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Autore: phoenix_esmeralda    25/05/2013    0 recensioni
Melissa non prova nulla da 15 anni: le sue emozioni si sono spente quando ha assistito in prima persona all'omicidio del padre e da allora vive imitando ciò che vede, senza sentire nulla. Friedrich, suo fratello, non ha mai perdonato l'assassino e ha giurato che un giorno lo troverà e lo ucciderà. L'arrivo di Raphael nella loro vita, un essere soprannaturale dal misterioso obiettivo, smuoverà la situazione in cui si trovano ormai da troppo tempo...
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il perdono annulla in sé stessi il peccato degli altri.
Esso risana la vita

 


 PRIMA  PARTE 
 
 

CAMBIAMENTI


 
 

 1

 
Nonostante la presenza delle stelle, il cielo che mi avvolge è  nero come petrolio.
I pianeti, spumeggiando polvere colorata, ondeggiano attorno al mio capo in un oscillante girotondo. Vedo tre lune enormi, meravigliose.
Una luna piena, di un biancore accecante, occupa l’angolo sinistro del mio campo visivo. Dritta sopra il mio capo, una mezza luna di un tenue arancione dondola languidamente.
Alle mie spalle uno spicchio di luna rossastro apre una fessura nell’alabastro del cielo.
L’erba, rimandando un luccichio bluastro, si leva nell’aria a sfiorare il baluginio dei pianeti. E una brezza tiepida, profumata di umida estate, mi scompiglia i capelli con lente, ritmiche folate.
Lo specchio argenteo dell’acqua riflette, in fredde apparizioni,i lineamenti smussati…

 
- Melissa! Melissa! Melissa, dove accidenti sei finita?
Il velo davanti ai miei occhi si squarciò e intorno a me ritrovai lo sbiadito spettacolo del mio giardinetto di casa.
- Mel, sei qui?
Mi voltai verso la porticina che, dal giardino, si affacciava sul retro della casa.
La figura di mio fratello apparve per un istante nel vano della porta. I suoi occhi azzurri mi fissarono con muto rimprovero.
- C’è bisogno di te – mi disse – Vieni, sbrigati!
Scomparve fulmineamente, con quella magica fretta che gli avevo sempre visto addosso da quando aveva preso in mano le redini del negozio.
Mi sollevai dall’erba cancellando gli ultimi strascichi della visione. In pochi passi attraversai il giardino e infilai la porta di casa. Attraversai la cucina, il breve tratto di corridoio, il soggiorno ed arrivai in negozio.
Erano le cinque del pomeriggio, davanti agli scaffali si annidavano potenziali clienti in aperta esplorazione; dietro il bancone Friedrich stava incartando, in un pacco regalo, una riproduzione in legno della chiesa del paese.
Altri clienti attendevano, impazienti, di pagare una manciata di cartoline scelte. Mi affrettai a servirli.
La metà di luglio era passata e la frotta prevista di turisti era arrivata puntuale anche quest’anno. Friedrich, mio fratello, aborriva l’affollamento che conseguiva le ferie estive.  “Potrebbero andarsene tutti al mare!” – ripeteva spesso, completando la frase con un gestaccio del braccio.
Forse non considerava che, un negozio di souvenir, senza turisti non sarebbe durato a lungo. I periodi che coprivano da dicembre a febbraio e da giugno a settembre erano quelli che ci permettevano di tirare avanti.
Una ragazzina arrivò al banco tenendo in mano un riccio di legno. Le porsi il palmo per farmelo consegnare e lei tentennò. Per un attimo pensai che si sarebbe ritratta, invece mi porse l’oggetto con aria infelice.
Mi accorsi allora di quello che era accaduto.
Solita storia. Ma non ero mai in grado di rendermene conto in tempo.
La ragazzina doveva essere sui quattordici anni… E indubbiamente aveva comprato il riccio, confidando che fosse Friedrich a servirla!
Accadeva piuttosto spesso ed ogni volta ero causa di delusione per una giovane adolescente desiderosa di incantare il mio affascinante fratello.
Non ero mai stata in grado di cogliere i sentimenti altrui, così reagivo imitando le reazioni di chi mi stava accanto. Ma a volte sbagliavo, non mi rendevo conto in tempo di quello che avrei dovuto fare.
Seguendo i suggerimenti datimi da Gustav, l’edicolante, mi diressi verso Friedrich e gli ficcai in mano il riccio.
- Incartalo per la ragazzina con i capelli rossi – dissi, con voluta disinvoltura. Gli sfilai dalle mani il portachiavi che stava per mostrare a un bambino e presi il suo posto.
Con la coda dell’occhio notai che il volto della ragazzina si era illuminato.
Tutte così erano!
Eppure io, emozioni del genere, non le avevo mai provate. Non avevo mai tentato di abbordare un commesso. Non ci avevo mai provato con alcun chi. Nessuno aveva mai risvegliato in me un sufficiente interesse.
Le poche amiche con cui ero uscita negli anni trascorsi avevano cercato di trascinarmi nelle loro cacce all’uomo. Ma per me, quelle serate di moine e sguardi ambigui, non avevano mai avuto alcuna attrattiva.
Friedrich, terminato il pacchetto per la rossa, la liquidò con un saluto di cortesia e la ragazza si allontanò sospirando.
Tipico di mio fratello non dare corda a nessun essere di sesso femminile, nonostante in paese e fra i turisti, risultasse sempre molto ambito.
Ogni tanto mi ero soffermata a soppesare il valore fisico di Friedrich. Ma lo vedevo da quando ero nata ed eravamo cresciuti insieme, giorno dopo giorno.
Mio fratello aveva venticinque anni, cinque più di me. Le anziane signore del paese però, quelle che sanno sempre ogni cosa di tutti, lo trattavano ancora come un bambino. Per loro, Friedrich restava il ragazzino di dieci anni, già orfano di madre, che aveva perso il padre in un tragico incidente. E io ero la povera bambina cresciuta senza l’affetto di una vera famiglia, affidata, con mio fratello, alle cure di un nonno troppo vecchio.
In realtà Friedrich dimostrava una maturità che andava ben oltre la sua età. Crescere da solo con me, il nonno e il negozio, l’aveva reso forte e responsabile. Caratteristiche che si erano accentuate quando, otto anni prima, il nonno era morto.
Friedrich aveva preso in mano l’attività e io l’avevo aiutato, anno dopo anno, in proporzione alla mia età.
Io non ricordavo  nulla né di mia madre né di mio padre e la loro assenza mi lasciava indifferente. Friedrich invece non aveva memoria di nostra madre, ma era rimasto legatissimo al ricordo di nostro padre.
Quando era successo il fatto… quando nostro padre era stato ritrovato brutalmente assassinato, Friedrich era rimasto sconvolto. O così mi era stato riferito più volte da Gustav.
E, sempre Gustav, diceva che mio fratello non aveva ancora superato l’accaduto. C’era rabbia, tantissima rabbia in lui. E, pur senza comprenderla, io stessa avevo assistito molto spesso alle manifestazioni esteriori di questo suo rancore.
Quando Friedrich parlava di quell’evento, si trasformava. La persona quieta, gentile, pacata che era, si tramutava in un grumo fiammeggiante di risentimento.
Avrebbe trovato quell’assassino, ci diceva. L’avrebbe strangolato con le sue mani.
Gustav inizialmente ripeteva che, negli anni, l’odio si sarebbe attenuato. Ma in realtà non era mai accaduto. Di anni ne erano trascorsi quindici e il rancore di Friedrich non si era mai acquietato. Era rimasto vivo, ardente, intrappolato dentro di lui senza evolvere.
Tutto questo me lo aveva detto Gustav. Gustav mi faceva spesso ragionamenti sui sentimenti, perché sapeva che io, da sola, non li avrei mai compresi.
Mio fratello infilò due portachiavi a forma di gnomo in una busta di carta. La ragazza di fronte a lui, sulla ventina, gli scoccò un’occhiata che Gustav avrebbe giudicato sensuale. Friedrich le porse il pacchetto, impassibile, e si rivolse al cliente successivo.
Allora lo osservai con spirito critico. Mio fratello raggiungeva il metro e ottanta e aveva il fisico asciutto e muscoloso di chi ha sempre camminato in montagna. Le lunghe giornate trascorse a far legna, le impervie scalate di cui andava appassionato, avevano modellato il suo corpo, rendendolo forte ed elastico. Gli occhi azzurri risaltavano maggiormente, grazie alla carnagione scurita dal sole delle grandi altitudini. I capelli castano scuro, tagliati corti sulla nuca, gli scendevano invece in riccioli davanti al viso.
Pensandoci bene, avevo visto qualche attore pettinato a quel modo. Forse Friedrich assomigliava a uno di loro.
Porsi a una signora l’ultimo francobollo e sedetti su uno sgabello a riposare le gambe.
Erano le diciotto e trenta e finalmente il negozio si era svuotato. Mancava ancora mezzora all’orario di chiusura, ma in quel lasso di tempo era probabile che pochi clienti si sarebbero fatti vivi. Era il momento di studiare qualcosa per la cena.
In quell’istante l’ombra di Gustav si stagliò sulla porta.
- Ehi Gustav, non dirmi che hai già chiuso! – gli gridò Friedrich, riordinando gli scaffali.
- Ci puoi scommettere!
Gustav si avvicinò al bancone stropicciandosi i baffi bianchi  - Devo riaprire fra due ore. Un vecchio deve pur trovare un momento per riposare!
- Resti a cena? – gli domandai, facendo mente locale sul contenuto del frigorifero. Gustav viveva solo e non era raro che mangiasse con noi.
- Volentieri – mi rispose infatti – Stasera tenete aperto anche voi?
Feci segno di sì con la testa e presi la porta che conduceva in casa. Dal dieci luglio al venti agosto, per tre sere alla settimana, il paese organizzava diversi intrattenimenti per i turisti. Quella sera ci sarebbero state musiche e danze tradizionali, e “Glückliche Andenken”, il nostro negozio di souvenirs, sarebbe rimasto aperto.
In qualche modo misi insieme una cena passabile e alle venti e trenta io Friedrich riaprimmo i battenti. Gustav tornò alla sua edicola.
Fino alle ventitre restammo impegnati a tempo pieno. Il nostro negozietto era adornato in modo originale e la disposizione della vetrina era studiata appositamente da Friedrich per invogliare i turisti ad entrare a dare un’occhiata.
Solo alle ventitre la situazione si tranquillizzò. Mi fermai sulla soglia del negozio, osservando l’andirivieni per la strada: in piazza, le musiche tradizionali erano cessate. Un’orchestra aveva attaccato brani di liscio e una quindicina di coppie si stava cimentando sulla balera di legno.
Accanto a me comparve Friedrich.
- Sei stanca? – domandò.
Annuii. Stare ferma in piedi dietro al bancone era sfinente.
Friedrich mi spinse lievemente verso la strada.
- Vai a dare un’occhiata in piazza – mi sollecitò – Qui ci penso io. Ormai la situazione è sotto controllo.
- Va bene.
Così mi inoltrai tra la gente.
 
 
  
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