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Autore: Acinorev    21/05/2013    21 recensioni
«Hai mai visto i Guinness World Records?» chiese ad un tratto Harry, continuando a fissare il sole splendente sopra le loro teste.
«Cosa c'entra ora?» domandò Zayn spiazzato, guardando l'amico attraverso le lenti scure degli occhiali.
«Hai presente quei pazzi che provano a stare in apnea per un tempo sempre maggiore? Ecco, tu devi fare la stessa cosa», spiegò il riccio, come se fosse un'ovvietà.
Gli occhi di Zayn si spalancarono, mentre iniziava a pensare che Harry si fosse beccato un'insolazione. «Devo provare a battere un record di apnea?»
«No, ovvio che no - rispose l'altro scuotendo la testa. - Loro si allenano per rimanere sott'acqua, un posto dove non c'è la nostra fonte di vita, l'ossigeno. Tu devi fare lo stesso, devi imparare a vivere senza di lei.»
Sequel di "Unexpected", da leggere anche separatamente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Unexpected'
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Five questions

Capitolo 6

 

 

La familiare voce pacata di Stephanie arrivò alle mie orecchie un po’ metallizzata, a causa del telefono al quale stavamo parlando: «Sei una stupida.» disse in tono tranquillo, masticando qualcosa rumorosamente.
«Grazie, era proprio questo che volevo sentirmi dire. – borbottai, alzando gli occhi al cielo – E che diavolo stai mangiando? Sembri un ruminante!»
«Sono patatine. Le ho trovate oggi in offerta al supermercato: sai, sono buonissime, e lo sapresti anche tu se solo fossi venuta con me, al posto di unirti a Louis.»
Sbuffai e mordicchiai il tappo di una penna capitatami a tiro sulla scrivania, mentre, spingendomi con un piede a terra, giravo lentamente su me stessa sulla sedia con le rotelle della mia camera: «Steph, cosa avrei dovuto fare?» chiesi, cercando un po’ di comprensione. In realtà la mia era una domanda abbastanza priva di senso.
«Dirgli di no, per esempio?- esclamò lei infatti, e io potevo immaginarla perfettamente con un sopracciglio alzato –  E poi dai, che scusa è “ero impegnato con le riprese”? Insomma, persino io me ne invento di migliori.»
«Però tu non sei parte degli One Direction, quindi non risulteresti molto credibile.»
«Nemmeno lui lo è.» ribatté, facendomi perdere ogni speranza. Era da un po’ che eravamo al telefono e lei aveva continuato a ripetermi per tutto il tempo quanto io fossi stata stupida ad aver accettato l’invito di Louis, più che altro perché mi conosceva sin troppo bene e non conosceva affatto lui.
Inspirai profondamente e «Ok, lasciamo perdere. – dissi, gettando la penna sulla scrivania e alzandomi per avvicinarmi all’armadio aperto – Puoi almeno aiutarmi a capire cosa dovrei mettermi stasera?»
Scrutai indecisa l’ammasso di vestiti sparsi per l’armadio, indici del mio scarso ordine, mentre ascoltavo Steph masticare rumorosamente per qualche secondo. Biascicò qualcosa, ma non si capì nulla: «La smetti di mangiare e mi dai una mano?» esclamai esasperata, passandomi una mano tra i capelli ancora bagnati dalla doccia di poco prima.
«E va bene! – sbuffò lei dall’altra parte del telefono, facendomi udire distintamente il rumore del pacchetto di patatine che probabilmente stava richiudendo – Anche se non capisco quale sia il problema: è solo un appuntamento, non è mica il primo a cui vai.»
Scossi la testa, arresa, e «Certo che non è il primo. – mormorai – Ma è di Louis Tomlinson che stiamo parlando.» Il pensiero di doverlo vedere entro meno di un’ora mi tolse per un attimo il respiro.
«Se non sbaglio anche lui ha due occhi, un naso e una bocca, no? È umano, fino a prova contraria, come tutti gli altri ragazzi con cui sei uscita. Quindi di cosa ti preoccupi? Mettiti quello che ti fa sentire più a tuo agio e vedrai che andrà  bene, Vic.»
Rovistando con la mano libera tra i vestiti e storcendo la bocca ogni volta che avvistavo qualcosa che non mi piaceva, risposi: «Ok, come vuoi, però forse lui è abituato ad altri tipi di ragazze, sicuramente più belle ed eleganti di me: chissà quante ne ha avute che indossavano vestiti firmati e tacchi alti. Io al massimo ho un tacco da dieci, magari anche spaiato, e una maglietta di H&M.»
«Ti giuro che attacco se continui a dire cazzate.» mi rimproverò Steph assumendo un tono minaccioso.
Mi morsi il labbro e rimasi immobile per un minuto buono, con lo sguardo fisso sull’armadio e il caldo insopportabile a darmi fastidio, facendomi desiderare di spogliarmi anche della pelle, coperta solo dalla mia biancheria.
«Che ne dici di quel vestitino che abbiamo comprato quel giorno in cui Nina era venuta a trovarci?» Sgranai gli occhi alla sua proposta improvvisa e mi si scaldò il cuore nel ripensare alla nostra amica francese, Nina, che aveva abbandonato la romantica Parigi per fare visita alle sue due squilibrate amiche inglesi.
«Non ricordo qual è.» borbottai, cercandolo nella speranza di vederlo e avere un’illuminazione.
«Non ha le spalline, se non sbaglio, e forse ha un motivo floreale. Ricordo che ti fa delle tette enormi.» spiegò pacatamente Stephanie, mentre nella mia testa prendeva vita un vago ricordo di quel vestito mai messo.
«Steph, la seconda mi sta grande, com’è possibile che mi faccia le tette enormi?» mormorai, bloccando il telefono tra la mia spalla destra e la mia guancia, mente con le mani rovistavo nell’armadio.
«Ok, nella loro piccolezza sembravano enormi. Così va meglio?» esclamò sbuffando.
«Trovato!» esultai, recuperando il vestito dal fondo di quell’ammasso disordinato di abiti. Lo appoggiai sul letto e lo osservai in ogni suo particolare: Steph aveva ragione, era senza spalline, di un colore tra l’azzurro e il violetto, ma comunque molto chiaro. Quelli che lei aveva descritto come fiori erano in realtà piccole fantasie di sfumature diverse di marrone, lo stesso marrone della fine cintura posizionata appena sotto il seno; scendeva morbido fino a metà coscia e dietro si allungava un po’ di più.
«Secondo te andrà bene?» chiesi indecisa, nonostante fossi letteralmente innamorata di quel vestito.
«Sì.» rispose semplicemente.
«E se non è adatto al posto in cui vuole portarmi?» continuai. Louis mi aveva promesso una sorpresa, quindi non aveva voluto rivelarmi dove si sarebbe tenuto il nostro appuntamento.
«Vic, infilati quel vestito e sta’ zitta.» ribatté Steph. Ecco perché adoravo quella ragazza: mi compensava. Dove io ero insicura e paranoica, lei riusciva a infondermi coraggio.
«Ok. - sussurrai, comunque non molto convinta – Ti chiamo domani allora, così  ti racconto.»
«A meno che la stampa non vi scovi prima.» mi corresse divertita, accennando all’eventualità che le fans ci avvistassero e che quindi il nostro appuntamento diventasse di dominio pubblico.
«Incoraggiante, direi.» commentai sorridendo.
«A domani, Vic. – mi salutò, nel mezzo di una piccola risata – E non preoccuparti, andrà alla grande.»
«Lo spero. Grazie di tutto.»
 
«Chiavi? Prese. Borsa? Presa. – dissi tra me e me, afferrando la borsa marrone sul divano – Mmh… I soldi li ho, i capelli sono a posto e…»
Il suono del campanello interruppe il mio elenco, facendomi sgranare gli occhi per la sorpresa e la paura: «Non apri?» chiese mio fratello con aria beffarda, uscendo dalla cucina con un bicchiere di gelato in mano, per poi salire le scale.
Respirai profondamente e mi sistemai il vestito, in realtà già perfettamente in ordine. Mi avvicinai alla porta di casa e la aprii dopo un altro sospiro: Louis era in piedi davanti a me con il suo solito sorriso raggiante a salutarmi. Se ne stava con le gambe leggermente divaricate, coperte da un paio di jeans chiari che gli lasciavano le caviglie scoperte e che mostravano i suoi tatuaggi proprio in quel punto; le mani, che erano in tasca, scivolarono via quando aprii la porta, e i suoi occhi cercarono di mettere in soggezione i miei, nettamente più insignificanti. Deglutii a vuoto nel costatare quanto la t-shirt grigia che indossava gli donasse.
«Buonasera.» mi salutò.
«Ciao.» ricambiai, sorridendo e stringendomi nelle spalle.
«Sei pronta? Magari stasera riusciremo a stare insieme senza drammi o imprevisti.» disse divertito, incantandomi con il movimento delle sue labbra.
«Le ultime parole famose.» scherzai, sperando che la sua previsione si rivelasse veritiera.
Lui rise e si spostò leggermente per farmi passare: quando gli fui vicina, chiusi la porta alle mie spalle e mi incamminai al suo fianco. Come al solito, la sua mano scivolò gentilmente sulla mia schiena, prima sulla pelle lasciata scoperta dal vestito, poi sulla stoffa: c’erano quasi una tretina di gradi quella sera, ma io riuscivo a distinguere perfettamente i brividi che percorrevano il mio corpo.
 
«Louis, davvero, dove mi stai portando?» chiesi, al limite della sopportazione, torturandomi le mani l’una con l’altra, mentre l’aria condizionata non mi dava sollievo come avrebbe dovuto.
Lui sorrise divertito, stringendo appena un po’ di più il volante con la mano destra, poi mi diede una veloce occhiata prima di tornare a scrutare la strada di fronte a sé: «Sei parecchio impaziente, eh?» mi domandò, probabilmente facendo riferimento al mio continuo chiedere la stessa cosa. Ma d’altronde come poteva biasimarmi? Eravamo in macchina da mezz’ora, ormai, e Londra era lontana: ero sempre più curiosa e sì, sempre più impaziente, come diceva lui.
«Tu non lo saresti al mio posto?» borbottai, spostando lo sguardo davanti a me e scivolando come una bambina nel sedile di pelle beige, per poi incrociare le braccia al petto.
«Nah. – rispose, facendo una smorfia – A me piacciono le sorprese.»
Alzai un sopracciglio e «Sì, anche a me… Però…» sussurrai, lasciando in sospeso la frase. Però mi stai torturando! Avrei voluto aggiungere.
Louis si accorse del mio stato d’animo e cercò di rimediare: «Guarda, siamo quasi arrivati.» mi avvisò , indicandomi con un cenno del capo un cartello stradale. Non riuscii a leggere il nome del paese, data l’oscurità e la velocità alla quale stavamo andando, ma il pensiero di esserci vicini mi sollevò il morale.
Dopo qualche minuto, infatti, stavamo parcheggiando in un’anonima strada del posto: delle villette a schiera sin troppo uguali e tranquille costeggiavano la piccola via, illuminata dalla luce quasi ocra di alcuni vecchi lampioni. Avevo visto pochissimo del paese, dato che vi eravamo appena entrati, e non capivo perché ci fossimo fermati proprio in quel posto, in mezzo al nulla.
Mi guardai intorno, soffermandomi su un gruppo di ragazzini che passeggiavano spensieratamente sul marciapiede, spintonandosi per scherzo. Louis, intanto, si era tolto la cintura e mi fissava allegro: «Allora, non scendi?» mi chiese, riscuotendomi dai miei pensieri.
«Oh, certo.» esclamai, affrettandomi a slacciare la mia cintura e a recuperare la borsa dal cruscotto. Con la coda dell’occhio notai il suo sorriso e non potei trattenere il mio, mentre aprivo lo sportello per scendere.
Mi morsi il labbro inferiore, mentre cercavo qualcosa da dire per interrompere quel silenzio imbarazzante che era appena piombato su di noi: non era affatto da me rimanere senza parole, ma con lui succedeva fin troppo spesso. Mi affiancò e lo vidi mettersi un cappellino in testa, con mio grande stupore: aggrottai la fronte e lui si accorse della mia espressione confusa.
«Che c’è?» chiese con aria innocente.
«È buio, perché il cappellino?» risposi con una domanda, mentre insieme ci incamminavamo: io lo seguivo nella speranza di capire finalmente dove mi stesse portando.
«Dimentichi che potrebbero riconoscermi. - spiegò, assumendo un’espressione furba – Anche se non è un grande travestimento, è già qualcosa.»
«Ah, ora capisco. – dissi annuendo -  Temevo che anche tu fossi come quei geni del male che amano girare con occhiali da sole e cappelli anche di notte.»
Accennò una risata e «E se lo fossi? – chiese divertito -  Mi pianteresti qui, su due piedi?»
Assolutamente no, pensai, ma «Chi lo sa. – risposi – Però potresti provare a compensare questa tua ipotetica mancanza.» Louis si trattenne dal ridere, guardandomi scuotendo la testa, ma non rispose.
«Hai intenzione di tenermi sulle spine fino all’ultimo?» domandai alla fine, quando il rumore dei nostri passi sull’asfalto era diventato troppo fastidioso. Lui annuì semplicemente e questo non mi bastò: «Per favore, dimmelo. Sono una persona troppo curiosa quando si tratta di queste cose. – ripresi, iniziando a parlare a raffica, come ogni volta che ero nervosa – È una specie di tortura per me tutta questa suspense. E poi bisogna aggiungere che tu sei Louis Tomlinson, dettaglio non trascurabile, e che io non so nemmeno se ho il vestito adatto per qualsiasi posto tu abbia scelto, e…»
«Comunque sei davvero bella, stasera.» fu la sua risposta, pronunciata con un tono di voce più serio di quanto mi aspettassi. Mi voltai verso di lui, completamente rapita da quelle parole inaspettate, e incontrai i suoi occhi azzurri, di una strana luminosità dovuta alla luce della sera.
Mi imposi di non imbambolarmi a guardarlo e «Lo hai detto solo per distrarmi?» chiesi, sospettosa.
Louis non fece altro che inclinare le labbra in un mezzo sorriso: «Anche. -  ammise, alzando le spalle e tornando a guardare di fronte a sé – Ma è la verità, questo vestito ti dona.»
Chiusi la bocca per evitare di dover raccogliere la mia mascella dal marciapiede e deglutii, sbattendo più volte le palpebre: stavo ancora fissando i lineamenti del volto di Louis, mentre ringraziavo mentalmente Stephanie e mi crogiolavo nell’emozione che si era impadronita del mio corpo per quel semplice complimento.
«Grazie.» dissi semplicemente, abbassando lo sguardo sulle mie ballerine bianche.
Mi accorsi di Louis che tornava a scrutarmi, ma non mi girai, nemmeno quando «Ho trovato un modo per metterti a tacere.» esordì. Lì, mi limitai solo a sorridere.
 
«Eccoci!» esclamò Louis allargando le braccia, rivolto verso l’entrata di un Luna Park. Io spalancai gli occhi e guardai più volte prima lui e poi il cancello aperto che dava su una folla di gente intenta a divertirsi. La musica era molto alta e alcune giostre si ergevano su di noi, sovrastandoci. Avevo pensato che dovessimo solo passarci di fianco per arrivare chissà dove, invece era sempre stata questa la meta di quel ragazzo.
«Un… Luna Park?» chiesi, ancora in preda allo stupore. Niente in contrario, per carità, ma dire che non me l’aspettavo era dire poco.
Il viso di Louis mantenne la sua espressione soddisfatta e impaziente, mentre i suoi occhi si spostavano su di me: «Esatto!» rispose semplicemente, mostrandomi tutta la sua euforia a riguardo.
Io sorrisi, corrugando la fronte, e lui questo volta se ne accorse, rabbuiandosi: «Che c’è, non ti piace?» chiese, quasi spaventato.
«Eh? No, mi piace. – risposi, sorridendo per incoraggiarlo – Solo che non me l’aspettavo. Tutto qui.» spiegai. insomma, chiunque avrebbe reagito così: chi si sarebbe aspettato che Louis Tomlinson, per il primo appuntamento, avrebbe scelto un posto del genere?
«Meno male. – rispose, evidentemente rincuorato – Il fatto è che era un po’ di tempo che volevo venirci. Sai, tra le riprese e il resto, avevo voglia di distrarmi. Poi ti ho promesso di portarti fuori e… be’, ho pensato che potesse essere una buona idea unire le due cose.» spiegò, in modo naturale.
Io sorrisi e scossi la testa, completamente affascinata da quel ragazzo: mi ero preoccupata come una squilibrata per questo appuntamento, per niente. Alla fine aveva ragione Steph: Louis era un ragazzo normalissimo, che si divertiva in questi posti e a cui brillavano gli occhi alla vista di tutti quei divertimenti, proprio come un bambino.
«Tomlinson, mi hai stupita, lo ammetto.» esclamai, tornando a fissare le mie iridi nelle sue. Potevo coglierci della sorpresa, o forse della soddisfazione, mentre rispondeva: «È una cosa positiva, no?»
Annuii e «Molto.» confermai, guadagnandomi un suo largo sorriso.
«Scommetto che i giornali non parlano di questo lato del mio carattere.» mormorò, stendendo un braccio davanti a sé per invitarmi a varcare i cancelli del Luna Park al suo fianco.
Mi mossi per seguirlo: «Non lo so. – risposi, storcendo il naso – Non mi piacciono i gossip.»
Louis scansò un bambino che correva con un enorme pupazzo a forma di orsacchiotto tra le mani e si sistemò meglio il cappellino sulla testa: «Davvero?» domandò, più che stupito.  Io lo guardai per dargliene la conferma, così lui continuò: «Tomphson, questa volta sei stata tu a stupire me.»
«Ed è una cosa positiva, no?» chiesi, imitando quello che lui stesso mi aveva detto pochi secondi prima. Lo vidi ridere e annuire, mentre io mi ritrovavo a desiderare che quel cappello scomparisse, in modo da lasciarmi vedere al meglio i suoi occhi.
«Vuoi dello zucchero filato?» chiese, indicandone un venditore ad un paio metri da noi. Io lo superai e mi avvicinai velocemente, esclamando euforica: «Stai scherzando? Lo adoro!» Ok, forse anche io potevo cedere allo spirito del posto in cui ci trovavamo.
«Due, per favore.» esordì la voce di Louis, mentre porgeva i soldi al paffuto signore.
«Non dovevi, potevo pagarmelo da sola.» lo rimproverai, spegnendo per un attimo l’entusiasmo e nascondendo la felicità per quel piccolo gesto.
«Prego.» sorrise lui, rimettendosi in tasca il portafoglio. Solo allora mormorai un “grazie” pieno di riconoscenza, mentre la mia attenzione  si concentrava sullo zucchero filato che si formava, man mano che il venditore ruotava il bastoncino intorno al macchinario.
«Allora… - esordii, deglutendo un po’ di quella delizia dolce, mentre camminavamo tra la gente – Visto che non so praticamente niente di te, che ne pensi di dirmi tu qualcosa?» proposi, guardandolo mentre litigava con dello zucchero che gli si era appiccicato sulle dita.
«Oh, ‘fanculo.» borbottò, agitando la mano per cercare di toglierselo. Io sorrisi, sia per la scena, sia per la sua esclamazione, la stessa che Brian odiava tanto quando ero io a pronunciarla: avevamo qualcosa in comune, era già qualcosa.
Trattenni una risata quando, con aria scocciata, si mise l’indice e il medio in bocca, sperando di eliminare ogni traccia di zucchero, e lui si voltò a guardarmi, ancora nella stessa posizione: quando scoppiò a ridere, io smisi di trattenermi e lo imitai, beandomi del suono della sua risata squillante.
«Scusa, ho dei seri problemi quando si tratta di mangiare questa roba. - spiegò, dopo essersi tolto le dita dalla bocca, poi continuò -  Comunque, volevi sapere qualcosa su di me, giusto?»
Annuii, godendomi dell’altro zucchero filato, mentre Louis ricominciava a parlare: «Vediamo… Sono nato il 24 Dicembre del 1991, a Doncaster, nel South Yorkshire.  Ho quattro sorelle e faccio parte degli One Direction, quindi in realtà ho anche quattro fratelli. Il mio hobby è il canto. – aggiunse, sorridendo divertito – Ma anche il calcio è una mia grande passione, e… non saprei cos’altro dire, ad essere sincero. Quindi passo la parola a te, a meno che tu non voglia sapere qualcosa in particolare.»
C’erano un sacco di cose che volevo sapere, ma non osavo chiederle, quindi seguii il suo consiglio: «Credo che la mia vita sia solo noiosa in confronto alla tua. – dissi come premessa – Comunque sono nata il 16 Febbraio del 1993, qui a Londra. Vivo con il mio unico fratello maggiore da quando la vita con i miei genitori mi stava per portare ad una crisi di nervi, anche se per gran parte dell’anno sto da sola perché lui è nella Marina. Lavoro per un’agenzia di catering e… Be’, nemmeno io saprei cos’altro aggiungere.»
«Tuo fratello è nella Marina? Figo!» esclamò, spalancando leggermente gli occhi mentre io annuivo fiera.
«Che ne dici della ruota panoramica?» mi chiese, fermandosi davanti ad essa ed interrompendo il nostro discorso. 
Alzai lo sguardo sulla struttura imponente e annuii: era così piacevole passare del tempo con Louis che sarei stata in quel posto per altri tre giorni senza lamentarmi.
Ci mettemmo un po’ a salire, a causa della folla che si accalcava per fare il più in fretta possibile, ma riuscimmo a passare il tempo continuando a raccontarci piccoli pezzi delle nostre vite e finendo lo zucchero filato: Louis mi aveva confessato di aver scelto quel Luna Park perché fuori città e perché sarebbe stato sicuramente più tranquillo, anche se aveva dovuto constatare che era comunque pieno di gente.
Rabbrividii quando le mie gambe nude entrarono in contatto con il metallo del seggiolino a tre posti su cui ci avevano fatto sedere: il terzo posto era rimasto vuoto, secondo un’esplicita richiesta di Louis, che non fu difficile da accontentare. Abbassammo la sbarra di sicurezza e la giostra cominciò a muoversi, mentre io osservavo le persone farsi sempre più piccole.
Mi voltai verso Louis e lo trovai a guardare giù, come un bambino curioso: allungai una mano e gli tolsi quel cappellino bianco e blu che tanto mi infastidiva, provocando il suo stupore.
«Almeno riesco a vederti bene in faccia, tanto qui non può riconoscerti nessuno.» mi giustificai, alzando le spalle. La verità era che i suoi occhi e il suo volto erano continuamente messi in ombra da quella visiera, che li riparava dalle luci accecanti del Luna Park: certo, erano visibili lo stesso, ma non come avrei voluto.
Louis sorrise e si scompigliò i capelli, lasciati ormai disordinati sulla sua testa: «Non ti piacciono proprio i cappellini, eh?» chiese divertito, riferendosi al discorso di poco prima. Io feci una smorfia per fargli capire che no, non mi piacevano, e per qualche minuto continuammo a punzecchiarci.
«Conosci il gioco delle cinque domande?» esordì poi, mentre la ruota superava il punto più alto per iniziare la discesa. «Mmh, no. Non credo.» risposi, corrugando la fronte.
«È abbastanza semplice: io ti faccio cinque domande e tu devi darmi sempre la risposta sbagliata. Se sbagli, vinco io.»
«E qual è il premio?» domandai curiosa.
«Un bacio.» disse semplicemente, scrutandomi con i suoi occhi sfrontati. Alzai le sopracciglia a quella risposta, ma non mi diede il tempo di ribattere perché iniziò subito il gioco: «Domanda numero uno. Ti stai divertendo?»
Risi e scossi la testa: «Assolutamente no.» risposi, guardandolo con fierezza.
«Bene, passiamo alla domanda numero due. – continuò, sorridendo per la soddisfazione –  Ti piace davvero dove ti ho portata?»
Mi morsi un labbro, cercando di non sorridere, e «No. – mormorai – Louis, ho l’impressione che tu mi stia ricattando per avere delle informazioni.» aggiunsi, puntandogli un dito sul petto.
«Domanda numero tre. – riprese, ignorandomi e alzando l’indice, il medio e l’anulare della mano destra – Vorresti essere qui con qualcun altro?» Che domanda era?
Aspettai qualche secondo prima di rispondere: «No…» sussurrai, questa volta un po’ imbarazzata per quell’ammissione. Vidi il volto di Louis aprirsi in un largo sorriso: «Sei più brava di me a questo gioco! Mancano solo più due domande, giusto?»
Feci un rapido calcolo mentale e risposi con un semplice “sì”, elettrizzata all’idea di dover dare ancora due risposta e indecisa sul voler perdere o meno. Tra di noi calò il silenzio, per un attimo, poi Louis scoppiò a ridere battendo le mani e «Hai perso!» annunciò.
Io boccheggiai per qualche secondo e solo dopo mi accorsi di aver risposto ad una domanda trabocchetto: «Hey, non vale!» protestai.
«Oh, sì che vale! – mi assicurò, sorridendo – E ora mi devi un bacio.»
«Ma…»
«Io, però, sono un gentiluomo. – mi interruppe, alzando le spalle – Quindi, visto che ho giocato slealmente, lascerò perdere.» decretò. In quel momento avrei voluto dirgli che poteva anche prendersi il premio che gli spettava, perché io non lo avrei di certo fermato, ma non so perché non lo feci.
 
«Oh no.» sussurrò, mentre camminavamo per il Luna Park, guardando fisso davanti a sé. Io seguii il suo sguardo e avvistai una gruppo di ragazzine che parlavano tra loro indicandoci: di sicuro l’avevano riconosciuto, anche perché avevano iniziato a camminare nella nostra direzione.
«Ehm, credo che sia meglio andare.» disse, storcendo le labbra. Non so cosa stessi per dirgli, ma mi trattenni, perché la sua mano si strinse attorno al mio polso e mi tirò via, costringendomi a corrergli dietro. Alzai gli occhi sull’insegna del posto in cui mi stava trascinando, leggendo qualcosa come “Casa degli orrori”, e per poco non piantai i piedi urlando di non volerci entrare. Avevo il terrore del buio: non tanto delle creature mostruose che sarebbero di certo apparse, quanto del buio in sé. Sperai comunque che ci fosse solo della penombra, come succedeva il più delle volte in luoghi del genere, convincendomi che non sarebbe stato tanto traumatico come temevo. D’altronde passare del tempo con Louis era più che piacevole: per tutta la sera, tra una distrazione e l’altra, non aveva fatto altro che scherzare, ridere e prendermi in giro, così come facevo io; il nostro era un rapporto naturale, come quello tra due persone che si conoscono da anni. Forse la mia timidezza praticamente assente e il mio essere una chiacchierona aiutavano, e forse anche la sua spontaneità e la sua spensieratezza davano una mano. Eppure io ero ancora convinta che Louis Tomlinson non fosse solo sorrisi e battute divertenti, che quegli occhi nascondessero molto altro, qualcosa di totalmente diverso da quello che traspariva.
I miei occhi, appena entrammo, dovettero arrancare nell’oscurità più totale, per mia sfortuna: Louis si fermò e io con lui, pietrificata. Lo sentii sorridere, o almeno così pensavo: «Hai paura del buio, Vicki?» mi chiese, come se stesse segnando l’inizio di un’avventura degna da film horror.
«No.» sussurrai, deglutendo a vuoto. Bugia.
«E perché stai tremando, allora?» domandò, come se fosse alle prese con una bambina che sa di mentire.
Non riuscivo a capire quanto fosse vicino o dove fosse di preciso: in base alla sua voce, sembrava essere davanti a me e magari, se avessi allungato la mano, sarei riuscita a toccarlo. Improvvisamente, una luce fioca e sfuggevole ci illuminò, probabilmente come effetto speciale, e io riuscii a vedere Louis, più vicino a me di quanto pensassi. Stava sorridendo.
«Mi è venuto freddo.» gli assicurai, chiudendo gli occhi. Un’altra bugia.
Per qualche secondo rimasi immobile, con le orecchie tese a captare qualsiasi rumore: «Perché hai paura del buio?» chiese Louis in un sussurro, al mio orecchio. Io sobbalzai per lo spavento e udii una sua risata soffocata: mi voltai, sicura che fosse alle mie spalle, dato che avevo distintamente percepito il suo respiro sul mio collo. Di nuovo, la stessa luce di prima mi donò la vista, anche se per pochi secondi, ma di Louis non c’era traccia. Quando piombai per la seconda volta nel buio, mi paralizzai: «Dove sei?» chiesi, con la voce tremante. L’oscurità aveva il potere di destabilizzarmi: non sopportavo non vedere cosa mi stava intorno, mi sembrava di vagare nel nulla più totale, ecco perché ne avevo paura. In realtà non sapevo se avessi più paura del buio o del vuoto.
«Sono qui.» rispose lui, mentre sentivo la sua mano sfiorarmi i capelli, sciolti sulle mie spalle.
«Ho paura, ok?» ammisi, mordendomi l’interno della guancia.
«Non mi dire.» rispose in modo ironico, facendomi sorridere.
Per l’ennesima volta, calò il silenzio tra di noi: «Louis?» lo chiamai, mentre i miei occhi cercavano di abituarsi al buio. Ma lui non rispose.
«Louis?» chiamai di nuovo.
«Vicki, posso fare una cosa?» lo sentii chiedere, mentre mi rilassavo al pensiero che fosse ancora con me.
«Che cosa vuoi fare?» domandai, incuriosita e anche un po’ spaventata.
Non rispose a parole, ma i suoi gesti si spiegarono meglio. Sobbalzai quando senti qualcosa sfiorarmi delicatamente un braccio, probabilmente la sua mano, ma lo lasciai fare, sperando che facesse quello che stavo immaginando. L’altra sua mano si spostò sulla mia schiena, come se quel posto fosse il suo preferito, e lentamente mi attirò al corpo di Louis, facendo aderire il mio petto al suo. Il suo profumo un po’ aspro mi invase la narici, facendomi dimenticare per un attimo di dove fossimo.
Rabbrividii quando riconobbi le sue labbra sul mio collo a lasciare dei baci delicati, poi quel contatto finì, con mio grande dispiacere: «Hai ancora paura?» sussurrò, a quella che mi sembrò una distanza minimo dal mio volto.
«No.» risposi sicura, deglutendo la mia impazienza.
Un’altra luce, questa volta di un rosso fioco, mi permise di assicurarmi che il viso di Louis fosse molto vicino al mio, e per un attimo riuscii persino a guardarlo negli occhi. Nessuno dei due disse altro, forse perché Louis si stava già avvicinando, forse perché io non volevo nient’altro.
Quando le mie labbra vennero sfiorate dalle sue, mi accorsi che il mio cuore stava battendo più veloce del solito non più per il terrore, ma per qualcos’altro. Fui io a ristabilire il contatto, a cercare di nuovo la sua bocca per assaporarne il sapore e per sentire le sue labbra sottili farsi sempre più umide e morbide.
La sua presa si intensificò mentre io gli circondavo la schiena con le braccia: in sottofondo c’erano le urla lontane delle altre persone presenti nella “Casa degli orrori”, i versi di chissà quale mostro o zombie che faceva il suo lavoro e una musichetta inquietante che aveva un brutto effetto sulle persone come me, eppure io riuscivo a concentrarmi solo su Louis, sulla sua lingua che cercava la mia e sulla sua dolcezza.
Dopo forse un minuto, dovetti abituarmi all’assenza delle sue labbra sulle mie: «Mi dovevi un bacio, no?» mi chiese, e io non potevo vederlo, ma ero convinta che stesse sorridendo.
«Non avevi detto di essere un gentiluomo?» ribattei divertita, ancora scossa da quello che era appena successo.
«Ci ho ripensato.» mormorò, lasciandomi un altro bacio a fior di labbra.






 




Splendoriiiiiiiiiii! Eccomi qui! Scusate, come sempre, per il ritardo!
Giuro che io ce la metto tutta, ma è già tanto se ho tempo per respirare ultimamente!! In più, sforno questi capitoli che lasciano molto a desiderare, quindi spero non mi odierete!
Come promesso, è tutto incentrato su Vicki e Louis: ho intenzione di farvi capire i loro caratteri un po’ per volta :) Di Louis si intuisce il suo essere un po’ infantile, ma non fatevi ingannare, perché è un ragazzo molto particolare! E Vicki, be’, lei… Perché ve ne sto parlando? Non posso svelarvi troppe cose! Comunque… quante si aspettavano che si sarebbero baciati sulla ruota panoramica? Ci avevo pensato, a dir la verità, ma poi mi sono detta: “Da quando sei diventata così banale e scontata?” ahaha Spero che l’alternativa vi sia piaciuta :)
Come avrete notato, Louis è diventato più di un semplice amico: quale sarà secondo voi il suo ruolo, stando a quello che è successo? Su, su, voglio i vostri pareri :)
 
Grazie mille per continuare a seguire questa storia, nonostante io non riesca ad aggiornare come un tempo e nonostante i miei capitoli stiano un po’ perdendo colpi (?) Me ne accorgo e ne sono consapevole, quindi non provate a farmi cambiare idea!
In ogni caso grazie anche per il continuo appoggio!
Vi chiedo di farmi sapere cosa ne pensate! Anche – e soprattutto – se qualcosa non vi è piaciuto! Ho notato che nello scorso capitolo sono calate un po’ le recensioni, quindi penso che non vi sia piaciuto :/ Ci sta eh, per carità, però mi farebbe piacere che mi diceste perché!
Anche per messaggio privato, se non volete lasciare una recensione, almeno posso rimediare :)
In sintesi: ditemelo pure, se trovate qualcosa che non va :)
Detto questo, vi mando un bacione!
A presto :)

 


 
 

  
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