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Autore: MelKaine    11/12/2007    13 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of Everything 2
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Eccomi qui, se mi riuscisse di non essere costantemente in ritardo con tutto ciò che riguarda la mia esistenza spererei di aggiornare ogni martedì, così, senza motivi particolari eccetto che trovo che il martedì sia un gran bel giorno. Ovviamente avrò bisogno di supporto, fatemi sapere se volete che qualcosa in particolare accada in questa storia o se pensate che qualcosa debba essere corretto. Adesso un ringraziamento a chi mi ha letto e a chi mi ha commentato. In particolare Tigre94, Kagomechan a cui confesso che la riflessione su una cosa orrenda come gli abusi sui minori E' stato il punto di partenza di questa storia, Seilen91, Lilica e Ilary. Grazie di cuore.

 

Mel Kaine

 

 

Nota grammaticale importante: in fondo.

 

 

The Heart of Everything

 

 

Capitolo 2 - / Unfair /




La signora Figg camminava piegata a terra, guardando sotto macchine e siepi, attirando la curiosità della vecchietta della villetta accanto. Quando la tendina si richiuse la signora Figg stava ancora perquisendo Privet Drive alla ricerca di Otis. Piccolo randagio ribelle, le era sfuggito fra le mani mentre finiva di curarlo ed era balzato via dalla finestra socchiusa. Non era che un quarto alle dieci e già il freddo era sceso nel Surrey. La signora Figg non si voleva arrendere. Prima di considerarsi sconfitta avrebbe perlustrato tutto il quartiere. Lentamente passò davanti ogni casa, infilando testa e cappello attraverso le siepi. Arrivò al numero quattro e nell’incerta luce dei lampioni lontani vide una piccola figura nascondersi vicino ai sacchetti della spazzatura. Si avvicinò per guardare meglio e riconobbe il piccolo Potter. Cosa ci faceva fuori di casa a quell’ora? Non era tardissimo, ma era comunque già passata l’ora di andare a letto. Il bambino sembrava guardingo e fissava la finestra, mentre si faceva sempre più piccolo contro i sacchetti. Davvero, quei Dursley! ‘Dovrebbero sorvegliarlo meglio ed educarlo un po’ di più! – si disse – Permettergli di giocare a nascondino fino a quest’ora…’
Dumbledore non sarebbe stato felice di sentire questa notizia, quei muggle non era adatti a proteggere Harry Potter, il bambino sopravissuto. Erano troppo permissivi e maldestri. Non si lasciava giocare un bimbo così piccolo fino a tardi e con questo freddo. La signora Figg riprese la sua ricerca, scuotendo la testa. Avrebbe osservato quello che accadeva al numero quattro per qualche altra settimana, poi avrebbe fatto il suo rapporto al capo dell’Ordine della Fenice.


Zio Vernon era davvero infuriato. Il piccolo Harry di nuovo non capiva cosa avesse fatto. Sapeva solo che il viso dell’uomo era rosso come il fuoco e che sicuramente dopo sarebbe stato picchiato con forza. Desiderava con tutto se stesso scappare e nascondersi, persino in cantina, tutto, ma non rimanere lì. Eppure rimase fermo. Anche la faccia di sua zia non prometteva niente di buono.

“Bastardi impiccioni! Sempre a fare i conti in tasca agli onesti lavoratori”.

“Non possiamo ignorare la loro richiesta, Vernon tesoro?”cercò di calmarlo la donna.
“No, sanno che il mostriciattolo vive con noi e per la maledettissima legge scritta qui dobbiamo mandarlo a scuola… questo significa altri soldi spesi per lui, soldi tolti a noi e al nostro Dud. Non riesco a tollerarlo, Petunia!!!”

Scuola?Il piccolo Harry cercò di tenere la sua sorpresa per sé. Non alzò gli occhi da terra nemmeno quando avvertì il fiato orrendo di suo zio vicino al collo. Non osava mai guardarlo, a meno che non fosse direttamente interpellato.

“Lo vedi cosa siamo costretti a fare per te, ingrato piccolo sgorbio? Ci costerai un sacco di soldi e di tempo! Altro che scuola, il canile è il posto adatto a te! Affogato come dice Zia Marge, quella sì che sarebbe stata un’ottima soluzione”.

E si mise a percorrere la stanza in grandi, furibondi passi prima di fermarsi di nuovo accanto ad Harry, incombendo su di lui come un avvoltoio malvagio. Ecco, adesso l’avrebbe portato vicino alle scale e picchiato e poi sbattuto dentro al sottoscala. Harry sentì il proprio corpo tendersi ed irrigidirsi, pronto al dolore, come ogni volta.

Ma niente.

“Vernon caro, non dovresti adesso che…”

L’uomo emise un ringhio frustrato.
“Lo so, la scuola del nostro Dudley è piena di maestre impiccione, non possiamo lasciare che sospettino… lo manderemo lì fra poco meno di un mese… il tempo di rendere il bastardello presentabile”.

Poi si volse verso Harry.
“Ma non pensare di cavartela così, ragazzo. Verrai punito severamente se non ubbidirai. Intanto risparmia sul cibo Petunia, una crosta di qualcosa ogni pochi giorni è più che sufficiente. E fallo lavorare mentre non ci sono. Anche la notte. Stasera ti occuperai del giardino, togli le erbacce e sistema le aiuole o domattina sarà peggio per te. Intesi, ragazzo?”

“Sì signore”.

“E adesso fuori, chiudi la porta Petunia, a chiave”.



E così ogni notte in quelle tre settimane Harry sistemava il giardino. Non veniva più picchiato troppo forte, ma questo non significava che stesse meglio. Un paio di volte vide di nuovo la signora che abitava in fondo alla strada, quella che girava sempre circondata di gatti. Ma non aveva tempo per guardarla, doveva finire in fretta ogni sera oppure non avrebbe avuto niente da mangiare, nemmeno il pezzo ammuffito di formaggio o l’osso di pollo che riceveva ogni tre giorni, e Zia Petunia lo avrebbe chiuso in cantina. Alle volte Dudley lo infastidiva mentre Harry puliva il salotto o le scale e gli raccontava tutte le storie dell’orrore che guardava in televisione, in particolare quelle sui fantasmi delle cantine e quella orribile della spugna per lavare i piatti che aveva gli occhi e mordeva ed era impossibile da uccidere. E così ogni volta che Harry doveva lavare i piatti adesso guardava la spugna con paura e cercava di sbrigarsi e di tenerla in mano il meno possibile. Non era più riuscito a piegare il braccio sinistro e non lo poteva nemmeno alzare, se non di un paio di decine di centimetri. Ma almeno non faceva quasi più male. In quei giorni lavorava in casa dall’alba al tramonto, poi serviva la cena e puliva ed infine si occupava del giardino, fin quasi al mattino. Certe volte era così stanco da addormentarsi contro il bordo del lavello, ma uno schiaffo di sua zia riusciva sempre a svegliarlo. Altre volte invece non faceva bene quello che gli veniva detto perché nessuno gli spiegava come funzionavano alcune cose. Due pomeriggi fa, per esempio, stava pulendo dietro al televisore e senza saperlo aveva tirato uno di quei cosi neri che spuntavano da dietro la tv e l’immagine era andata via. Dudley aveva strillato come un matto e quando Zio Vernon era tornato Harry era stato picchiato e messo in cantina tutta la notte. Rannicchiato sul gradino più vicino alla porta non aveva dormito neanche un minuto, spaventato fino alle lacrime da ogni suono che veniva da basso.

Ma un pensiero ogni tanto gli appariva nella testa ed il piccolo Harry non poteva fare a meno di accarezzarlo gentilmente, con un po’ di gioia. Presto sarebbe andato a scuola… wow, con tanti altri bambini, con le maestre e tutto il resto. Una scuola vera, con i disegni ed i libri. E di nuovo la sua fantasia galoppava. Avventure fantastiche con i suoi nuovi amici, nel parco giochi di cui spesso Dudley aveva parlato. Avrebbe imparato i nomi di tutte le cose e forse avrebbe capito un po’ di più il mondo e si sarebbe potuto comportare meglio ed i suoi zii non lo avrebbero più picchiato così tanto. Sì, forse sarebbe stato bello andare a scuola e diventare finalmente un bravo bambino.



La signora Figg scosse di nuovo la testa, costernata. Urgeva contattare Dumbledore. Ormai erano passati fin troppi giorni. Rientrata in casa si diresse al focolare per chiamare il mago a capo dell’Ordine e consegnare il suo rapporto mensile a voce. La testa del preside di Hogwarts spuntò fra le fiamme.

“Signora Figg, cara amica, mi dica pure”.

“Signor Preside, mi dispiace informarla che i muggle a cui è stato affidato il piccolo Potter non sono persone di cui fidarsi”.

“Spiegatemi perché, cara signora Figg…”

“Sono troppo indulgenti, Preside, non prestano attenzione. Lasciano il bambino a giocare fuori nel giardino tutto il tempo, anche la notte. Riuscirei a rapirlo persino io, pensi ad uno dei servi di Voi-sapete-chi… no, no, Harry non è al sicuro. Il piccolo Potter è troppo esuberante, l’ho visto correre assieme al cugino in mezzo alla strada, senza nessun adulto accanto, ci vuole qualcuno che sappia controllarlo e disciplinarlo un po’. Almeno questo è quello che penso, se le interessa il mio parere, signore”.

Dumbledore rimase in silenzio per un lungo momento.
“Grazie mille signora Figg per il suo lavoro, avrò modo di riflettere su quanto mi ha rivelato stasera assieme ad alcuni membri dell’Ordine e molto presto le farò sapere. Buonanotte”.

E detto questo sparì fra le fiamme.
Soddisfatta d’aver compiuto il proprio dovere la signora Figg si sedette sul divano con in braccio uno dei suoi gatti e rimase a pensare a tutto e a niente per un po’.



Il piccolo Harry davvero voleva che il primo giorno di scuola non arrivasse mai più. Dudley lo aveva visto un po’ più felice qualche pomeriggio prima ed era riuscito a capire che era per la scuola e subito gli aveva fatto intendere che niente sarebbe cambiato, neanche lì, non se lui poteva fare qualcosa al riguardo. Aveva chiamato i suoi amici, tutti futuri compagni nella sua classe, e lo aveva inseguito in bici per tutto il quartiere, cercando di investirlo. Subito dopo lo avevano quasi preso a calci e gli avevano tirato addosso i coni gelato mezzi finiti che avevano in mano. Se questo era quello che lo aspettava a scuola, tutte le mattine, il piccolo Harry non era più così sicuro di volerci andare.
Adesso era di nuovo in cantina, ed aveva così paura al buio che il suo cuore batteva continuamente, come un ronzio. L’umido passava attraverso i buchi della sua maglietta ed il vento saliva dal basso, assieme a suoni spaventosi e cupi. Un asse che cigolò improvvisamente lo fece sobbalzare, per la ventesima volta cercò di farsi il più piccolo possibile contro lo stipite inferiore della porta. Un’altra notte sveglio e tremante. E la pancia aveva ripreso a fargli veramente male in quella settimana. Forse era la fame. Oltre un piccolo osso di coniglio mezzo masticato non aveva avuto altro in quattro giorni. Chinò la piccola testa sulle ginocchia e si disse che forse era tutta una punizione per la morte dei suoi genitori. In fondo sapeva bene com’era successo e non si aspettava di passarla liscia. Senza un suono lasciò cadere qualche lacrima, i rumori dal basso sembravano fantasmi e quando la stanchezza vinceva per pochi minuti incubi orrendi lo avvolgevano e nessuna fantasia, né sogno ad occhi aperti, riusciva a salvarlo dal terrore di svegliarsi solo e al buio.






Dumbledore posò la tazza di tè che stava sorseggiando sul piattino accanto a quella di Minerva.
“Temo, mia cara, che non ci sarà possibile ignorare le sconcertanti notizie della signora Figg”.

“Detesto prendermi la ragione, Albus, ma ti ho ripetuto molte volte quanto trovassi insensata l’idea di lasciare il piccolo Harry in compagnia di quei muggle, come si poteva sperare che gente di quella levatura comprendesse l’importanza della salvaguardia del figlio dei Potter?”

“Il sangue, Minerva, a quel tempo contava più delle mie speranze o della loro levatura. Tuttavia mi aspettavo che prima o poi qualcosa giungesse a turbare la pace della mia precedente disposizione”.

L’uomo agitò la bacchetta versando un’altra tazza alla strega prima di servirsi a sua volta.

“Dunque intendi intervenire? Ma come pensi di risolvere il problema? Dove manderemo il piccolo Potter? Con chi?”

Il vecchio mago non rispose, si lisciò la lunga barba per qualche infinito momento, ripetendo le parole ‘un po’ di disciplina’ prima di sollevare due occhi luminosi sulla donna che gli stava di fronte.

Minerva sorrise, sollevando graziosamente un sopracciglio.

“Conosco quello sguardo Albus, tu hai già in mente una persona e sento che oggi qualcuno verrà gentilmente costretto a fare qualcosa che non vuole assolutamente”.

“Oh, non temere, mia cara, alla fine, non so come, riesco sempre a vincere io”.

“So anche questo, Albus, so anche questo…”


Pochi minuti dopo un discreto bussare interruppe i saluti che la coppia di anziani maghi si stava scambiando. Severus Snape entrò nell’ufficio dietro invito del Preside, mentre Minerva McGonagall usciva silenziosamente, sospirando per il povero nuovo arrivato.

“Ah Severus, ragazzo mio – lo accolse benevolo indicandogli una sedia – una parola se non ti dispiace…”




Harry si rigirava penosamente sullo straccio per pulire che stava usando come materasso. Quella sera era stato molto fortunato. I suoi zii gli avevano permesso di dormire nel sottoscala. Forse era perché l’indomani cominciava la scuola. Non aveva più il vento freddo o i rumori nel buio della cantina a tenerlo sveglio, ma pensare di riposarsi era impossibile. Non con quel dolore alla pancia. Durante il giorno era diventato sempre più forte e adesso era praticamente insopportabile, non poteva nemmeno sfiorarsi lo stomaco. Cercò di tenersi al caldo appoggiandoci le piccole manine vicino, ma non riusciva proprio a risolvere niente, lasciò cadere un paio di lacrime intrattenibili. Non gli piaceva piangere, quando poteva non lo faceva. Aveva sempre una gran sete dopo ed in momenti come quelli, chiuso a chiave fino al mattino, senza sapere quando avrebbe potuto bere di nuovo, non era una cosa buona. E poi quando si asciugava la faccia finiva ogni volta per impiastricciarsi completamente perché aveva sempre le mani sporche di terra o di polvere. E poi quelle poche volte che si lasciava sfuggire un singhiozzo sentiva un sacco di fitte terribili, tutte insieme. No, non gli piaceva per niente piangere, ma alle volte era così impossibile non farlo, non lasciarsi andare. Il pavimento era gelato e sudicio e lo straccetto lo proteggeva solo dal petto alle ginocchia. Era sempre tutto buio, ma almeno lo spazio era piccolo e non c’erano strani suoni. Harry socchiuse gli occhi. Adesso era nel profondo del mare, dove tutto era scuro e freddo, ma lui doveva nuotare verso il fondo e trovare la grotta nascosta fra le alghe. Dentro c’era il tesoro più bello che il piccolo Harry riusciva ad immaginare. Coperte e giocattoli e cibo, tanto, tantissimo cibo. E l’aria nella grotta era più calda e sapeva di … (Harry non sapeva che odore avesse una grotta marina, quindi decise che sarebbe stato odore di pesce e terra). Era quasi arrivato, ma un polipo enorme non voleva farlo passare, allora il piccolo Harry tirò fuori un bastone per metterlo in fuga. Però lo colpì piano, perché sapeva che il bastone faceva davvero male e non gli andava che il polipo soffrisse anche se era cattivo. Ce l’aveva fatta! Adesso poteva prendere tutto quello che voleva. C’erano così tante cose buone che non sapeva da dove cominciare…

E non cominciò affatto. Il rumore furioso della porta del sottoscala che si apriva e le mani grosse e violente di suo zio lo tirarono fuori dal suo dolce dormiveglia. Era già ora di tornare a lavorare? Il sole non era nemmeno sorto…







“No, Albus. Nella maniera più assoluta, no!” replicò con veemenza il maestro di Pozioni.

“Non intendi nemmeno considerare per un attimo la mia proposta, Severus?”

“Assolutamente no” ripeté con convinzione il giovane uomo dai capelli neri.

Dumbledore sospirò insoddisfatto.

“Capisci bene che non possiamo più lasciare il piccolo Harry nella sua attuale residenza…”

“Indubbiamente. Ma non vedo come il fatto che aver scoperto che quegli stupidi ed inetti muggle sono appunto tali debba concernermi. Il giovane Potter verrà certamente accolto come una divinità in qualsiasi famiglia di maghi lo manderai, Albus, con l’unica eccezione dei Malfoy, si intende”.

“Suvvia Severus, non reprimere il tuo ingegno per tentare di ingannare un povero vecchio, sai molto bene che l’unico luogo sicuro per Harry è qui, ad Hogwarts. Non posso mettere a rischio nessuna delle brave famiglie di maghi che conosco”.

“Ancora una volta non vedo come questo debba riguardarmi, non sono l’unico abitante di questo castello. Sicuramente Madam Pomfrey o Madam Trelawney o…”

“Sì, sì, due dame deliziose, invero, ragazzo mio, ma mi duole ammetterlo, non adatte. Madam Pomfrey ha sempre molti pazienti e non posso sottrarle altro tempo prezioso e Sibyll… Sibyll, beh, comprendi bene che non sarebbe una scelta, come dire… adeguata”.

Il vecchio mago offrì nuovamente del tè, che Snape rifiutò con un gesto cortese della mano.

“Posso suggerire…Minerva?”insisté il maestro di Pozioni.

Albus sospirò ancora, affogando il suo improvviso dispiacere in un lungo sorso di delizioso tè bollente.

“Non posso ammettere di non aver pensato a lei, caro ragazzo, ma al momento non posso consentirle di esacerbare ancora di più le precarie condizioni di salute in cui giace. Quel maleficio alla fine della prima guerra contro i seguaci di Voldemort le ha lasciato molti problemi e nonostante siano passati quasi sei anni ancora ne risente, benché si sforzi con caparbietà di non darlo a vedere… sono certo che se le chiedessi di occuparsi del giovane Harry accetterebbe con gioia. Devo davvero arrivare a questo punto, Severus? Dimmi, non ho davvero altra scelta?”

Snape sostenne lo sguardo del Preside senza battere ciglio.
Sapeva che Albus stava giocando l’ultima carta.
‘Non riuscirai a farmi sentire in colpa, bisogna avere un cuore per sentirsi in colpa, Albus, ed io non ne ho uno da molto, molto tempo…’ pensò con amarezza.

Severus sedette nuovamente, ben dritto davanti al ‘nemico’.
Anche lui, da parte sua, aveva ottimi, validi argomenti.


“Albus, non vorrai davvero farmi credere che preferiresti veder crescere il giovane Potter nel mio studio, in mezzo ai fumi delle pozioni, fra recipienti pieni di cose rivoltanti e…”

Gli occhi di Dumbledore si illuminarono in modo preoccupante mentre lo interrompeva.

“Oh, i bambini sono curiosi per natura, ragazzo mio, sono certo che il tuo studio sarà al tempo stesso una piacevole scoperta ed un piacevole intrattenimento per il nostro Harry”.

“E’ esattamente quello che temo in secondo luogo, no, assolutamente no. Ho bisogno di concentrazione per preparare le mie pozioni ed ho dei doveri come insegnante in questa…”

“Certamente potrai aspettarti il nostro aiuto, non richiederemo mai da te più di quanto tu non possa dare al momento. Ragazzo mio, insegni in questa scuola da diversi anni ormai, conosci i programmi di studio delle tue classi perfettamente ed hai sempre svolto un eccellente lavoro”.

“Esattamente in nome di questo eccellente lavoro che intendo continuare a svolgere, Albus, non posso occuparmi del figlio dei Potter”.

“Sono costretto a chiederti ancora una volta di rivedere la tua posizione sull’argomento Severus – una lunga, sofferente nota di silenzio – il bambino non ha un posto sicuro dove andare… esattamente come te quando sei arrivato qui da noi…”

Snape mascherò lo stupore socchiudendo minacciosamente lo sguardo.
‘Dalla colpa passiamo alla riscossione dei debiti, Albus…?’

Il giovane maestro di Pozioni cercò di protrarre il silenzio il più a lungo possibile. Ma avvertiva comunque la sconfitta avvicinarsi.
Si alzò per congedarsi prima del colpo di grazia.
Spietatamente Dumbledore lo richiamò un attimo prima di raggiungere l’agognata porta.

“Caro ragazzo, mi aspetto buone notizie da te questa sera a cena, in caso tu decida di accettare ovviamente avrai il mio appoggio e quello di tutti gli altri insegnanti, nonché la nostra gratitudine, la mia e quella di Lily”.

Perché stupirsi e rattristarsi? Aspettava quest’ultima, ingiusta, coltellata dall’inizio della loro conversazione. Senza provare niente Severus Snape uscì, accomiatandosi con un leggero cenno del capo.





Il primo giorno di scuola era finalmente finito. Il piccolo Harry stava lavando i piatti e pensava che almeno a mensa aveva mangiato un paio di bocconi prima che Dudley gli facesse cadere il piatto per terra. Quella mattina era stato svegliato prestissimo e costretto a pulire e lavare e preparare la colazione e lucidare tutte le scarpe prima di andare a scuola. Si era quasi addormentato durante la prima lezione di tutta la sua vita e la maestra non ne era rimasta contenta, ma almeno non lo aveva escluso dalla gita del giorno dopo. Harry quasi sorrise. I delfini!! Sarebbero andati a vedere dei delfini veri. Era così eccitato al pensiero che non gli importava nemmeno di dover lavare tutte le pentole della cucina. Avrebbe visto i delfini!! Wow!!

Non si sentì triste nemmeno quando Zia Petunia lo portò nell’ingresso a pulire alcuni dei giocattoli sporchi di cioccolata di Dudley. Alle volte sua zia lo costringeva a lucidare i giochi di suo cugino, e questo lo rendeva sempre molto infelice, perché sapeva che lui non ne avrebbe mai avuti e che non gli era, e non gli sarebbe mai stato, permesso di usarli. Sua zia rimaneva sempre con lui tutto il tempo per sorvegliarlo ed essere certa che li pulisse soltanto, senza giocarci.

Fu allora che accadde. La porta si spalancò ed entrarono due uomini. Sconosciuti, alti, sì, talmente alti che il piccolo Harry, seduto lì nell’ingresso fra i giocattoli di Dudley, dovette piegarsi quasi all’indietro ed alzare la testa fino a sentir male prima di riuscire a vederne le facce.
Uno di loro aveva un occhio stranissimo, che girava come una trottola.

Zia Petunia lanciò un piccolo urlo isterico e subito Zio Vernon apparve dal salotto. I due uomini indicarono proprio Harry e dissero qualcosa sull ‘andare via subito’ e sul ‘portare con sé’.

Paralizzato dalla paura il piccolo Harry dimenticò persino di respirare e solo questo gli impedì di urlare quando si sentì sollevare da terra.
‘No, no!’ pensò Harry, non voleva, non voleva assolutamente. L’uomo con gli occhi normali lo aveva afferrato per la vita, tenendolo stretto al proprio fianco, una delle grosse mani premuta a forza proprio sul suo stomaco, per farlo stare fermo. Faceva così male!

‘No, i delfini, non voglio andare via, voglio vedere i delfini domani, i delfini!’ ma non disse niente di tutto questo.

In atterrito silenzio Harry rimase immobile contro l’uomo, il braccio sinistro che penzolava verso terra di quei pochi, dolorosissimi, centimetri, come l’arto di una bambola rotta e vecchia, pronta ad essere portata fuori e gettata via. Gli occhi verdi e umidi, enormi sul viso pallido e scarno. Aperti all’inverosimile contro l’orrore di quel ‘rapimento’.

‘Per favore, per favore, per favore…’ supplicava nella sua testa.

Ma nessuno aveva tempo per ascoltare il canto silenzioso della sua paura.
Harry non avrebbe mai visto i delfini.
Ed era, ancora e soltanto, un’altra delle cose ingiuste nella sua vita.

 

 

 

 

Continua...

 

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.

Albus Dumbledore: Albus Silente;
Severus Snape: Severus Piton;
Minerva McGonagall: Minerva McGranitt;
Madam Poppy Pomfrey: Madama Chips;
Sibyll Trelawney: Sibilla Cooman.
 

   

   
 
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