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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    25/05/2013    2 recensioni
Fiamme divoravano il corpo di una donna legata a un palo sulla cima di un palchetto. [...]
“Strega, assassina, figlia e moglie del demonio…” tanti epiteti le venivano scagliati, mentre sagome scure puntavano croci verso di lei intonando litanie atte a scacciare il male e a purificare, insieme al fuoco, la sua anima corrotta. Il corpo bruciava, urla strazianti uscivano dalle sue labbra, mentre deperiva come un semplice ciocco di legno. Faceva male, colpiva nel profondo, e non aveva fine. Una morte lenta, tormentosa, inquietante.
Altre figure scure s’intromisero tra i popolani, ma non avevano volti: maschere nascondevano i loro tratti, assumendo il grottesco ghigno di un lupo. Lupi, troppi lupi intorno a sé.
Tra quell’oscurità e il fumo che le saliva sino agli occhi appannandole la vista affaticata dal dolore, scorse un’altra sagoma: era un vero lupo dal manto come neve e profondi occhi cristallini che la fissavano intensamente. La donna lo scrutò per alcuni istanti e il dolore sembrò attenuarsi.
Ma chi era quella donna?
Con mio profondo sgomento repressi a stento un urlo: quella donna ero io.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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XXXII
 Di un ritorno e una scomparsa


    Fuoco.
Fiamme divoravano il corpo di una donna legata a un palo sulla cima di un palchetto. Intorno a sé udiva le risate della gente che la osservava con un sorriso sadico sul volto, e puntava il dito contro di lei.
“Strega, assassina, figlia e moglie del demonio…” tanti epiteti le venivano scagliati, mentre sagome scure puntavano croci verso di lei intonando litanie atte a scacciare il male e a purificare, insieme al fuoco, la sua anima corrotta.
Il corpo bruciava, urla strazianti uscivano dalle sue labbra, mentre deperiva come un semplice ciocco di legno.
Faceva male, colpiva nel profondo, e non aveva fine. Una morte lenta, tormentosa, inquietante.
Altre figure scure s’intromisero tra i popolani, ma non avevano volti: maschere nascondevano i loro tratti, assumendo il grottesco ghigno di un lupo.
Lupi, troppi lupi intorno a sé.
Tra quell’oscurità e il fumo che le saliva sino agli occhi appannandole la vista affaticata dal dolore, scorse un’altra sagoma: era un vero lupo dal manto come neve e profondi occhi cristallini che la fissavano intensamente.
La donna lo scrutò per alcuni istanti e il dolore sembrò attenuarsi.
Ma chi era quella donna?
Con mio profondo sgomento repressi a stento un urlo. Quella donna ero io.


    Ero sudata, ma non era dovuto meramente al caldo asfissiante che aveva portato con sé l’estate. Erano notti che facevo sogni tremendi ai quali non sapevo dare un senso. Forse erano il frutto delle mie paure, a seguito della morte della Gran Maestra e al pericolo corso dalla piccola Lydie. Da quel triste giorno, il sospetto e la paura si erano diffusi velocemente tra la popolazione. Sylvie, salvando la bambina, aveva dimostrato in un certo qual modo la veridicità delle parole degli inquisitori: c’era una strega e non doveva essere l’unica.
Si erano rafforzati i controlli da parte degli armigeri al servizio dell’inquisizione e donne, che avevano l’unica sfortuna di praticare certe arti o di essere delle miserabili ai margini della società, erano state accusate delle stregonerie più folli che si potessero inventare.
Si era generato il panico. Per potersi salvare molti accusavano altri. Persone che potessero stare loro scomode, vicini di casa odiati o altri motivi futili, che però causarono atroci torture – a quanto si diceva – ai malcapitati.
Io stessa ero vista con sospetto. Mi era sempre più difficile passeggiare tranquillamente per le strade di Sivelle e andare semplicemente a lavoro. Ero una donna sola, con una bambina e un marito morto in battaglia e, agli occhi malsani degli inquisitori, potevo essere una preda facile, ma ero ben vista dai Conti per la mia arte e il mio operato. Tuttavia, v’era un altro motivo per cui rischiavo di essere additata come strega: c’era chi mi aveva visto con la piccola Lydie e questo era un pericolo. Temevo che Julie potesse tradire anche me, e spesso la osservavo con attenzione. Tuttavia, sembrava persa, confusa e la vedevo sempre pallida. Sul suo giovane volto si scorgevano i segni di un senso di colpa evidente. Per tali motivi non ero neanche più andata presso la Congrega del Salice, anche se cercavo di tenermi in qualche modo in contatto. Non volevo essere distante dalle mie sorelle in un momento di tale dolore ma, allo stesso tempo, non potevo rischiare la vita di mia figlia e la mia.
In tutto questo, Mickel mi restò accanto. Spesso era lui il messaggero. Ci fidavamo di lui.
Io mi fidavo di lui e lo amavo.
Mickel c’era sempre per me e per la mia bambina. Si era creato un profondo legame tra noi e speravo tanto di poter interrompere gli sguardi malevoli delle persone, completando il nostro amore di fronte ai loro occhi. Ma era davvero tutto così facile? O mi avrebbero visto ugualmente male per concedermi a un altro uomo?
La vita era diventata triste e grigia a Sivelle, e la luce che per tanto tempo mi aveva accolta nel suo candore stava svanendo come neve al sole.


*


    Continuare a svolgere una vita apparentemente normale non era facile; ma era essenziale per andare avanti. Il terrore gravava nella mia anima, ma una scintilla di luce la rischiarava: mia figlia. Era un caldo pomeriggio di luglio, l’afa sembrava non dare tregua e attendevo che svanissero le ore in cui il sole era alto e rovente, per uscire di casa. La mia piccola giocava tranquilla, con un gattino di legno intagliato dono di Mickel – sorprendendomi anche con questa sua abilità nascosta – ed io la scrutavo attenta e ammaliata. Alizée cresceva sana e bella, con riccioli biondi a circondarle il viso roseo e paffuto, su cui spiccavano intensi occhi color cioccolato. Il ricordo di Flaviano affiorava ancora, ma non sembrava più arrecarmi un gran dolore. La sua assenza era ancora palpabile e, probabilmente, una parte del mio cuore gli sarebbe sempre appartenuta, ma ero andata avanti e sentivo che anche lui sarebbe stato felice della mia scelta. Flaviano non avrebbe mai voluto la mia infelicità e si fidava ciecamente di Mickel, come se fosse un fratello anziché il suo Capo.
Sospirai lievemente, ascoltando i suoni ancora privi di senso emessi da mia figlia, quando avvertii qualcuno bussare alla porta. Non aspettando nessuno, fui sorpresa e lentamente mi avvicinai per andare ad aprire.
Quello che vidi, o meglio chi era di fronte a me, mi fece sbiancare.
Una donna incantevole dall’aspetto algido e altezzoso, mi osservava con occhi furenti, come se vi aleggiassero delle fiamme. Era leggermente più alta di me e i capelli scuri erano raccolti con eleganza sul capo, mentre il suo corpo formoso era adornato da una veste rosso sangue.
    « Louise-Marie… » sussurrai, non riuscendo a dire altro.
La mia migliore amica era lì, era tornata finalmente. Un insieme di emozioni mi scosse dentro: da un lato provavo una tale gioia da spingermi ad abbracciarla, lei era tornata a riempire quel vuoto che mi aveva lasciato la sua assenza, dall’altra avevo paura. Che cosa sarebbe successo ora?
Mickel…
    « Madame Marli » replicò, lei, con un tono talmente freddo da ferirmi dentro. « Vorrei parlarvi ».
Rimasi qualche secondo a guardarla, esitante, ma poi annuii e mi scostai di lato per permetterle di entrare nella mia dimora.
Louise-Marie avanzò con passo lento e aggraziato, e si fermò a scrutare il volto della mia piccola.
    « Oh » mormorò, sorpresa. « Lei deve essere vostra figlia ».
    « Sì, è Alizée » confermai, per poi aggiungere, « Louise-Marie cosa hai? Sembri così cambiata, così fredda con me… »
Lei guardò ancora qualche istante la bambina che aveva sollevato appena lo sguardo verso la nuova giunta prima di tornare a giocare e poi si voltò verso di me. Tra le mani, notai solo in quel momento, stringeva un nastro rosso, un mio regalo.
    « Non dovrei forse esserlo? » assottigliò gli occhi verdi, e strinse con più forza il nastro.
« Perché? » domandai, incredula. Da quanto era tornata? Già sapeva?
Lei rise istericamente, buttando la testa all’indietro.
    « Mi chiedete anche il motivo? Desirée non fate la sciocca! » sbottò, alzando la voce. « Sono tante le voci che corrono sul vostro conto, e non è stato difficile farle arrivare a me. Sono appena tornata e ho potuto già costatare la deliziosa accoglienza che voi e il Capitano Svensson mi avete riservato ». Si fermò per qualche minuto, come a riprendere fiato e la dovuta compostezza necessaria a una dama di tale lignaggio. « Avete allontanato da me l’unica persona per la quale ho provato veramente amore. Come avete osato? Come avete potuto farmi questo, proprio voi, proprio tu che conoscevi perfettamente i miei sentimenti? »
Rimasi senza parole, a fissarla esterrefatta. Se da un lato quelle parole erano riuscite a farmi sentire colpevole, dall’altra s’insinuava con prepotenza un altro pensiero.
    « Non sapete cosa proferire ora, vero? Voi, proprio voi, mi avete tradita! Mi fidavo della vostra amicizia, credevo ciecamente in voi, e voi non avete atteso molto per infliggermi un tale dolore! Appena ho voltato le spalle, voi mi avete pugnalato. Che ingratitudine! Dopo tutto quello che ho fatto per voi! » sibilò, e il suo viso si tinse di rosso, tant’era infervorata.
Respirai un paio di volte, ma dentro il mio cuore v’era come un serpente che mi aveva punto con il suo veleno. Non potevo sopportare tali attacchi, soprattutto da colei che era svanita nel nulla, mettendomi da parte nel momento in cui avevo più bisogno. Era questa la sua amicizia? Non scrivermi neanche più per farmi sapere come stava? Spingermi a pensare al peggio?
    « Non sono disposta a sentire ancora le vostre parole dense di veleno » replicai, tornando a rivolgermi a lei con la forma “distante”, e non il tu utilizzato solo con le persone più intime. « Siete scomparsa improvvisamente, senza lasciare una lettera né a me, né al vostro amato. Ho saputo solo che eravate a Parigi, e per mesi ho cercato di sapere di più, ma niente ». Presi fiato, cercando di abbassare il tono di voce e quando ripresi a parlare, si sentiva tutto il mio dolore. « Cosa ti prende ora? Perché non mi hai mai scritto? Io… posso avere l’unica colpa di essermi innamorata di Mickel, perché mi è stato sempre accanto quando il mio Flaviano è morto, e quando tu sei scomparsa. L’amore è dunque un crimine? »
La guardai con occhi lucidi, e mi sembrò di leggere un filo di commozione anche nei suoi occhi smeraldini, ma quella sensazione scomparve velocemente. Tornò a fissarmi con odio e poi sorrise, un ghigno isterico.
    « Amore dite? » rise. « Voi amate il capitano Svensson e lui ama voi? » la risata si fece sempre più aspra, più alta, facendo piangere impaurita la mia bambina. « Vi odiavate, da quel che rammento. Non lo potevate sopportare. È così freddo, è così cattivo! » le ultime parole furono atte a canzonarmi. « Ora dal nulla, avete cambiato idea? Cos’è, il vostro letto era ormai troppo freddo da quando il vostro amato è perito? Avete giusto messo gli occhi sul mio! »
La rabbia e l’indignazione s’impossessarono di me. Non potevo credere che quella dinanzi a me fosse la stessa donna che avevo amato come una sorella.
    « Esci da casa mia. Subito! » ringhiai, indicandole con un gesto la porta d’ingresso. « Posso capire il tuo dolore per non avere più Mickel, ma questo non ti dà il diritto di additarmi come una meretrice. Tu non sai quello che ho sofferto. Tu non sai il vuoto che Flaviano mi ha lasciato e che tu stessa hai lasciato, andando via senza una parola. L’hai fatto soffrire, hai fatto soffrire anche me. E ora torni indietro e ci incolpi per aver mutato i nostri sentimenti l’uno per l’altra? »
La dama smise di ridere alle mie parole, mentre un fuoco mi dilaniava il petto e sembravo aver smarrito il raziocinio talmente ero arrabbiata e delusa.
Dopo qualche istante, in cui rimanemmo a fissarci a vicenda, con il triste sottofondo delle grida di Alizée, Louise-Marie mi scagliò addosso il nastro rosso che stringeva tra le dita, colpendomi il viso. La stoffa mi sfiorò la pelle come una gelida carezza e lì compresi che ormai la nostra amicizia era arrivata a un punto di non ritorno. Ero ferita, triste, delusa e il vuoto che pensavo potesse essere colmato, non aveva fatto altro che allargarsi. Come poteva trattarmi così? Potevo comprendere i suoi sentimenti e a lungo mi ero sentita in colpa per provare amore nei confronti di Mickel, ma l’amore era un crimine?
Le persone cambiano, così i sentimenti, e non è facile gestirli. Ci avevo provato, ma lei non era tornata, e ormai le cose erano mutate. Se Mickel lo avesse voluto, mi sarei fatta da parte, ovviamente, anche se con gran sofferenza, ma Louise-Marie mi aveva considerata come una prostituta pronta a riempire il suo letto quando ormai diventato troppo freddo, e non potevo passarci sopra.
    « Prendi il tuo sudicio regalo, strega! » sibilò. « Ora me ne vado, ma la mia vendetta arriverà ben presto! »
Con un fruscio di vesti si avvicinò alla porta e una volta uscita la sbatté con poca grazia. Ero così scossa da tremare visibilmente e per poco non caddi a terra. Respirai più volte, profondamente, cercando di raggiungere uno stato di quiete, ma era difficile. Presi la mia piccola tra le braccia e sprofondai su una sedia, stringendomela al petto, e non potei frenare le lacrime che rigarono il mio volto.


*


     Ero ancora seduta, quando sentii di nuovo bussare alla porta. La mia piccola si era addormentata, esausta, tra le mie braccia dopo aver pianto numerose lacrime.
Mi alzai, con uno sforzo, e la posi all’interno della sua culla, e poi passai appena le dita sul mio viso per cancellare le tracce delle mie lacrime, seppur fosse difficile non far comprendere che avessi pianto. Sentivo gli occhi bruciare, e la testa essere preda di piccole palpitazioni che mi creavano fastidio. Tuttavia, avanzai lentamente verso la porta e l’aprii. Mickel era lì, davanti a me e mi guardò con un leggero stupore, che presto scomparve. La mascella si contrasse, mentre mi spinse a farlo entrare. Non mi opposi, lasciando che la porta si chiudesse dietro di lui.
    « Quindi sai » disse, non smettendo di guardarmi. Io annuii con il capo e provai un senso di vergogna nel comprendere che il desiderio di piangere non si era placato.
    « È stata qui » replicai, con voce roca. « Tu l’hai già incontrata? »
Lui scosse il capo, per poi rispondere:
    « Di sfuggita, ma non abbiamo parlato ».
Annuii di nuovo, e poi sospirai.
    « Louise-Marie è tornata, ma non sembra più la stessa. Mi ha aggredita con violenza, regalandomi epiteti che mai pensavo potessero uscire dalle sue labbra » tirai su con il naso, abbassando poi lo sguardo. « Immaginavo che non sarebbe stato facile per lei, sapere di noi… ma che colpa ne ho se ti amo? »
Mickel mi sfiorò leggermente i capelli, e poi avvicinò le sue labbra alle mie, donandomi un bacio di fuoco che mi rendeva difficile dirgli quanto avevo nel cuore.
    « Però, se tu vorrai tornare con lei, sono disposta a tirarmi indietro… »
Per me era un notevole sforzo proferire parole simili. Il mio cuore mi spingeva a dire altro. Non volevo perderlo, né lasciarlo. Era una delle poche luci che mi permettevano di non cadere in quella tenebra oscura che stava opprimendo la mia vita e il mio villaggio.
    « Provo sentimenti forti per te, è vero, ma voglio la tua felicità… non voglio farla soffrire anche se mi ha trattata male. Louise-Marie era come una sorella per me, e se… » le mie parole morirono in bocca, quando lui pose due dita sulle mie labbra, a zittirmi.
    « Non tornerò con lei. Lei mi ha abbandonato e ora ci sei tu nel mio cammino » si fermò per un attimo per soppesare i pensieri. Non era facile per lui dimostrare chiaramente a voce i suoi sentimenti, con parole adatte, dolci, o simili. « Io voglio te ».
Il mio viso fu bagnato ancora dalle lacrime. Felicità, gratitudine, amore, erano tutti sentimenti che le spiegavano. Temevo di perderlo, ma il pensiero che avesse scelto me, mi rincuorava. Non volevo e mai avrei voluto far soffrire Louise-Marie, ma il mondo cambiava, così come i sentimenti. Quello che un giorno potevi odiare, conoscendolo meglio e consentendogli un’altra opportunità poteva rivelarsi il grande amore; ed io non volevo perdere Mickel. Sprofondai tra le sue braccia, affondando il viso contro il suo petto, e lui mi strinse a sé. Il veleno che scorreva nel mio cuore fu purgato da quell’amore intenso che scorreva tra noi.
Eppure avevo paura.
Louise-Marie aveva parlato di vendetta e tremavo ancora di fronte al suo sguardo furente. Fiamme vive nei suoi occhi, odio nel suo cuore, vendetta nelle sue parole, terrore in me.


*


    Le sue labbra cercavano le mie, i nostri corpi si muovevano in un’armonia perfetta che spazzava via i miei dubbi. Mickel ed io ci unimmo più volte quella sera, soggiogati da una passione che sembrava non saziarsi mai. Stare tra le sue braccia aveva allontanato per qualche ora il pomeriggio spiacevole che avevo trascorso, ma ora che la nostra danza d’amore aveva avuto termine, pensieri riaffiorarono nella mia mente.
    « Ho paura » mormorai, stringendomi maggiormente a lui come a trovare conforto e protezione.
    « Di cosa? »
    « Di Louise-Marie… »
Lui scosse leggermente il capo e affondò le labbra tra i miei capelli.
    « Mi guardava con odio e non mi ha mai rivolto simili cattiverie prima d’ora ».
    « Forse le persone non sono mai come sembrano ». Fece una pausa distogliendo lo sguardo da me. « Ognuno porta dentro di sé una parte di luce e una di ombra, ma non è sempre la prima a prevalere ».
Rimasi in silenzio per diversi minuti, soppesando le sue parole. Mickel non parlava spesso, ma quando lo faceva, lasciava trapelare la sua saggezza.
Sfiorai lievemente il suo torace pieno di cicatrici e poi replicai:
    « Sì, hai ragione, ma temo che le sue non siano solo semplici parole di vendetta ».
    « Non ti farà del male ».
Mi strinse, nuovamente, di più a sé, mentre i nostri corpi nudi ardevano di una fiamma ancora non spenta.
    « Tu la ami? » chiesi, dopo un poco di silenzio.
    « Forse un tempo provavo un qualcosa di simile all’amore ». La sua mascella si contrasse, facendosi rigida nel proseguire. « Ma poi si è spento quando se ne è andata ».
    « E ora provi odio? »
    « No. Indifferenza » rispose in modo gelido.
L’indifferenza faceva più male dell’odio, ma potevo comprenderlo. Era stato abbandonato senza una parola, o un messaggio, neanche dopo mesi.
Ed io provavo odio? No, i sentimenti mutavano sì, ma non con così grande rapidità. Ci dovevano essere motivi validi ed io per lei provavo solo una grande tristezza e forse anche delusione.
Che cosa ne era stato della nostra amicizia?

    Non passò troppo tempo che sobbalzai sentendo dei colpi alla porta. Rabbrividii e Mickel mi strinse tra le sue braccia con fare protettivo.
    « Non aver paura, vengo con te ».
Annuii non riuscendo tuttavia a essere tranquilla. Mi alzai e, dopo essermi infilata una veste velocemente, mi avvicinai alla porta, seguita dal mio amato che rimase dietro di me come un’ombra.
Tremando aprii la porta e, con mio stupore, scorsi Elodie e Cécilie entrare velocemente. Non rimasi ferma, anzi, dopo aver gettato un rapido sguardo all’esterno e aver controllato la situazione, richiusi la porta e mi dedicai alle mie sorelle.
Sui loro visi si potevano scorgere ansia, paura e confusione. I loro occhi erano lucidi e sembravano quasi tremare.
    « Elodie, Cécilie, cosa succede? » chiesi, sorpresa di vederle lì, rischiando anche le loro vite visti i controlli serrati che le guardie degli Inquisitori facevano.
    « Claire… » iniziò l’erborista, esitando.
    «… è scomparsa » concluse Elodie, con occhi prossimi al pianto.
Un vento gelido mi attraversò il corpo, giungendo fino al cuore, nonostante la calura estiva. Bastarono quelle parole per farmi temere il peggio e gettarmi di nuovo in un pozzo profondo dove non c’era luce, dove tutto era buio e immensamente triste.
   
 
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