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Eccomi qui, se mi riuscisse di non
essere costantemente in ritardo con tutto ciò che riguarda la mia
esistenza spererei di aggiornare ogni martedì, così, senza motivi
particolari eccetto che trovo che il martedì sia un gran bel giorno.
Ovviamente avrò bisogno di supporto, fatemi sapere se volete che qualcosa
in particolare accada in questa storia o se pensate che qualcosa debba
essere corretto. Adesso un ringraziamento a chi mi ha letto e a chi mi ha
commentato. In particolare Tigre94, Kagomechan a cui confesso che la
riflessione su una cosa orrenda come gli abusi sui minori E' stato il
punto di partenza di questa storia, Seilen91, Lilica e Ilary. Grazie di
cuore.
Mel Kaine
Nota grammaticale importante: in fondo.
The Heart of Everything
Capitolo
2 - /
Unfair /
La signora Figg camminava piegata a terra, guardando sotto macchine e
siepi, attirando la curiosità della vecchietta della villetta accanto.
Quando la tendina si richiuse la signora Figg stava ancora perquisendo
Privet Drive alla ricerca di Otis. Piccolo randagio ribelle, le era
sfuggito fra le mani mentre finiva di curarlo ed era balzato via dalla
finestra socchiusa. Non era che un quarto alle dieci e già il freddo era
sceso nel Surrey. La signora Figg non si voleva arrendere. Prima di
considerarsi sconfitta avrebbe perlustrato tutto il quartiere. Lentamente
passò davanti ogni casa, infilando testa e cappello attraverso le siepi.
Arrivò al numero quattro e nell’incerta luce dei lampioni lontani vide una
piccola figura nascondersi vicino ai sacchetti della spazzatura. Si
avvicinò per guardare meglio e riconobbe il piccolo Potter. Cosa ci faceva
fuori di casa a quell’ora? Non era tardissimo, ma era comunque già passata
l’ora di andare a letto. Il bambino sembrava guardingo e fissava la
finestra, mentre si faceva sempre più piccolo contro i sacchetti. Davvero,
quei Dursley! ‘Dovrebbero sorvegliarlo meglio ed educarlo un po’ di più! –
si disse – Permettergli di giocare a nascondino fino a quest’ora…’
Dumbledore non sarebbe stato felice di sentire questa notizia, quei
muggle non era adatti a proteggere Harry Potter, il bambino sopravissuto.
Erano troppo permissivi e maldestri. Non si lasciava giocare un bimbo così
piccolo fino a tardi e con questo freddo. La signora Figg riprese la sua
ricerca, scuotendo la testa. Avrebbe osservato quello che accadeva al
numero quattro per qualche altra settimana, poi avrebbe fatto il suo
rapporto al capo dell’Ordine della Fenice.
Zio Vernon era davvero infuriato. Il piccolo Harry di nuovo non capiva
cosa avesse fatto. Sapeva solo che il viso dell’uomo era rosso come il
fuoco e che sicuramente dopo sarebbe stato picchiato con forza. Desiderava
con tutto se stesso scappare e nascondersi, persino in cantina, tutto, ma
non rimanere lì. Eppure rimase fermo. Anche la faccia di sua zia non
prometteva niente di buono.
“Bastardi impiccioni! Sempre a fare i conti in tasca agli onesti
lavoratori”.
“Non possiamo ignorare la loro richiesta, Vernon tesoro?”cercò di calmarlo
la donna.
“No, sanno che il mostriciattolo vive con noi e per la maledettissima
legge scritta qui dobbiamo mandarlo a scuola… questo significa altri soldi
spesi per lui, soldi tolti a noi e al nostro Dud. Non riesco a tollerarlo,
Petunia!!!”
Scuola?Il piccolo Harry cercò di tenere la sua sorpresa per sé. Non alzò
gli occhi da terra nemmeno quando avvertì il fiato orrendo di suo zio
vicino al collo. Non osava mai guardarlo, a meno che non fosse
direttamente interpellato.
“Lo vedi cosa siamo costretti a fare per te, ingrato piccolo sgorbio? Ci
costerai un sacco di soldi e di tempo! Altro che scuola, il canile è il
posto adatto a te! Affogato come dice Zia Marge, quella sì che sarebbe
stata un’ottima soluzione”.
E si mise a percorrere la stanza in grandi, furibondi passi prima di
fermarsi di nuovo accanto ad Harry, incombendo su di lui come un avvoltoio
malvagio. Ecco, adesso l’avrebbe portato vicino alle scale e picchiato e
poi sbattuto dentro al sottoscala. Harry sentì il proprio corpo tendersi
ed irrigidirsi, pronto al dolore, come ogni volta.
Ma niente.
“Vernon caro, non dovresti adesso che…”
L’uomo emise un ringhio frustrato.
“Lo so, la scuola del nostro Dudley è piena di maestre impiccione, non
possiamo lasciare che sospettino… lo manderemo lì fra poco meno di un
mese… il tempo di rendere il bastardello presentabile”.
Poi si volse verso Harry.
“Ma non pensare di cavartela così, ragazzo. Verrai punito severamente se
non ubbidirai. Intanto risparmia sul cibo Petunia, una crosta di qualcosa
ogni pochi giorni è più che sufficiente. E fallo lavorare mentre non ci
sono. Anche la notte. Stasera ti occuperai del giardino, togli le erbacce
e sistema le aiuole o domattina sarà peggio per te. Intesi, ragazzo?”
“Sì signore”.
“E adesso fuori, chiudi la porta Petunia, a chiave”.
E così ogni notte in quelle tre settimane Harry sistemava il giardino. Non
veniva più picchiato troppo forte, ma questo non significava che stesse
meglio. Un paio di volte vide di nuovo la signora che abitava in fondo
alla strada, quella che girava sempre circondata di gatti. Ma non aveva
tempo per guardarla, doveva finire in fretta ogni sera oppure non avrebbe
avuto niente da mangiare, nemmeno il pezzo ammuffito di formaggio o l’osso
di pollo che riceveva ogni tre giorni, e Zia Petunia lo avrebbe chiuso in
cantina. Alle volte Dudley lo infastidiva mentre Harry puliva il salotto o
le scale e gli raccontava tutte le storie dell’orrore che guardava in
televisione, in particolare quelle sui fantasmi delle cantine e quella
orribile della spugna per lavare i piatti che aveva gli occhi e mordeva ed
era impossibile da uccidere. E così ogni volta che Harry doveva lavare i
piatti adesso guardava la spugna con paura e cercava di sbrigarsi e di
tenerla in mano il meno possibile. Non era più riuscito a piegare il
braccio sinistro e non lo poteva nemmeno alzare, se non di un paio di
decine di centimetri. Ma almeno non faceva quasi più male. In quei giorni
lavorava in casa dall’alba al tramonto, poi serviva la cena e puliva ed
infine si occupava del giardino, fin quasi al mattino. Certe volte era
così stanco da addormentarsi contro il bordo del lavello, ma uno schiaffo
di sua zia riusciva sempre a svegliarlo. Altre volte invece non faceva
bene quello che gli veniva detto perché nessuno gli spiegava come
funzionavano alcune cose. Due pomeriggi fa, per esempio, stava pulendo
dietro al televisore e senza saperlo aveva tirato uno di quei cosi neri
che spuntavano da dietro la tv e l’immagine era andata via. Dudley aveva
strillato come un matto e quando Zio Vernon era tornato Harry era stato
picchiato e messo in cantina tutta la notte. Rannicchiato sul gradino più
vicino alla porta non aveva dormito neanche un minuto, spaventato fino
alle lacrime da ogni suono che veniva da basso.
Ma un pensiero ogni tanto gli appariva nella testa ed il piccolo Harry non
poteva fare a meno di accarezzarlo gentilmente, con un po’ di gioia.
Presto sarebbe andato a scuola… wow, con tanti altri bambini, con le
maestre e tutto il resto. Una scuola vera, con i disegni ed i libri. E di
nuovo la sua fantasia galoppava. Avventure fantastiche con i suoi nuovi
amici, nel parco giochi di cui spesso Dudley aveva parlato. Avrebbe
imparato i nomi di tutte le cose e forse avrebbe capito un po’ di più il
mondo e si sarebbe potuto comportare meglio ed i suoi zii non lo avrebbero
più picchiato così tanto. Sì, forse sarebbe stato bello andare a scuola e
diventare finalmente un bravo bambino.
La signora Figg scosse di nuovo la testa, costernata. Urgeva contattare
Dumbledore. Ormai erano passati fin troppi giorni. Rientrata in casa si
diresse al focolare per chiamare il mago a capo dell’Ordine e consegnare
il suo rapporto mensile a voce. La testa del preside di Hogwarts spuntò
fra le fiamme.
“Signora Figg, cara amica, mi dica pure”.
“Signor Preside, mi dispiace informarla che i muggle a cui è stato
affidato il piccolo Potter non sono persone di cui fidarsi”.
“Spiegatemi perché, cara signora Figg…”
“Sono troppo indulgenti, Preside, non prestano attenzione. Lasciano il
bambino a giocare fuori nel giardino tutto il tempo, anche la notte.
Riuscirei a rapirlo persino io, pensi ad uno dei servi di Voi-sapete-chi…
no, no, Harry non è al sicuro. Il piccolo Potter è troppo esuberante, l’ho
visto correre assieme al cugino in mezzo alla strada, senza nessun adulto
accanto, ci vuole qualcuno che sappia controllarlo e disciplinarlo un po’.
Almeno questo è quello che penso, se le interessa il mio parere, signore”.
Dumbledore rimase in silenzio per un lungo momento.
“Grazie mille signora Figg per il suo lavoro, avrò modo di riflettere su
quanto mi ha rivelato stasera assieme ad alcuni membri dell’Ordine e molto
presto le farò sapere. Buonanotte”.
E detto questo sparì fra le fiamme.
Soddisfatta d’aver compiuto il proprio dovere la signora Figg si sedette
sul divano con in braccio uno dei suoi gatti e rimase a pensare a tutto e
a niente per un po’.
Il piccolo Harry davvero voleva che il primo giorno di scuola non
arrivasse mai più. Dudley lo aveva visto un po’ più felice qualche
pomeriggio prima ed era riuscito a capire che era per la scuola e subito
gli aveva fatto intendere che niente sarebbe cambiato, neanche lì, non se
lui poteva fare qualcosa al riguardo. Aveva chiamato i suoi amici, tutti
futuri compagni nella sua classe, e lo aveva inseguito in bici per tutto
il quartiere, cercando di investirlo. Subito dopo lo avevano quasi preso a
calci e gli avevano tirato addosso i coni gelato mezzi finiti che avevano
in mano. Se questo era quello che lo aspettava a scuola, tutte le mattine,
il piccolo Harry non era più così sicuro di volerci andare.
Adesso era di nuovo in cantina, ed aveva così paura al buio che il suo
cuore batteva continuamente, come un ronzio. L’umido passava attraverso i
buchi della sua maglietta ed il vento saliva dal basso, assieme a suoni
spaventosi e cupi. Un asse che cigolò improvvisamente lo fece sobbalzare,
per la ventesima volta cercò di farsi il più piccolo possibile contro lo
stipite inferiore della porta. Un’altra notte sveglio e tremante. E la
pancia aveva ripreso a fargli veramente male in quella settimana. Forse
era la fame. Oltre un piccolo osso di coniglio mezzo masticato non aveva
avuto altro in quattro giorni. Chinò la piccola testa sulle ginocchia e si
disse che forse era tutta una punizione per la morte dei suoi genitori. In
fondo sapeva bene com’era successo e non si aspettava di passarla liscia.
Senza un suono lasciò cadere qualche lacrima, i rumori dal basso
sembravano fantasmi e quando la stanchezza vinceva per pochi minuti incubi
orrendi lo avvolgevano e nessuna fantasia, né sogno ad occhi aperti,
riusciva a salvarlo dal terrore di svegliarsi solo e al buio.
Dumbledore posò la tazza di tè che stava sorseggiando sul piattino accanto
a quella di Minerva.
“Temo, mia cara, che non ci sarà possibile ignorare le sconcertanti
notizie della signora Figg”.
“Detesto prendermi la ragione, Albus, ma ti ho ripetuto molte volte quanto
trovassi insensata l’idea di lasciare il piccolo Harry in compagnia di
quei muggle, come si poteva sperare che gente di quella levatura
comprendesse l’importanza della salvaguardia del figlio dei Potter?”
“Il sangue, Minerva, a quel tempo contava più delle mie speranze o della
loro levatura. Tuttavia mi aspettavo che prima o poi qualcosa giungesse a
turbare la pace della mia precedente disposizione”.
L’uomo agitò la bacchetta versando un’altra tazza alla strega prima di
servirsi a sua volta.
“Dunque intendi intervenire? Ma come pensi di risolvere il problema? Dove
manderemo il piccolo Potter? Con chi?”
Il vecchio mago non rispose, si lisciò la lunga barba per qualche infinito
momento, ripetendo le parole ‘un po’ di disciplina’ prima di sollevare due
occhi luminosi sulla donna che gli stava di fronte.
Minerva sorrise, sollevando graziosamente un sopracciglio.
“Conosco quello sguardo Albus, tu hai già in mente una persona e sento che
oggi qualcuno verrà gentilmente costretto a fare qualcosa che non vuole
assolutamente”.
“Oh, non temere, mia cara, alla fine, non so come, riesco sempre a vincere
io”.
“So anche questo, Albus, so anche questo…”
Pochi minuti dopo un discreto bussare interruppe i saluti che la coppia di
anziani maghi si stava scambiando. Severus Snape entrò nell’ufficio dietro
invito del Preside, mentre Minerva McGonagall usciva silenziosamente,
sospirando per il povero nuovo arrivato.
“Ah Severus, ragazzo mio – lo accolse benevolo indicandogli una sedia –
una parola se non ti dispiace…”
Harry si rigirava penosamente sullo straccio per pulire che stava usando
come materasso. Quella sera era stato molto fortunato. I suoi zii gli
avevano permesso di dormire nel sottoscala. Forse era perché l’indomani
cominciava la scuola. Non aveva più il vento freddo o i rumori nel buio
della cantina a tenerlo sveglio, ma pensare di riposarsi era impossibile.
Non con quel dolore alla pancia. Durante il giorno era diventato sempre
più forte e adesso era praticamente insopportabile, non poteva nemmeno
sfiorarsi lo stomaco. Cercò di tenersi al caldo appoggiandoci le piccole
manine vicino, ma non riusciva proprio a risolvere niente, lasciò cadere
un paio di lacrime intrattenibili. Non gli piaceva piangere, quando poteva
non lo faceva. Aveva sempre una gran sete dopo ed in momenti come quelli,
chiuso a chiave fino al mattino, senza sapere quando avrebbe potuto bere
di nuovo, non era una cosa buona. E poi quando si asciugava la faccia
finiva ogni volta per impiastricciarsi completamente perché aveva sempre
le mani sporche di terra o di polvere. E poi quelle poche volte che si
lasciava sfuggire un singhiozzo sentiva un sacco di fitte terribili, tutte
insieme. No, non gli piaceva per niente piangere, ma alle volte era così
impossibile non farlo, non lasciarsi andare. Il pavimento era gelato e
sudicio e lo straccetto lo proteggeva solo dal petto alle ginocchia. Era
sempre tutto buio, ma almeno lo spazio era piccolo e non c’erano strani
suoni. Harry socchiuse gli occhi. Adesso era nel profondo del mare, dove
tutto era scuro e freddo, ma lui doveva nuotare verso il fondo e trovare
la grotta nascosta fra le alghe. Dentro c’era il tesoro più bello che il
piccolo Harry riusciva ad immaginare. Coperte e giocattoli e cibo, tanto,
tantissimo cibo. E l’aria nella grotta era più calda e sapeva di … (Harry
non sapeva che odore avesse una grotta marina, quindi decise che sarebbe
stato odore di pesce e terra). Era quasi arrivato, ma un polipo enorme non
voleva farlo passare, allora il piccolo Harry tirò fuori un bastone per
metterlo in fuga. Però lo colpì piano, perché sapeva che il bastone faceva
davvero male e non gli andava che il polipo soffrisse anche se era
cattivo. Ce l’aveva fatta! Adesso poteva prendere tutto quello che voleva.
C’erano così tante cose buone che non sapeva da dove cominciare…
E non cominciò affatto. Il rumore furioso della porta del sottoscala che
si apriva e le mani grosse e violente di suo zio lo tirarono fuori dal suo
dolce dormiveglia. Era già ora di tornare a lavorare? Il sole non era
nemmeno sorto…
“No, Albus. Nella maniera più assoluta, no!” replicò con veemenza il
maestro di Pozioni.
“Non intendi nemmeno considerare per un attimo la mia proposta, Severus?”
“Assolutamente no” ripeté con convinzione il giovane uomo dai capelli neri.
Dumbledore sospirò insoddisfatto.
“Capisci bene che non possiamo più lasciare il piccolo Harry nella sua
attuale residenza…”
“Indubbiamente. Ma non vedo come il fatto che aver scoperto che quegli
stupidi ed inetti muggle sono appunto tali debba concernermi. Il giovane
Potter verrà certamente accolto come una divinità in qualsiasi famiglia di
maghi lo manderai, Albus, con l’unica eccezione dei Malfoy, si intende”.
“Suvvia Severus, non reprimere il tuo ingegno per tentare di ingannare un
povero vecchio, sai molto bene che l’unico luogo sicuro per Harry è qui,
ad Hogwarts. Non posso mettere a rischio nessuna delle brave famiglie di
maghi che conosco”.
“Ancora una volta non vedo come questo debba riguardarmi, non sono l’unico
abitante di questo castello. Sicuramente Madam Pomfrey o Madam Trelawney
o…”
“Sì, sì, due dame deliziose, invero, ragazzo mio, ma mi duole ammetterlo,
non adatte. Madam Pomfrey ha sempre molti pazienti e non posso sottrarle
altro tempo prezioso e Sibyll… Sibyll, beh, comprendi bene che non
sarebbe una scelta, come dire… adeguata”.
Il vecchio mago offrì nuovamente del tè, che Snape rifiutò con un gesto
cortese della mano.
“Posso suggerire…Minerva?”insisté il maestro di Pozioni.
Albus sospirò ancora, affogando il suo improvviso dispiacere in un lungo
sorso di delizioso tè bollente.
“Non posso ammettere di non aver pensato a lei, caro ragazzo, ma al
momento non posso consentirle di esacerbare ancora di più le precarie
condizioni di salute in cui giace. Quel maleficio alla fine della prima
guerra contro i seguaci di Voldemort le ha lasciato molti problemi e
nonostante siano passati quasi sei anni ancora ne risente, benché si
sforzi con caparbietà di non darlo a vedere… sono certo che se le
chiedessi di occuparsi del giovane Harry accetterebbe con gioia. Devo
davvero arrivare a questo punto, Severus? Dimmi, non ho davvero altra
scelta?”
Snape sostenne lo sguardo del Preside senza battere ciglio.
Sapeva che Albus stava giocando l’ultima carta.
‘Non riuscirai a farmi sentire in colpa, bisogna avere un cuore per
sentirsi in colpa, Albus, ed io non ne ho uno da molto, molto tempo…’
pensò con amarezza.
Severus sedette nuovamente, ben dritto davanti al ‘nemico’.
Anche lui, da parte sua, aveva ottimi, validi argomenti.
“Albus, non vorrai davvero farmi credere che preferiresti veder crescere
il giovane Potter nel mio studio, in mezzo ai fumi delle pozioni, fra
recipienti pieni di cose rivoltanti e…”
Gli occhi di Dumbledore si illuminarono in modo preoccupante mentre lo
interrompeva.
“Oh, i bambini sono curiosi per natura, ragazzo mio, sono certo che il tuo
studio sarà al tempo stesso una piacevole scoperta ed un piacevole
intrattenimento per il nostro Harry”.
“E’ esattamente quello che temo in secondo luogo, no, assolutamente no. Ho
bisogno di concentrazione per preparare le mie pozioni ed ho dei doveri
come insegnante in questa…”
“Certamente potrai aspettarti il nostro aiuto, non richiederemo mai da te
più di quanto tu non possa dare al momento. Ragazzo mio, insegni in questa
scuola da diversi anni ormai, conosci i programmi di studio delle tue
classi perfettamente ed hai sempre svolto un eccellente lavoro”.
“Esattamente in nome di questo eccellente lavoro che intendo continuare a
svolgere, Albus, non posso occuparmi del figlio dei Potter”.
“Sono costretto a chiederti ancora una volta di rivedere la tua posizione
sull’argomento Severus – una lunga, sofferente nota di silenzio – il
bambino non ha un posto sicuro dove andare… esattamente come te quando sei
arrivato qui da noi…”
Snape mascherò lo stupore socchiudendo minacciosamente lo sguardo.
‘Dalla colpa passiamo alla riscossione dei debiti, Albus…?’
Il giovane maestro di Pozioni cercò di protrarre il silenzio il più a
lungo possibile. Ma avvertiva comunque la sconfitta avvicinarsi.
Si alzò per congedarsi prima del colpo di grazia.
Spietatamente Dumbledore lo richiamò un attimo prima di raggiungere
l’agognata porta.
“Caro ragazzo, mi aspetto buone notizie da te questa sera a cena, in caso
tu decida di accettare ovviamente avrai il mio appoggio e quello di tutti
gli altri insegnanti, nonché la nostra gratitudine, la mia e quella di
Lily”.
Perché stupirsi e rattristarsi? Aspettava quest’ultima, ingiusta,
coltellata dall’inizio della loro conversazione. Senza provare niente
Severus Snape uscì, accomiatandosi con un leggero cenno del capo.
Il primo giorno di scuola era finalmente finito. Il piccolo Harry stava
lavando i piatti e pensava che almeno a mensa aveva mangiato un paio di
bocconi prima che Dudley gli facesse cadere il piatto per terra. Quella
mattina era stato svegliato prestissimo e costretto a pulire e lavare e
preparare la colazione e lucidare tutte le scarpe prima di andare a
scuola. Si era quasi addormentato durante la prima lezione di tutta la sua
vita e la maestra non ne era rimasta contenta, ma almeno non lo aveva
escluso dalla gita del giorno dopo. Harry quasi sorrise. I delfini!!
Sarebbero andati a vedere dei delfini veri. Era così eccitato al pensiero
che non gli importava nemmeno di dover lavare tutte le pentole della
cucina. Avrebbe visto i delfini!! Wow!!
Non si sentì triste nemmeno quando Zia Petunia lo portò nell’ingresso a
pulire alcuni dei giocattoli sporchi di cioccolata di Dudley. Alle volte
sua zia lo costringeva a lucidare i giochi di suo cugino, e questo lo
rendeva sempre molto infelice, perché sapeva che lui non ne avrebbe mai
avuti e che non gli era, e non gli sarebbe mai stato, permesso di usarli.
Sua zia rimaneva sempre con lui tutto il tempo per sorvegliarlo ed essere
certa che li pulisse soltanto, senza giocarci.
Fu allora che accadde. La porta si spalancò ed entrarono due uomini.
Sconosciuti, alti, sì, talmente alti che il piccolo Harry, seduto lì
nell’ingresso fra i giocattoli di Dudley, dovette piegarsi quasi
all’indietro ed alzare la testa fino a sentir male prima di riuscire a
vederne le facce.
Uno di loro aveva un occhio stranissimo, che girava come una trottola.
Zia Petunia lanciò un piccolo urlo isterico e subito Zio Vernon apparve
dal salotto. I due uomini indicarono proprio Harry e dissero qualcosa sull
‘andare via subito’ e sul ‘portare con sé’.
Paralizzato dalla paura il piccolo Harry dimenticò persino di respirare e
solo questo gli impedì di urlare quando si sentì sollevare da terra.
‘No, no!’ pensò Harry, non voleva, non voleva assolutamente. L’uomo con
gli occhi normali lo aveva afferrato per la vita, tenendolo stretto al
proprio fianco, una delle grosse mani premuta a forza proprio sul suo
stomaco, per farlo stare fermo. Faceva così male!
‘No, i delfini, non voglio andare via, voglio vedere i delfini domani, i
delfini!’ ma non disse niente di tutto questo.
In atterrito silenzio Harry rimase immobile contro l’uomo, il braccio
sinistro che penzolava verso terra di quei pochi, dolorosissimi,
centimetri, come l’arto di una bambola rotta e vecchia, pronta ad essere
portata fuori e gettata via. Gli occhi verdi e umidi, enormi sul viso
pallido e scarno. Aperti all’inverosimile contro l’orrore di quel ‘rapimento’.
‘Per favore, per favore, per favore…’ supplicava nella sua testa.
Ma nessuno aveva tempo per ascoltare il canto silenzioso della sua paura.
Harry non avrebbe mai visto i delfini.
Ed era, ancora e soltanto, un’altra delle cose ingiuste nella sua vita.
Continua...
Nota grammaticale: per mia
decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri
di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi,
non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche
perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’.
Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di
ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
Albus Dumbledore:
Albus Silente;
Severus Snape: Severus Piton;
Minerva McGonagall: Minerva McGranitt;
Madam Poppy Pomfrey: Madama Chips;
Sibyll Trelawney: Sibilla Cooman.
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