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Autore: BlackPoison    24/05/2013    0 recensioni
Il suo nome è Lucilla, Lucy. Curioso se si pensa a chi è, a ciò che rappresenta. Curioso che una creatura dal destino tanto oscuro possa essere stata chiamata così: LUCE.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO CINQUE

'Smile'

Alle volte le persone sono segnate da un destino. Vivono la loro vita, come tutti.
Esattamente come tutti la mattina fanno colazione con il latte freddo e rovesciano la metà della scatola dei cereali sulla tovaglia, comprano il pane grattandone via la crosta per riservarsi la mollica che è morbida e fresca, chiacchierano con il vicino del tempo e dell'altro vicino che di recente intrattiene in modo poco consono una ragazza appena maggiorenne, portano a spasso il cane e vivono ogni giorno in una spassionata routine sperando, magari, di fare qualche incontro fortuito o che arrivi qualcosa di travolgente che si intrufoli nella loro monotona vita modificandola per il meglio.
Ci sono persone che agli occhi di tutti sono solo ciò che appaiono.
Persone. Ci sono altre persone, invece, per quanto poche, che con gli imprevisti, se così li si può definire, ci fanno i conti ogni giorno ma in un certo qual modo si lasciano trasportare dall’intrinseca speranza che qualcosa possa andare per il verso ‘giusto’ prima o poi. Che in un modo o nell’altro, quegli astri tanto avversi si gireranno un attimo, si distrarranno, ed allora potranno avere in mano la loro vita giusto quel secondo che fa di ogni loro gesto un dettame del libero arbitrio.
Ci sono persone che dopo aver passato una vita a sperare, una vita a lottare si ritrovano totalmente rassegnati. Di fronte ad uno specchio. A guardarsi. A rendersi conto che è stato tutto inutile, che a volte non si ha una scelta. Sperare non serve quando ci sono altre persone che muovono le fila della tua vita come se tu non fossi altro che una bambola di pezza.

La luce filtrava ancora attraverso le tende rosa pallido della mia stanza. Avevo sempre odiato quel colore. Mi dava un senso di insicurezza che mi logorava, m'infastidiva. Quasi come se qualcuno potesse appostarsi fuori dalla mia finestra armato ed io, con le tende di quel colore così delicato, così fragile, non avrei potuto avere scampo. Loro non mi avrebbero protetta.
Non mi ero mai davvero sentita fragile,io, non nel vero senso della parola.
pesata, sì. Triste, spesso.
Ma mai, mai, fragile.

Non conoscevo la sensazione quasi magica che derivava dalla consapevolezza di non avere in mano nulla di nulla per agire. L'unica cosa da cui dovevo avere paura, infondo, era me stessa. Una volta assunta la consapevolezza di questa cosa resta ben poco da cui scappare.

Fissavo il grosso acero del giardino della casa di Sona e Richard. Ero abbastanza affezionata a quello stupido albero nodoso.
Quando ero arrivata qua, i primi giorni, la notte ci saltavo sopra avvinghiandomi ad un suo grosso ramo intrecciato come una scimmia rischiando sempre di spezzarmi l’osso del collo per lo stacco dal davanzale della finestra.
Mi sdraiavo e guardavo il cielo.
Per via dell’inquinamento che incapsulava tutto ciò che avevo intorno le stelle erano pressappoco dei puntini luminosi appena visibili ma io mi accontentavo.
Mia madre mi aveva insegnato a riconoscere le costellazioni.
Mi aveva parlato della stella polare. Della stella più luminosa, quella che bisognava seguire ogni volta che ci si perdeva. Faceva parte di una costellazione molto grande 'l'orsa maggiore'. Ed io stavo lì a guardarla tutte le notti. Mi sentivo persa senza di lei. La sentivo vicina, così. La stella polare me la faceva ritrovare, erano i suoi occhi che mi dicevano che era lei la mia orsa maggiore, che non smetteva mai di vegliare su di me, che m'indicava la giusta strada da seguire.

Un giorno di novembre dell'anno prima un lampo aveva colpito il grosso acero scalfendolo in buona parte così da lasciarlo tutto macilento e, per citare Sona, 'antiestetico, assolutamente antiestetico'.
Avevo passato sei giorni a suppliccarla di non farlo tagliare. Alla fine Richard aveva fatto da pacere, in un certo senso, e l'aveva convinta a patto che si chiamase un giardiniere per far si che potesse avere di nuovo una parvenza accettabile.
Richard mi aveva sempre temuta. Sempre.
Ogni tanto lo sentivo discorrere ore ed ore con Sona riguardo ciò che sarebbe accaduto quando 'mi sarei trasformata'.
Come se io fossi un Pockemon.
O un cazzo di lombrico pronto a trasformarsi in un corvaccio piuttosto che in una farfalla colorata.
Beh, sì, sapevo che dentro di me le cose stavano mutando, sentivo che piano piano certe sensazioni andavano accentuandosi, certe emozioni ad ingigantirsi. Ma davvero sarebbe arrivato il momento in cui io, Lucilla Cordelia Bennet, la figlia della donna con la tenacia più ferrea del mondo, la ragazza destinata al male più assoluto e cresciuta per il bene, mi sarei trasformata in un mostro senza alcun potere decisionale sulle proprie azioni?

Dei colpi di tosse mi fecero trasalire.
Non sentii bussare ma quasi sicuramente l’aveva fatto. Lucas se ne stava in piedi sulla porta.
Aveva ancora il suo sorriso snervante piazzato sulle labbra, ma questa volta quasi non lo notai, cominciavo ad abituarmi a quella costante ironia sprezzante.

Andai velocemente con la mente ai grossi tomi ancora rinchiusi nella mia tracolla.
La tracolla, sotto al letto.
Lucas non avrebbe mai dovuto saperne nulla. Dovevo prestare un'attenzione spasmodica per custodire da quel ragazzo spocchioso ed invadente questo segreto.
Tuttavia mi sorgeva spontanea una domanda:

Lui...
...sapeva?

“No. Non puoi entrare”

Mi rigirai verso la finestra dandogli le spalle.
Lui rise, rise come se io fossi stata una sua amica e l'avessi appena punzecchiato.

“Non sarai arrabbiata per il fatto che frequento la tua scuola, vero?”

Non risposi.

Sì, dannazione. Ovvio che ero arrabbiata, ero furiosa!
Il semplice fatto di essermelo ritrovato fuori dalla porta del MIO bagno, quella mattina, alla ricerca di uno spazzolino mi aveva fatto venire i nervi a fior di pelle.
Speravo che potesse fare l'onnipresente senza invadere il mio spazio vitale in modo così irruento, così presuntuoso, così.. INVADENTE!
Invece, ovunque andassi, lui era lì.
OVUNQUE.
E sorrideva.

Si sedette sul mio letto senza che io gli avessi dato il permesso di entrare e chiuse la porta dietro di sé col tacco del piede.

“Ti potrà pur sembrare strano ma ho diciotto anni, secondo i documenti di registrazione, l’ultimo anno me lo devo ancora fare”

Si sdraiò.

“E poi è ovvio che se devo guidarti devo starti dietro spesso”

Aggiunse quest’ultima informazione come se ci avesse appena pensato dopodichè chiuse gli occhi.
Ancora mi domando che cosa mi trattenne dall'infilargli una penna, un fermacarte, una lampada da comodino nell'ombelico.

Il vicino, il signor Dorth uscì col cane al guinzaglio. Quel barboncino aveva appena un anno ed era una peste. Il signor Dorth non fece a tempo ad aprire la porta che il cane gli corse spedito nel giardino facendolo inciampare nel primo gradino della veranda mentre ancora si stava allacciando il cappotto. Non riuscii a trattenere una risata sommessa. “Cosa ti fa ridere?” Lucas si alzò di scatto dal letto improvvisiamente incuriosito raggiungendomi alla finestra. Si mise alle mie spalle guardando all’esterno. Il signor Dorth era impegnato a litigare col guinzaglio che gli si era attorcigliato attorno alla gamba destra. Il cane abbaiava d’impazienza.

Lucas ridacchiò.

“Che idiota!” Sorrise. Di nuovo.

Tuttavia non distolsi lo sguardo spazientita, non quessa volta.
Era un sorriso diverso quello, sembrava quasi vero. Non uno dei suo soliti sarcastici ghigni, non un'espressione facciale buttata lì giusto per farmi saltare i nervi.
Sorrideva.
Lucas nemmeno sapeva che lo stavo guardando.
Sorrideva davvero.

Davvero non riuscii a trattenermi dal rifilargli uno sguardo a metà tra lo scettico ed il divertito.
Lucas alzò un sopracciglio.

"Che c'è?"

"Niente signor messaggero di Satana, pensavo avessi gettato nel gabinetto anche le emozioni, le sensazioni... La tua parte umana"

Lucas per tutta risposta arricciò ulteriormente il sopracciglio destro come se si stesse sforzando di tradurre nella sua lingua le mie parole.

"Sono ancora umano, peperina. Ma..." spostò lo sguardo sul signor Dorth. "In questo momento il tuo vicino in difficoltà mi fa sbellicare davvero, non la definirei esattamente una 'cosa da umani'"

Questa volta fui io a guardarlo, feci un passo indietro.

"No, Lucilla. Nemmeno tu hai l'istinto di aiutarlo. Se lui cadesse e si facesse seriamente male forse scenderesti di corsa, gli presteresti soccorso come puoi ma per una distorsione che t'è stata imposta" ritornò a guardare fuori dalla finestra.

Il sorriso ora non c'era.

"Sono umano, sei umana. Ma nessuno di noi due pensa davvero da essere umano"

Lucas incrociò le braccia al petto e mi fornì uno sguardo saccente, dopodichè si rigettò sul mio letto a braccia allargate.

Non ne sai niente, tu di me non sai niente.
NIENTE.

Quanto male può fare la VERITA'?

Una parte di me litigava con se stessa. Una parte di me voleva avere ragione.
Ma era davvero così?

"Mia madre mi diceva sempre che ognuno di noi può essere chi vuole" tirai la tendina. "Siamo noi che scegliamo cosa fare di noi. Le nostre scelte fanno chi siamo, Lucas"

"Tua madre è morta per queste idee malsane"

"Tu non sai...Aspetta un momento!"

Mi diressi a grandi passi verso il mio letto. Lucas vedendomi arrivare si mise a sedere.

"Avevo capito che non eri stato messo al corrente di nulla"

Più che un'affermazione la mia era un vero e proprio sibilo. Gli puntai l'indice al petto.

"Tu.."

"Sì, peperina, stavo bluffando"

Lucas mi prese la mano e con una mossa improvvisa mi schiacciò sotto al suo peso contro il letto.

"Occhi aperti ragazza dei segreti" mi sussurrò all'orecchio.

In un battito mi lasciò andare ed uscì dalla mia camera lasciando la porta spalancata.
La mia prima idea fu quella di rincorrerlo e prenderlo a sberle o insultarlo. Magari entrambe le cose.

'occhi aperti ragazza dei segreti'

Occhi.
Aperti.

Col cuore in gola mi precipitai ad allungare un braccio sotto al letto. La cartella era al suo posto. Del libro di Emily.
Del volume del 'mio segreto' nemmeno l'ombra.

****

'Lei lo sa, signore, lei l'ha scoperto. Abbiamo perso la possibilità di sfruttare la sua ignoranza al riguardo...'

Osai alzare gli occhi giusto un secondo per avere il tempo di spostarmi o ribattere nel caso in cui Satana avesse deciso di incenerirmi con una palla di fuoco o sguinzagliarmi contro qualche strana creatura.

Il Grande Sovrano invece non fece una piega. Sembrava non respirare neppure-lo faceva?

Restai in ginocchio immaginandomi le peggiori pene infernali per la mia mancanza.
Dannazione, Lucas! Affidata a te da cinque minuti e scopre tutto. Stupido messaggero, ma dove hai gli occhi?

Il viso di lei mi venne improvvisamente in mente.
Il modo in cui mi era stato semplice capire che qualcosa non quadrava.
La puzza di bruciato si era sentita non appena aveva messo piede nella casa.
Sciocca.
Ingenua.
Aveva la faccia tale e quale ad un libro aperto. La si poteva capire bendati.
E poi, diciamocelo, quale ragazza infila la cartella sotto il letto e poi se ne sta malinconica a pensosa ad una finestra senza avere degli scheletri nell'armadio o, in questo caso, nella borsa?.

Satana si alzò improvvisamente in piedi stiracchiandosi le braccione verso l'alto.
Fissavo un punto fisso del pavimento in attesa con il ginocchio dolorante.

"A dire la verità mi pareva piuttosto strano che ancora non fosse venuta a conoscenza di nulla"

Satana cominciò a camminare in tondo grattandosi fuoriosamente l'orecchio destro con uno dei suoi artigli.

"Lucas, tu sai perchè ti ho scelto, vero?"

No.NO.
Non ne avevo la minima idea.

Mi limitai a mantenere lo sguardo fisso al pavimento con un'aria estremamente reverenziale.

"Sei furbo ragazzo... Non brilli fi genialità"mi lanciò un'occhiata davvero sprezzante. "Ma sei un... ragazzo, sei allo stadio a cui dovrebbe essere Lucy. Non potrai mai controllarla, questo lo sappiamo tutti, però, puoi fartela amica"

Sorrise da una parte all'altra della faccia aspettandosi una mia risposta.
Non sapevo cosa dire.

"Tutto qui?"

Satana mi guardò ed alzò gli occhi.

"Tutto qui".

  
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