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Autore: SofiaAmundsen    22/05/2013    2 recensioni
Sta per suicidarsi, ma prima, ha qualcosa da dire a sua madre. E così le scrive una lettera. Una lettera che è una vita intera.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cara mamma,
 
ad uccidermi, oggi, non sarà l’impatto sanguinoso contro un terreno che non arriva mai, non sarà la mancanza di ossigeno, troppo sfuggevole nella velocità di un corpo che cade nel vuoto, saranno i ricordi. Quei ricordi che mi hanno ucciso ogni giorno da quando sono stata in grado di elaborarli, che mi hanno tenuta sveglia la notte, che mi hanno fatta urlare quando mi addormentavo, che mi hanno fatto avere paura delle persone e del mondo, che mi hanno privato di ogni possibilità di essere felice.
 
In quei ricordi ci sei tu.
 
Ci sei, ma è come se non ci fossi. Sei nello sfondo, tra i vetri rotti, le bomboniere lanciate contro qualcuno o qualcosa, le sedie gettate a terra in una posizione innaturale, come un corpo morente che chiede pietà. Sei come le urla e i ti prego, ti diffondi nella stanza, ma nessuno ti nota.
 
Io, però, mi ricordo di te.
 
Mi ricordo di te che continuavi i tuoi compiti assurdi, come una geisha senza più valore o dignità, mentre io lasciavo un piccolo pezzo di me davanti alla tua porta, ogni giorno, lo perdevo, come se qualcosa stesse lentamente scalfendo la mia roccia. Finchè non è rimasto più niente. Finchè non sono rimaste che le briciole, quelle che ora getto sulla voce del vento.
 
Non preoccuparti se ho deciso di uccidermi, mamma, perché io ero morta già da tempo.
 
Sono morta quando lui mi ha tolto tutto quello che avevo.
 
Sono morta quando tu mi hai abbandonato senza ammetterlo.
 
Sono morta quando a te non è importato che mi stessi autodistruggendo, che mi stessi lasciando perire solo per non concedere a lui il lusso di uccidermi.
 
Sono morta quando tutto è stato così difficile e io così piccola.
 
Sono morta quando il tuo volto era giallo e viola e il mio cuore nero, di sangue denso e di dolore: non mi piacciono questi colori.
 
Sono morta quando il sole ha smesso di splendere e ho iniziato a vedere solo pioggia, che non lava ma infanga.
 
Sono morta quando il mostro mi ha colpita così forte da illudermi che finalmente fosse finita.
 
E sono morta ogni volta nel ricordarlo, ogni giorno, ogni notte, ogni momento. Non mi hanno mai abbandonato, i ricordi, ed è il paradosso della mia vita, perché a te che ho chiesto di stare con me è sempre stato facile allontanarti, a loro che ho urlato di andare via, è sempre stato facile perseguitarmi.
Quante volte ho sperato di battere la testa così forte da dimenticare tutto. Quante volte ho attraversato la strada senza guardare, sperando di avere un incidente e perdere la memoria o, magari, la vita.
 
Ma invece ho sempre ricordato tutto, sempre saputo tutto. Ero strana anche per questo, me lo dicevano sempre. Io ero quella che poteva ripetere intere conversazioni a memoria, dopo averle ascoltate una volta, quella che leggeva una frase e ce l’aveva per sempre impressa a fuoco nella testa , quella che non aveva bisogno di studiare perché apprendeva come per magia. Io ero quella che ricordava, troppo, e il troppo in questo mondo è sempre un posto per i diversi.
 
Non era magia, mamma. Era il disperato tentativo di una ragazza, con una mente particolare, di attaccarsi a ogni briciola, a ogni dettaglio, pur di cambiare le cose. Ero sicura che se avessi scavato bene nella mia testa, prima o poi, sarei riuscita a trovare qualche immagine di te che sorridevi, che mi difendevi, che mi amavi.
Non ci sono mai riuscita. Hai vinto tu, ancora. Hai vinto sulla vita, sui ricordi, su tutto. Ti sentirai soddisfatta, della tua vita perfetta, come l’avevi immaginata senza di me: che io sia morta o mai nata non farà la differenza, già lo so.
 
I ricordi, forse, tormenteranno anche te, una volta o due, ma scemeranno, come scemerà il mio nome e il pensiero di me. Non te ne faccio una colpa, mamma, non ti sto accusando. Anzi, forse, ti sto capendo, come tu non hai capito mai me. Hai sempre voluto una vita in cui io non c’ero, una vita fatta di te che potevi amare tuo marito senza che io ti ricordassi cosa ti aveva fatto, cosa ci aveva fatto, una vita in cui non avevi bisogno di fingere o mentire, perché a te andava bene così, sottomessa e livida come una schiava senza diritti. Una vita in cui la tua famiglia felice non era solo la storia che raccontavi a te stessa, ma una realtà costruita, artificiosa, che puzzava di plastica anche da lontano, ma che a te sarebbe piaciuta. Una vita il cui unico elemento di rottura poteva essere qualche pianto ogni tanto, sola in camera, quando proprio non ne potevi più, e non una bambina troppo attenta, troppo forte per stare in silenzio.  Una vita di bugie, le stesse che raccontavi a me.
Io te la regalo, questa vita, te ne faccio dono, pagandola con il prezzo più alto: la mia morte.
 
Non gioco a fare l’eroina, mamma, non ti sto dicendo che lo faccio per te, che lo faccio a causa tua. Per una volta, la protagonista sono io, solo io. Sono io che decido, io che vivo, io che muoio. Non sei più tu da essere salvata invece da salvare, non è più lui che uccide invece di essere ucciso. Sono io, che scelgo di rinunciare e scelgo di farlo per me.
Perché i ricordi non si cancellano, quelli sono indelebili. Penetrano nella tua pelle e diventano parte di te, della tua volontà, quasi perdi coscienza in favore loro, tanto che ti guidano sussurrando diabolici dogmi del tuo passato. C’è solo un modo per ucciderli e io sto per farlo.
 
Non importa se tu non ricorderai, mamma, non importa, davvero.
   
 
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