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Autore: ZephyrSelyne    22/05/2013    2 recensioni
Dopo la minaccia dei Volturi, la famiglia Cullen ritrova il suo equilibrio felice.
Però, un incontro casuale, durante una battuta di caccia, sconvolgerà la tranquillità dei vampiri vegetariani.
Una bambina, maltrattata, denutrita, umiliata che non ha mai conosciuto direttamente la parola "affetto". Misteriosa, piccola e bellissima...
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Dal prologo:
«Che c'è tesoro?...» non riuscì a finire la domanda che vide cosa aveva paralizzato la piccola.
Si trovavano in una piccola radura nella quale, al centro, vi era una grande quercia.
Alla base del tronco c'era qualcuno.
Una bambina.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Successivo alla saga
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Nota dell'autrice: Scusate tanto per il ritardo imperdonabile, ma i doveri scolastici non mi lasciano molto tempo! Comunque, in questo capitolo abbiamo un tuffo nel recente passato della nostra piccola... Scommetto che vi susciterà molte domade (i poteri rilassanti tipo quelli di Jasper ecc...). Se volete delle risposte, chiedete :).
Godetevi la lettura!
 






Capitolo tre - Il limite

a few days ago





Era l'alba e io passeggiavo nei boschi, senza una meta precisa. Mi ero già nutrita di un bellissimo e giovane cervo, quindi mi lasciavo trasportare dall'ebrezza causata dalla sazietà.
Sapevo che ad una certa ora sarei dovuta ritornare indietro, ma per il momento, volevo allontanarmi il più possibile dalle mie sofferenze. Avevo bisogno di un momento in cui potevo pensare liberamente, come ogni bambina di dieci anni.
Mi piaceva andare nel paesino situato ai piedi di grandissime montagne di cui ignoravo il nome. Non mi veniva insegnato nulla, né la geografia né la storia. Non sapevo nemmeno leggere o scrivere e nessuno si era mai degnato di insegnarmelo.
Comunque, arrivai a destinazione. Da due anni avevo preso l'abitudine di osservare gli umani: nascosta nell'angolo più buio, guardavo ogni istante di preparazione della loro giornata.
Tantissime volte mi ero ritrovata a invidiare quei bambini, circondati da tanto affetto e serenità, ciò che a me era del tutto sconosciuto.
Con estremo silenzio, mi arrampicai nell'abitazione che più preferivo. Vi abitavano cinque umani: una mamma, un papà, due bambini maschi e una piccola femmina.
Era la famiglia più allegra che io avessi mai visto, perciò mi aveva colpito.
Ero arrivata appena in tempo per assistere al risveglio della piccola Mary. Era davvero tenera ed emanava un odore davvero appetitoso. Non mi sarei mai azzardata neanche a sfiorarla: ero quella che i miei familiari chiamavano "rammollita" perché non volevo bere sangue umano, mettendo fine a delle vite innocenti.
Quando ero davvero tentata, richiamavo sempre alla mente il volto di Mary, e riuscivo a resistere a tutti i miei istinti.
La bambina in questione si svegliò e corse nella camera dei due fratelli maggiori. Questi l'accolsero con gioia e insieme, si diressero dai genitori ancora addormentati.
Quel giorno ero troppo amareggiata per assistere a tutti quei abbracci e bacini che, immagivavo, dovevano essere davvero dolci.
Vedere come quell'umana veniva trattata dai fratelli, mi aveva resa triste e particolarmente invidiosa: i miei, di fratelli, non facevano altro che procurarmi lividi e ferite.
Lasciai la presa dalla grondaia e saltai verso l'asfalto. Le strade erano ancora deserte, perciò potevo permettermi di farmi vedere.
Comunque, per precauzione, corsi con velocità tale da risultare invisibile all'occhio umano.
Corsi più in fretta che potei, prima che qualcuno potesse notare la mia lontananza. 
Se mi avessero scoperto, quella sarebbe diventata la mia ultima gita e mi avrebbero aspettato giorni al buio nella cantina blindata.
Ci riuscii: raggiunsi la grotta in cui avevo abbandonato il cadavere del cervo, appena in tempo. 
Due vampiri fecero la loro comparsa.
<< Ecco dov'eri, sacco di pulci >> mi disse sprezzante Asmus, uno dei fedeli servitori Vampiri di mio padre.
Io non risposi. Mi sedetti su una roccia, strappando con un bastone tutto il muschio che riuscivo a vedere. Era una mia bizzarra e inspiegabile abitudine.
L'altro vampiro, Nilan, entrò nella caverna, forse attirato dalla preda cacciata da me.
<< Bleah, che schifo. Non so come fa a nutrirsi di questa roba. Sono disgustato >> si lamentò.
Guadagnai un'occhiata sprezzante da Asmus.
<< Non so proprio come puoi essere figlia del Signore, ma sono cose che non mi riguardano. Su, vieni qui, piccola bastarda. Sei stata fuori abbastanza >>.
Reprimendo a stento un sospiro, scesi dalla roccia, ubbidiente. Quando Nilan fu uscito, partimmo alla volta della sontuosa dimora di colui che era mio padre. 
Correndo dietro ai due vampiri, prestai attenzione a ciò che dicevano.
<< Oggi sarà una giornata importante >> diceva eccitato Nilan, << verrà il grande Caius. Dobbiamo preparargli una calda e succulenta accoglienza. So già dove trovare delle prede che fanno al caso nostro >>.
<< Non è il momento di discuterne, Nilan. Più tardi avremo tutto il tempo >> disse Asmus, riservandomi un'occhiata ostile.
Non ci feci caso: la mia mente era rimasta ancorata alle parole di Nilan. Il grande Caius qui, oggi? 
Ciò significava solo guai. E prede portate vive, rinchiuse nei luoghi in cui dovevo abitare. Così assistevo alle loro ultime ore, ai singhiozzi impauriti che mi stringevano il cuore in una morsa di pietà e impotenza.
Il mio compito era quello di calmarli e rassicurarli, ma non ci riuscivo mai: come si porteva tranquillizzare una creatura coscente del fatto che non avrebbe più rivisto ciò che gli è caro?
La maggior parte delle vittime era costituito da giovani donne. Talvolta vi erano anche degli uomini, per somma gioia delle amanti del Signore.
Superammo il cancello elegante e attraversammo il sontuoso giardino. Era meraviglioso, ma non mi incantava più di tanto: apparteneva a crudeli e sanguinari vampiri, che odiavo con tutta me stessa.
Mi stavo dirigendo verso l'ingresso principale quando fui bloccata da Asmus, che mi stratonò verso di lui facendomi cadere.
<< Non osare posare i tuoi sudici piedi nell'ingresso appena lucidato, piccolo sacco di merda >> mi ringhiò stringendomi forte il braccio. Sentì le ossa scricchiolare, per la pressione.
Avevo gli occhi lucidi e stringevo i denti per non dargli la soddisfazione di vedermi piangere. Non l'avevo mai fatto e non avevo intenzione di cominciare.
Proprio quando il mio osso stette per cedere, Asmus mi scaraventò verso l'entrata secondaria, quella dei servitori Umani.
Atterrai sui miei piedi, con una posa che ritenni dignitosa. Poi, senza neanche girarmi a guardare la reazione del vampiro odioso, corsi verso la mia stanza. Durante il tragitto non fui notata da nessuno.
Dopo aver percorso, il più velocemente possibile, tutti gli alloggi sotteranei dei servitori Umani, scesi ulteriori scale, quelle che portavano alle cantine. E proprio lì, avevo un posto per me.
Aprii la porta e la chiusi alle mie spalle.
Era una stanza che ritenevo spoglia ed essenziale per dormire. Era dipinta di rosa ma tutta la muffa copriva quel colore in più punti. 
Nell'angolo più lontano vi era una brandina con una copertina pulita. Ai piedi del letto c'era un baule contenente qualche vestito rattoppato e sgualcito.
Ma l'oggetto che avevo più caro era il pianoforte a muro. L'unico oggetto della stanza che mi era stato concesso per regalo dopo che avevo eseguito un lavoro eccellente, due anni fa. 
Ecco dove viveva la figlia del grande e potente Mareus, il vampiro più temuto e rispettato di tutti i tempi.
Ero la sua unica figlia biologica, ma lui preferiva i suoi figli acquisiti. 
Mi aveva rinnegato per colpa del tradimento di mia madre, che aveva tentato di fuggire, invano. Aveva ottenuto la morte e un pessimo futuro per me, la sua adorata figlia, la ragione per cui aveva cercato di fare l'impossibile.
Era morta supplicando per il mio destino, ma mio padre fu spietato e volle eseguire la sanzione fino alla fine.
Così, ero trattata come un oggetto privo di valore da qualunque abitante dell'immensa villa. 
Sospirai. Mi faceva sempre male pensare alle mie pessime condizioni di vita. Quindi per distrarmi, mi diressi verso la mia unica valvola di sfogo: il pianoforte.
Mi ci sedetti davanti e cominciai a suonare. Ben presto chiusi gli occhi e lasciai che le mie dita scorressero su quei tasti.
Eseguii un brano di mia invenzione che mi ricordava il suono di voce di mia madre, Meriana.
Quando suonavo, perdevo la nozione del tempo. Ero così presa dalla musica, che quasi non sentii bussare alla porta.
Smisi immediatamente, provocando cosi una stonatura alla fine della melodia.
<< Haley, sono io, Trevor >> sentii.
Mi affrettai ad aprire. Trevor, uno dei servitori più umili, era l'unico che non usava la violenza con me, perché comprendeva cosa volesse dire essere maltrattati.
Era l'unica figura amica che avevo qui dentro.
I suoi genitori erano stati un pasto di mio padre due anni fa. Lui era stato risparmiato perché non era abbastanza buono, perciò divenne uno schiavo che lavorava da mattina presto a notte fonda.
Molte volte riuscivo ad aiutralo nelle sue commissioni, essendo più forte e più veloce, ma quando venivo scoperta, ci punivano entrambi.
<< Cosa c'è? >> chiesi.
<< E' arrivato un carico molto corposo. Vogliono che te ne occupi subito, nell'attesa che arrivi il grande ospite >> rispose il ragazzino Umano.
Non potevo far altro che ubbidire. << Fammi strada >> dissi piano, abbassando la testa, avvilita.
Trevor mi accarezzò i capelli, come per incoraggiarmi, poi si voltò e si avviò per il corridoio.
Durante il tragitto rimanemmo in silenzio. Arrivammo fino all'entrata delle cantine.
Prima ancora di arrivarci, fui investita da una moltitudine di profumi e sentii molte voci parlare in tono spaventato.
Asmus cercava di placare la folla con il suo fascino, ma vi erano anche delle bambine, troppo piccole per abboccare e troppo perspicaci per non capire il pericolo.
Quando mi vide, gli si dipinse un espressione di sollievo.
<< Ce ne hai messo di tempo >> sibilò piano, in modo impercettibile agli umani.
Io non risposi e mi concentrai per calmare e rilassare le prede. Scese piano, piano, un relativo silenzio. Si udivano ancora i respiri, e i cuori caldi e palpitanti.
<< Seguitemi, prego. Con me siete al sicuro >> dissi in tono tranquillo.
Mi incamminai verso le cantine. Asmus mi precedette in modo da poter aprire tutte le porte al mio passaggio.
Finalmente giungemmo a dieci stanze, arredate in modo confortevole alla vista umana.
La folla di gente si riversò e ognuno scelse il luogo che gli faceva più comodo.
Solo una piccola figura rimase in disparte. Era piccola, solo una bambina, sui cinque anni.
<< Entra piccolina, su >> disse Asmus in tono fin troppo dolce. La piccola ubbidì. Quando mi passò accanto, ebbi un tuffo al cuore. 
Quel odore, quei capelli ricci e neri... io gli avevo già visti. Era Mary, la bambina del paesino vicino.
Non poteva essere. Lei non poteva morire, così, sola. Che ne sarebbe stato dei suoi genitori? E i fratelli? resterebbero distrutti dalla sua scomparsa.
<< Non hai sentito quello che ho detto, bastarda che non sei altro? Togliti dalla porta che devo chiudere! >> ringhiò Asmus.
Ma io rimasi ferma ad osservare sconcertata e inorridita Mary che entrava e si sedeva su dei morbidi cuscini. Si guardava intorno, smarrita, con un'espressione di preoccupazione dipinta in volto. Era l'unica a non essere caduta in mio potere.
Feci per andare da lei ma fui fermata dalle mani veloci di Asmus.
<< Dove credi di andare? >> disse rabbioso, stratonandomi un'altra volta.
Mi divincolai. 
<< Lasciami stare! Ho detto, lasciami! Non posso lasciare quella bambina lì dentro >> gridai.
Asmus seguì il mio sguardo.
<< Quella rimarrà proprio lì. Non hai sentito che delizia? Sarà riservata personalmente a Caius come antipasto >> disse il servitore, con una nota di rammarico perché desiderava tanto assaggiarla.
Ero disgustata. Prima ancora che avessi potuto fare qualcosa, Asmus mi scaraventò via, lontano dalla porta cosicché potè chiuderla bene.
<< Asmus, lasciami prendere quella bambina, ti prego >> supplicai, rialzandomi e avvicinandomi ancora.
<< Ma oggi vuoi proprio farmi arrabbiare, eh? Sparisci prima che ti faccia pentire di essere nata! Hai già mangiato per oggi! Fatti bastare quella carogna per i prossimi sette giorni! >> ringhiò, spazientito.
Fui stupita per quelle parole. Capii che Asmus credeva che volessi cibarmi della bambina. Per fortuna ignorava le mie reali intenzioni.
Ammutolii. Non volevo assolutamente far arrabbiare Asmus. Avevo già imparato la lezione a mie spese.
Non potei fare altro che ritornare in camera mia spintonando ogni Servo Umano che incontravo.
  
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