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Autore: Alexandra e Mac    22/05/2013    6 recensioni
Chi è realmente Lady Sarah? E perché ha abbandonato l'unico uomo che le aveva fatto conoscere l'amore?
Come procede la storia tra Harm e Mac?
Per chi ha seguito con passione Giochi del Destino regaliamo (da brave STREGHE - o BEFANE!!!) il seguito della storia...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XIV

Qualcosa di diverso nei suoi occhi



Masters Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire

13 maggio 2005

Dopo essere uscita dalla doccia, Mac sistemò la divisa nell’armadio di quercia scuro cercando di lisciarne le pieghe e si vestì. Nulla d’eclatante, ormai le mise più belle e sexy le riservava all’uomo della sua vita. Per Harm un paio di jeans e una camicia potevano bastare. E avanzare, decise.

Scese al bar dove lui la stava aspettando sorseggiando tranquillamente una birra scura.

Si fermò a qualche metro da lui per osservarlo meglio: era sempre bellissimo.

Sospirò rassegnandosi al fatto che, nonostante tutto, Harm avrebbe sempre avuto l’effetto di sconvolgerle i sensi. Per un attimo invidiò atrocemente Belinda.

Si avvicinò: “Harm”, lo salutò piatta e incolore.

Lui si voltò e le riservò uno dei suoi smaglianti sorrisi ricambiando il saluto.

Lei gli tese il documento: “Prima che te ne dimentichi un’altra volta”, disse sempre mantenendo un’inflessione neutra.

Lui prese quanto gli veniva sporto, afferrò una penna dal bancone del bar e firmò.

“Ecco fatto”, le disse restituendo il plico. “Adesso possiamo goderci la serata senza altri formalismi?”

“Fammi strada.”

Lui si alzò e la guidò verso l’anticamera del ristorante dove furono accolti da un impettito maitre in giacca nera e panciotto di seta giallo pallido.

“Mr. e Mrs. Rabb?” domandò compitamente.

“Mr. Rabb e Miss Mackenzie” lo corresse Mac.

“Chiedo scusa. Se volete seguirmi.”

Li condusse attraverso una grande sala con il pavimento ricoperto da moquette azzurra che attutiva i loro passi. Appliques d’ottone diffondevano una calda luce ambrata e i pochi ospiti a cena parlavano a bassa voce. L’atmosfera era quella di un luogo intimo e raccolto, nonostante la sala fosse abbastanza grande da accogliere comodamente un banchetto per duecento persone. Fuori, ad ovest, gli ultimi residui del giorno combattevano con le nubi e una leggera pioggerella velava di umidità l’oscurità della notte che avanzava.

Il maitre li guidò ad un tavolo appartato, accanto ad una delle grandi finestre a ghigliottina che davano sul fiume, ora nero come la pece.

Scostò la sedia e fece accomodare Mac, dopodiché fece lo stesso con Harm.

“Porto subito i menù”, disse prima di eclissarsi.

“Bel posto”, osservò Mac guardandosi intorno.

“Avevo pensato di venire con Linda, ma all’ultimo…”

“…ti sei ritrovato a cena con me” completò la frase.

Harm rise: “E’ andata bene comunque no?”.

“Belinda lo sa?”

“Non ho avuto il tempo di avvisarla, ma anche se lo sapesse ne sarebbe contenta.”

“Al suo posto io non reagirei altrettanto bene. Ma forse è tutta questione di fiducia reciproca.”

“Appunto.”

“E comunque fra noi è tutto morto e sepolto vero?”

“Vero. Abbiamo compiuto scelte differenti, ma questo non c’impedisce di restare amici.”

Mac alzò un sopracciglio e lo guardò con aria interrogativa. Nel frattempo era tornato il maitre e la conversazione s’interruppe per scegliere i piatti della cena.

Dopo l’ordinazione restarono in silenzio a fissare il panorama buio.

“Parli come se fra di noi fosse accaduto qualcosa”, osservò Mac bevendo un sorso d’acqua. “Mentre lo sai benissimo che non è accaduto alcunché.”

“Qualcosa è successo, su questo non puoi non essere d’accordo” rispose Harm.

“No, Rabb, non sono d’accordo. Fra noi è sempre restato tutto sospeso, non abbiamo mai parlato, non abbiamo mai agito. Solo amici, grandi amici, ma nulla più.”

“Stai dimenticando un particolare, Sarah.”

Oh no!, pensò lei, ma ormai era troppo tardi e le conseguenze del sentirsi chiamare per nome da lui erano già in atto, devastanti come al solito.

Finse noncuranza e sperò di riuscirci: “Cosa dimenticherei?” domandò imburrando un tramezzino caldo e mettendoci sopra una fetta di salmone affumicato.

“Quel bacio, in sala riunioni, qualche tempo fa…”

“Ah quello. Era solo una provocazione Harm, quando ancora ero convinta di provare qualcosa per te.”

Il silenzio calò pesante fra di loro.

“Parto domani pomeriggio” comunicò asciutta dopo un po’, più che altro per sviare il discorso da argomenti pericolosi. “Ho trovato un posto, l’ultimo”, tenne a sottolineare, “su un aereo che parte da Southampton domenica mattina.”

“Ti accompagno.”

“Preferisco di no. Goditi la tua vacanza, in qualunque cosa consista” replicò, “e comunque devo restituire la macchina alla Hertz.”

Terminarono di cenare senza aggiungere altro e si ritirarono nelle proprie stanze.

Non appena giunta in camera, Mac si buttò a corpo morto sul letto, sentiva la tensione che le stringeva l’anima in una morsa d’acciaio, quasi impedendole di respirare.

Quel bacio… il suo ricordo l’aveva tormentata per mesi, per non parlare di quello che le aveva dato lui… sensazione che a stento era riuscita a relegare nell’angolo più remoto di se stessa e che adesso, complice un innocuo riferimento fatto durante una conversazione senza senso, tornavano a tormentarla. Cercò di ricordare quello che provava quando era tra le braccia di Clay, ma niente poteva competere con quello che aveva sentito fra quelle dell’altro.


Castello della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

13 maggio 1858

“Perdonate, Milord…”, la cameriera personale di sua moglie lo distolse dalla lettura.

“Milady desidera vedervi.”

“Grazie, Lynnette. Lady Sarah è in salotto?” domandò alla donna.

“No, Lord Thornton. Milady vi attende in camera sua.”

“Grazie. Andate pure” disse, congedandola.

Attese che la donna uscisse dalla biblioteca, poi chiuse il libro e si alzò.

Mentre saliva le scale per raggiungerla, si domandò il motivo di quella richiesta: Sarah non aveva mai voluto parlargli in privato in tutte quelle settimane e, soprattutto, mai in camera propria. Da quando si era stabilito con lei a Beaulieu, non aveva mai visto la stanza di sua moglie, né di notte, né di giorno.

Dal suo rientro da Londra, tuttavia, Sarah sembrava un po’ cambiata. A cena era stata di ottima compagnia e aveva conversato piacevolmente. La luce sembrava essere tornata a brillare nei suoi occhi ed egli ne aveva gioito e sofferto al tempo stesso.

Era felice di vederla ritornare quella di un tempo, ma molto meno lo era sapere che quel cambiamento non era avvenuto grazie a lui, ma al viaggio a Londra. Rivedere quell’amica doveva essere stato molto importante per lei… sempre che di amica si fosse trattato. Non poteva infatti escludere che si fosse concessa una notte tra le braccia di un uomo.

Cercò di reprimere il moto di gelosia che sentì attanagliargli lo stomaco e si disse che sua moglie non era quel genere di donna, nonostante soltanto alcune settimane prima l’avesse offesa proprio con quell’insulto.

Giunse davanti alla camera e bussò discretamente. La voce di lei gli arrivò attutita dalla pesante porta in legno, che egli aprì per entrare.

Si aspettava di trovarla ad attenderlo in piedi, o seduta in poltrona, oppure allo scrittoio; invece la vide distesa sul letto, languidamente appoggiata alle lenzuola candide, in una posa molto sensuale.

Aveva i capelli lunghi e lucidi come la seta che le ricadevano morbidi da un lato, un po’ come li portava la sera in cui erano stati a teatro.

L'altra spalla era scoperta: la spallina della camicia da notte in seta e pizzo scivolava negligente a circondarle il braccio e formava una piega morbida all'altezza del petto, lasciando scorgere l'incavo dei seni. Anche il rosa delicato della camicia da notte era molto simile al colore dell’abito che indossava a teatro.

Un profondo spacco le scopriva una gamba, elegantemente accavallata all'altra, in una posa d’invitante abbandono.

Nicholas registrò ogni particolare, uno dopo l'altro, partendo dai piedi fino ad arrivare alle sue labbra. Era certo che non portasse null’altro sotto quell’unico indumento, e la immaginò completamente nuda, pronta per lui.

Deglutì ed inspirò profondamente, per trattenere l'eccitazione, ma non riuscì a  muoversi di un passo.

Perché lo stava torturando a quel modo?

“Venite avanti, Nicholas” lo invitò lei.

“Desideravate vedermi, Sarah?” domandò, e immediatamente di rese conto d’aver la bocca asciutta.

“Venite a sedervi qui, accanto a me” gli disse, muovendo appena la mano sul lenzuolo, ad indicare il letto.

“Non credo che sia il caso” rispose lui, fermandosi all’istante a quelle parole, dopo aver fatto solo pochi passi all’interno della camera.

“Siamo sposati…” gli ricordò lei, seducente.

C’era qualcosa che non gli tornava: cos’era cambiato da due giorni a quella parte?

“Credevo che pensaste al matrimonio con me come ad una prigione.”

“Possono esservi anche dei lati piacevoli…” disse allusiva, con una luce diversa negli occhi.

“Mi state dicendo che vorreste fare l’amore?” precisò lui, senza giri di parole.

Lei sorrise, distendendo le labbra morbide, in un’espressione dolce ed invitante che lo fece quasi impazzire… Dio, che voglia che aveva di catturarle le labbra in un bacio disperato, fino a farla bruciare dello stesso desiderio che stava divorando lui…

“Fino all’altro giorno, questo sembrava l’ultimo dei vostri desideri” le ricordò con fatica.

Dannazione! Perché non era riuscito a controllare il tono della voce, che si era pericolosamente arrochito?

La vide socchiudere gli occhi per una frazione di secondo. Ma poi sembrò non aver registrato il particolare, perché gli rispose maliziosa:

“Dovreste sapere, Lord Thornton, che noi donne siamo avvezze a cambiare idea”.

“E cosa, se è lecito saperlo, ve l’avrebbe fatta cambiare?”

“Voi, Milord. Le vostre parole. Ho riflettuto su quanto mi diceste la sera del nostro matrimonio e poco alla volta sono giunta alla conclusione che avevate ragione: io vi ho sempre desiderato.”

Quelle parole lo sorpresero, ma fu ancora più sorpreso nel vederla alzarsi e scendere dal letto.

Era così bella e seducente, mentre si muoveva lentamente verso di lui, che gli parve di tremare quando fu a pochi passi dal suo corpo e lo fissò negli occhi, aggiungendo:

“E ora ho capito di essermi innamorata di voi, Nicholas”.

Pronunciò il suo nome come in un soffio; poi si avvicinò ancora di più, fino a sfiorargli il torace con il seno, pericolosamente invitante.

Lui rimase immobile, quasi pietrificato da quelle parole, mentre lei si sollevava sulle punte dei piedi e gli prendeva il volto tra le mani per baciarlo. Il tocco delle sue labbra sulle proprie spezzò del tutto il suo autocontrollo ed egli la strinse a sé con forza.

Invase la sua bocca socchiusa con la lingua e la baciò con foga, desiderio e passione, come non aveva mai baciato nessuna donna prima d’allora. S’inebriò di lei, del suo sapore, del suo profumo e del suo corpo morbido stretto tra le braccia, accecato dal desiderio di averla, finché non sentì la rabbia prendere il posto della voglia che aveva di farla sua e, con un gemito soffocato, la allontanò bruscamente da sé.

Con le labbra arrossate da quel bacio disperato, lei rimase a guardarlo, immobile.

Si osservarono intensamente per qualche secondo; poi lui si voltò ed uscì dalla stanza, sbattendosi la porta alle spalle.

Masters Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire

13 maggio 2005

Harm, mani incrociate dietro la schiena, fissava l’oscurità davanti a lui. Dalla finestra leggermente aperta entrava il profumo del bosco e il rumore della pioggia che ticchettava ritmica sulla ghiaia del parcheggio.

Rifletteva.

Se Mac era lì un motivo c’era e la firma mancante sul rapporto era un segnale. Il segnale di un’occasione che andava presa al volo prima che fosse troppo tardi.

Con Belinda stava bene, tuttavia sapeva che la donna non gli faceva provare le stesse sensazioni che provava con Sarah, non avvertiva quella medesima alchimia e, pur amandolo senza riserve e rispettando i suoi spazi (le sue “paturnie”, come le chiamava lei) nondimeno non l’aveva capito fino in fondo. Né tanto meno l’aveva completato.

La verità era un’altra: Sarah era rimasta lì, in un angolo del suo cuore, in attesa di essere risvegliata come la Bella Addormentata nel bosco, fino a quando il nuovo incontro non aveva portato a galla ricordi di una vita, che un po’ rimpiangeva, e sentimenti così forti che si stupiva di aver creduto poter dimenticare.

Cosa aveva Mac di così tanto speciale da primeggiare fra tutte le donne che aveva conosciuto? E cosa aveva di tanto speciale da rendere impossibile dimenticarla? La spiegazione era disarmante nella sua semplicità: perché con lei poteva essere se stesso senza tema di venire giudicato e perché con lei la maggior parte delle volte, non c’era bisogno di parole. S’intendevano quasi telepaticamente.

Per quanto tempo ancora avrebbe ingannato se stesso fingendo di volerla considerare solo una carissima amica? Per quanto tempo ancora avrebbe portato avanti la commedia del “oh come sono felice se tu sei felice”?

In realtà, quella sera a casa sua, avrebbe voluto fermarsi e darle il tempo di spiegare l’accaduto, ma la rabbia nel venire a sapere che Webb aveva svaligiato un fioraio e che lei aveva apprezzato il gesto gli aveva impedito di mantenere la calma. Aveva agito d’impulso, mosso solo dalla gelosia e i risultati s’erano visti.

Anche se un Marine, Mac amava ciò che tutte le donne amano: attenzioni, romantiche cene, un mazzo di fiori e un anello al dito a suggellare un’unione. Webb le aveva dato tutto questo, mentre lui, in nove anni, era stato solo capace di parlarle per oracoli.

Ovvio che avesse cercato la felicità altrove.

Con Belinda era stato diverso, aveva compreso gli errori e vi aveva posto rimedio, ma sentiva di non essere stato né spontaneo né se stesso, e comunque lei non aveva troppe pretese.

Il problema, ad ogni modo, era un altro: voleva avere al suo fianco una donna che sapeva accontentarsi delle briciole senza pretendere, giustamente, l’intera torta?

Per la prima volta in vita sua, Harm agì d’istinto. Non diede retta alla ragione che gli suggeriva di ponderare bene ciò che stava per fare e nemmeno diede ascolto alle paure e ai dubbi.

Masters Builders' House Hotel
Beaulieu, Hampshire

13 maggio 2005

Il cellulare di Mac squillò.

“Pronto?” rispose assonnata.

“Amore ti ho svegliata?”

“Più o meno. Sono così stanca che devo essermi addormentata davanti al televisore” disse spegnendo l’apparecchio.

“Volevo solo dirti che ti amo e che ho voglia di riaverti qui!”

“Anche io, tanto. Ormai gli imprevisti sono diventati la routine da quando sono partita.”

Udì un leggero bussare alla porta e si domandò chi potesse essere alle dieci di sera passate.

Salutò il fidanzato e aprì.

“Che c’è?” chiese stupita trovandosi di fronte Harm.

“Resta” disse semplicemente.

“Come scusa?”

“Resta qui. Con me.”

“Harm, hai bevuto per caso? Entra e fammi capire cosa vuoi che io faccia esattamente e perché dovrei restare.”

Detto questo si fece da parte e lui entrò.

Si sedettero lontani: l’una sulla sponda del letto e l’altro sulla sedia della toeletta.

“Cosa sarebbe questa novità?” domandò Mac incuriosita.

“Vorrei che rimanessi qui e che mi accompagnassi domani.”

“A che pro?”

“In nome dei vecchi tempi. Puoi sempre restituire la macchina a Southampton domenica mattina e tornare con me a Londra in tempo per l’aereo delle 18.00. Ti accompagno personalmente in aeroporto e da quel momento in poi sarai una donna libera” concluse scherzando.

“A dire la verità sono già una donna libera” puntualizzò lei.

“Su questo non sarei molto d’accordo. Sei fidanzata, per cui tanto libera non sei” precisò questa volta Harm.

“Clay mi fa sentire libera, con lui sono libera” lo rintuzzò indispettita.

“Cosa hai deciso di fare? Resti?” chiese divertito da come riusciva sempre a stuzzicarla. Ecco perchè non poteva, e non voleva, lasciarsi scappare quell’occasione: con quale altra donna avrebbe mai provato quel senso di benessere spirituale? La osservò mentre rifletteva sulla sua proposta, visibilmente turbata.

Mac si animava quando stava con lui, la si poteva sentire pulsare di vita, brillare di luce propria. La radiosità che l’aveva così colpito quel giorno all’aeroporto, era solo un pallido riflesso di quella che sprigionava da lei quando erano insieme.

Era innamorata di Webb? Probabilmente sì.

Ma non abbastanza da dirmi che non intende restare un minuto di più, pensò.

Mac percepiva la sua presenza, non parlava, ma il suo viso lo faceva per lui. Aspettava una risposta e lei non riusciva a decidere.

La cosa più sensata sarebbe stata quella di dirgli “No grazie”, anche perché restare avrebbe significato passare un’altra giornata con lui, e al di fuori dell’ambito lavorativo per di più. Avrebbe retto?

“Dove mi porteresti esattamente?” chiese per prendere tempo.

Harm fu tentato di mantenersi sul vago e incalzarla a prendere una decisione, ma si rese conto che quello era un momento molto delicato e preferì accontentarla.

“Si tratta di una mostra scambio d’auto inglesi e nel biglietto è compresa anche la visita al British Motor Museum e al Castello” rispose pazientemente.

Mac s’incuriosì e ne volle sapere di più.

Harm, quindi, le spiegò di come Lord Montagu, grande appassionato e collezionista di auto d’epoca, anni addietro avesse deciso di aprire due volte l’anno, a primavera e in autunno, la propria residenza per consentire lo svolgersi di una fiera dove gli appassionati come lui avrebbero potuto non solo vendere ed acquistare auto e moto, ma altresì trovare, comperare e scambiare parti di ricambio delle proprie autovetture.

“A Maggio la manifestazione è aperta soltanto alle auto inglesi, mentre in autunno, a Settembre a tutte le case costruttrici”.

“E come mai t’interessa così tanto?”

“Ho comprato un’Austin Healey e voglio restaurarla esattamente come ho fatto per la Corvette.”

”Che è rimasta nel garage di Stu.”

“Appunto” replicò Harm con una punta di rimpianto.

Lei era molto interessata, Harm lo poteva notare dal brillio che era comparso nei suoi occhi, fattisi di una sfumatura più scura. Cercava di nascondere la curiosità che provava, ma quella piega agli angoli della bocca la tradiva…

Sorrise facendole capire che l’aveva smascherata.

“Va bene” cedette alla fine. “Resto, ma a patto che mi porti a vedere il castello.”

“Affare fatto” disse lui alzandosi e stringendole la mano con soddisfazione.

Quando Harm fu uscito dalla stanza, Mac provò a chiamare il fidanzato, ma trovò il telefono staccato. Gli mandò allora un sms dove, in maniera sintetica e assai vaga, gli comunicò che aveva trovato posto solo per la domenica pomeriggio.

Poi si mise sotto le coperte, ma faticò a trovare il sonno, al contrario di Harm che, dall’altra parte del muro, non appena toccò il letto si addormentò di colpo.

Continuava a cercare di convincersi che aveva deciso di restare solo per un interesse meramente culturale, perché il nome Beaulieu le ricordava qualcosa, perché il nome Montagu le riportava alla mente un ricordo che adesso le sfuggiva, perché…

Perché vuoi stare con lui, intervenne secca e decisa la parte più razionale di sé.

Amava il suo fidanzato, su questo avrebbe messo la mano sul fuoco, ma Clay non era Harm.

Questo se l’era detto molte volte nel corso degli anni: nessuno era come Harm. Non era solo una questione d’aspetto fisico, anche se godeva un mondo quando, quelle rare volte che erano usciti insieme o si erano trovati da Benzinger’s, si accorgeva che le altre donne se lo divoravano con gli occhi riservando a lei commenti acidi e maligni. C’era qualcosa d’altro.

Cosa aveva di tanto speciale, a parte una notevolissima prestanza? Nulla. A ben guardare, anzi, era un tipo che non sapeva assolutamente come trattare le donne. Aveva fallito con tutte, persino con Jordan, una psicanalista! E dire che lei per prima aveva scommesso che quella sarebbe stata la volta buona…

Questo prima che m’innamorassi di lui, pensò senza rendersi conto.

NO! Lei non poteva, non doveva, amarlo. Non era lui che aveva deciso di sposare, non era con lui che voleva avere dei figli.

O sì? Ma perché aveva accettato di restare?

Si addormentò maledicendo il destino, mentre le note di una canzone dei Coors provenienti da una camera vicina si spandevano nell’aria.


… It's gonna be a long night
And I know I'm gonna lose this fight
I'm lost in your arms baby

Lost in your arms …

 

Castello della famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

13 maggio 1858

Lo sentì chiudere pesantemente un’altra porta in lontananza e lo immaginò tormentato dai sentimenti che non era riuscito a controllare e intrappolato dal suo stesso gioco.

Aveva colto il cambiamento di tono della sua voce, che per un attimo aveva fatto vacillare anche in lei il proposito di andare sino in fondo. Fortunatamente si era ripresa in tempo e lui sembrava non essersene accorto.

Doveva ammettere che era davvero bravo. Ma mai si sarebbe aspettata che fosse tanto astuto e attento a certi particolari.

Il suo piano aveva funzionato: come aveva sentito dire da suo zio, sapere che lei si era innamorata di lui senza che fosse a conoscenza di tutta la verità, lo aveva profondamente turbato.

Ora bisognava solo aspettare che assorbisse il colpo e tornasse da lei.

Era più che certa che ciò sarebbe avvenuto.

Innanzi tutto lo sapeva troppo intelligente per privarsi della felicità che tanto aveva desiderato e che ora poteva avere a portata di mano. Inoltre, nel suo bacio, nel suo sguardo e nella sua passione, aveva colto quel desiderio tanto intenso che aveva visto già altre volte scorrere in lui.

Se lo conosceva solo la metà di quanto si era convinta di conoscerlo, non si sarebbe tirato indietro.

Come evocato dai suoi pensieri, sentì la porta aprirsi e lo vide fermarsi sulla soglia, con un’espressione tormentata, ma al tempo stesso decisa.

Era tornato!

Forse c’erano ancora speranze per loro due, dopotutto.

Lo vide avanzare di qualche passo e richiudersi la porta alle spalle, mentre continuava ad osservarla. In quel momento lei non riusciva neppure a notare la benda nera che gli oscurava un occhio, da tanto lo sguardo che scorgeva nell’altro era intenso e la catturava.

Si era sciolto il nodo del fiocco in seta, che ora gli penzolava ai lati del collo, e aveva slacciato i primi bottoni della camicia: anche a quella distanza poteva scorgergli la vena alla base della gola che pulsava rapida.

Sentì il suo stesso sangue scorrere più velocemente e non riuscì più a trattenersi. Si gettò tra le sue braccia, impaziente di sentirsi stringere di nuovo da lui.

Nicholas la baciò con un’intensità tale da farle pensare che volesse possederla solamente con quel bacio. Era stata baciata diverse volte e in vari modi, sia con disprezzo e con brutalità, sia con amore e dolcezza. Ma mai a quel modo.
Lui le stava ridando la vita, ma al tempo stesso se ne riappropriava, e tutto solo con un bacio.  

“Siete tornato…” gli disse, non appena lui le permise di respirare.

“Vi desidero troppo per riuscire a starvi lontano”, rispose mentre con le mani le dimostrava quanto.

“Perché ve ne siete andato?” domandò lei, tra un suo bacio e l’altro.

“Non ha più importanza. Ora sono qui.”

La strinse più forte, come a conferma delle sue parole. Poi la sollevò tra le braccia e la posò sul letto. Incantato dalla sua bellezza rimase ad osservarla per qualche istante, assaporando il momento e pregustando ciò che a breve sarebbe avvenuto, prima di levarsi la camicia e stendersi accanto a lei.

L’intensità del desiderio che provava lo stava quasi uccidendo…

Com’era possibile provare sentimenti tanto forti per qualcuno?

Ma con lei era sempre stato così, fin dalla prima volta che l’aveva vista.

Dapprima si era invaghito di lei per la sua avvenenza e il suo fascino; poi si era innamorato del suo spirito coraggioso e indomito. Infine era stata la sua vulnerabilità a farlo capitolare definitivamente e a fargli desiderare di possedere il suo cuore e non soltanto il suo corpo.

“Vi amo…” gli sussurrò lei, accarezzandogli dolcemente una guancia, come a voler sciogliere la tensione che leggeva sul suo volto.

Lo sentì irrigidirsi tra le sue braccia a quelle parole.

“Che cosa vi succede?” domandò dolcemente.

“Nulla…” tentò di sorvolare lui, ma poi aggiunse: “Dite di amarmi… e l’altro uomo di cui mi avete parlato? L’uomo di cui avete detto di essere innamorata?”.

Decise di rispondergli con sincerità:

“Lo amerò per sempre…”.

Lui si sollevò su un gomito, scrutandola attentamente.

“Ma amo anche voi…” aggiunse lei, dopo un attimo. Quindi, osservando che sembrava non essere ancora convinto delle sue parole, ribadì:

“Mi sono innamorata di voi, Nicholas”.

Per una frazione di secondo quella frase, nonostante tutto, gli fece ancora male. Ma poi si disse che Lord Nicholas Thornton si era ampiamente guadagnato il diritto che quelle parole fossero rivolte esclusivamente a lui.

Allora le sorrise come il cuore gli suggerì, una volta tanto senza trattenersi. Alla luce soffusa della lampada osservò la sua espressione, per tentare di comprendere quanto fosse consapevole di ciò che realmente stava per accadere.

Ma l’espressione di sua moglie rimase immutata nella sua dolcezza: lasciava trasparire soltanto amore.

Si chinò su di lei e riprese a baciarla, a toccarla, a farla sua…

Lei rispose con intensità, abbandonandosi al suo desiderio ed entrambi si lasciarono travolgere dalla forza misteriosa di quell’amore.

  
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