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Autore: kyuukai    25/05/2013    1 recensioni
Corri e vai, fogliolina,
Danza e vola intorno al fuoco
Troppo vicina, troppo avventata.
Ti spingi troppo oltre per le fiamme scure,
affascinata, ostinata, tanto che
i lapilli sospinti arderanno le tue punte.
Sai che prima o poi la tua freschezza
verrà rubata da cotanta avventatezza
ed arderà fino in cenere
di fronte al fuoco implacabile.
Perché dunque continui? Per quale ragione non indugi?
Desideri così tanto morire per quella fiamma mortale,
O fogliolina avventata, innamorata ed ossessionata?
[Incompiuta]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hashirama Senju, Izuna Uchiha, Madara Uchiha, Tobi, Tobirama Senju
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Prima dell'inizio
Capitoli:
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Hashirama scoprì ben presto quanto amasse essere competitivo Madara.

Oh, lo aveva già sospettato fin dall'inizio, certo, vedendo come aveva reagito quando giocavano a far saltare le pietre lungo il fiume. Hashirama si era sempre dimostrato più abile nel farlo, i suoi ciottoli sfioravano tre volte il pelo dell'acqua prima di cadere. L'altro solo due volte. E la cosa pareva infastidirlo parecchio.

Per tale ragione non perdeva occasione di proporre ogni tipo di sfida per dimostrarsi migliore del giovane Senju, in qualcosa di diverso rispetto a quel “gioco triviale” al quale pareva sempre perdere. Questo non impediva comunque a Madara di ritentare ogni giorno, e scatenare un gran baccano quando il risultato rimaneva sempre lo stesso.

Hashirama trovata il tutto semplicemente troppo divertente e riusciva a malapena a trattenere la risata spensierata che scatenava ancora di più l'ira del suo amico.

Era una persona che riusciva a far diventare una gara qualunque cosa, dalla più comune sfida di far arrivare le pietre dall'altra parte del fiume, alle corse, alla scalata della grande parete di roccia oltre la foresta, alla più infantile ripicca di mantenere la pipì più a lungo del compagno.

Hashirama ci faceva le migliori risate a ripensare alla prima volta in cui aveva testimoniato quel piccolo punto debole di Madara. Quando non riusciva più a trattenerle, per correttezza e per non rimetterci la pelle, si allontanava per dar sfogo all'eccesso di ilarità che lo prendeva di tanto in tanto, abbastanza da non farsi sentire da Madara, che altrimenti lo avrebbe guardato male per l'intera giornata e tenuto il broncio per giorni interi. Eventualmente avrebbe sbottato come suo solito, urlato ai venti la sua rabbia e fatto deprimere il moro incolpato. Ma facevano sempre pace alla fine.

Il giovane Senju adorava come riusciva a malapena a contenere la soddisfazione e contentezza dopo ogni sfida, soprattutto quando vinceva, si puliva un filo di sudore sulla fronte pallida e guardava il suo sfidante con aria di superiorità, il tratti del viso pallido totalmente rilassati in un ghigno orgoglioso per ciò che era riuscito a fare.

I suoi occhi parlavano da soli. C'era una ragione ben precisa dietro quella spavalderia latente, e ciò bastava a legittimarla, almeno per il suo amico.

 

(Hashirama non avrebbe mai affermato che Madara fosse vanesio ed ingiusto in tutta la sua vita).

 

Il tempo volò, i giorni divennero mesi, molti mesi, e sempre più veloci erano i passi di Hashirama mentre si dirigeva verso il suo posto preferito. Il richiamo era diventato semplicemente impossibile da non seguire.

Ma con l'esigenza a diventare più latente, arrivarono anche le conseguenze, e le precauzioni che dovette prendere per accertarsi che il suo piccolo paradiso personale rimanesse tale.
Il giovane Senju arrivò perfino a mentire e disobbedire la madre. Invece di aiutarla a casa nelle sue faccende scappava veloce come il fulmine, ancor prima che lo trovasse per assegnarglieli.

Quando poi prese l'addizionale abitudine di sgattaiolare via di soppiatto dopo pranzo ogni giorno per andare al fiume, ovviamente, cominciarono i problemi. Perché se i genitori non davano molta importanza alle sue fughe, i fratelli, con cui si sarebbe dovuto allenare quotidianamente, lo notarono subito. E cominciarono a fargli domande.

Il ragazzo le aveva evaso tutte, sempre in maniera vaga, purtroppo, facendo si che la loro curiosità sulla faccenda aumentasse sistematicamente. Accresciuto dal fatto che, ovunque andasse ogni volta che scappava di casa, tornava sempre contento e col sorriso sulle labbra. Perfino dopo le ramanzine aspre della madre, ed i severi appunti del padre, il maggiore continuava a sorridere e passava avanti.

Era come se avesse davvero trovato un modo a scampare a tutti quei pensieri gelidi che avevano minacciato la sua vita.

E lo avrebbe difeso gelosamente con le unghie e con i denti.

Qualora qualcuno un giorno lo dovesse seguire, magari Madara sarebbe scappato, spaventato. E non gli avrebbe più parlato dopo un tale tradimento, guardato, voluto giocare con lui, passare del tempo assieme...

Doveva mantenere il loro segreto. A tutti i costi.

Fintanto che avrebbe avuto la possibilità di andare a riscaldarsi l'animo lungo il corso d'acqua assieme a Madara, vedere la sua figura scura ferma sulla riva ad aspettarlo, già con una pietra in mano, sarebbe andato tutto bene.

Il suo tranquillo, caldo e piacevole piccolo segreto.

Non importava che al suo ritorno avrebbe dovuto affrontare le ire della madre, o le domande lievemente intimidatorie di Tobirama, o le occhiate gelide del padre.

Ne valeva assolutamente la pena. Perché nessuno mai prima di allora era riuscito a segnarlo così tanto ed ispirargli fiducia come Madara.
Gli adulti gli avevano insegnato fin da piccolo a portare rispetto per i maggiori e gli anziani, ad abbassare il capo e fare come loro ordinavano, senza mai mettere in discussione nulla.

Ma ciò non era una cosa spontanea. Era un valore trasmessogli artificialmente. Hashirama doveva rispettare sua madre e suo padre perché gli doveva la vita, un tetto sulla testa e i suoi fratelli.
Se quello forzato era davvero la vera essenza del rispetto, forse allora quello che provava per Madara era diverso.

Era stato un sentimento, sensazione nata spontaneamente dal suo cuore, ed anche l'esigenza di non ferirlo, o metterlo in difficoltà.
Che nome avrebbe potuto dare a tutto questo?
Forse “affetto”?
Effettivamente quando erano lontani Hashirama sentiva la sua mancanza, e perfino di notte desiderava che essa passasse in fretta in modo da poter correre da lui. Era in apprensione quando faceva ritardo, e tremava all'idea che lui potesse rimanere gravemente ferito sul campo di battaglia. Ma per fortuna non era mai capitato.

Di ritorno da una missione Hashirama ne portava sempre i segni, tanto che più volte l'amico lo aveva colto a leccarsi le ferite più fresche, abbacchiato e inondato da un senso di vergogna latente al pensiero che il ragazzo potesse vederlo ridotto a quel modo. L'amico invece ne tornava sempre intoccato, la pelle sempre più pallida e pulita, pura ed intoccata. Madara scuoteva la testa rassegnato, si sedeva al suo fianco e mentre gli faceva un'aspra ramanzina lo aiutava a fasciarle.
Il ragazzino era anche gentile, raramente, però in fondo aveva un cuore buono dietro le ferree barriere che il mondo gli aveva imposto di vestire in modo da sopravvivere. Faceva parte della sua autodifesa, che oltre a proteggerlo dal gelo sferzante, riusciva anche a farlo tornare incolume dagli scontri che doveva affrontare quasi quotidianamente.
Hashirama si era chiesto tante volte come combattesse Madara, come si comportasse sul campo di battaglia. Sarebbe stato sicuramente interessantissimo poterlo vedere.

Si divertiva ad immaginarlo con un vessillo al vento su una pila di shinobi agonizzanti sotto i suo piedi, le braccia strette al petto come suo solito, quel fiero sorriso mezzo abbozzato sulle labbra.
E gli occhi fiammeggianti fissi su di lui ai piedi del cumulo, con i sandali nel fango.

Realizzò ben presto che però, per colmare l'immagine gloriosa, mancava qualcosa. Forse era quell'ombra che avvolgeva il viso del ragazzo quando, parlando, si bloccava all'improvviso e stringeva le labbra con aria contrariata, come se avesse detto fin troppo.

Quell' (odiabile) ostacolo di vetro che continuava a separarli, a nascondere parte della loro natura.

Era di tacito accordo non parlare della propria famiglia, o mostrare le tecniche particolari in loro possesso. Hashirama non usò mai l'arte del legno, tipica del clan Senju, in sua presenza. Sarebbe stato troppo facile per Madara collegare le due cose, e non voleva metterlo a disagio, per nulla al mondo.

Notando la sua difficoltà in più di un'occasione, Hashirama si era affrettato a cambiare discorso o sfidarlo. Aveva davvero a cuore la sua felicità, ed a giudicare dall'espressione dell'amico, se n'era accorto anche lui e ne era grato.

-Va bene, andiamo- mormorò rialzandosi e sfiorando la sua spalla per chiedergli di seguirlo.

Hashirama, anche ad ore di distanza, avrebbe ricordato la sensazione della mano nel punto preciso dove lo aveva toccato per il più fugace degli attimi, la pressione di quelle dita forti e molto chiare sulla pelle sua.

Si, decise, teneva molto a Madara, forse tanto quanto ne voleva ai fratelli. Certamente più dei genitori.
(Hashirama non ne era cosciente allora ovviamente, ma quello rappresentò il primo passo verso la sua discesa.
Il sentimenti che aveva scambiato per affetto allora aveva dei connotati molto più seri.
Il nome giusto del sentimento era cieca venerazione
).

- V -

Itama fu il primo a sentire la differenza. Il suo umore era apparso fin da subito molto più vivace, era tornato caldo e fiducioso. E non lo aveva sentito più piangere di notte, dopo gli esami del padre o le punizioni della madre.

Il più piccolo gioiva nel vederlo così sinceramente contento, tanto da arrivare a fermare Tobirama dal riferirlo ai loro genitori, inventandosi scuse colorite per distrarlo.

Itama adorava il fratello, e per nulla al mondo avrebbe concesso a nessuno di farlo tornare in quello stato pietoso. Gli voleva abbastanza bene da lasciargli fare quello che voleva, se riusciva a farlo stare così bene e contento, si disse, ne valeva la pena.

Lui si sarebbe limitato a sorridere, amarlo ancora di più, e fare del suo meglio per renderlo ancora più contento, nel suo piccolo.

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La persona con cui Hashirama preferiva da sempre allenarsi era, ovviamente, Madara.

Non era severo ed intransigente come il padre, violento come la madre se falliva la sua missione, indifferente e freddo come suo fratello che si tirava indietro sempre all'ultimo minuto prima di fargli anche un lieve livido o troppo lieve e simpatetico come il più piccolo, che aveva paura persino ad alzare la spada in legno per scontrarsi con lui.

Madara era fiero, indomito, con una forza fisica pari ad un uomo del doppio della sua età e stazza, dato che era abbastanza magro per un bambino di dodici anni. Sapeva essere spietato, menare le mani con precisione e forza per ore intere, ma anche sapersi fermare una volta che lui avesse capito il suo errore e per lasciargli riprendere fiato. Pensava fosse costruttivo perfino parlare dei suoi sbagli, esaminarli nel dettaglio a battaglia finita con lui, seduti su una roccia, e spiegare come migliorare tecniche e mosse.

Si sentiva molto più motivato a dare il meglio di sé con il suo amico, ed accoglieva di buon grado sia le critiche che i complimenti.

I risultati non tardarono ad arrivare. Grazie agli allenamenti assieme al suo amico del fiume Hashirama migliorò notevolmente in taijutsu e ninjutsu tanto che perfino Tobirama lo notò durante uno dei loro tanti allenamenti. Itama fece buon viso a cattivo gioco, ovviamente, fingendosi ignaro di tutto.

Quella notte però dormì abbracciato al fratello maggiore, e dopo aver posato un delicato bacio sulla sua nuca scoperta si addormentò abbracciato a lui. Hashirama sorrise nel dormiveglia e strinse meglio le braccia del piccolo intorno al suo stomaco.

Purtroppo però rimaneva carente in genjutsu, anche perché pareva che Madara non riuscisse neppure a crearne una.
Sembrava appunto, dato che appariva sempre molto schivo quando tirava fuori il discorso delle tecniche illusorie. Forse era anche il suo clan era nemico degli Uchiha e perciò temeva quelle temibili tecniche oculari.
Hashirama aveva sentito dire, gli riferì mentre facevano una pausa, che solo nell'incontrare gli occhi con quelli di uno di loro sarebbe bastato per essere forzato ad immergersi in un luogo lontano dal tempo e dallo spazio, dove il cacciatore sarebbe stato il padrone di qualunque sua azione. Che si sarebbe perso ben presto il lume della ragione per colpa delle illusioni tremende che erano capaci di evocare. Di perdere sé stessi nelle mortali iridi cremisi, e non poter mai tornare indenni ed uguali dopo una tale esperienza.
Madara si era limitato ad ascoltarlo con evidente interesse, e sorridere enigmaticamente per tutta la durata del discorso, senza mai staccare gli occhi dai suoi.

L'altro ragazzo, non da meno, rimase ipnotizzato da essi, tanto da rimanerlo a fissare di rimando. Tutta quella attenzione in quel preciso istante cominciò a far tingere di rosso perfino le sue guance.

Non ne era abituato, ovviamente. E sentire il suo sguardo addosso tanto potente e penetrante lo stava facendo sentire leggermente a disagio, oltre che dargli una leggera sensazione di vertigine, di allontanamento, estraniamento totale dallo spazio e tempo corrente.

In origine aveva pensato che gli occhi di Madara fossero totalmente neri, tanto che la pupilla non si potesse distinguere dall'iride, ed erano profondi, inghiottivano lo sguardo di chiunque avesse la disdetta di guardarlo per più di due secondi. Avevano uno spessore e potere tale da far perdere la coscienza, la concezione del tempo e del luogo.

Tuttavia un paio di volte avrebbe giurato di intravedere una sfumatura rossastra in esse, soprattutto quando si fermavano ad asciugare le vesti sulla riva del fiume dopo una lunga corsa sul pelo dell'acqua.

Dopo una seconda, sgomenta occhiata, Hashirama provò ad auto convincersi che fosse stata la sua immaginazione od un gioco bizzarro di luci.

(Questo ovviamente non gli impedì di sostare di nuovo gli occhi su di lui, ancora più a lungo di quanto potesse essere considerato educato).

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