Capitolo XIV
Qualcosa di diverso nei suoi occhi
Masters
Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire
13
maggio 2005
Dopo essere
uscita dalla doccia, Mac sistemò la divisa
nell’armadio di quercia scuro cercando di lisciarne le pieghe e si
vestì. Nulla
d’eclatante, ormai le mise più belle e sexy le riservava all’uomo della
sua
vita. Per Harm un paio di jeans e una camicia potevano bastare. E
avanzare,
decise.
Scese al bar
dove lui la stava aspettando sorseggiando
tranquillamente una birra scura.
Si fermò a
qualche metro da lui per osservarlo meglio: era
sempre bellissimo.
Sospirò
rassegnandosi al fatto che, nonostante tutto, Harm
avrebbe sempre avuto l’effetto di sconvolgerle i sensi. Per un attimo
invidiò
atrocemente Belinda.
Si avvicinò:
“Harm”, lo salutò piatta e incolore.
Lui si voltò
e le riservò uno dei suoi smaglianti sorrisi
ricambiando il saluto.
Lei gli tese
il documento: “Prima che te ne dimentichi
un’altra volta”, disse sempre mantenendo un’inflessione neutra.
Lui prese
quanto gli veniva sporto, afferrò una penna dal
bancone del bar e firmò.
“Ecco fatto”,
le disse restituendo il plico. “Adesso
possiamo goderci la serata senza altri formalismi?”
“Fammi
strada.”
Lui si alzò e
la guidò verso l’anticamera del ristorante
dove furono accolti da un impettito maitre
in giacca nera e panciotto di seta giallo pallido.
“Mr. e Mrs.
Rabb?” domandò compitamente.
“Mr. Rabb e
Miss Mackenzie” lo corresse Mac.
“Chiedo
scusa. Se volete seguirmi.”
Li condusse
attraverso una grande sala con il pavimento
ricoperto da moquette azzurra che attutiva i loro passi. Appliques
d’ottone diffondevano una calda luce ambrata e i pochi
ospiti a cena parlavano a bassa voce. L’atmosfera era quella di un
luogo intimo
e raccolto, nonostante la sala fosse abbastanza grande da accogliere
comodamente un banchetto per duecento persone. Fuori, ad ovest, gli
ultimi
residui del giorno combattevano con le nubi e una leggera pioggerella
velava di
umidità l’oscurità della notte che avanzava.
Il maitre li
guidò ad un tavolo appartato, accanto ad una delle grandi finestre a
ghigliottina che davano sul fiume, ora nero come la pece.
Scostò la
sedia e fece accomodare Mac, dopodiché fece lo
stesso con Harm.
“Porto subito
i menù”, disse prima di eclissarsi.
“Bel posto”,
osservò Mac guardandosi intorno.
“Avevo
pensato di venire con Linda, ma all’ultimo…”
“…ti sei
ritrovato a cena con me” completò la frase.
Harm rise:
“E’ andata bene comunque no?”.
“Belinda lo
sa?”
“Non ho avuto
il tempo di avvisarla, ma anche se lo
sapesse ne sarebbe contenta.”
“Al suo posto
io non reagirei altrettanto bene. Ma forse è
tutta questione di fiducia reciproca.”
“Appunto.”
“E comunque
fra noi è tutto morto e sepolto vero?”
“Vero.
Abbiamo compiuto scelte differenti, ma questo non
c’impedisce di restare amici.”
Mac alzò un
sopracciglio e lo guardò con aria
interrogativa. Nel frattempo era tornato il maitre
e la conversazione s’interruppe per scegliere i piatti della cena.
Dopo
l’ordinazione restarono in silenzio a fissare il
panorama buio.
“Parli come
se fra di noi fosse accaduto qualcosa”,
osservò Mac bevendo un sorso d’acqua. “Mentre lo sai benissimo che non
è
accaduto alcunché.”
“Qualcosa è
successo, su questo non puoi non essere
d’accordo” rispose Harm.
“No, Rabb,
non sono d’accordo. Fra noi è sempre restato
tutto sospeso, non abbiamo mai parlato, non abbiamo mai agito. Solo
amici,
grandi amici, ma nulla più.”
“Stai
dimenticando un particolare, Sarah.”
Oh no!, pensò lei,
ma ormai era troppo
tardi e le conseguenze del sentirsi chiamare per nome da lui erano già
in atto,
devastanti come al solito.
Finse
noncuranza e sperò di riuscirci: “Cosa
dimenticherei?” domandò imburrando un tramezzino caldo e mettendoci
sopra una
fetta di salmone affumicato.
“Quel bacio,
in sala riunioni, qualche tempo fa…”
“Ah quello.
Era solo una provocazione Harm, quando ancora
ero convinta di provare qualcosa per te.”
Il silenzio
calò pesante fra di loro.
“Parto domani
pomeriggio” comunicò asciutta dopo un po’,
più che altro per sviare il discorso da argomenti pericolosi. “Ho
trovato un
posto, l’ultimo”, tenne a sottolineare, “su un aereo che parte da
Southampton
domenica mattina.”
“Ti
accompagno.”
“Preferisco
di no. Goditi la tua vacanza, in qualunque
cosa consista” replicò, “e comunque devo restituire la macchina alla
Hertz.”
Terminarono
di cenare senza aggiungere altro e si
ritirarono nelle proprie stanze.
Non appena
giunta in camera, Mac si buttò a corpo morto
sul letto, sentiva la tensione che le stringeva l’anima in una morsa
d’acciaio,
quasi impedendole di respirare.
Quel bacio…
il suo ricordo l’aveva tormentata per mesi,
per non parlare di quello che le aveva dato lui… sensazione che a
stento era
riuscita a relegare nell’angolo più remoto di se stessa e che adesso,
complice
un innocuo riferimento fatto durante una conversazione senza senso,
tornavano a
tormentarla. Cercò di ricordare quello che provava quando era tra le
braccia di
Clay, ma niente poteva competere con quello che aveva sentito fra
quelle
dell’altro.
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
“Perdonate,
Milord…”, la cameriera personale di
sua moglie lo distolse dalla lettura.
“Milady
desidera vedervi.”
“Grazie,
Lynnette. Lady Sarah è in salotto?”
domandò alla donna.
“No, Lord
Thornton. Milady vi attende in camera
sua.”
“Grazie.
Andate pure” disse, congedandola.
Attese che la
donna uscisse dalla biblioteca,
poi chiuse il libro e si alzò.
Mentre saliva
le scale per raggiungerla, si
domandò il motivo di quella richiesta: Sarah non aveva mai voluto
parlargli in
privato in tutte quelle settimane e, soprattutto, mai in camera
propria. Da
quando si era stabilito con lei a Beaulieu, non aveva mai visto la
stanza di
sua moglie, né di notte, né di giorno.
Dal suo
rientro da Londra, tuttavia, Sarah
sembrava un po’ cambiata. A cena era stata di ottima compagnia e aveva
conversato
piacevolmente. La luce sembrava essere tornata a brillare nei suoi
occhi ed
egli ne aveva gioito e sofferto al tempo stesso.
Era felice di
vederla ritornare quella di un
tempo, ma molto meno lo era sapere che quel cambiamento non era
avvenuto grazie
a lui, ma al viaggio a Londra. Rivedere quell’amica doveva essere stato
molto
importante per lei… sempre che di amica si fosse trattato. Non poteva
infatti
escludere che si fosse concessa una notte tra le braccia di un uomo.
Cercò di
reprimere il moto di gelosia che sentì
attanagliargli lo stomaco e si disse che sua moglie non era quel genere
di
donna, nonostante soltanto alcune settimane prima l’avesse offesa
proprio con
quell’insulto.
Giunse
davanti alla camera e bussò
discretamente. La voce di lei gli arrivò attutita dalla pesante porta
in legno,
che egli aprì per entrare.
Si aspettava
di trovarla ad attenderlo in
piedi, o seduta in poltrona, oppure allo scrittoio; invece la vide
distesa sul
letto, languidamente appoggiata alle lenzuola candide, in una posa
molto
sensuale.
Aveva i
capelli lunghi e lucidi come la seta
che le ricadevano morbidi da un lato, un po’ come li portava la sera in
cui
erano stati a teatro.
L'altra
spalla era scoperta: la spallina della
camicia da notte in seta e pizzo scivolava negligente a circondarle il
braccio
e formava una piega morbida all'altezza del petto, lasciando scorgere
l'incavo
dei seni. Anche il rosa delicato della camicia da notte era molto
simile al
colore dell’abito che indossava a teatro.
Un profondo
spacco le scopriva una gamba,
elegantemente accavallata all'altra, in una posa d’invitante abbandono.
Nicholas
registrò ogni particolare, uno dopo
l'altro, partendo dai piedi fino ad arrivare alle sue labbra. Era certo
che non
portasse null’altro sotto quell’unico indumento, e la immaginò
completamente
nuda, pronta per lui.
Deglutì ed
inspirò profondamente, per
trattenere l'eccitazione, ma non riuscì a
muoversi di un passo.
Perché lo
stava torturando a quel modo?
“Venite
avanti, Nicholas” lo invitò lei.
“Desideravate
vedermi, Sarah?” domandò, e
immediatamente di rese conto d’aver la bocca asciutta.
“Venite a
sedervi qui, accanto a me” gli disse,
muovendo appena la mano sul lenzuolo, ad indicare il letto.
“Non credo
che sia il caso” rispose lui,
fermandosi all’istante a quelle parole, dopo aver fatto solo pochi
passi
all’interno della camera.
“Siamo
sposati…” gli ricordò lei, seducente.
C’era
qualcosa che non gli tornava: cos’era
cambiato da due giorni a quella parte?
“Credevo che
pensaste al matrimonio con me come
ad una prigione.”
“Possono
esservi anche dei lati piacevoli…”
disse allusiva, con una luce diversa negli occhi.
“Mi state
dicendo che vorreste fare l’amore?”
precisò lui, senza giri di parole.
Lei sorrise,
distendendo le labbra morbide, in
un’espressione dolce ed invitante che lo fece quasi impazzire… Dio, che
voglia
che aveva di catturarle le labbra in un bacio disperato, fino a farla
bruciare
dello stesso desiderio che stava divorando lui…
“Fino
all’altro giorno, questo sembrava
l’ultimo dei vostri desideri” le ricordò con fatica.
Dannazione!
Perché non era riuscito a
controllare il tono della voce, che si era pericolosamente arrochito?
La vide
socchiudere gli occhi per una frazione
di secondo. Ma poi sembrò non aver registrato il particolare, perché
gli rispose
maliziosa:
“Dovreste
sapere, Lord Thornton, che noi donne
siamo avvezze a cambiare idea”.
“E cosa, se è
lecito saperlo, ve l’avrebbe
fatta cambiare?”
“Voi, Milord.
Le vostre parole. Ho riflettuto
su quanto mi diceste la sera del nostro matrimonio e poco alla volta
sono
giunta alla conclusione che avevate ragione: io vi ho sempre
desiderato.”
Quelle parole
lo sorpresero, ma fu ancora più
sorpreso nel vederla alzarsi e scendere dal letto.
Era così
bella e seducente, mentre si muoveva
lentamente verso di lui, che gli parve di tremare quando fu a pochi
passi dal
suo corpo e lo fissò negli occhi, aggiungendo:
“E ora ho
capito di essermi innamorata di voi,
Nicholas”.
Pronunciò il
suo nome come in un soffio; poi si
avvicinò ancora di più, fino a sfiorargli il torace con il seno,
pericolosamente invitante.
Lui rimase
immobile, quasi pietrificato da
quelle parole, mentre lei si sollevava sulle punte dei piedi e gli
prendeva il
volto tra le mani per baciarlo. Il tocco delle sue labbra sulle proprie
spezzò
del tutto il suo autocontrollo ed egli la strinse a sé con forza.
Invase la sua
bocca socchiusa con la lingua e
la baciò con foga, desiderio e passione, come non aveva mai baciato
nessuna donna
prima d’allora. S’inebriò di lei, del suo sapore, del suo profumo e del
suo
corpo morbido stretto tra le braccia, accecato dal desiderio di averla,
finché
non sentì la rabbia prendere il posto della voglia che aveva di farla
sua e,
con un gemito soffocato, la allontanò bruscamente da sé.
Con le labbra
arrossate da quel bacio
disperato, lei rimase a guardarlo, immobile.
Si
osservarono intensamente per qualche secondo;
poi lui si voltò ed uscì dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.
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Beaulieu, Hampshire
Harm, mani
incrociate dietro la schiena, fissava
l’oscurità davanti a lui. Dalla finestra leggermente aperta entrava il
profumo
del bosco e il rumore della pioggia che ticchettava ritmica sulla
ghiaia del
parcheggio.
Rifletteva.
Se Mac era lì
un motivo c’era e la firma mancante sul
rapporto era un segnale. Il segnale di un’occasione che andava presa al
volo
prima che fosse troppo tardi.
Con Belinda
stava bene, tuttavia sapeva che la donna non
gli faceva provare le stesse sensazioni che provava con Sarah, non
avvertiva
quella medesima alchimia e, pur amandolo senza riserve e rispettando i
suoi
spazi (le sue “paturnie”, come le chiamava lei) nondimeno non l’aveva
capito
fino in fondo. Né tanto meno l’aveva completato.
La verità era
un’altra: Sarah era rimasta lì, in un angolo
del suo cuore, in attesa di essere risvegliata come
Cosa aveva
Mac di così tanto speciale da primeggiare fra
tutte le donne che aveva conosciuto? E cosa aveva di tanto speciale da
rendere
impossibile dimenticarla? La spiegazione era disarmante nella sua
semplicità:
perché con lei poteva essere se stesso senza tema di venire giudicato e
perché
con lei la maggior parte delle volte, non c’era bisogno di parole.
S’intendevano quasi telepaticamente.
Per quanto
tempo ancora avrebbe ingannato se stesso
fingendo di volerla considerare solo una carissima amica? Per quanto
tempo
ancora avrebbe portato avanti la commedia del “oh come sono felice se
tu sei
felice”?
In realtà,
quella sera a casa sua, avrebbe voluto fermarsi
e darle il tempo di spiegare l’accaduto, ma la rabbia nel venire a
sapere che
Webb aveva svaligiato un fioraio e che lei aveva apprezzato il gesto
gli aveva
impedito di mantenere la calma. Aveva agito d’impulso, mosso solo dalla
gelosia
e i risultati s’erano visti.
Anche se un
Marine, Mac amava ciò che tutte le donne
amano: attenzioni, romantiche cene, un mazzo di fiori e un anello al
dito a
suggellare un’unione. Webb le aveva dato tutto questo, mentre lui, in
nove
anni, era stato solo capace di parlarle per oracoli.
Ovvio che
avesse cercato la felicità altrove.
Con Belinda
era stato diverso, aveva compreso gli errori e
vi aveva posto rimedio, ma sentiva di non essere stato né spontaneo né
se
stesso, e comunque lei non aveva troppe pretese.
Il problema,
ad ogni modo, era un altro: voleva avere al
suo fianco una donna che sapeva accontentarsi delle briciole senza
pretendere,
giustamente, l’intera torta?
Per la prima
volta in vita sua, Harm agì d’istinto. Non
diede retta alla ragione che gli suggeriva di ponderare bene ciò che
stava per
fare e nemmeno diede ascolto alle paure e ai dubbi.
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Il cellulare
di Mac squillò.
“Pronto?”
rispose assonnata.
“Amore ti ho
svegliata?”
“Più o meno.
Sono così stanca che devo essermi
addormentata davanti al televisore” disse spegnendo l’apparecchio.
“Volevo solo
dirti che ti amo e che ho voglia di riaverti
qui!”
“Anche io,
tanto. Ormai gli imprevisti sono diventati la routine
da quando sono partita.”
Udì un
leggero bussare alla porta e si domandò chi potesse
essere alle dieci di sera passate.
Salutò il
fidanzato e aprì.
“Che c’è?”
chiese stupita trovandosi di fronte Harm.
“Resta” disse
semplicemente.
“Come scusa?”
“Resta qui.
Con me.”
“Harm, hai
bevuto per caso? Entra e fammi capire cosa vuoi
che io faccia esattamente e perché dovrei restare.”
Detto questo
si fece da parte e lui entrò.
Si sedettero
lontani: l’una sulla sponda del letto e
l’altro sulla sedia della toeletta.
“Cosa sarebbe
questa novità?” domandò Mac incuriosita.
“Vorrei che
rimanessi qui e che mi accompagnassi domani.”
“A che pro?”
“In nome dei
vecchi tempi. Puoi sempre restituire la
macchina a Southampton domenica mattina e tornare con me a Londra in
tempo per
l’aereo delle 18.00. Ti accompagno personalmente in aeroporto e da quel
momento
in poi sarai una donna libera” concluse scherzando.
“A dire la
verità sono già una donna libera” puntualizzò
lei.
“Su questo
non sarei molto d’accordo. Sei fidanzata, per
cui tanto libera non sei” precisò questa volta Harm.
“Clay mi fa
sentire libera, con lui sono libera” lo
rintuzzò indispettita.
“Cosa hai
deciso di fare? Resti?” chiese divertito da come
riusciva sempre a stuzzicarla. Ecco perchè non poteva, e non voleva,
lasciarsi
scappare quell’occasione: con quale altra donna avrebbe mai provato
quel senso
di benessere spirituale? La osservò mentre rifletteva sulla sua
proposta,
visibilmente turbata.
Mac si
animava quando stava con lui, la si poteva sentire
pulsare di vita, brillare di luce propria. La radiosità che l’aveva
così
colpito quel giorno all’aeroporto, era solo un pallido riflesso di
quella che
sprigionava da lei quando erano insieme.
Era
innamorata di Webb? Probabilmente sì.
Ma non
abbastanza da dirmi che non intende restare un
minuto di più, pensò.
Mac percepiva
la sua presenza, non parlava, ma il suo viso
lo faceva per lui. Aspettava una risposta e lei non riusciva a decidere.
La cosa più
sensata sarebbe stata quella di dirgli “No
grazie”, anche perché restare avrebbe significato passare un’altra
giornata con
lui, e al di fuori dell’ambito lavorativo per di più. Avrebbe retto?
“Dove mi
porteresti esattamente?” chiese per prendere
tempo.
Harm fu
tentato di mantenersi sul vago e incalzarla a
prendere una decisione, ma si rese conto che quello era un momento
molto
delicato e preferì accontentarla.
“Si tratta di
una mostra scambio d’auto inglesi e nel
biglietto è compresa anche la visita al British Motor Museum e al
Castello”
rispose pazientemente.
Mac
s’incuriosì e ne volle sapere di più.
Harm, quindi,
le spiegò di come Lord Montagu, grande
appassionato e collezionista di auto d’epoca, anni addietro avesse
deciso di
aprire due volte l’anno, a primavera e in autunno, la propria residenza
per
consentire lo svolgersi di una fiera dove gli appassionati come lui
avrebbero
potuto non solo vendere ed acquistare auto e moto, ma altresì trovare,
comperare
e scambiare parti di ricambio delle proprie autovetture.
“A Maggio la
manifestazione è aperta soltanto alle auto
inglesi, mentre in autunno, a Settembre a tutte le case costruttrici”.
“E come mai
t’interessa così tanto?”
“Ho comprato
un’Austin Healey e voglio restaurarla
esattamente come ho fatto per
”Che è
rimasta nel garage di Stu.”
“Appunto”
replicò Harm con una punta di rimpianto.
Lei era molto
interessata, Harm lo poteva notare dal
brillio che era comparso nei suoi occhi, fattisi di una sfumatura più
scura.
Cercava di nascondere la curiosità che provava, ma quella piega agli
angoli
della bocca la tradiva…
Sorrise
facendole capire che l’aveva smascherata.
“Va bene”
cedette alla fine. “Resto, ma a patto che mi
porti a vedere il castello.”
“Affare
fatto” disse lui alzandosi e stringendole la mano
con soddisfazione.
Quando Harm
fu uscito dalla stanza, Mac provò a chiamare
il fidanzato, ma trovò il telefono staccato. Gli mandò allora un sms
dove, in
maniera sintetica e assai vaga, gli comunicò che aveva trovato posto
solo per
la domenica pomeriggio.
Poi si mise
sotto le coperte, ma faticò a trovare il
sonno, al contrario di Harm che, dall’altra parte del muro, non appena
toccò il
letto si addormentò di colpo.
Continuava a
cercare di convincersi che aveva deciso di
restare solo per un interesse meramente culturale, perché il nome
Beaulieu le
ricordava qualcosa, perché il nome Montagu le riportava alla mente un
ricordo
che adesso le sfuggiva, perché…
Perché vuoi stare con lui,
intervenne secca e decisa la
parte più razionale di sé.
Amava il suo
fidanzato, su questo avrebbe messo la mano
sul fuoco, ma Clay non era Harm.
Questo se
l’era detto molte volte nel corso degli anni:
nessuno era come Harm. Non era solo una questione d’aspetto fisico,
anche se godeva
un mondo quando, quelle rare volte che erano usciti insieme o si erano
trovati
da Benzinger’s, si accorgeva che le altre donne se lo divoravano con
gli occhi
riservando a lei commenti acidi e maligni. C’era qualcosa d’altro.
Cosa aveva di
tanto speciale, a parte una notevolissima
prestanza? Nulla. A ben guardare, anzi, era un tipo che non sapeva
assolutamente come trattare le donne. Aveva fallito con tutte, persino
con
Jordan, una psicanalista! E dire che lei per prima aveva scommesso che
quella
sarebbe stata la volta buona…
Questo prima
che m’innamorassi di lui, pensò senza
rendersi conto.
NO! Lei non
poteva, non doveva, amarlo. Non era lui che
aveva deciso di sposare, non era con lui che voleva avere dei figli.
O sì? Ma
perché aveva accettato di restare?
Si addormentò maledicendo il destino, mentre le note di una canzone dei Coors provenienti da una camera vicina si spandevano nell’aria.
Castello
della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
Lo sentì
chiudere pesantemente un’altra porta
in lontananza e lo immaginò tormentato dai sentimenti che non era
riuscito a
controllare e intrappolato dal suo stesso gioco.
Aveva colto
il cambiamento di tono della sua
voce, che per un attimo aveva fatto vacillare anche in lei il proposito
di
andare sino in fondo. Fortunatamente si era ripresa in tempo e lui
sembrava non
essersene accorto.
Doveva
ammettere che era davvero bravo. Ma mai
si sarebbe aspettata che fosse tanto astuto e attento a certi
particolari.
Il suo piano
aveva funzionato: come aveva
sentito dire da suo zio, sapere che lei si era innamorata di lui senza
che
fosse a conoscenza di tutta la verità, lo aveva profondamente turbato.
Ora bisognava
solo aspettare che assorbisse il
colpo e tornasse da lei.
Era più che
certa che ciò sarebbe avvenuto.
Innanzi tutto
lo sapeva troppo intelligente per
privarsi della felicità che tanto aveva desiderato e che ora poteva
avere a
portata di mano. Inoltre, nel suo bacio, nel suo sguardo e nella sua
passione,
aveva colto quel desiderio tanto intenso che aveva visto già altre
volte
scorrere in lui.
Se lo
conosceva solo la metà di quanto si era
convinta di conoscerlo, non si sarebbe tirato indietro.
Come evocato
dai suoi pensieri, sentì la porta
aprirsi e lo vide fermarsi sulla soglia, con un’espressione tormentata,
ma al
tempo stesso decisa.
Era tornato!
Forse c’erano
ancora speranze per loro due,
dopotutto.
Lo vide
avanzare di qualche passo e richiudersi
la porta alle spalle, mentre continuava ad osservarla. In quel momento
lei non
riusciva neppure a notare la benda nera che gli oscurava un occhio, da
tanto lo
sguardo che scorgeva nell’altro era intenso e la catturava.
Si era
sciolto il nodo del fiocco in seta, che
ora gli penzolava ai lati del collo, e aveva slacciato i primi bottoni
della
camicia: anche a quella distanza poteva scorgergli la vena alla base
della gola
che pulsava rapida.
Sentì il suo
stesso sangue scorrere più
velocemente e non riuscì più a trattenersi. Si gettò tra le sue
braccia,
impaziente di sentirsi stringere di nuovo da lui.
Nicholas la
baciò con un’intensità tale da
farle pensare che volesse possederla solamente con quel bacio. Era
stata baciata diverse volte e in vari modi,
sia con disprezzo e con brutalità, sia con amore e dolcezza. Ma mai a
quel
modo.
Lui le stava ridando la vita, ma al tempo
stesso se ne riappropriava, e tutto solo con un bacio.
“Siete
tornato…” gli disse, non appena lui le
permise di respirare.
“Vi desidero
troppo per riuscire a starvi
lontano”, rispose mentre con le mani le dimostrava quanto.
“Perché ve ne
siete andato?” domandò lei, tra
un suo bacio e l’altro.
“Non ha più
importanza. Ora sono qui.”
La strinse
più forte, come a conferma delle sue
parole. Poi la sollevò tra le braccia e la posò sul letto. Incantato
dalla sua
bellezza rimase ad osservarla per qualche istante, assaporando il
momento e
pregustando ciò che a breve sarebbe avvenuto, prima di levarsi la
camicia e
stendersi accanto a lei.
L’intensità
del desiderio che provava lo stava
quasi uccidendo…
Com’era
possibile provare sentimenti tanto
forti per qualcuno?
Ma con lei
era sempre stato così, fin dalla
prima volta che l’aveva vista.
Dapprima si
era invaghito di lei per la sua
avvenenza e il suo fascino; poi si era innamorato del suo spirito
coraggioso e
indomito. Infine era stata la sua vulnerabilità a farlo capitolare
definitivamente e a fargli desiderare di possedere il suo cuore e non
soltanto
il suo corpo.
“Vi amo…” gli
sussurrò lei, accarezzandogli
dolcemente una guancia, come a voler sciogliere la tensione che leggeva
sul suo
volto.
Lo sentì
irrigidirsi tra le sue braccia a
quelle parole.
“Che cosa vi
succede?” domandò dolcemente.
“Nulla…”
tentò di sorvolare lui, ma poi
aggiunse: “Dite di amarmi… e l’altro uomo di cui mi avete parlato?
L’uomo di
cui avete detto di essere innamorata?”.
Decise di
rispondergli con sincerità:
“Lo amerò per
sempre…”.
Lui si
sollevò su un gomito, scrutandola
attentamente.
“Ma amo anche
voi…” aggiunse lei, dopo un
attimo. Quindi, osservando che sembrava non essere ancora convinto
delle sue
parole, ribadì:
“Mi sono
innamorata di voi, Nicholas”.
Per una
frazione di secondo quella frase,
nonostante tutto, gli fece ancora male. Ma poi si disse che Lord
Nicholas
Thornton si era ampiamente guadagnato il diritto che quelle parole
fossero
rivolte esclusivamente a lui.
Allora le
sorrise come il cuore gli suggerì,
una volta tanto senza trattenersi. Alla luce soffusa della lampada
osservò la
sua espressione, per tentare di comprendere quanto fosse consapevole di
ciò che
realmente stava per accadere.
Ma
l’espressione di sua moglie rimase immutata
nella sua dolcezza: lasciava trasparire soltanto amore.
Si chinò su
di lei e riprese a baciarla, a
toccarla, a farla sua…
Lei rispose
con intensità, abbandonandosi al
suo desiderio ed entrambi si lasciarono travolgere dalla forza
misteriosa di
quell’amore.