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Autore: LouVelessy    21/05/2013    4 recensioni
Quando ti chiami Harry Styles, ma tutti ti chiamano "il cieco", perchè tutto quello che vedono di te è solo un paio di occhiali da sole ed un bastone che ti aiuta a muoverti, costretto ad ascoltare i loro commenti cattivi, è difficile mostrarsi per quello che sei realmente.
Quando ti chiami Louis Tomlinson, ma tutti ti chiamano "il Tommo", attenti ad evitarti quando incontrano il tuo sguardo, quasi impauriti da quello che potresti fargli solo perchè ti guardano, è facile lasciarli fare per evitare rogne.
Tutti indossano una maschera, e nessuno si mostra per quel che è.
Fidarsi è la cosa più difficile da fare. Sempre.
{ Harry è un ragazzo di 16 anni, ipovedente. Louis potrebbe essere definito per semplificazione un bullo. }
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Harry Styles era il bambino più bello del mondo. E a dirlo non erano solo i familiari, cosa che sarebbe stata scontata. No. Tutti quelli che lo vedevano, incontrandolo per strada in braccio alla madre o per qualche altra ragione, ne rimanevano colpiti. Già a pochi mesi aveva un caschetto di capelli sul biondo scuro da far invidia. Teneva le manine sempre chiuse, piangeva poco, dormiva molto, e non dava più fastidio del necessario. Anne faceva invidia alle sue “colleghe” mamma, costrette invece a fare le ore piccole per star dietro ai capricci dei loro piccoli.

La prima parola di Harry non fu il classico pa-pa o ma-ma che tutti possono vantare riguardo ai propri figli. La prima parola di Harry fu ge-ge, nomignolo che la sorella Gemma fu costretta a portarsi dietro per parecchi anni da quel momento in poi. Legatissimo alla sorella maggiore, era il minimo che tutti potessero aspettarsi. Non era per nulla pestifero, non faceva danni, non distruggeva i giocattoli né suo né tantomeno della sorella, e potevi lasciarlo ore a mettere in pila mattoncini colorati, che lo si trovava lì, un paio d’ore dopo, ancora intento nel suo lavoro.

Un bambino fin troppo attento, intelligente, silenzioso. Tutto troppo perfetto, tanto da aver paura di veder sfumare via quella magia incredibili che era la vita di Harry.
A quattro anni, ai tempi dell’asilo, fu la maestra del piccolo Styles a convocare i genitori, cosa che spaventò da subito Anne. Era un bambino così tranquillo, che era quasi impossibile che avesse combinato qualche cosa a scuola, soprattutto considerando la sua tenera età.

“Signora Styles… penso ci sia qualche cosa che non va in Harry…”

“Qualche cosa che non va? Non capisco…”

La maestra accusava le difficoltà del piccolo nel compiere semplici mansioni, come far scorrere le palline nell’abaco, colorare delle figure negli spazi giusti, infilare le formine nelle forme in cui potevano entrare senza alcuna difficoltà al primo colpo.

“Forse mi sbaglio, però credo sia meglio fare qualche accertamento più approfondito…”

Il calvario di Harry Styles cominciò così. Prime visite dal medico generico, poi qualche specialista. Esami di ogni tipo, alcuni invasivi altri meno.
Dopo diversi mesi, tra notizie velate, presentimenti, arrivarono le conferme dei medici.

“Harry è affetto da una malattia genetica che gli causerà, nel giro di qualche anno, la perdita della vista. Essendo una malattia degenerativa, non possiamo prevedere in quanto tempo questo accadrà… forse ci vorranno anni, forse mesi. Forse non perderà mai del tutto il senso della vista. Purtroppo non possiamo fare dei calcoli a riguardo. Ci dispiace…”

Per la prima volta nella sua vita, Anne scoprì cosa si prova quando il modo ti cade addosso. E non era come lo avrebbe immaginato. Sentì le gambe tremare, il pavimento sparirle sotto ai piedi e dovette appoggiarsi al marito, in un momento di mancamento.

Harry vedeva, ma non vedeva come gli altri. E soprattutto, non avrebbe visto così per sempre. La sua vista sarebbe peggiorata con il passare del tempo, rendendolo dapprima miope, fino a portarlo alla completa cecità. Completa cecità che forse non avrebbe mai raggiunto. Ma già a dieci anni Harry, durante il giorno, non riusciva a vedere nulla. Tutto totalmente buio. Seguiva dei corsi per aiutarlo ad imparare a muoversi con il bastone, picchiandolo in giro per evitare gli ostacoli, ma l’aiuto di qualcuno gli era sempre necessario. Perse quel brio, che nei primi anni di vita invece lo accompagnava.

Sempre più silenzioso, riusciva ad aprirsi davvero con pochi. Niall era uno di quelli. Il suo migliore amico, da sempre. L’unico con cui giocava al parco, e con il quale, nonostante la vista peggiorasse giorno per giorno anche se in maniera quasi impercettibile, continuò a giocare. Passarono dal correre insieme, l’uno affianco all’altro, a camminare insieme, con Harry che si teneva saldamente al braccio di Niall, mentre gli venivano descritte quelle caratteristiche che Harry ricordava, come il colore del cielo, la luminosità della giornata, il colore dell’erba che ogni stagione cambiava. Non si stancavano mai, e Niall non smise mai di essergli amico, senza fargli pesare quella condizione. Non era nulla di strano, in fin dei conti. Era semplicemente Harry. Niente di particolare alla quale doversi abituare. A differenza di quello che succedeva a tutti gli altri, invece. Amici nuovi a scuola, amici nuovi al liceo. Con gli altri era difficile. Soprattutto quando Niall fu costretto a cambiare liceo. La scuola che avrebbero frequentato, insieme, non disponeva di assistenti sociali, figura che invece la condizione di Harry richiedeva.

“Non ci voglio andare in quella scuola mamma. Io non ho bisogno di nessun aiutante per star dietro allo studio!”

“Amore, lo so. So che vorresti continuare ad andare a scuola con Niall, ma non ti farebbe bene. Dovresti conoscere qualcun altro, Harry…”

“Ma io non ne ho bisogno! Non ho bisogno di nessun altro amico, ho già Horan. E non ho bisogno di nessun aiutante, ce la faccio da solo!”

“Il liceo è molto più impegnativo…”

“Mi stai rovinando la vita mamma.”

Concluse così, prima di avviarsi a passi decisi, per nulla incerti, in camera propria. La casa di una persona non vedente, o ipovedente come in questo caso specifico, presenta pochi ostacoli, percorsi semplici, e tutto sempre nello stesso ordine. Così Harry riusciva tranquillamente a camminare in casa, senza bastone, senza alcun aiuto, e del tutto deciso. Fiducia. Fiducia in sé stesso, nelle persone che vivono in casa. Stessa fiducia che non riusciva invece ad avere fuori casa, soprattutto a scuola, quando troppi rumori e troppe persone gli giravano intorno, senza curarsi degli spazi necessari che avrebbe dovuto avere, per muoversi in sicurezza. Ma si sarebbe abituato. A tutto ci si abitua. Anche alle condizioni più difficoltose.

Di condizioni pericolose, Harry Styles, ne conosceva già abbastanza da poter sapere che anche questa l’avrebbe affrontata, e sarebbe passato tutto.
Lasciandolo vittorioso o meno, sarebbe di sicuro passato.
















____________________________________________________________note_autrice_____

Salve, LouVelessy aka Giulia.
Spero vi piacerà quest'idea. 
Io, come sempre, mi impegno.
Ditemi cosa ne pensate, e se seguite la storia vi avviso al prossimo capitolo con un messaggio :)
( capitolo già sotto scrittura, che arriverà a brevissimo)
Un bacio, Giulia.
P.S: l'immagine l'ho fatta io. Spero renda. 

 

  
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