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Autore: sophyakarenina    23/05/2013    1 recensioni
Fu il suo turno di inarcare il sopracciglio, chiedendosi se avesse realmente capito bene quanto appena ascoltato o fosse stato soltanto uno scherzo del suo cervello.
“Mi pareva che avessi detto che accettavi il patto per come era.”
Schernirlo ora, proprio quando aveva dimostrato un lato vulnerabile di sé.
“Touché.”
Raccolse la giacca della divisa e se la gettò negligentemente sulla spalla, senza aggiungere altro. La sorpassò con paio di falcate, facendola rabbrividire per lo spostamento repentino d’aria. Imboccò le scale svanendo velocemente dalla sua vista.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Cracks in the walls.


Pioveva ininterrottamente, ormai, da quarantotto ore e – sebbene fossero solo all’inizio del mese di Settembre – l’umidità e l’abbassamento delle temperature avevano costretto tutti a ripararsi indossando capi più pesanti.

Strinse con più decisione la sciarpa a grandi righe gialle e rosse attorno al collo, più per nervosismo che per reale necessità di coprirsi meglio dal freddo.
In piedi sulla banchina, tesa come la corda di un arco e con le mani affondate nelle tasche del suo parka color senape, non riusciva a smettere di portare lo sguardo al grande orologio rotondo. Non erano passati nemmeno cinque minuti dall’ultima volta che aveva controllato l’orario, ma le sembravano ore. Venti minuti di ritardo.
Maledisse ancora una volta i suoi amici. O meglio, maledisse Ron Weasley, dal momento che la colpa doveva essere senza dubbio solo sua.

Di fronte a lei la stazione era un alveare in piena attività: una miriade di persone senza volto che si affrettavano a scendere e a salire sulle carrozze in un turbinare di ombrelli colorati. Il rumore rullante e fastidioso del tabellone che segnava il susseguirsi delle destinazioni, dei numeri dei binari. Le cancellazioni, i ritardi. Sbuffò.
Si domandò se avesse fatto veramente la cosa giusta nello scegliere di andare da sola alla stazione quell’anno.
Aveva caricato le sue cose sul taxi e salutato i suoi con un gesto silenzioso della mano, lasciandoli immobili sul cancelletto di casa.

Eppure, quella mattina, dopo aver spalancato gli occhi alle prime luci dell’alba, si era ritrovata a fissare il soffitto con un brutto presentimento impigliato nel fondo della gola.
Le tornarono in mente le parole recitate come un mantra della professoressa Cooman durante le sue assurde lezioni.

«La preziosa opportunità di squarciare il velo di Maya e guardare alla nuda realtà nella sua interezza, senza restare obnubilati dalle false apparenze.
Intuire l’ordito del destino ed avere una speranza di riuscire a mutarlo. Miei giovani maghi, non sottovalutate mai il potere dei presentimenti.»

Mentre l’acqua della doccia continuava a scivolarle addosso come una gelida carezza, non fece altro che ripensare a quella sensazione.
Comprese che quell’anno di scuola sarebbe stato sicuramente diverso, ciononostante, non seppe decidersi se quell’eventualità rappresentasse più un bene che un male.

Aveva fatto colazione seduta al piccolo tavolo della cucina, con sua madre che spadellava una quantità indefinita di pancakes e suo padre che leggeva ad alta voce alcune curiosità dall’ultimo numero della sua rivista scientifica in abbonamento, il regalo di compleanno ricevuto solo qualche mese prima da parte sua e della mamma.
Di nuovo quel senso di oppressione in fondo alla gola.

“Sapevate che i rumori possono influenzare l’attività delle nostre pupille? E’ stato condotto uno studio che ha dimostrato come anche i suoni più piccoli possono causare la dilatazione delle pupille. E non è un caso che i chirurghi pretendano religioso silenzio durante le operazioni più complicate, al fine di evitare disturbi nella vista che comporterebbero errori. Dovrò dire a Maggy di fare lo stesso durante le visite in studio…non mi piacerebbe ricevere un altro morso da Robbie Fenwick.”

“Ho deciso di andare da sola.”

Fu come se qualcuno avesse lanciato un incantesimo, un Aresto Momentum. Abbassò gli occhi sulla tazza di latte caldo, stretta tra le mani.
Una carrellata di emozioni si alternò sui loro visi mentre la fissarono come se le fosse improvvisamente spuntata una seconda testa al lato del collo.
Doveva aspettarselo: l’avevano accompagnata ad ogni primo giorno di scuola di tutta la sua vita. Poteva forse biasimarli?

Jane Granger poggiò finalmente la padella vuota nel lavandino e spense il fornello. Arricciava le mani nel grembiule, forse per asciugarsi le mani, anche se sua figlia sapeva trattarsi di un gesto inconscio per nascondere la sua confusione.

“Ma tesoro, è una tradizione di famiglia. Perché non vuoi che veniamo con te?”

Realizzò che era finalmente giunta a quel punto di non ritorno che aspettava da anni.
Avrebbe potuto scrollare le spalle e far finta di aver parlato a vanvera, facendo tirare un sospiro di sollievo ai suoi genitori. Cosa sarebbe successo poi?
Desiderò davvero poterlo fare, tornando alla sicurezza delle consuetudini a cui era abituata.
Scoprì di non esserne più in grado: cercò dentro di lei il coraggio per andare avanti per la propria strada. Così, inspirò profondamente prima di rispondere.

 “No, non è che non voglio. E’ solo che penso che sia arrivato il momento per me di cavarmela da sola, tutto qui.”

Era pienamente consapevole di recare loro un dispiacere, quindi, mentre restava seduta su quella sedia, temette di dover affrontare per la prima volta una discussione con loro. Il solo pensiero di un litigio, delle urla che non aveva mai udito, non fece che enfatizzare ancor di più lo strano stato d’animo in cui era piombata quel giorno.
 
Tuttavia, i suoi genitori l’adoravano. Amavano tutto di lei ed erano orgogliosi della giovane donna che stava diventando: una studentessa modello, chiaramente destinata ad avere un futuro radioso e di successo nella comunità di cui ora faceva parte. Per questo e per il bene che le volevano, in nome della grande stima e della fiducia che riponevano in lei, non fecero troppe storie né avanzarono alcuna obiezione. Suo padre chiamò un taxi, mentre sua madre finiva di servire la colazione.

Si riscosse e tornò alla realtà del binario nove e tre quarti. Iniziava a sentirsi fuori luogo: completamente sola e con un vecchio baule arroccato su un carrellino ed un gatto rosso acciambellato dentro ad una gabbia in sottile ferro battuto.

Ancor prima di riuscire ad intravederli, lì sentì arrivare di corsa: un chiassoso gruppo di persone sbucare disinvolte, dal nulla, attraverso una colonna del binario.
Come sempre la famiglia Weasley era al gran completo, zazzere rosse e guance puntinate da lentiggini al seguito.
Le parve di poter respirare un pochino meglio non appena le braccia di Harry le cinsero le spalle in un caldo abbraccio, forte e deciso.
Era sempre lo stesso, gli occhi verdi ancora stropicciati di sonno dietro agli occhiali rotondi, i capelli scuri perennemente scompigliati.

“Scusa. Scusa. Scusa.”

Ronald. Da sopra la spalla del ragazzo sopravvissuto, lo vedeva farsi piccolo piccolo, nel ripetere quella parola come se da questo dipendesse la sua intera esistenza.
Il moto di tenerezza che la coglieva sempre in quelle situazioni, le fece tentennare un sorriso sulle labbra. Sentì le braccia di Harry scivolare via e si ritrovò di fronte a lui.

Ron rimase in attesa, come per assicurarsi che avesse il permesso di poterla toccare.
Dopo un istante che sembrò durare un’eternità, si decise finalmente ad abbracciarla.
Quello che provò fu come sentirsi a casa. Portò a sua volta le braccia attorno al suo collo ed inspirò a pieni polmoni il profumo di bucato pulito e di biscotti fatti in casa.
Le era mancato tanto quell’estate. Si staccarono quel poco che bastava a tornare a guardarsi negli occhi e l’usuale velo di imbarazzo calò tra loro come un invisibile sipario, rendendo i loro movimenti impacciati e legnosi mentre si allontanavano definitamente l’una dall’altro.
Con tutta probabilità, quell’imbarazzo non gli avrebbe mai permesso di ammettere apertamente che c’era qualcosa di più tra loro due.
Qualcosa che non aveva nulla a che fare con l’amicizia.

Fu il turno di salutare il resto del gruppo e ad ogni abbraccio si sentiva leggermente meglio. Quando arrivò il turno della signora Weasley, immaginò che non sarebbe sopravvissuta alla sua stretta poderosa. Nondimeno, le sorrise lo stesso, godendosi quello scintillio di pura gioia accendere i suoi occhi.
Molly la tratteneva ancora per le spalle rivolgendole lo sguardo divertito e pieno d’affetto di chi è capace di leggere tra le righe della vita, poi iniziò a guardarsi intorno.

“Dove sono i tuoi genitori, cara? Mi piacerebbe molto salutarli.”

“Non sono venuti, avevano un importante convegno di lavoro stamattina.”

Non ebbe neppure il tempo di rendersi conto di quello che aveva detto; le parole rotolarono fuori dalla sua bocca senza che potesse controllarle. Che diavolo le era preso?
Non aveva nulla di cui vergognarsi se non aveva voluto la compagnia dei suoi genitori e gli Weasley non l’avrebbero di certo giudicata per questo. Allora perché mentire?

“Oh. Che peccato. Jane e John sono persone così adorabili, li avrei incontrati così volentieri, non lo pensi anche tu caro?”

“Ma certo, Molly. Troveremo occasione per vederli durante l’anno, anzi, potremmo invitarli alla Tana per una cena. E John potrebbe mostrarmi gli attrezzi del mestiere: tenaglie per strappare via i denti, vi rendete conto?”

A corto di parole ed incerta su come rispondere, Hermione si ritrovò a balbettare un assenso e ringraziò mentalmente Fred per aver attirato su di sé l’attenzione di tutti.

“Forza pigroni, sbrigatevi a caricate i bauli: hanno aperto le porte delle carrozze!”

Harry e Ron l’aiutarono cavallerescamente a caricare il suo pesante baule e mentre i due cercavano di coordinarsi per oltrepassare la porta del vagone, qualcosa di nero catturò la sua attenzione. Quasi al fondo del binario, un capannello di studenti alteri e silenziosi attendeva di poter prendere posto nel loro scompartimento di prima classe.
Slytherin. Anche solamente pensandolo, quel nome aveva un sapore acre sulla lingua. Eppure, si ritrovò a considerare che quegli studenti, sebbene meschini ed inaffidabili, dall’animale che costituiva il simbolo della loro casata avevano ereditato anche classe e sensualità.
Avevano un alone intorno a loro, al punto che in mezzo a quel mare di Babbani non riuscivano – o non volevano – passare inosservati.

Vide Daphne Greengrass calzare un paio di corti guantini di pelle nera che, anche a quella distanza, davano tutta l’aria di essere morbidi come burro.
Portava i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, tenuti indietro da un sottile cerchietto d’argento.
La divisa della scuola, confezionata su misura, si intravedeva a malapena sotto al trench nero avvitato.
Conversava amabilmente con Pansy Parkinson, l’altra faccia di quella luna.
Forse, non era alta quanto Daphne, né possedeva la sua innata eleganza. E, forse, i suoi capelli scuri erano meno brillanti ed erano legati in una coda alta che non la valorizzava. Ma, malgrado ciò, non si poteva dire che non fosse comunque altrettanto bella.
Ebbe la conferma che quella mattina le stavano accadendo cose che non parevano aver alcun senso, visto che che non era proprio da lei fare caso a simili sciocchezze.
Eppure, non riuscì ad evitarsi di esaminare le proprie sneakers e di confrontarle con le costose scarpe di vernice dal tacco alto ai piedi delle due ragazze.

Doveva esserci seriamente qualcosa che non andava in lei.

Tornò ad osservare il suo mondo, così familiare e, allo stesso tempo, così inspiegabilmente diverso. Harry e Ron che si azzuffavano tra loro su chi avesse sviluppato maggiormente i muscoli delle braccia durante le vacanze estive, ridendo e scherzando come due bambini. Molly che continuava a redarguire Ginny sulla buona condotta che una giovane strega doveva tenere a scuola, Fred e George che si scambiavano di identità facendo impazzire loro padre.

L’istinto, però, la fece voltare nuovamente alla sua destra: anche tutti gli Slytherin erano ormai saliti diligentemente sul treno. Tutti tranne uno.

Era rimasto in disparte tutto il tempo, indossando un serioso completo nero che rendeva la sua pelle impossibilmente esangue. I suoi genitori gli stavano addosso come cavallette, continuando ad investirlo con un fiume di parole che tradiva tutta la loro ansia. E accadde qualcosa che non si aspettava: l’uomo viscido che aveva sempre schernito sia lei che i suoi amici, gli stava stringendo con forza la spalla destra. Le parve essere il primo vero gesto d’affetto che quell’uomo avesse mai rivolto in pubblico a suo figlio da quando li conosceva. Narcissa Malfoy si avvolse meglio nella sua pelliccia ed iniziò a camminare verso l’uscita, seguita dal marito a pochi passi di distanza.
Draco Malfoy era rimasto ancora una volta solo e la stava guardando.

Colta sul fatto, si affrettò a salire sul treno, quasi lasciandosi cadere sul sedile accanto ad Harry.
Quella strana sensazione tornò prepotente a far capolino tra i suoi pensieri, facendole girare la testa.

Ron si sporse repentinamente verso il sedile di Harry, cercando di bisbigliare, senza successo: il tono della sua voce saliva di ottava come aggiungeva nuovi dettagli.

“Miseriaccia, ti giuro che è tutto vero. L’ho sentito dire da Dean che l’ha saputo da Roger Davies che l’ha sentito dire da Adrian Pucey giusto poco fa. E’ una notizia dell’ultimo minuto. E pare che lo abbiano anche già rimpiazzato, nel giro di un quarto d’ora!"

“Dai Ron, è ridicolo: non esiste che si sia ritirato. Non dopo tutto quello che hanno fatto per farlo entrare in squadra al secondo anno. Vero Hermione? Hermione?”

“Terra chiama Hermione. Hai sentito quello che ha detto Harry?”

“Scusatemi, io ero…devo essermi…di che stavate parlando?”

Lo sguardo d'apprensione che le rivolsero non prometteva niente di buono. Chiuse gli occhi e sospirò: non aveva proprio bisogno di altra pressione.

“Ti senti bene? Sei così pallida, sembri la brutta copia della Dama Grigia.”

“Molto divertente, Ronald. Ad ogni modo, sto bene, devo recuperare solo qualche ora di sonno. Allora?”

“Draco Malfoy ha appena annunciato alla squadra di Quidditch il suo ritiro ufficiale.”
 
 

  
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