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Autore: Road_sama    23/05/2013    5 recensioni
[Fanfic sospesa fino a che non mi tornerà l'ispirazione giusta. Chiedo scusa a tutti i lettori che aspettano un aggiornamento da un bel po' di mesi, ma ho troppe cose per la testa in questo periodo. Spero di riprendere in mano la fic presto.]
Questa è la prima long fic in questo fandom quindi fatemi sapere cosa mettere a posto!
I Perfect Maker sono una piccola band europea, arrivata in California da poco per fare una serie di concerti. Non sanno ancora cosa vuol dire essere delle star e non sanno nemmeno cosa possono diventare i Paparazzi per loro. Sarà proprio questa piccola avventura ad insegnarglielo e a cambiarli per sempre.
Buona Lettura!
/UsUk//GerIta//Spamano//Franada//PruHun//accenni AusHun/InghilterraxIrlanda/
Genere: Comico, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo
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Buona sera/giorno/pomeriggio a tutte suddite. Sono tornata con un nuovo capitolo dopo abbastanza tempo, però almeno è lunghetto u.u se vi consola xD Per i fan di UsUk e PruHungary questo è l’ideale quindi armatevi di cuscino dove affondare la testa nelle parti pucciose :3 Ringrazio tutti quelli che hanno recensito fino ad ora e quelle che comunque leggono e seguono la mia fic *si commuove*.
Non vi trattengo oltre, spero che vi piaccia e…Buona Lettura! :)

 
 

UNA SERATA SINGOLARE
 
 


Era già da dieci minuti che aspettava. Sul serio, non si aspettava che riuscisse ad essere in ritardo anche al primo appuntamento. Se così si può definire. Stava perdendo le speranze, forse gli avrebbe dato buca.
Si era anche messo il vestito buono! Evento molto raro per un barista.
-Ehi sfigato! Sono qui! – la stridula e irritante voce di lei gli arrivò all’orecchio come una lancia. L’aveva sul serio chiamato sfigato?! Proprio il MAGNIFICO LUI?!
-A chi hai dett…- Non fece in tempo a girarsi che si ritrovò davanti un angelo. O così sembrava. Era sempre quella scorbutica Eliza ma, aveva qualcosa di dannatamente affascinante. Era il vestito bianco che le arrivava alle ginocchia e le lasciava le esili spalle scoperte? Erano i capelli lasciati scivolare vaporosamente ai lati del viso? O forse erano quegli occhi verdi illuminati dai riflessi della luna? Sul serio, Gilbert non capiva. Ma, non avrebbe mai ammesso che Elizabeta, vestita così gli piaceva.
-Perché mi guardi così? Non hai mai visto una ragazza? – lo provocò.
-Non penso sia quello…ne ho viste molte di ragazze e molto più carine di te è solo che…- Gilbert si avvicinò piano. L’ungherese non smise un attimo di fissarlo.
- E’ solo “che” cosa? – incalzò.
L’albino si ritrovò a due passi da lei. Fiutò l’aria poi, si illuminò.
-Ecco cosa! Ti sei lavata! –
Eliza tirò fuori da non si sa bene dove una padella. Quelle che fece dopo Gilbert non se lo ricordò bene.
 

-Guarda, guarda! Eccolo qui! Me l’ha consigliato Antonio! – Alfred indicò una scatoletta di plastica rettangolare spessa più o meno un centimetro.
-Antonio è stato qui? –
-Yeah! E’ entrato dalla finestra. –
Perché questa cosa non stupiva Arthur? Ormai quella casa era diventata un ricovero per amebe.
-Si chiama Rec. Ha detto che è terribile. –
Arthur sbuffò.
-Non ho voglia di guardare la tv. Ho sonno, vado a letto…- il biondo stava per imboccare le scale quando una mano gli bloccò il polso.
-Please Arthur! Ho paura a guardarlo da solo! – l’inglese si ritrovò a fronteggiare due occhioni da cucciolo.
Ma cosa voleva da lui quello stupido americano?! Non faceva altro che provocarlo dalla mattina alla sera e poi gli chiedeva con una tale faccina (ancora mezzo nudo per la doccia) se per favore guardava un film horror con lui.
Ma scherziamo?!
-Non guardarlo se hai paura! Ti ho già detto che ho sonno e poi, i film del “terrore” mi annoiano. E’ tutto così finto. – Arthur si voltò di nuovo e un’altra volta Alfred lo fermò.
-Che vuoi ancora?! –
-Se guardi il film con me domani ti lascio preparare la mia colazione. –
E quell’affermazione cosa doveva essere?
-Stai dicendo che se ti facessi la colazione tu non la mangeresti perché non ho guardato con te questo maledetto film? Stai insultando la mia cucina per caso? –
-Sto dicendo che preferisco un Big Mac appena sveglio però, se guardi il film con me potrei anche mangiare degli scones! –
Una gocciolina dai capelli ancora umidicci scivolò lungo il collo dell’altro disegnando un sottile percorso fino ai pettorali. Inutile dire che Arthur seguì quella gocciolina con molto interesse.
Diamine quell’americano!
Tentò di distogliere lo sguardo da quella “bella vista” per spostarla sul viso dell’altro ma, incontrò soltanto un sorrisetto compiaciuto. Molto probabilmente Alfred aveva notato questo suo nuovo interesse.
Arthur ridusse gli occhi a due fessure.
-Ok, guarderò questo film ma, se mi annoio vado via! –
Alfred sorrise raggiante poi, prese una ciotola di pop corn da una parte imprecisa del salotto.
-Ah, Alfred? Quasi dimenticavo…-
L’altro annuì spegnendo le luci.
-Mettiti qualcosa addosso perché così sei veramente osceno, trippone! -
 
 
-A cosa serviva tirarmi quella padellata in testa?!- mugolò Gilbert massaggiandosi un rilevante bernoccolo.
Subito dopo essersi “incontrati” molto amichevolmente i due avevano preso a camminare per la zona pedonale di San Francisco alla ricerca di un ristorante o un bar dove mangiare qualcosa.
-Di solito, quando si invitano delle ragazze ad uscire e queste accettano anche se non vogliono, si dovrebbe farle dei complimenti! – urlò furiosa Elizabeta.
-Stai parlando di te per caso? Tu non sei una ragazza! Con la forza che ti ritrovi sei solo un mostro! –
Una vena cominciò a pulsare sulla fronte dell’ungherese. Questo è troppo.
All’albino arrivò un’altra padellata.
-Ci hai preso gusto a farmi male?!-
-Si, non sai quanto mi soddisfa picchiarti. –
-Potrei chiamare il telefono Azzurro! –
-Chiama, pure che così quando si accorgono che non sei un bambino e ti lasciano andare ti picchio ancora di più! –
-Acida! Non so come ti ha abituato quel Roderich ma-
Gilbert venne interrotto.
-Come mi ha abituato chi? – fece Eliza irritata.
-Roderich, l’austriaco. Quello di cui eri e sei ancora innamorata persa! –
-C-Cosa?! Io non sono innamorata di lui…- la voce della ragazza si fece più flebile.
-Oh si! Sei innamorata eccome! E lui è ancora innamorato di te, ovviamente. –
Eliza lo fissò incredula. Poi, diventò di colpo seria.
-Che gioco stai giocando? – Si fermò e afferrò l’angolo della camicia del ragazzo per costringerlo a fermarsi.
-Io? Kesesesese…-
La ragazza gli si avvicinò. Quanto odiava le persone come lui.
-Rispondimi, idiota! –
Gilbert si fece serio e avvolse l’ungherese con il braccio destro attirandola a se. In quella posizione l’uno poteva sentire il respiro dell’altra.
Rimasero immobili, la gente che gli scorreva affianco sembrava lontana. Di tanto in tanto si sentiva qualche leggera ondata d’aria ma, per il resto, l’atmosfera era immobile. Assomigliava molto ad un sogno. Uno di quei sogni che non riesci a capire se sono incubi o no. Uno di quei sogni che ti spaventano ma, allo stesso tempo non vuoi smettere di guardare ciò che succederà.
Eliza si perse in quegli occhi cremisi. Le piaceva, quello sguardo, le piaceva perché dentro a quei pozzi rossi c’era una storia, una storia dolorosa e burrascosa. In quel momento, lui, la intrigava molto.
-Io punto nel farti dimenticare di lui e ricordarti molto bene di me. – ghignò l’albino.
Elizabeta rimase pietrificata. Non riusciva più a ragionare decentemente. Qualsiasi frase lei cercasse di formulare veniva interrotta da qualche altro pensiero su di lui come: “I suoi occhi sono bellissimi” oppure “il suo modo di ridere è così tremendamente accattivante”.
Solo una volta gli era già successa una cosa di questo genere. Con Rod. Ma quando si trovava con lui riusciva a rispondergli, almeno.
Gilbert si allontanò di scatto e riprese a camminare davanti a lei. Con un gesto della mano la invitò a seguirlo.
-Muoviti, voglio mostrarti un posto…-
L’ungherese si riscosse un po’, anche se gli occhi dell’altro continuavano a rimanerle in testa insieme alle sue parole “Punto nel farti dimenticare di lui e ricordarti molto bene di me”.
Avrebbe pagato qualsiasi cifra per sapere cosa stesse passando in testa a quel tedesco.
 
 
-Oh my God! It was really scary! – Alfred si avvinghiò ad Arthur a modi koala.
-Tsk…è tutto finto…e lasciami! Ho sonno. – sbuffò irritato l’inglese.
Quel bambinone di Alfred si rifiutò e impedì all’altro di alzarsi.
-Staccati idiota! Devo andare a dormire! – l’americano affondò la testa sulla sua spalla.
-Ho paura a stare da solo! – disse tutto d’un fiato.
Arthur rimase spiazzato. Non sapeva se ridere o prenderlo sul serio. Optò per la seconda. Scoppiò in una fragorosa risata che finalmente fece staccare l’americano. Non appena l’inglese vide l’espressione dell’altro cominciò a ridere ancora più forte. Sembrava un bambino offeso, le guance leggermente gonfiate d’aria e la fronte corrugata.
Solo dopo lunghi minuti l’inglese decise che poteva bastare. Aveva infierito abbastanza sull’autostima di Alfred. Sicuramente quello stupido yankee aveva una paura matta in quel momento. Per tutta la durata del film non aveva fatto altro che stargli incollato addosso! Non che questo gli creasse problemi, insomma, a parte il forte odore da fast food che proveniva dall’americano, per il resto era quasi piacevole stare vicino a lui.
Si alzò di scatto, questa volta deciso ad andare a letto. Aveva seriamente sonno. Non voleva accendere le luci quindi a tentoni cercò il corrimano in legno. Non fece in tempo a posare il piede sul primo scalino che tutte le luci della casa si accesero. Comprese quelle sul giardino e quelle interne alla piscina. Arthur rimase allibito poi, vedendo il sorrisetto soddisfatto che aveva dipinto sul volto Alfred capì. Come aveva fatto a trovare l’interruttore generale?
Sospirò sonoramente.
-Sei peggio dei bambini. – si fece sfuggire un leggero sorriso.
-It’s all your fault! – mugolò offeso l’altro.
 
Dopo una dura giornata di lavoro quello che ci serve è una buona dormita in un morbido letto a due piazze. Arthur si adagiò delicatamente sul cuscino assaporando l’odore di pulito. Una buona cosa ce l’avevano gli americani: facevano letti enormi e comodi.
Spense la luce e si adagiò la mascherina sugli occhi. L’inglese riusciva ad addormentarsi molto velocemente quindi, non gli ci volle molto per cadere tra le braccia di Morfeo. Il problema fu che subito dopo essersi addormentato sentì un tonfo proprio accanto a lui. Si sveglio di soprassalto credendo che un pezzo di intonaco di muro fosse ceduto e gli fosse caduto sopra al letto. Sollevò la mascherina per riuscire a vedere ciò che l’aveva urtato.
Il suo terrore venne sostituito dalla disperazione. Affianco a lui non c’era un pezzo gigante di muro bensì un bambinone gigante che si era buttato a peso morto disfacendo tutte le lenzuola! Si mise le mani tra i capelli mentre si raddrizzava di scatto.
-Che vuoi ancora?! – Alfred voltò leggermente la testa dalla sua parte mostrando gli occhioni blu molto assonnati.
-Dormire qui. – disse con tranquillità.
-What? – Arthur sgranò gli occhi.
-Ehi, ehi yankee torna nel tuo di letto! Questo è il mio! –
L’americano appoggiò il mento sul bordo del cuscino in modo da vedere con entrambi gli occhi l’altro.
Quegli occhi! Quei maledetti occhi da bambino a cui non si può proprio resistere. Un giorno glieli avrebbe strappati.
-Ma ho paura a dormire da solo…- il labbro inferiore del biondo si sovrappose al superiore in un’espressione simile a quella dei marmocchi sull’orlo del pianto.
-Non sono affari miei! Potevi non guardare quello stupido film! -
L’espressione dell’altro non mutò mettendo a dura prova la resistenza di Arthur.
-Pleaseeeee!!! – piagnucolò.
L’inglese sospirò. A forza di sospirare per quell’americano avrebbe esaurito tutta l’aria e di conseguenza anche la pazienza.
-Perché quella sera mi è capitato questo bambinone?! – disse quasi tra se e se rivolgendo gli occhi al cielo prima di ristendersi accanto ad Alfred.
Alfred mugolò soddisfatto e si ficcò sotto le coperte, molto vicino all’inglese.
Solo in quel momento si accorse della cosa maledettamente equivoca che stavano pe fare. La sua mente fece un po’ di calcoli e la faccia dell’inglese ne uscì rossiccia.
Un ragazzo, più un altro ragazzo, nello stesso letto, uguale a…
-A-Allora- balbettò -mettiamo in chiaro che questa è la mia parte di letto e quest-
Non riuscì a concludere la frase che l’americano gli si raggomitolò contro il petto. La testa appoggiata sotto il mento e i capelli che gli sfioravano il viso. Il biondo diventò bordeaux.
-E-Ehi cosa sono tutte queste libertà…? Hei! Scostati! –
Alfred era troppo pesante! Non riusciva nemmeno a muoversi. Arthur cominciò a sudare freddo. Si sentiva quasi a disagio in quella situazione. Insomma, sembrava un padre alle prese con un figlio ribelle o un ragazzo con il suo amante troppo cresciuto?
Il suo cervello smise di pensare quando Alfred gli rivolse il viso. L’espressione tremendamente seria.
-Good night…Arthur. –
L’inglese lo fissò sbalordito. Aveva sentito male o l’aveva chiamato per nome? Il rosso sulla sua faccia si accentuò. Alfred sorrise, poi si voltò.
Arthur sorrise involontariamente poi, sempre senza volerlo affondò le dita nei capelli dell’altro. Lo sentì sussultare.
-G-Good night Alfred. -
 
Ad Eliza non piacevano le grandi città. Sempre troppo chiassose e affollate. Non si poteva quasi respirare. Sarà che lei veniva dalla campagna, sarà che non le piacevano i posti troppo simili a casa sua, le grandi città non le sopportava.
Però, la vista da quella torre le fece dimenticare tutto. Gilbert l’aveva portata sopra allaCoit Tower. Dall’esterno sembrava un faro: era bianca, alta e cilindrica però, ora che si trovava all’interno, le piccole terrazzine, di cui era ricoperta la punta, le mostravano un mare di luci. Eliza sgranò gli occhi. Non aveva mai visto una città di tali dimensioni dall’alto. Tanto meno di notte. Si sporse il più possibile cercando di catturare con lo sguardo ogni singolo dettaglio. Le sagome dei grattacieli erano appena visibili e le luci di strade, finestre e insegne troneggiavano dovunque. La distesa di edifici sembrava infinita. Non si riusciva nemmeno a distinguere l’East River dal resto della città. Sembrava un’enorme massa di mare illuminata, dove si increspano le onde, dai riflessi della luna. Era un posto tranquillo e isolato, sembrava surreale. Quel posto aveva la capacità di creare una barriera tra te e il resto del mondo.
Non aveva mai sofferto di vertigini ma, quel paesaggio le fece venire le farfalle nello stomaco.
Quasi si stupiva di un tale gesto da parte di un tipo come Gilbert.
Si girò ad osservarlo. Stava guardando quel panorama e allo stesso tempo sorrideva. Sembrava un’altra persona visto da li. Inutile dire che era molto carino. Anche se aveva una semplice camicia bianca, una cravatta rossa e dei jeans corti, aveva il suo fascino. Sicuramente aveva una personalità totalmente diversa da Roderich. Gilbert era un tipo molto più rozzo ed egocentrico però, nel complesso era una brava persona.
-Perché mi hai portata qui? – chiese con un filo di voce la ragazza. L’albino si voltò a fissarla.
-Io vengo sempre qui quando voglio dimenticare qualcosa…o qualcuno. – Eliza sussultò. Il ragazzo tornò a fissare l’esterno.
-Mi rilassa stare qui. In questo posto riesco a sentirmi pensare! Con tutto il casino che c’è nel bar, qui mi sembra di poter finalmente respirare. –
Rimasero entrambi in silenzio.
-Penso che sia il momento di andare ora, ho una certa fame! - aggiunse Gilbert voltandosi per andarsene. La ragazza gli afferrò il polso per fermarlo.
-G-Gilbert…grazie. –
Il ragazzo ghignò.
-Dai, non dev’essere stato così terribile vivere con Rod! –
-Non era tanto vivere con lui, quanto quello che mi costringeva a fare. Ero quasi come la sua schiavetta personale e ogni volta che ne aveva l’occasione mi rinfacciava il fatto che era stato merito suo se ero diventata così. Quando ho conosciuto i miei compagni, non mi permetteva nemmeno di andare da loro. Come se fossi di sua proprietà. Non ti sembra abbastanza terribile non essere liberi? –
-Oh, cattivello l’amic- non riuscì a terminare la frase che Eliza appoggiò la testa sul suo torace. Le sue piccole e delicate mani che tenevano la camicia ai lati.
-Non dire niente. –
L’ungherese assaporò il suo strano profumo. Le piaceva quella posizione, anche perché Gilbert non parlava. Forse era riuscita a zittirlo.
Il fatto era che non voleva fargli vedere i suoi occhi lucidi. Sarebbe rimasta volentieri in quella posizione ancora a lungo.
-So che non è facile dimenticare il passato ma, penso che dovresti semplicemente sostituire quei ricordi con altri di nuovi e più belli. Se quello che cerchi è toglierti Roderich dalla mente, beh, trovatene un altro… -
Eliza appoggiò il mento sul suo petto in modo da riuscire a guardarlo negli occhi. Lo vide arrossire.
-Tu saresti “un altro”? – chiese divertita.
-Forse…dovresti provare. –
Questa volta fu la ragazza ad arrossire.
Lei non era certo una ragazza facile e tanto meno una di quelle che si lascia trasportare dal romanticismo…però, quell’atmosfera le stava giocando un brutto scherzo. Solamente un bacio non avrebbe fatto certo molta differenza. Si sarebbe giustificata con un “era una prova” o qualcosa del genere.
Si alzò un po’ sulle punte per arrivare alle labbra del ragazzo.
Un bacio non faceva la differenza, continuava a dire tra se e se. Se solo non fosse stato per quelle braccia che si attorcigliavano intorno al suo collo, per le braccia di lui che le avvolgevano i fianchi e per quelle labbra così dannatamente attraenti. Il suo corpo ormai ragionava e agiva da solo.
-Non ti facevo così sanguisuga! – ghignò Gilbert staccandosi per riprendere fiato. L’ungherese andò completamente in confusione. Inutile dire che arrossì fino alla punta dei capelli.
-E-Ehm, io non sono così infatti…n-non so sul serio che cosa mi sia successo, io chiedo scu- l’albino le rubò un altro bacio. Breve e letale.
-Mi sa che c’ho preso gusto pure io. -
  
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