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Autore: Beauty    25/05/2013    10 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Until the End of the Last Hope

 
Quando era bambino gli ripetevano sempre che non era prudente inoltrarsi nella Foresta Incantata dopo il calare del sole. Il Cacciatore ricordava bene come il suo migliore amico – almeno, una volta lo era…ora era il Primo Ministro, il traditore. Non era più l’uomo che solo fino a tre anni prima l’aveva affiancato nella ribellione contro la nuova Regina – sbuffava dicendo che erano tutte sciocchezze volte solo a spaventare i bambocci e a mandarli a letto quando veniva loro richiesto. Al massimo, diceva sempre, nella Foresta Incantata potevi trovare delle ridicole fatine.
Quanto a lui, non aveva mai saputo se avesse ragione lui oppure sua madre: sapeva solo che la Foresta Incantata, a dispetto del nome che portava, nascondeva molte più insidie di quanto non si sospettasse, evitabili se si prestava attenzione, ma anche nocive o letali, se le si prendeva alla leggera.
Era meglio non inoltrarsi nella Foresta Incantata di notte. Non era prudente. Ed era ancora meno prudente continuare una marcia nel buio, alla cieca, disarmato e in fuga come stava facendo lui in quel momento. Ma non aveva scelta: doveva allontanarsi dal castello della Regina Cattiva e dalla città di Nottingham il più in fretta possibile, se non voleva essere riacciuffato.
Non poteva fermarsi, non ora.
Dato che ora era un Uomo Lupo, non avrebbe avuto difficoltà in uno scontro corpo a corpo, ma era meglio non mettere alla prova questa certezza. E poi, forse avrebbe anche potuto cavarsela contro un avversario, o magari anche due, tre o quattro, ma che avrebbe fatto di fronte a dieci o quindici soldati?
E se non fossero stati gli uomini della Regina a raggiungerlo? Se avesse incontrato qualcuno di armato?
Era un mostro, sì, ma non immortale. Una spada avrebbe potuto trafiggerlo…senza contare che non avrebbe potuto in alcun modo combattere la magia nera.
Il Cacciatore si chiese come avrebbe fatto se, in quel momento, si fosse trovato di fronte un goblin, o magari lo stesso Tremotino, il mago oscuro più potente e temuto di quel mondo.
O forse, il Primo Ministro.
Il Cacciatore digrignò i denti, sferrando un pugno nell’aria al pensiero dell’uomo che l’aveva tradito. E non solo lui. Aveva tradito Lady Marian, aveva tradito la ribellione, aveva tradito tutto ciò in cui credevano e per cui avevano combattuto. Era per colpa sua, più sua che della Regina Cattiva se ora lui era un mostro sanguinario, un assassino, se Cappuccetto Rosso e la nonna erano morte, se Lady Marian era prigioniera in quella cella…
Già, Lady Marian. Il Cacciatore non riusciva a smettere di pensare a lei; si sentiva in colpa, non riusciva a capacitarsi di essersene andato senza di lei, senza essere riuscito a liberarla, lasciandola inerme fra le grinfie della Regina…Ma in compenso, Lady Marian era stata abbastanza lucida da spiegargli con esattezza come stavano le cose.
Ora il Cacciatore sapeva che la Salvatrice era arrivata…e che il Primo Ministro era alla sua ricerca.
E lui doveva fermarlo, prima che fosse troppo tardi; c’era in gioco qualcosa di troppo grande, e la Salvatrice, chiunque ella fosse, era l’unica che poteva mettere fine a quella follia. E lui non poteva permettere che il Primo Ministro la trovasse prima di lui.
Il Cacciatore si arrestò di fronte a un grosso albero: il tronco era spesso, ruvido, di quel tipo adatto per fabbricare utensili e difficile da spezzare con il solo aiuto di un’accetta, rifletté. In tutta la sua vita era stato sempre un cacciatore, e aveva imparato a riconoscere non solo il tipo di legno e a catalogare le varie piante, ma anche a scoprire i segreti della Foresta.
Lasciò correre lo sguardo lungo il tronco, passando al vaglio ogni inclinazione e squarcio della corteccia: la Regina non era stupida, sapeva che un albero del genere sarebbe stato difficoltoso da abbattere, e che molto probabilmente chi ci avesse provato si sarebbe subito arreso…quale posto migliore di una corteccia intoccabile per collocare un passaggio segreto?
Un tempo, quel genere di portali erano controllati dalle fate del bosco, ma ora era la Regina ad avere la supremazia su tutto – o quasi, per fortuna. Il Cacciatore aveva imparato a riconoscerli dodici anni prima, quando si era arruolato nelle file dei ribelli. Erano preziosi, molto utili soprattutto quando eri in fuga e non avevi possibilità di fronteggiare il tuo nemico. Avevano solo due piccoli inconvenienti: il primo, era che una volta utilizzati una volta, questi si chiudevano per sempre; il secondo, che non sapevi mai con certezza dove saresti potuto capitare. Potevi ritrovarti nella capanna della Fata Turchina, al sicuro, così come c’era la possibilità di finire dritti nel pentolone di un Orco.
Oppure, ora che era la Regina Cattiva a controllarli, di nuovo nelle segrete del suo castello.
Il Cacciatore inspirò a fondo, chiudendo gli occhi per poi riaprirli immediatamente, puntando lo sguardo contro il simbolo del portale: un cerchio intagliato nella corteccia.
Quel portale era ancora inutilizzato…ma lui era sicuro di volerlo attraversare?
Era probabile che la Regina avesse incantato i passaggi segreti in modo che conducessero tutti al suo castello. Era un rischio che non poteva permettersi di correre: non voleva ritrovarsi in catene un’altra volta, e aveva una missione da compiere.
Tuttavia, ora che la Salvatrice era finalmente arrivata, aveva buone speranze che la magia della Regina si fosse indebolita. E poi, il Primo Ministro era a caccia della prescelta, senza contare che lui era ancora troppo vicino al castello.
Doveva fare un tentativo.
Prese un altro profondo respiro, e premette il palmo della mano contro il cerchio.
 

***

 
- Prendetele!
Navarre e i suoi le stavano raggiungendo. Elizabeth si voltò, senza smettere di correre: c’erano solo il capitano e altri due soldati, ma loro due erano comunque sole, disarmate e, per quanto riguardava Cenerentola, ferite. La bionda riusciva a correre a fatica a causa del taglio sanguinante sulla gamba, e già iniziava a rallentare la corsa. Elizabeth sentiva i polpacci doloranti, respirava a fatica e iniziava a provare dolore alle cosce e all’altezza della milza.
Quasi non si accorse che la loro fuga si era spinta fino alle soglie del villaggio, e che ora stavano correndo in mezzo agli alberi.
Cenerentola crollò in ginocchio sull’erba, emettendo un gemito di dolore. Elizabeth arrestò la propria corsa; le attraversò la mente solo per un secondo la domanda sul perché il sangue che sgorgava dalla sua gamba fosse improvvisamente divenuto nero, quindi la raggiunse, afferrandola per un braccio.
- Alzati!- gridò, quasi implorando.
Cenerentola scosse il capo con forza, ansimando furiosamente.
- No…lasciami qui, vattene via…
Elizabeth scosse il capo, cercando di tirarla in piedi.
- Forza, alzati…
- Liz, vattene!
Elizabeth non sapeva perché se la prendesse così tanto: Cenerentola era solo un personaggio delle favole, in fondo, si sarebbe quasi potuto dire che non fosse reale, se non fosse stata proprio lì accanto a lei, e in ogni caso neppure la conosceva. Ma sentiva che non poteva abbandonarla lì.
- Eccole, le puttanelle!
Cenerentola ed Elizabeth trasalirono nell’udire la voce di uno dei soldati alle loro spalle. La brunetta si sentì afferrare per un braccio e allontanare con forza dall’amica, ancora inginocchiata a terra. Elizabeth non fece in tempo a vedere cosa ne fu di Cenerentola, perché uno dei soldati la spinse violentemente a terra. Elizabeth sentì una mano inguantata avvolgerle la gola, premendole la nuca contro l’erba.
- Che ne facciamo di loro, capitano?
Elizabeth vide con la coda dell’occhio Cenerentola che veniva atterrata a sua volta, mentre un altro soldato le premeva il torace e la guancia contro il terriccio. Nel contempo, avvertì la lama fredda di una spada graffiarle la giugulare.
Udì i passi del capitano Navarre affondare nel fango che ricopriva il terreno della Foresta Incantata. I secondi le parvero durare secoli.
- Uccidetele.
Elizabeth trattenne il fiato, sentendo il cuore balzarle via dal petto; non riusciva a pensare a nulla, vedeva solo la spada del soldato alzarsi sopra di lei.
D’un tratto, la stretta intorno alla gola cessò; una frazione di secondo dopo, anche la lama sparì dalla sua vista, così come il corpo del soldato. Elizabeth lo vide sbalzare di lato, fluttuando a mezz’aria, prima di finire contro lo stesso capitano Navarre. I due uomini caddero al suolo con un tonfo sordo misto allo sbatacchiare delle loro armature.
Elizabeth alzò lo sguardo: di fronte a lei c’era un uomo di circa quarant’anni, molto alto e dalla corporatura massiccia, con addosso una casacca marrone lisa e strappata, il volto ricoperto da una leggera barba e da graffi e tagli.
Il soldato che tratteneva Cenerentola contro il suolo voltò il capo in direzione del suo compagno e del capitano accasciati al suolo; l’uomo approfittò del suo momento di distrazione, e subito lo afferrò per il bavero della cotta, sollevandolo di peso. Il soldato lasciò la presa ai polsi di Cenerentola, imprigionati dietro la schiena; la bionda emise un gemito a metà fra il dolore e il sollievo, tentando di rialzarsi.
Il Cacciatore strinse con forza la mano intorno alla gola del soldato: l’uomo emise un gracchiare soffocato, cercando di respirare; il Cacciatore aumentò ancora la stretta, tenendolo sospeso a mezz’aria. Presto, gli occhi del soldato divennero vitrei, il volto cianotico, la lingua prese a penzolare al di fuori della bocca; Elizabeth vide il Cacciatore lasciare cadere al suolo il suo corpo senza vita.
Cenerentola ansimò, sollevandosi in ginocchio. Puntò gli occhi contro l’uomo di fronte a lei, quindi il suo sguardo si dipinse di orrore quando scorse Navarre alle sue spalle alzarsi e brandire la spada. Provò a urlare, ma il capitano fu più veloce della sua voce, e colpì il Cacciatore alle spalle, ferendolo di striscio a un fianco. L’uomo emise un gemito di dolore, mentre i suoi occhi ebbero una scintilla giallo brillante; si voltò con una velocità innaturale, quasi animalesca, e bloccò il braccio di Navarre un attimo prima che questi affondasse un altro colpo. Il Cacciatore fece inclinare la spada verso il suo avversario, quindi spinse Navarre lontano da sé; il capitano barcollò, finendo in ginocchio a terra con un urlo di dolore. Lasciò cadere la spada, portandosi una mano all’altezza dell’occhio sinistro: Cenerentola ed Elizabeth videro la sua mano imbrattarsi di sangue.
Navarre ringhiò, puntando l’occhio sano contro il Cacciatore: incontrò due iridi gialle, spaventose, mentre le pupille erano ridotte a due lunghe e strette fessure. Il capitano si rialzò barcollando, prendendo a correre seguendo l’altro soldato, anch’egli datosi alla fuga.
Solo quando furono abbastanza lontani Elizabeth si ricordò di respirare. Incontrò lo sguardo incredulo e sconvolto di Cenerentola, quindi entrambe puntarono gli occhi sull’uomo di fronte a loro.
Il Cacciatore non parve accorgersi del loro sguardo: ansimò, mentre gli occhi tornavano del loro naturale color castano scuro. Emise un gemito soffocato, portandosi una mano al fianco ferito che aveva preso a spillare sangue rosso scuro, che in un attimo si chiazzò di nero. Il Cacciatore si voltò barcollando in direzione delle due ragazze: boccheggiò, quasi a voler dire qualcosa, ma subito emise un altro gemito, prima di crollare sulle proprie ginocchia; si accasciò al suolo, gettando il capo all’indietro mentre crollava sull’erba. Cenerentola si gettò verso di lui, provando a sostenerlo per le spalle, ma il peso era eccessivo, e la bionda poté solo rallentare la caduta ed evitare che il capo sbattesse contro il suolo.
Il Cacciatore chiuse gli occhi, privo di sensi.
 

***

 
New York, ore 18:15 p.m.
 
Crawford fece cenno a Jones di arretrare di un passo: l’agente ubbidì, lentamente, facendo saettare lo sguardo dal procuratore al suo collega, ancora con le mani alzate sopra la testa e la calibro 38 puntata in mezzo alle scapole.
Hadleigh ansimò, cercando di ragionare. Che diamine stava succedendo? Cosa stava facendo Crawford? Aveva origliato tutta la sua conversazione con Jones, sapeva cosa era successo, allora che…
Lo sguardo gli si posò su una delle fotografie incorniciate che teneva sulla scrivania: raffigurava le sue figlie; l’aveva scattata lui stesso circa due o tre anni prima. Era il compleanno di Liz, compiva tredici anni. Le due ragazze erano sedute sul divano di casa: Elizabeth, con il volto ancora infantile, si apriva in un timido sorriso, mentre Anya le avvolgeva un braccio intorno alle spalle, ridendo come poche volte l’aveva vista fare. Non poteva credere che fosse trascorso così tanto tempo, da quel giorno, e che ora le sue figlie fossero nel Regno delle Favole…perché avevano seguito le indicazioni di Crawford!
La rabbia lo assalì partendo dal cuore nel petto, che prese a pulsare più furiosamente, facendogli tremare le braccia alzate sul capo e il sangue salire fino alla testa. Non gli interessava quasi più di avere una rivoltella puntata alla schiena: voleva solo girarsi e ammazzare Crawford con le proprie mani.
La sorpresa era sparita, e non aveva neppure fatto in tempo a provare paura, ma una domanda restava: perché?
Perché Crawford aveva mentito in modo che Anya e Liz si smarrissero? Perché ora stava minacciando lui e Jones e puntandogli una pistola addosso?
Ora gli era più chiaro anche il perché il procuratore avesse avuto tanta fretta di rispedirli a casa pur senza aver risolto il caso di Cappuccetto Rosso…ma perché?
Perché tutto questo?
- Si tolga la pistola dalla cintura e la getti lontano da sé - intimò Crawford, sempre rivolto a Jones. L’agente ubbidì, slacciandosi la rivoltella dalla cintola e posandola sul pavimento, per poi allontanarla da sé con un calcio. Hadleigh vide l’arma scivolare fino a finire sotto il termosifone contro la parete.
Il capitano sentì Crawford portare una mano all’altezza della sua cintura, infilando le dita nella fondina ed estraendone la propria pistola di ordinanza. Il procuratore la puntò contro Jones.
- Apra il cassetto della scrivania e prenda le manette - ordinò.- In fretta. E non faccia scherzi, o sparo a entrambi.
Jones si affrettò a spalancare il cassetto e a estrarne le manette. Crawford diede un colpo con la canna della calibro 38 alla schiena di Hadleigh, facendolo inginocchiare sul pavimento, quindi fece cenno a Jones di avvicinarsi.
Prese entrambi i polsi del capitano, unendoli insieme.
- Lo ammanetti alla scrivania.
Jones ubbidì, mettendo le manette ai polsi di Hadleigh e legandole intorno a una delle gambe della scrivania; gli rivolse uno sguardo terrorizzato, prima di rialzarsi e tornare a guardare il procuratore.
Crawford ripose la propria calibro 38 nella fondina, continuando a tenere la rivoltella di Hadleigh puntata contro Jones; gli lanciò delle altre manette con la mano libera.
- Ora faccia lo stesso con i suoi polsi. Si muova!
Jones si affrettò a compiere quanto ordinato, ammanettandosi i polsi all’altra gamba della scrivania di Hadleigh. Ora erano tutti e due inermi, pensò il capitano; avrebbe potuto fare di loro tutto ciò che voleva, senza che potessero ribellarsi o difendersi.
Crawford squadrò attentamente entrambi, prima di aprirsi in un sorrisetto compiaciuto.
Prese a passeggiare per la stanza con una lentezza snervante; Hadleigh lo vide soffermarsi brevemente su Jones e sul suo viso tondo, prima di avvicinarsi a lui. Il capitano lo guardò negli occhi: le iridi di Crawford erano grigie come il metallo, dure, senza alcuna emozione.
Il procuratore si umettò le labbra, guardandolo attentamente.
Prima che Hadleigh potesse accorgersene, Crawford lo colpì violentemente al viso con la canna della pistola; il capitano ringhiò, sentendo un forte bruciore all’altezza del sopracciglio destro. Una striscia di sangue caldo iniziò a corrergli giù per la guancia.
- Erano anni che desideravo farlo. E devo dire che ne è valsa l’attesa - commentò Crawford, senza alcuna inflessione nella voce.
Hadleigh emise un altro ringhio soffocato, puntando gli occhi in quelli del procuratore.
- Perché?- ruggì; il dolore alla ferita era niente rispetto alla rabbia che provava per ciò che quell’uomo aveva fatto alle sue figlie.- Perché sta facendo questo? Dove sono le mie figlie? E’ stato lei a farle perdere in quella maledetta foresta, figlio di puttana!- sputò fuori.
Jones ansimò, cercando di decifrare l’espressione del procuratore; Crawford guardò Hadleigh ancora per qualche istante, quindi le sue labbra avvizzite si distesero lentamente in un sorriso di scherno. Il capitano si soffermò sul volto dell’uomo: aveva sempre pensato che il procuratore Crawford fosse vecchio, ma solo ora si rendeva conto di dettagli che gli erano sempre sfuggiti, prima di quel momento.
Albert Crawford non era vecchio; anzi, non poteva avere più di cinquant’anni. Ma era avvizzito. La pelle rugosa era pallida, di un pallore malsano, e cascante, le guance infossate, gli occhi cerchiati e i capelli bianchi e radi. Era alto e allampanato, e magro. Troppo magro.
Sembrava quasi malato.
- Perché, mi chiede, capitano Hadleigh?- soffiò Crawford.- Perché, di che cosa? Perché l’ho colpita? Perché ho ammanettato lei e questa palla di lardo alla scrivania?- l’uomo riprese a passeggiare lentamente per la stanza, senza smettere di far saettare lo sguardo dall’uno all’altro.- Perché ho fatto in modo che quelle due mocciose non ritornassero a casa? O forse, vuole sapere perché sono invischiato in tutta questa storia, perché sto facendo tutto questo?
Crawford giocherellò distrattamente con la pistola, facendo passare l’indice sopra il grilletto; Hadleigh e Jones lo videro afferrare una seggiola poco distante e posarla di fronte a loro, prima di sedersi sopra senza smettere di fissare il capitano.
- Bene, in tal caso le darò una risposta per ogni domanda. La prima: perché mi andava di farlo - il procuratore ridacchiò.- La seconda: beh, mi pare abbastanza evidente. Non voglio che usciate da qui, né tantomeno che voi due ritorniate in quel ridicolo mondo e roviniate ciò a cui la Regina sta lavorando da ben dodici anni.
- La Regina?- sputò Jones.- La Regina Cattiva? Quella di Biancaneve?
- Che cosa?!- Crawford scoppiò a ridere.- Quella l’abbiamo ammazzata anni fa. Sempre fissata con quella storia dell’essere la più bella del reame, in perenne conflitto con Biancaneve…Non era adatta al compito che dovevamo portare a termine.
- Non è possibile!- protestò Jones.- Se fosse accaduta una cosa del genere, noi l’avremmo immediatamente saputo…
- Beh, temo che la nuova Regina abbia preso delle precauzioni molto attente, a riguardo.
- Dove sono le mie figlie?- ringhiò Hadleigh, scattando in avanti ma venendo subito bloccato dalle manette.- Cosa ne hai fatto di loro? Perché hai indicato loro la strada sbagliata?
- Io?- fece Crawford.- Io non ho fatto proprio niente. Non ho torto loro un capello, anche se non posso garantire lo stesso per gli altri abitanti del Regno delle Favole…- scosse il capo. - Sul perché ho fatto in modo che si perdessero…- Crawford si alzò, arrivando a pochi centimetri da Hadleigh.- Beh, capitano, sappia che le sue figlie sono coinvolte in qualcosa di molto grande.
- No! Non è vero!- ringhiò Hadleigh.- Loro non sapevano nemmeno dell’esistenza di quel luogo prima che…
- Lo so. Ma non è necessario conoscere qualcosa per farne parte. Può sembrare assurdo, è vero, ma è così. Vede, capitano, ho cercato di fare in modo che le due ragazze non mettessero piede in quel luogo, come anche lei, d’altronde…ma a quanto pare, non ci si può opporre al fato. Così, una volta giunte lì, ho eseguito quanto mi era stato ordinato. Confido che le favole faranno il resto.
- Ma che diavolo sta farneticando?!- sbottò Hadleigh.- In che cosa sono coinvolte le mie figlie? Di chi erano gli ordini che ha eseguito?
- Spiacente, capitano, ma questo non posso rivelarglielo. Ordini della Regina.
Hadleigh digrignò i denti, tentando di liberarsi e scontrandosi nuovamente con la resistenza delle manette.
- Ma perché?!- gridò.- Chi c’è dietro tutto questo?! Che cosa vuole dalle mie figlie?! Perché lei sta facendo questo?!
Crawford non rispose; lo guardò per un lungo istante, quindi sospirò impercettibilmente.
- Lei ha mai avuto il cancro, capitano?
Hadleigh si trovò preso in contropiede; boccheggiò, quindi fece cenno di no con il capo.
Crawford sospirò nuovamente, stavolta più forte.
- Allora non può capire.
Hadleigh e Jones lo videro stringere convulsivamente la pistola; Crawford serrò le labbra, abbassando lo sguardo.
- Non può capire - ripeté.- Non ha idea di cosa significhi. Non ha idea di cosa voglia dire vedere il proprio corpo distruggersi giorno dopo giorno, imbottirsi di veleno sperando che uccida il tuo cancro, e invece sta solo uccidendo te, ti fa stare male sempre di più, e sai che se non ti ammazzeranno le chemioterapie lo farà la tua malattia. Sai che presto o tardi dovrai morire. Eppure continui a imbottirti di veleno, continui a stare male ogni volta di più sperando che finisca presto. Sì, proprio così; è questo che ti dici: tieni duro, finirà presto. E te lo ripeti così tante volte che alla fine finisci per crederci davvero. E speri, speri sempre di più che un giorno guarirai, che davvero tutto finirà presto. Fino a che anche la speranza non ti viene portata via - Crawford rise, una risata amara, che nascondeva tracce di pianto.- Lei non può neanche immaginare cosa voglia dire. Non può immaginare come ci si senta quando un dottorino da quattro soldi fresco di laurea ti comunica che non c’è più spazio nemmeno per la speranza, che hai sofferto per mesi inutilmente, che qualunque cosa accada dovrai morire!- Crawford scoppiò a ridere, gettando il capo all’indietro.- In tutti gli schifosi film polizieschi, lo sbirro muore sempre da eroe, magari lasciando a casa una famiglia che lo ama più di qualunque altra cosa. Non viene in mente a nessuno che un poliziotto possa finire i suoi giorni in un letto d’ospedale, senza più essere in grado di badare a se stesso, a dover ringraziare chi lo ripulisce dalla sua stessa merda, sapendo che ogni giorno che passa potrà solo peggiorare, fino a che non morirà, solo come un cane, senza nessuno che sarà lì a piangere per lui.
Le labbra di Crawford si ridussero a una fessura, quindi avanzò verso Hadleigh. Si chinò di scatto, afferrandolo per il bavero della camicia, e avvicinò il proprio volto rinsecchito al suo.
- Se lei si fosse trovato al mio posto, avrebbe fatto lo stesso!- sibilò, con gli occhi iniettati di sangue.
- Se una donna che millantava di essere la Regina Cattiva si fosse presentata nella sua stanza e avesse giurato di poterla guarire dal cancro, se lei si fosse schierato dalla sua parte, poco importava se ciò che le chiedeva fosse giusto o sbagliato, lei avrebbe accettato!
Crawford lo lasciò all’improvviso, spingendolo indietro con il busto, quindi ritornò in posizione eretta. Era sudato, ansimava; prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, stringendo la pistola fra le dita, quindi tornò a guardare il capitano.
- Non c’è più niente che lei possa fare, Hadleigh. Le sue figlie sono l’ultimo ostacolo al compimento del piano, e dopo che saranno state eliminate niente potrà impedire il ritorno dei Grimm. Dopodiché, niente sarà più come prima, nessuno potrà più essere felice senza il permesso della Regina, e anch’io, finalmente, avrò il mio lieto fine!
Hadleigh emise un ringhio rabbioso e frustrato, tentando nuovamente di liberarsi dalle manette, ma senza riuscirvi; Jones era stralunato, continuava a guardare prima il capitano poi procuratore come se avesse avuto di fronte due spettri.
Crawford tornò improvvisamente calmo; ripose la pistola nella fondina, quindi si avviò in tutta tranquillità verso la porta.
- Mi dispiace che abbiate dovuto fare questa fine, tutti e due; eravate due bravi poliziotti, in fondo. E invece, temo proprio che dovrò ammazzarvi - il procuratore aprì la porta, scoccando un’occhiata all’orologio.- Sinceramente, preferirei farlo seduta stante, ma non voglio correre il rischio di contrariare la Regina. Capisco che l’attesa potrà essere snervante, ma sarò di ritorno fra…diciamo, dieci minuti. A più tardi, signori.
Rivolse loro un’ultima occhiata, accompagnata da un sorrisetto beffardo, prima di uscire dalla stanza e chiudere la porta. Hadleigh udì chiaramente il rumore della molla della serratura che scattava; non che Crawford avesse veramente bisogno di chiudere la porta a chiave per assicurarsi che non scappassero, pensò, ma era chiaro che non voleva correre rischi.
Tentò di nuovo di liberarsi dalle manette, ma anche stavolta non vi riuscì; la scrivania era inchiodata al pavimento, e non c’era modo di sollevarla.
- Pazzo psicopatico!- soffiò Jones.- Rick, dobbiamo trovare il modo di andarcene da qui!
- E credi che non lo sappia?!- ringhiò Hadleigh. Non poteva morire, si disse; non poteva, doveva salvare Anya e Liz! Non poteva lasciarle da sole.
- Beh, allora pensiamo a qualcosa, e in fretta!- sussurrò Jones, tentando di rompere le manette.- Quello torna fra dieci minuti!
Hadleigh inspirò a fondo, cercando di ritrovare un barlume di lucidità; il suo cervello prese a ragionare a tutta velocità, alla ricerca di un modo per non finire con una pallottola dritta in mezzo alla fronte. Il capitano fece dardeggiare lo sguardo tutt’intorno: doveva pur esserci qualcosa in quell’ufficio che potesse spezzare quelle manette e che fosse facilmente raggiungibile da…
Lo sguardo si inchiodò a poca distanza da lui, scorgendo una forma nera nascosta sotto a un termosifone.
La pistola di Jones.
 

***

 
Gaston si aggrappò disperatamente alla riva del fiume, riemergendone bagnato fradicio e confuso come non lo era mai stato prima di allora. Un attimo prima stava mentalmente dando della troia ad Anya Hadleigh, appoggiato al muro di quella stanza, e un attimo dopo…
- Ehi! Tu!
Sobbalzò, sollevando lo sguardo di fronte a sé.
Chi l’aveva apostrofato era un uomo in uniforme – o almeno, supponeva si trattasse di un’uniforme. Era un completo nero dalla testa ai piedi, quasi un’armatura, con stivali di pelle e un elmo calato sul capo; prima che potesse pensare alcunché, Gaston si ritrovò con le mani bloccate dietro la schiena, inginocchiato a terra.
- Chi sei tu? Cosa ci fai qui? Sei amico di quelle due sgualdrine?
Gaston boccheggiò, non sapendo che dire o cosa fare. Udì dei passi di fronte a sé, e subito sollevò lo sguardo: un altro uomo in uniforme gli stava davanti, piantato con le mani sui fianchi, e una smorfia rabbiosa sul volto. Vide che aveva una profonda cicatrice sul viso, da cui il sangue sgorgava ancora fresco, che partiva dal centro del sopracciglio sinistro, attraversava la palpebra e scendeva giù per la guancia, sino a terminare all’angolo della bocca.
- Ora tu ed io faremo quattro chiacchiere…
 

***

 
New York, ore 18:45 p.m.
 
La signora Parker rabbrividì, spegnendo immediatamente la televisione non appena il talk show mandò in onda un altro servizio sui bambini scomparsi. Non si faceva altro che parlare di loro, al telegiornale, alla radio, sui giornali…e ora c’era anche chi avanzava l’ipotesi che fossero caduti in mano a un’associazione criminale che trafficava in organi, o a un serial killer, per non parlare delle continue e scontate allusioni alla pedofilia.
La signora Parker scosse il capo, tornando a concentrarsi sul pollo che stava tagliando per la cena e costringendosi a non lasciarsi prendere da pensieri paranoici. Era sempre stata molto sensibile, sin da ragazza, e la maternità l’aveva resa ancora più incline alla commozione facile, oltre che iperprotettiva e, come suo marito sosteneva sempre, anche eccessivamente apprensiva.
Non osava nemmeno pensare a cosa fosse potuto accadere a quei piccoli angeli: Sarah Hammonds, nove anni, Joey Mitchell di sette e quelli che erano ben presto stati ribattezzati dal pubblico come i due fratellini di Little Italy, dalla zona adiacente al quartiere da cui erano scomparsi, ovvero Katie e Toby MacPherson. Uno aveva otto anni e l’altra soltanto sei, povere gioie. E come se non bastasse, quel pomeriggio stesso era avvenuta un’altra scomparsa: si trattava di Sally Marsh, di dieci anni.
La fotografia che ritraeva una bambina con i capelli biondi annodati in una coda e il naso spruzzato di lentiggini aveva già fatto il giro di tutti i programmi televisivi e il giorno dopo sarebbe stata certamente sulla prima pagina del giornale, accanto a tutte le altre.
A quanto pareva, la piccola Sally era sparita nientemeno che negli spogliatoi della palestra che frequentava, dopo aver terminato una lezione di nuoto insieme ad altre ragazzine della sua età. Le bambine che erano con lei avevano detto che Sally si era allontanata un attimo dal gruppetto per andare al suo armadietto a prendere un asciugamano. Non era uscita dallo spogliatoio, ne erano certe.
Eppure, dal momento in cui Sally Marsh aveva svoltato l’angolo oltre le file degli armadietti, nessuno l’aveva più vista.
La signora Parker sospirò, costringendosi nuovamente a non pensarci. I bambini scomparsi erano già cinque…e lei sperava solo che una cosa del genere non accadesse mai a suo figlio…
Un pianto interruppe il silenzio, facendola sobbalzare. La signora Parker lasciò cadere il coltello sul pavimento per la sorpresa e lo spavento. Chiuse gli occhi, portandosi una mano al cuore e sospirando.
Raccolse velocemente il coltello da terra e si diresse in fretta nella direzione da cui proveniva il pianto, rimproverandosi di avere i nervi a fior di pelle.
Entrò nella camera di suo figlio, solo per trovarlo in lacrime seduto al centro del lettino.
La signora Parker si avvicinò alle sbarre, sorridendo con fare rassicurante.
- Cosa c’è, amore della mamma? Perché piangi?
Suo figlio Tom, Tommy, aveva dieci mesi, non era ancora in grado di camminare se non gattonando e non parlava, ma lei comunicava sempre con lui come se fosse un adulto, fatta eccezione per i continui versetti e coccole che gli riserbava.
La signora Parker aveva quarantadue anni, suo marito quarantacinque, e pur avendo da sempre desiderato un figlio, ormai disperavano di poterne avere uno, fino a che non era nato Tommy.
Il bambino continuava a piangere; la signora Parker tentò invano di calmarlo, ma doveva esserci qualcosa che non andava, realizzò. Provò a tastargli la fronte con una mano, ma non pareva avesse la febbre. La donna prese a guardarsi freneticamente intorno alla ricerca del problema, sorridendo quando lo trovò.
- Ecco qui! Era per questo che piangevi? Perché ti era caduto Bobo?
Gli porse un orsacchiotto di peluche e, proprio come aveva previsto, il bambino smise subito di piangere, afferrandolo con allegria e regalando alla madre un sorriso. La signora Parker ricambiò con tenerezza: Bobo era in assoluto il giocattolo preferito di suo figlio; si trattava di un vecchio orsacchiotto che aveva perso buona parte della sua imbottitura, malandato e spelacchiato, con legato intorno al collo un nastro rosso con fiocco scolorito, e che aveva ormai solo uno dei due bottoni che fungevano da occhi. Ma Tommy lo adorava, e non se ne separava mai.
La signora Parker posò un bacio sulla fronte del bambino.
- Ecco, è tutto a posto adesso. Vero, tesoro mio?
Tommy non diede segno di averla udita, ma fissava attentamente un punto di fronte a sé. La signora Parker seguì il suo sguardo: suo figlio teneva gli occhi puntati sull’armadio a due ante di fronte a sé.
- Cosa c’è, Tommy? Perché guardi l’armadio?
Il bambino non distolse lo sguardo; la signora Parker fece spallucce, rialzandosi in piedi. Posò un bacio sulla fronte del bambino.
- Ora la mamma torna di là a preparare la cena, poi torna da te e facciamo la pappa, d’accordo?
La donna si voltò, rivolgendo a suo figlio un ultimo sorriso prima di uscire dalla stanza e chiudere la porta. Tommy rimase solo nella camera; non aveva smesso di guardare l’armadio, né di stringere il braccio di Bobo in una mano.
Per diversi istanti, non accadde nulla. Quindi, dall’armadio iniziò a provenire un debole scricchiolio, che si fece via via più forte.
Tommy emise un versetto senza senso, continuando a guardare il mobile.
Lo scricchiolio cessò di colpo, e nella stanza ritornò il silenzio.
Tommy…
Oltre le ante chiuse provenne un sussurro. Tommy si aggrappò alle sbarre del lettino per sostenersi, tirandosi in piedi sul materasso.
Tommy…Tommy…
Il bambino strinse Bobo fra le dita. Si udì di nuovo uno scricchiolio, e le ante dell’armadio si aprirono un poco. Oltre esse non si vedeva nulla, solo il buio.
Tommy…Ciao, Tommy…
Quella che lo stava chiamando era la voce di una bambina. Tommy iniziò a saltellare su e giù sul materasso, reggendosi alle sbarre del lettino.
Tommy…vieni a giocare con noi, Tommy…
Stavolta la voce era chiaramente quella di un bambino. Tom Parker ridacchiò allegramente, agitando Bobo su e giù con il braccio.
Vieni a giocare con noi, Tommy…Siamo tanti bambini, qui…Ti divertirai, Tommy…
Lo scricchiolio si ripeté, e le ante dell’armadio si aprirono ancora di più. Dentro non c’erano bambini, ma dallo spiraglio si scorgeva solo oscurità.
Ci sono tanti giocattoli…Tommy…Non avere paura, Tommy…E’ bello, qui, Tommy…
Ora le voci erano più di una; voci di bambine, di bambini, che si confondevano, si sovrapponevano l’un l’altra, lo chiamavano. Tommy iniziò a ridere, saltellando allegramente.
 
Uno, due, tre,
l’Uomo Nero viene per te.
 
La voce di una bambina, quella che aveva parlato per prima, iniziò a canticchiare. Tommy smise immediatamente di ridere e saltellare, tornando d’un tratto serio, lo sguardo puntato sull’armadio e Bobo stretto fra le mani.
Le ante si aprirono ancora di più.
 
A, b, c,
guarda alle tue spalle, lui è lì.
 
La filastrocca proseguì, e le ante si aprirono ancora.
Tommy…Toooommyyyyyyyyy…
Le voci ora erano ancora più confuse, stridule, strascicate.
Non umane.
 
Sotto al letto, in cantina,
l’Uomo Nero si avvicina.
Fa paura la sua voce,
al tuo cuore stringi la croce.
Apri gli occhi, stai all’erta!
Lui è sotto la coperta.
 
Le ante si aprirono ancora di più.
Tommy…
Ora non c’era più traccia delle voci dei bambini, ma chi lo stava chiamando aveva una voce profonda, cavernosa, orribile.
Al bambino iniziarono a salire le lacrime agli occhi.
 
Resta sveglio, non dormire questa notte, attento, attento!
Lui è dietro l’angolo del tuo letto.
Attento, attento, non puoi scappare!
Attento, attento, lui sta per arrivare!
La mamma dice “vai a letto, bel bambino,
dormi tranquillo sul tuo cuscino!”.
 
Tommy scoppiò a piangere. Le ante dell’armadio si spalancarono di colpo, lasciando che l’oscurità invadesse la stanza.
 
Bugia, bugia…
l’Uomo Nero ti porta via!
 

***

 
Anya venne svegliata con un calcio sferrato all’altezza della colonna vertebrale. La ragazza tossì, gemendo di dolore.
- Alzati!- le intimò rabbiosamente una voce. - Alzati, avanti!
Anya gemette, puntellando i gomiti sul terreno. Il sole le bruciò gli occhi, e intuì che dovesse essere l’alba. Si era addormentata solo un paio d’ore prima, sfinita da tutte quelle emozioni che definire poco piacevoli sarebbe stato un cortese eufemismo; era rimasta sveglia tutta notte fino a che non era crollata, rimuginando sull’intera situazione senza riuscire a trovare una via d’uscita. Aveva quasi totalmente accantonato il pensiero di trovarsi davvero nel Regno delle Favole, e i suoi problemi principali, in quel momento erano: ritrovare sua sorella e cercare un modo per sottrarsi alle grinfie di quello sconosciuto.
Sconosciuto che era rimasto sveglio tutta notte, senza dare mai il minimo segno di stanchezza…e senza voltarsi mai a guardarla negli occhi.
- Mi hai sentito?! Ho detto di alzarti!
Senza attendere oltre, il Primo Ministro l’afferrò per il collo della maglietta, tirandola su a sedere. Anya si ritrovò accovacciata sull’erba, con i polsi e le caviglie ancora legate. L’uomo la squadrò per un lungo istante, prima di portarsi una mano alla cintura; Anya si sentì morire dal terrore quando lo vide brandire un pugnale affilato, lanciando un grido quando lui si chinò velocemente su di lei, ma l’urlo le morì sulle labbra quando vide che aveva solo tagliato le corde intorno alle caviglie.
Il Primo Ministro si rialzò, afferrandola rudemente per un braccio e facendola alzare in piedi.
- E ora cammina!- ringhiò, cercando di spingerla in avanti.
Anya digrignò i denti, irrigidendo i muscoli e puntando i talloni a terra. Cercò di divincolarsi ritraendo il braccio verso di sé, ma il Primo Ministro la trattenne saldamente. L’uomo digrignò i denti, strattonandola con forza.
- Ho detto di muoverti!- ululò.
- No!- Anya arretrò per quanto le mani legate e la forza dell’uomo glielo permettevano.
Il Primo Ministro le diede un altro strattone, tale da farla barcollare.
- Vedi di smetterla di ribellarti e iniziare a camminare, o giuro che ti spezzo le gambe!
- No!- la ragazza strillò nuovamente, come una bambina che faceva i capricci, iniziando a colpirlo al petto e alle spalle con i pugni, con la poca forza che i polsi legati le consentivano.
Il Primo Ministro le afferrò la gola, spingendola indietro e sbattendola contro il tronco di un albero lì accanto. Anya soffocò un grido di dolore quando la sua schiena cozzò violentemente contro la corteccia, sentendo un attimo dopo il peso dell’uomo che le stava premendo proprio il corpo addosso.
Alzò le mani legate di fronte a sé come per difendersi, ma immediatamente anche quelle si ritrovarono bloccate fra il proprio petto e il torace dell’uomo. Anya si rese conto di essere busto contro busto, fianchi contro fianchi; non riusciva nemmeno a muovere le gambe, in quella posizione.
La stava immobilizzando.
Il Primo Ministro ansimò, sollevando gli occhi azzurri su quelli della ragazza; quasi fu sorpreso di trovarvi tracce evidenti di paura. La guardò meglio: era pallidissima, con la fronte sudata e ansimava. Una spallina della strana e corta sottana che indossava era scivolata giù nell’impatto contro il tronco, e ora le lasciava la spalla nuda. Il Primo Ministro ridacchiò, avvicinando il volto a quello della ragazza e tracciando con il mento la linea del suo mento, scendendo giù per il collo fino a sfiorarle la spalla.
Trattenne una risata nel sentirla tremare di paura.
Scoprì i denti in un ghigno soddisfatto.
- Adesso non scalci più tanto, vero?- sibilò.
Stuprala!, sussurrò una voce da qualche parte nella sua mente. Stuprala qui, adesso. Non devi fare altro che strapparle da dosso quegli abiti da uomo che indossa, e il gioco è fatto. Vedrai che dopo che le avrai dato ciò che si merita non si ribellerà più. Deve capire chi comanda. Dopo non ti darà più alcun problema.
Il sorriso gli morì sulle labbra.
No! No, quello non era lui.
Si sentì di nuovo invadere dalla rabbia, stavolta nei confronti di se stesso. Dannazione, ancora dopo tanto tempo ciò che era stato in passato continuava a riemergere, e negli aspetti peggiori!
No. Non poteva farle una cosa del genere. Non voleva farlo. Non era ancora caduto così in basso da compiere un simile atto nei confronti di una donna; erano esseri spregevoli, quelli, proprio come il capitano Navarre e i suoi scagnozzi, o come il Principe Azzurro.
Lui era migliore di loro. E poi, se un tempo qualcuno avesse fatto una cosa del genere alla donna che amava, sicuramente l’avrebbe…
- Lasciami andare!- la voce di quella ragazza era un soffio.- Toglimi le mani di dosso!
Il Primo Ministro tornò a sogghignare: era come se gli avesse letto nel pensiero, aveva intuito ciò che stava per fare, tremava come una foglia e la sua voce era un pigolio terrorizzato, eppure riusciva ancora a essere ribelle e arrogante!
Si staccò da lei quel tanto che bastava per guardarla negli occhi. La traccia di paura era scomparsa non appena lui si era ritratto. Questo non andava bene, pensò.
Quella sgualdrina doveva avere paura di lui. Se avesse continuato con quell’atteggiamento, allora gli avrebbe reso solo le cose più difficili. Se avesse perseverato nel ribellarsi, allora gli avrebbe solo fatto perdere un sacco di tempo e rallentato il passo, e il tempo stringeva.
La Regina era stata chiara: voleva i cuori di entrambe le ragazze, e lui doveva portarglieli. Entrambi. Non poteva ritornare al castello a mani vuote o con solo metà del lavoro portato a termine. Si era lasciato sfuggire l’altra ragazza, e doveva trovarla al più presto, prima che lo facesse qualcun altro.
Ma ora aveva per le mani quella sciacquetta che non faceva altro che gridare e tirare calci, che non faceva altro che rallentarlo e rendergli il lavoro più difficile. Il problema era che non aveva idea di come fare per metterla a tacere una volta per tutte.
Ammazzarla, non poteva; se l’avesse ridotta in fin di vita a furia di percosse, oppure spezzato un braccio o le gambe come aveva promesso, avrebbe solo peggiorato la situazione, si sarebbe trasformata in un peso morto che l’avrebbe ostacolato ancora di più.
L’unico modo era tirarla dalla sua parte. Ma come? Non poteva mostrarsi gentile e galante adesso dopo averla imprigionata e maltrattata per una nottata intera. Doveva tentare un’altra strada per ingraziarsela, magari fingendo un malinteso, mentendole sulle sue vere intenzioni…
D’altronde, il tempo che restava prima della Luna di Sangue era molto poco, e lui aveva a che fare con una potenziale Salvatrice, disposta a qualunque cosa, ci scommetteva, per ritrovare l’altra ragazza; certamente sarebbe stata una notevole scorciatoia per la Pietra del Male. E poi, per quel che ne sapeva, l’altra candidata in quel momento poteva anche essere finita nel pentolone di un Gigante o nella casa di qualche megera. Se al posto di due ragazze avesse riportato alla Regina solo una possibile Salvatrice, ma con essa anche qualche oggetto che conducesse alla Pietra…
Sì; sì, era un piano ragionevole, astuto.
Era ora di iniziare la scena.
Il Primo Ministro tenne gli occhi puntati in quelli di Anya, estraendo il pugnale dalla cintura. Accostò la lama alla guancia della ragazza, con la punta premuta all’altezza dello zigomo.
- Vediamo se avrai ancora voglia di ribellarti, dopo che ti avrò cavato un occhio…
Fece salire lentamente la punta del coltello in direzione del bulbo oculare. Anya gridò, serrando gli occhi e stringendo i denti in un ultimo, disperato tentativo di autodifesa.
Anya sentì improvvisamente la lama arrestarsi nel suo percorso, quindi il freddo del coltello scivolare via dalla sua guancia; riaprì gli occhi: l’uomo di fronte a lei aveva smesso di guardarla, e ora era concentrato sulle sue mani.
Il Primo Ministro le afferrò i polsi, tagliando le corde con un gesto deciso del pugnale. Anya avvertì la piacevole sensazione del sangue che riprendeva a defluire in modo normale.
L’uomo si staccò da lei, dandole le spalle e allontanandosi di qualche passo. Anya ansimò, cercando di calmare il battito del suo cuore ma senza staccare gli occhi dall’uomo.
Il Primo Ministro si chinò a raccogliere il proprio arco con la faretra; ora si stava comportando come se lei non fosse lì. Anya sbatté le palpebre, confusa: prima la trattava peggio di un cane, poi la liberava e adesso la ignorava?!
Tutta la sua razionalità le urlava di colpire quel tipo con la prima pietra che le fosse capitata in mano, girare i tacchi e allontanarsi da lì il più in fretta possibile, ma a quanto pareva il suo corpo non aveva alcuna intenzione di darle ascolto.
Il Primo Ministro sogghignò tra sé, quindi voltò il capo con studiata lentezza.
- Sei ancora qui?- chiese, fingendosi sorpreso.- Se non ho capito male, non avevi molta voglia di seguirmi…
Anya boccheggiò, scuotendo il capo.
- Ma che…- balbettò.- Che cosa…?
- Ti devo le mie scuse. Non sei una spia.
La ragazza si sentì come se il mondo le fosse crollato addosso. Una spia?! Era per questo motivo che l’aveva imprigionata e trattata in quel modo?! Per un sospetto?! Solo per questo?!
Si sentì invadere dalla rabbia.
- Brutto figlio di una grandissima puttana!- strillò, scacciando via il pensiero che avrebbe dovuto già essere lontana da lì da un bel pezzo, invece di stare urlando contro a un personaggio delle favole.- Hai idea di quello che hai fatto, pezzo di merda?! Una spia?! Mi hai riempita di cazzotti solo perché pensavi che io fossi una spia mandata da chissà chi, maledetto stronzo?- Anya gli andò incontro a passo di carica, alzando un braccio pronta a colpirlo in pieno volto, ma il Primo Ministro le bloccò il colpo il polso un attimo prima che il pugno si abbattesse su di lui.
Anya gridò di dolore quando le girò il braccio dietro la schiena, imprigionandola.
- In effetti, hai ragione - sogghignò il Primo Ministro.- Sono stato veramente stupido a credere che una ragazzina ridicola e patetica come te potesse essere veramente una spia, ma credimi, sono stato gentile con te. Se così non fosse stato, tu a quest’ora giaceresti in un angolo della foresta con il cranio sfondato.
Anya ringhiò, divincolandosi dalla stretta stavolta senza alcuna fatica; era evidente che aveva voluto lasciarla andare, questa volta, pensò, con una punta di frustrazione.
- E’ per questo che hai scoccato quella freccia? Eri tu, non è vero?- chiese.- Mia sorella è scomparsa per colpa tua! Credevi che anche lei fosse una spia? E di chi?
- Di chiunque. Chiunque avrebbe potuto inviare una spia, specialmente la Regina.
- La…la Regina?
Il Primo Ministro la superò con passo deciso, nascondendo un sorriso compiaciuto.
- In ogni caso, ora che ho appurato la verità, sei libera di andartene.
Anya boccheggiò, stralunata. Era assurdo!
Inspirò a fondo, cercando di ragionare. La voglia di rompere il muso a quel tipo era fortissima, ma ora doveva cercare di ragionare. Le aveva detto che poteva andarsene. Certo, ovvio che se ne sarebbe andata, doveva essere pazzo a credere che sarebbe rimasta ancora con lui!
Doveva trovare Elizabeth…Elizabeth che in quel momento era chissà dove…
- Devo…devo trovare mia sorella…- mormorò, non sapendo bene se stesse parlando a se stessa oppure se in lei ci fosse il desiderio inconscio di essere ascoltata.
- Buona fortuna, allora.
- L’ho persa di vista quando quell’albero…
- Si può sapere perché mi stai dicendo queste cose?- il Primo Ministro si voltò a guardarla, incrociando le braccia al petto.- Credi che m’interessi qualcosa di te e della tua cara sorellina? Oppure speri che ti dia una mano?- inarcò un sopracciglio, regalandole un sorrisetto beffardo.
Anya si corrucciò, indietreggiando bruscamente.
- Ma stai scherzando?! Io non voglio niente da te!
- Meglio così, perché io non ho tempo da perdere. Ho cose ben più importanti da fare, e la Pietra del Male non sta lì ad aspettarmi…
- La Pietra del Male?
Il Primo Ministro nascose nuovamente un sorriso di soddisfazione, fingendo di sistemarsi il pugnale alla cintura.
Touché!
- Intendi…ti riferisci alla pietra della profezia?- fece Anya.
- Esattamente. Non sei così ottusa come pensavo. Bene, visto che sai di che cosa parlo, ti renderai anche conto che non ho tempo da perdere…
Il Primo Ministro si voltò, iniziando ad allontanarsi. Era sempre stato bravo a inscenare quelle commedie per ottenere quello che voleva. Sogghignò quando udì la voce di quella ragazza chiamarlo con un aspetta un attimo! che recava tracce non poi così sottili di disperazione.
- Cosa vuoi, ancora?- l’apostrofò, voltandosi appena a guardarla.
- So come trovare la Pietra del Male, se è questo che t’interessa - dichiarò Anya; in un’altra situazione, si sarebbe immediatamente defilata, ma in quel momento sentiva di aver bisogno di aiuto più che mai. Per quanto la storia della spia avesse un retrogusto amaro che non la convinceva per niente, doveva trovare Elizabeth, e quel tizio sembrava sapere il fatto suo; l’aveva maltrattata per una nottata intera, ma adesso doveva fare affidamento su di lui. Era parecchio frustrante, ma non c’era altro modo. Non era più a New York, doveva ammettere a malincuore, e dopo tutto quello che era accaduto conveniva andarci piano con l’avventura. Si sentiva come se stesse camminando sulle uova, e ancora non sapeva dov’era Liz. Aveva bisogno di aiuto.
- Ti propongo uno scambio!- disse, con forza, guardando negli occhi lo sconosciuto.- Io ti aiuto a trovare la Pietra del Male, e tu mi dai una mano a cercare mia sorella.
- Cosa ti fa pensare che io voglia il tuo aiuto?
Anya si gelò; non si aspettava una risposta del genere. Aggrottò le sopracciglia, sentendosi infinitamente stupida. La situazione era umiliante: cosa voleva quel tipo? Aveva certamente capito che era in difficoltà; che pretendeva, che si gettasse in ginocchio e lo implorasse.
Il Primo Ministro sogghignò, decidendo che l’aveva torturata abbastanza. Era sempre così: con la giusta abilità, non avevi più bisogno di dare la caccia alla tua preda.
Sarebbe stata la tua preda a venire da te.
- Le regole sono queste - dichiarò.- Quando troveremo la Pietra, sarò io a prenderla e a decidere come usarla. Nel frattempo, non m’intralciare. Stai al passo, parla solo se strettamente necessario e fai quello che ti dico io.
- Che cosa? Non sono un cane, non puoi pretendere che…
- Un’altra parola e l’accordo salta.
Anya si zittì, sentendo le mani bruciarle. Quanto avrebbe voluto prenderlo a schiaffi…
Il Primo Ministro si voltò, facendole segno di seguirlo; lei ubbidì, imbronciata. Non le importava niente della Pietra del Male, per quello che la riguardava quel tizio avrebbe anche potuto ingoiarsela, a lei non interessava. Ciò che le premeva, in quel momento, era ritrovare Liz sana e salva, mollare quello stronzo e quindi cercare un mezzo che le riportasse a casa.
Continuò a seguirlo in silenzio per qualche minuto, stando mezzo metro dietro di lui, quando il suo cervello elaborò una domanda a cui non aveva pensato prima: chi era quell’uomo?
Si trovava nel Regno delle Favole, quello doveva essere per forza il personaggio di qualche fiaba. Ma chi?
- Tu chi sei?- chiese, prima che potesse trattenersi.
- Ero un prigioniero della Regina, sono scappato qualche giorno fa.
Anya si corrucciò; non era quello che voleva sapere. Tentò un’altra via.
- Come ti chiami?
Il Primo Ministro si voltò, lanciandole un’occhiata in tralice.
- Ha importanza?- chiese tra i denti.
Anya si strinse nelle spalle. L’uomo sospirò, voltandosi a dall’altra parte e accelerando il passo.
- Chiamami Vincent - mormorò alla fine.
Vincent, ripeté mentalmente Anya, cercando di richiamare alla memoria tutto quel poco che sapeva sulle favole. Era Elizabeth l’esperta dei libri, non lei; ma il nome Vincent non le diceva niente.
Il Primo Ministro sorrise fra sé: era stato tutto fin troppo facile. Ora non doveva fare altro che usare quella ragazzina per trovare la Pietra, quindi non doveva fare altro che ucciderla.
Strapparle il cuore sarebbe stato molto semplice…
 
 
 
 
Angolo Autrice: Eccomi qui come promesso…Andiamo per ordine.
Come alcuni di voi avevano intuito, il Cacciatore ha salvato la pelle a Elizabeth e Cenerentola, ma in compenso è stato ferito e ora qualcuno dovrà provvedere a lui. Si sa qualcosa di più sulla storia di Crawford, mentre le sparizioni dei bambini continuano. (P. S. don’t forget Bobo!).
Per la filastrocca sull’Uomo Nero…allora, nessuna violazione di copyright dal momento che è tutta farina nel mio sacco e me la sono inventata di sana pianta senza neanche stare lì a rileggermela. Ci tengo a chiarire che è pensata per essere cantata da dei bambini, spero solo che non sia risultata stupida o ridicola; se sì, ditemelo in modo che possa apportare le dovute modifiche, e vi giuro che non l’ho fatto apposta…io la vena poetica mai ce l’ho avuta e mai ce l’avrò, sono consapevole di questo mio limite e del fatto che non vado più in là di ambarabacciccicoccò tre civette sul comò, ma mi sono impegnata tanto, I swear it! Don’t beat me, please!*occhioni stile Gatto di Shrek*.
Per quanto riguarda Anya e PM, le cose vanno meglio per modo di dire, dal momento che lui per il momento pensa ancora di sfruttarla e poi di strapparle il cuore…oh, altri indizi sull’identità del PM…l’interrogativo è sempre aperto, gente ;).
Il prossimo capitolo s’intitolerà The Boogieman (e con questo ho detto tutto ;) e arriverà fra due settimane, dal momento che 1 sarà un capitolo impegnativo e voglio scriverlo il meglio che posso, e 2 ho altre long che sono rimaste in stagnazione per diverso tempo e devo provvedere. Comunque, vi posso dire che sarà in gran parte incentrato, oltre che sull’Uomo Nero, anche su Anya e Vincent/Primo Ministro.
Ringrazio chi ha aggiunto la storia alle ricordate, alle seguite e alle preferite e Pandora Stark, cleme_b, Princess Vanilla e LadyAndromeda per aver recensito.
Ciao, al prossimo capitolo!
Dora93

  
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