Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Waterproof    22/05/2013    15 recensioni
Dal XII capitolo:
"Harry, vaffanculo." Borbottai, voltandomi per andarmene.
"Ci andrei, ma ci vai spesso tu. Mi toccherebbe condividere con te anche quel posto."
Ora gli spacco la faccia.
*
"
Mi stai toccando il sedere, Styles? " Domandai, scostando violentemente la sua mano.
" Io posso. "
" Ah, sì? E chi lo dice? " Incrociai le braccia al petto, aspettandomi una risposta esauriente.
" Questo. " Sussurrò, indicando il segno rosso sul collo.
Genere: Commedia, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo 12.










Una settimana dopo…

<< Diamine, muovi quel culo rifatto e portalo qui, Sandy! >>
Vivere con quella ragazza era un qualcosa di improponibile. Ogni giorno una nuova, e quella volta avevamo superato ogni limite.
Lentamente, quasi avessimo tutto il tempo del mondo, entrò nel bagno, e guardò in direzione della tazza, che stavo indicando con disappunto.
<< Chiama quel puttano. Ora. E armati di detersivi per pulire questo orrore o giuro che ti faccio leccare quello che è rimasto di quel… Oh, che schifo! >>
Lasciai quella stanza in un nanosecondo, stringendo forte la tracolla della borsa. Le piaceva fare sesso? D’accordo, ma che non si azzardasse a farmi trovare un maledetto preservativo sulla tazza del cesso.
Cristo santo, che essere. Sapeva benissimo che non avevo tempo per star dietro alla sua mancanza di igiene e rispetto, presa com’ero dall’andirivieni tra ospedale e campus, eppure non le importava. E con Harry ci era anche andata a letto.
Scesi in fretta le scale dell’uscita e mi diressi al cancello, che chiesi di aprire. Quando fui in strada, chiamai il solito taxi e chiesi di essere scortata all’edificio. Avevo imparato a memoria il tragitto, riconoscevo le persone che, per tornare da lavoro, facevano sempre la stessa strada, e continuavo ad immaginare i battibecchi miei e di Harry.
Sorrisi involontariamente a quel pensiero, sperando di poter tornare a farlo il prima possibile. Preferivo l’irritazione a quel silenzio devastante.
Pagai l’uomo che mi aveva portata fin lì e percorsi lo stesso cammino ancora una volta, pronta a dare il cambio a Josh, che avrebbe recuperato la lezione del mattino nel corso serale che gli insegnanti avrebbero tenuto apposta per noi.
Chiamai l’ascensore ed attesi impaziente lo scampanellio che mi avrebbe annunciato l’arrivo di questo, mentre mi guardavo intorno. Speravo Anne e Robin fossero già andati via, dato che ormai si erano adeguati a quella situazione ed erano tornati ad Holmes Chapel per prendere qualcosa per Harry.
Elena, da canto suo, era tornata con loro per andare a prendere Liam che la stava aspettando da qualche giorno. Non stavano ancora insieme, a quanto pareva, perché lui aveva deciso di parlarle proprio il giorno in cui Elena era arrivata a Londra per l’incidente.
Non ci era rimasta male, ma era evidente l’ansia di sapere cosa pensasse il ragazzo, che ora, pensando ad Harry, avrebbe certamente rimandato di qualche settimana la loro discussione.
Quando varcai la soglia del corridoio di rianimazione, quasi non mi venne un colpo quando notai un gruppo di medici di fronte alla stanza del ragazzo. Temendo il peggio, corsi verso di loro, facendomi spazio per entrare.
L’ultima volta, quella volta, lo avevano recuperato per un pelo. Anne era svenuta, Robin l’aveva portata su una barella, assistito da un’infermiera preoccupata per le sorti di madre e figlio. Io avevo cercato di tenere duro, ma poi mi ero lasciata andare tra le braccia della mia amica, pregando che sopravvivesse e che tornasse a casa.
Minuti interminabili, tra massaggi cardiaci e defibrillatore, ma quel bip del monitor mi aveva ridato tutti gli anni di vita che avevo perso in quel momento.
<< E fatemi passare! Dov’è Harry? Cosa gli avete fatto? E’ vivo, vero? >> Un’ultima sgomitata prima di entrare definitivamente in camera.
Un dottore teneva una luce fissa negli occhi verdi del suo paziente, e facendo leva sui tanti libri e film che avevo visto, ne stava testando le reazioni. Quindi… << Si è svegliato! >> gridai, avvicinandomi al letto. Lasciai cadere la borsa a terra e rivolsi uno sguardo implorante al medico, che mi guardò stranito.
<< Dovrebbe aspettare fuori, signorina… >>
<< Avete tanti germi voi di quanti ne ho io, e nessuno ha tentato di fermarmi. Dunque… >> presi un respiro profondo, prima di guardare Harry << come sta? >>
<< Ha avuto una reazione, prima. Il ragazzo che era qui lo ha sentito mentre muoveva le dita. Non siamo sicuri si tratti di un vero e proprio risveglio, ma… >>
<< Ma? >> lo esortai a continuare, stringendo la mano di Styles. Ed era più calda, lo sentivo.
<< Possiamo sperare. Continui a parlargli. >> Annuii decisa, mentre tutti andavano via lasciandomi sola con lui.
Anne avrebbe dovuto saperlo, ma non voleva parlarmi, quindi non sapevo come dirglielo. Magari avrei potuto inviarle un messaggio. Sì, era la scelta migliore.
Mi misi a sedere sulla solita poltrona, afferrando gli appunti dalla borsa che avevo prima abbandonato per chiedere informazioni sullo stato di salute del mio… “amico”, per poi sfogliarli arrivando all’ultima pagina.
<< Oggi abbiamo ripreso “Il libro dell’inquietudine”, quello di Pessoa, che se non sbaglio è uno dei tuoi preferiti >> affermai, sorridendo.
Mi alzai da lì e mi accomodai ai piedi del suo letto, benché ci fosse poco spazio. Ma dovevo stargli più vicina, ne avevo l’esigenza.
<< E sì, ho litigato di nuovo con quell’idiota della Rodrigues, perché non capisce niente e non accetta le opinioni altrui. Oggi era toccato a Louise, pensa >> trattenni una risata, ripensando ai baffi della donna e al tentativo della mia amica di non pensare a quanto fosse ridicola. << Le ha posto una domanda insensata, alla quale, ero certa, neanche lei avrebbe saputo dare risposta.
<< “Che cos’è doloroso per lei, signorina?” Louise poco dopo mi ha detto che avrebbe volentieri risposto: “il suo insegnamento, Mrs. Rodrigues”, ma che era rimasta zitta per questioni di gerarchia. La baffona ha ovviamente sentito il mio risolino, perché ormai ascolta solo le mie falle, e mi ha fulminata con lo sguardo, ponendomi la stessa domanda.
<< Lì per lì non sapevo cosa dire, sul serio. Ed era ridicolo, perché quel libro lo amo. E proprio facendo leva su ciò, ho ripreso un passo e gliel’ho riportato. E’ quello che anche tu hai sottolineato quattro volte, nel libro che sei stato praticamente costretto a prestarmi perché non lo trovavo in lingua originale.
I   sentimenti   più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l'ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c'è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l'insoddisfazione per l'esistenza del mondo.”
<< Avresti dovuto vederla. E’ diventata più rossa di me quando ho avuto quella reazione allergica alle nocciole, ricordi? Certo che te lo ricordi, hai riso più di chiunque altro mentre mi accompagnavi in infermeria. Però quello lo hai fatto di tua spontanea volontà, forse per continuare a deridermi durante il tragitto. Ti ho odiato, non sai quanto. Tu con questa pelle, perfettamente candida, e io, ragazza, che devo fare i conti con migliaia di problemi. >>
Presi involontariamente a giocare con le sue dita, sorridendo di tanto in tanto a quei ricordi. Me ne tornarono alla mente così tanti, che sentivo ancora una volta le lacrime pungermi gli occhi. Per un’intera settimana non avevo fatto altro che piangere, Sandy quasi non ne poteva più.
Gli lessi gli appunti presi quel mattino, correggendo qualche errore di tanto in tanto, poi continuai a raccontargli di quello che succedeva nel campus. Il dottore diceva che gli faceva bene ascoltarci, e che molto probabilmente ci sentiva. Io ne dubitavo, per questo gli confessavo tante cose. Probabilmente al risveglio non si sarebbe ricordato nulla dopo l’incidente.
Ed improvvisamente la paura che potesse detestarmi sul serio prese il sopravvento. Smisi di parlare all’istante, trattenendo il respiro per regolare pensieri e battito cardiaco.
Prima che potessi fare qualsiasi altra cosa, sentii il cellulare vibrare nella tasca dei pantaloni. Mi affrettai ad estrarlo, e senza neanche preoccuparmi di chi fosse, risposi.
<< Prepara i bagagli >> quella voce, quella maledetta voce.
<< No >> mi affrettai a dire, chiudendo la comunicazione. Il telefono, di tutta risposta, prese a illuminarsi di nuovo, ma cercai di non farci caso, onde evitare di litigare con mia madre proprio mentre ero con Harry.
Non solo si erano fatti vivi dopo una settimana dall’accaduto, ma avevano anche il coraggio di dettar legge in quel modo! Non gli avrei permesso di portarmi lontano da Harry, non in quel momento.
Forse lui non aveva bisogno di me di quanto io ne avessi di lui, di sentire che si sarebbe ripreso: e non potevano portarmi via quella certezza. Inoltre sapevo bene che non avrebbero fatto nulla per impormi un ordine. Troppa fatica.
Anche se quella situazione richiedeva un atteggiamento simile.
Mi lasciai andare accanto ad Harry, sull’ampio letto, e mi voltai verso il suo viso, osservandolo attentamente. I suoi lineamenti rilassati, le labbra colorite e il respiro regolare. Non era più intubato, ed era un grande passo avanti, nonostante l’attacco di qualche giorno prima.
<< Ho paura che stavolta verranno sul serio, Harry. Ma perché?>> chiesi a lui, quasi potesse darmi una risposta. << Perché devono rovinare sempre tutto? >>
Chiusi gli occhi, stringendo la sua mano.
Forse avrei dovuto considerare la possibilità di scappare di casa per il resto dei giorni che mi separavano dal college. Era probabilmente l’unico modo per ritrovare quella sanità mentale che mi sembrava di aver perso a furia di star dietro ai loro assurdi ragionamenti.
Sempre che ce ne fossero, sulla loro amata figlia.
Parlai ancora un po’ ad Harry, prima di notare che ormai fosse tardi che entro breve l’orario delle visite sarebbe terminato. Scesi dal suo letto e raccattai le mie cose, infilando lentamente una giacca prima di uscire, dato che il tempo in quel periodo sembrava essersi irrimediabilmente guastato.
Louise, in una maniera alquanto melodrammatica, aveva affermato che il cielo piangeva. Poteva mai il cielo piangere?  Gli lasciai un bacio sulla fronte, com’ero ormai solita fare e mi voltai per andar via. Tuttavia, l’immagine di una donna sulla cinquantina, con sguardo furente, accompagnata da un uomo di cinquantuno anni mi si parò di fronte.
Arretrai di un passo, incapace di proferire parola.
Non era possibile.
Non ci credevo.
<< Si torna a casa. >>
 
<< Vattene! >> urlai << Lasciami! >>
Si chiusero la porta alle spalle per evitare che qualcuno mi sentisse, e si rivolsero nuovamente a me, arrabbiata. Ma come si erano permessi di interferire in quel modo con la mia vita? Erano diciannove fottuti anni che non lo facevano!
<< Verrai con noi, con le buone o… >>
<< Altrimenti che mi fate, eh? Mi rovinate più di quanto non abbiate già fatto negli ultimi anni? No, grazie, sto bene così >> dichiarai, incrociando le braccia al petto.
<< Ti rendi conto che per lasciarti sola qualche giorno hai fatto finire in ospedale il figlio di Anne e tu hai quasi perso ogni possibilità di sposarti? >> non potei credere a quello che mi aveva appena detto mia madre, e nonostante tutto, mio padre l’appoggiava incondizionatamente.
Due menti malate come quelle non meritavano di avere figli.
<< Harry ha rischiato di morire per difendermi da una tentata violenza! >> ribadii, cercando di calmarmi. << E voi pensate al matrimonio? >>
<< Ora basta, devi tornare ad Holmes Chapel. >> Fece per avvicinarsi ancora, ma il mio ulteriore passo in direzione del monitor di rilevamento del battito la frenò.
Temeva forse che avrei potuto combinare altri danni?
<< Devo stare con Harry. Voi andate via. >>
Mi voltai, cercando di non badare alla loro presenza, ma improvvisamente sentii mancare il pavimento da sotto i piedi. Cosa diamine stavano facendo?!
<< Mettimi giù! >> gridai, dimenandomi come un’ossessa.
Mio padre mi fermò solo quando incontrò un ostacolo davanti alla porta, più precisamente un medico.
Mi fece scivolare dalla sua spalla, sotto lo sguardo ammonitore del dottore, per nulla d’accordo con quello che stavamo facendo in quella camera. Fulminai i miei con lo sguardo, ordinando loro di andar fuori o li avrei denunciati. In qualche modo.

Telefono azzurro, o che ne so, il commissario di quella mattina. Sembrava abbastanza freddo e frustrato.

Era terrorismo psicologico, il loro, e nulla mi avrebbe fermata.
<< Mi scusi, dottore, non era mia intenzione farle sentire la mia voce in quel modo >> mormorai, grattandomi nervosamente il capo.
Lui mi fissò scettico, prima di guardare in direzione di Harry.
<< Veramente ho sentito solo l’allarme. >>
Inarcai un sopracciglio, chiedendomi a che cosa si stesse riferendo di preciso, poi con un cenno indicò una lampadina rossa che lampeggiava a intermittenza sulle nostre teste. Ci fissammo un istante, prima di voltarci contemporaneamente verso il letto.
Il medico fu il primo ad avvicinarsi, mentre io cercavo di capirci qualcosa.
Harry teneva tra le dita un telecomando, ma io ero certa di non averglielo dato prima di prepararmi per andare via. E poi… essendo in stato di incoscienza, non avrebbe potuto premere quel bottone.
Quindi, questo significava che..
<< Cazzo! >> urlai, in preda all’entusiasmo.
Il dottor. Johnson mi trucidò con lo sguardo, ammonendomi per farmi stare al mio posto. Ma non ci riuscivo, stavo fremendo.
<< Harry? Harry, mi senti? >> iniziò a dire, guardandolo intensamente.
Feci lo stesso, congiungendo le mani in segno di preghiera.
Un mugolio.

Un minuscolo, significante, meraviglioso mugolio.

E poi la rividi, quella tempesta verde. I suoi occhi vagarono confusi nella stanza, fino ad incontrare i miei.
Stavo piangendo, ancora. Ma stavolta era gioia, allo stato puro.
Il medico si allontanò in fretta, sparendo nel corridoio, quasi di corsa. Io ne approfittai per avvicinarmi, ma lo vidi di nuovo con gli occhi serrati. Che fosse stata solo immaginazione?
Tentai un ultimo approccio, di quelli a cui non avrebbe resistito.
<< Sei uno stronzo. >>
Nulla. Ancora palpebre abbassate. Sospirai, nuovamente affranta per quel falso allarme, poi sollevai lo sguardo verso il suo volto, quasi innervosita da quelle lacrime che era riuscito a cavarmi.
Sapevo di essere egoista, ma, diamine, volevo vederlo ancora!
Apri gli occhi, ti prego…
Passarono i secondi. Sentivo da lontano dei passi avvicinarsi.
<< Harry, vaffanculo >> borbottai, voltandomi per andarmene.
<< Ci andrei, ma ci vai spesso tu. Mi toccherebbe condividere con te anche quel posto. >>

Ora gli spacco la faccia.

No, un momento.

Con uno scatto feci dietrofront .
Era tornato.
 
 



TADAAAAAAAAA
E’ vivo, girls. Visto? Non lo avrei mica fatto morire! E poi sono in preparazione delle scene… mlmlml.
Okay, vi ho già spifferato troppo. Ditemi, siete felici? La resurrezione di Styles ci voleva, no? Ahahah
Ora non odiatemi più. So che in fondo ai vostri cuoricini mi detestavate per avervi tenute sulle spine, soprattutto col mio “non vado sempre per i lieto fine”. Sono una bitch.
Okay, basta sparare stronzate senza fondamento, e passiamo alla storia.
Ho deciso di far tornare un po’ il pepe che aveva caratterizzato i capitoli precedenti, e l’ho trovato perfetto come antidoto al coma di Harry. Per Abbey era in quello stato e per Abbey ci è uscito. Che dolciosità (?)
Filo a scrivere il prossimo capitolo, babes!
Ricordate i commenti brevi, i messaggi li leggo sempre tardi!
  
  
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Waterproof