'aria quel sarcasmo. Un uomo calvo alzò la mano per zittire i presenti, non sprecò una parola in modo da ascoltare ciò che stava accadendo. Aveva dell'autorità da vendere quell'uomo, il capo, l'ideatore Mega.

 

 

 

 

Non sapevano parlare e non l'avrebbero sicuramente imparato se non avessero cercato di comunicare. Si osservarono per lunghi momenti, probabilmente chiedendosi per quale motivo fossero così simili e allo stesso tempo differenti. Cominciò a cadere qualcosa dagli alberi. Venivano colpiti da qualcosa che non riuscivano a vedere, cercarono sul terreno tracce o resti ma non videro nulla. Si guardarono come per cercare risposte, il ragazzo cercò di prendere la ragazza ma gli sfuggì di mano, questa si spaventò e si allontanò.

Mancava qualcosa, la parola. Alzarono entrambi il volto al cielo cercando di scoprire perchè gli alberi attaccassero in quel modo. Non volevano separarsi, sembrava che stando insieme le risposte si moltiplicassero, così il ragazzo cominciò a gesticolare portando le braccia verso se stesso e verso l'altra. Non poteva sapere se si era fatto capire ma cominciò a camminare lontano dagli alberi, dove il bosco sembrava più rado. E meno alberi vedevano più qualcosa cercava di colpirli. Lui si girò, per farle capire che la migliore soluzione sarebbe stata restare sotto gli alberi, che sembravano proteggerli dal cielo. Non la vide e spalancò gli occhi.

La disperazione, la paura e la solitudine cominciarono a soffocarlo, non riusciva a sentire i suoi passi a causa del rumore che ciò che cadeva faceva. Pensò che lei aveva già sentito la sua voce, durante quell'urlo del primo incontro. Allora urlò per trovarla e poco più distante, ma veramente poco, la ragazza si spaventò per l'urlo, non concepiva il bisogno di urlare e curiosa si affacciò da dietro un albero per capire la situazione, sorrise con naturalezza e lo richiamò con un urlo. A pochi metri di distanza il ragazzo cominciò a correre verso di lei con un sorriso. Non sapeva cosa fosse un sorriso, ma l'immagine di quelle labbra piegate la tranquillizzò, probabilmente perchè rispecchiavano la posizione delle sue stesse tranquille e felici labbra.

Quegli urli diventarono i loro nomi. Cominciarono a chiamarsi in quel modo per sapere che in qualsiasi momento non sarebbero rimasti soli. Si chiamavano sempre più spesso, per tranquillizzarsi, e con più frequenza lo facevano con più chiarezza si delineava il suono di quel nome.

 

 

 

Mega sorrise. Due dei suoi coloni sapevano come si chiamavano. Avevano raggiunto migliaia di anni di sviluppo in 20 minuti. “Lei si chiama Amìa, un bel nome per una donna. Ma...Laio. Non chiamerei mai mio figlio Laio. Mettete questi nomi negli archivi virtuali e seguiteli, non perdetevi l'avvento della scrittura. Ci assomigliano troppo per compiere passi inaspettati.”

   
 
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