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Autore: Libra Prongs    26/05/2013    6 recensioni
Lui la cerca, la trova, la stringe a sé.
Lei si lascia trovare, si lascia stringere, si lascia baciare.
Ed è come cadere.
Lui non riesce a ricordare, lei si impone di dimenticare.
E fuori c'è una guerra che sconvolge dentro e non risparmia nessuno.
[James/Lily - Remus/Sirius - Sirius/Marlene]
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#Dal cap. 3: «Signor Lupin, mi meraviglio di lei. Sta diventando un ragazzaccio».
#Dal cap. 4: «Che te ne fai della Rapa? Dovresti svolazzare di fiore in fiore, mio giovane amico… ah, gioventù bruciata!» sospirò Sirius, melodrammatico.
#Dal cap. 6: «Un momento: stai dicendo che hai rinunciato a un goal assicurato con l’altra per un semplice allenamento con Marlene McKinnon? Mi deludi, Pad».
#Dal cap. 8: «È già la seconda volta in pochi giorni che mi cerchi di tua spontanea volontà, Evans. Devo forse pensare che tu abbia finalmente colto l’enorme potenziale romantico della nostra relazione?»
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily, Remus/Sirius, Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'James e Lily-L'Amore conta '
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Capitolo VIII 
Scontri e incontri.

Pioveva. No, diluviava, il cielo straripava acqua senza accennare a smettere e la pioggia frustava furiosa i vetri, sovrastando senza alcuna difficoltà la vocina del professor Vitious, che già faticava normalmente a conquistare l’attenzione dei suoi studenti.

«Questo incantesimo» stava dicendo, urlando a pieni polmoni dalla cattedra soprelevata «rientra tra i più complessi da eseguire e non è alla portata di chiunque».

La classe sembrava più distratta del consueto, ma il minuto mago non vi badava.

«Tuttavia, è inserito nei programmi ministeriali ed è molto alta la probabilità che sia oggetto di una delle prove dei M.A.G.O. Parlo della teoria, ovviamente: nessuno chiederebbe a dei maghi diciassettenni di praticare un Incantesimo di Memoria, data la sua difficoltà. Il Ministero stesso, come mi auguro sappiate, dispone di una squadra speciale di Obliviatori esperti ai quali ricorre nei casi di estrema necessità… Sì, mi dica, signor Lupin».

Remus aveva alzato la mano, sventolandola un paio di volte prima che il professore lo notasse, dal basso della propria statura — malgrado la cattedra fosse posta su un palchetto, infatti, Vitious non raggiungeva l’altezza media di uno studente seduto.

«Professore, mi scusi, è vero che il soggetto che subisce un Oblivion malriuscito può presentare danni permanenti?» domandò, interessato.

Dal suo posto in prima fila, Lily sentì il cuore perdere qualche battito. Si costrinse a rimanere impassibile, ma l’argomento non glielo consentiva. Il terrore di aver commesso qualche sbaglio nell’incantesimo scagliato su Potter non l’aveva mai del tutto abbandonata ed era secondo soltanto al senso di colpa che l’avrebbe attanagliata a vita se il ragazzo avesse subito gravi effetti collaterali. Quando aveva saputo dello svenimento improvviso aveva temuto il peggio, ma non sembrava che il suo cervello ne avesse risentito: era rimasto l’idiota di sempre, l’Oblivion non aveva sottratto altra materia grigia a quella già scarsa che possedeva e il tarlo del rimorso di Lily si era pian piano rimpicciolito. 
La lezione di Vitious lo ingigantì all’istante. 
Lily non osava pensare a cosa avrebbe fatto se Potter, per qualche inconcepibile motivo, avesse un giorno ricordato l’episodio che lei aveva con tanta cura rimosso dalla sua memoria…

«Vede, signor Lupin, molto dipende da cosa s’intende per “malriuscito”. Quello di Memoria è un incantesimo delicato e invasivo, che intacca una sfera piuttosto intima della psiche di chi lo subisce, ma anche di quella di colui che lo pratica. La lucidità e la capacità di svuotare la mente prima di cimentarsi in un Oblivion sono presupposti fondamentali per la buona riuscita dell’incantesimo; ecco perché gli Obliviatori professionisti seguono corsi avanzati di preparazione. Tutto sommato, per rispondere alla sua domanda, direi che commettere un errore in questo tipo di magie può rivelarsi oltremodo dannoso. Per esempio,può provocare demenza precoce».

Lily sbirciò impercettibilmente in direzione di Potter, incapace di trattenersi, e lo vide mimare con le dita un duello all’ultimo sangue contro la matita di Sirius: quella sì che era demenza allo stato puro, ma non era affatto recente; il povero Potter doveva averla congenita.

«Per non parlare delle Confusioni, quelle sono piuttosto frequenti e di solito gli effetti si manifestano a lunga distanza» concluse il professore.

Remus annuì e Lily attese che ponesse la domanda che la assillava — È possibile che gli effetti di un Oblivion svaniscano autonomamente per qualche ragione? —  ma lui non lo fece. Si limitò a scribacchiare qualche appunto e Vitious cambiò argomento, addentrandosi in spiegazioni tecniche sul movimento del polso e sulla condizione mentale consona alla riuscita di un ottimo Incantesimo di Memoria.

«Per cominciare, è consigliabile non essere coinvolti emotivamente, a meno che non si disponga di grande tempra…»

Lily sbuffò. La sensazione di aver compiuto qualche passo falso e che Potter potesse riacquisire la memoria le ripiombò addosso, alitandole sul collo minacciosa e implacabile.
 

◊◊◊

«Ehi».

«James?»

Remus accolse l’amico con sorpresa, riponendo sul tavolo il grosso tomo che stava spolverando. James starnutì quando la nuvoletta di polvere che si sollevò gli solleticò le narici.

«Che ci fai qui?»

«Mah, cercavo una lettura istruttiva. Cosa mi consigli?» chiese, passando in rassegna le coste dei numerosi volumi disposti sugli scaffali.

Remus alzò un sopracciglio, riprendendo il suo compito. Ogni terzo giovedì del mese, gli studenti del Club di lettura si dedicavano alla manutenzione della biblioteca sotto la rigorosa supervisione di Madama Pince e quel pomeriggio toccava a lui occuparsi di spolverare la sezione di Erbologia.

«Già, come ho fatto a non pensarci? Ti suggerisco questo» disse, estraendo un grosso libro dallo scaffale e mollandolo tra le braccia di James.

«Piantala: Mille consigli sulla cura dei vostri germogli, di Rinolfus Mollitur. Interessante scelta, Remus, direi che hai fiuto per queste cose».

«Già, ma piantala davvero. Vuoi dirmi qualcosa?»

Remus si lasciò cadere stancamente su una panca, sfogliando distrattamente Carnivore – Sono davvero come le descrivono? e rivolgendo a James un’occhiata eloquente.

«Io? Certo che n—. Volevo sapere come stai» disse James, facendosi serio.

Prima di ogni plenilunio sperava che Remus non soffrisse più del solito, che presto o tardi quelle notti maledette potessero diventare anche per lui semplici momenti per scorrazzare tra l’erba alta e obliare i problemi di nascosto da tutti. Ma tutte le volte era costretto a fare i conti con la realtà, con la consapevolezza che il problema di Remus fosse esattamente il doversi nascondere da tutti per qualcosa che non dipendeva dal proprio volere; tutte le volte stringeva i denti e caricava le corna pronto a scagliare il lupo lontano, lontano, come se quello potesse servire a svincolarlo dal suo destino; tutte le volte si odiava un po’ perché, a differenza sua o di Sirius o di Peter, Remus non aveva scelta, la trasformazione non era e non sarebbe mai stata volontaria. A James veniva naturale mostrarsi forte, sentirsi il leader di quella cricca sgangherata, offrire la spalla a ciascuno di loro e sorreggerli sul suo robusto palco di corna da re della foresta. Ma non era mai facile, dopo, sollevare Sirius dal baratro della rabbia, né Peter da quello dell’impotenza, né Remus da quello del dolore. Né se stesso dalla paura del fallimento.

«Meglio» sospirò Remusa testa bassa, «ma non occorreva che ti preoccupassi. Ho abbandonato le velleità suicide, se è questo cheti preoccupa. Almeno per ora» sorrise, rassicurante.

James gli diede un buffetto sulla spalla.

«Sei davvero idiota».

«Ti voglio bene anch’io, James».

◊◊◊

«Dove diavolo è finito James?»

«Non lo so, era in Sala Comune l’ultima volta che l’ho visto» rispose Frank. «Stasera ci sei agli allenamenti?»

Sirius scosse la testa.

«E perché?»

«Ho un problema alla spalla, la Chips mi ha detto di evitare movimenti bruschi e cose simili» spiegò, annoiato, sperando che Frank non indagasse ulteriormente.
Era già complicato accertarsi che non sospettasse nulla a ogni luna piena, quando sgattaiolavano con Remus fuori dal castello; fargli presente che la ferita in questione gli fosse stata procurata da un Lupo Mannaro col quale condivideva il dormitorio sarebbe stato alquanto sconcertante.

«Ah, capisco. Segui Divinazione?» s’informò, raccattando i libri per la lezione.

Quante domande, Frank.

«Non oggi, no. Peter è già lì, però» tagliò corto Sirius, salutandolo con un cenno.

Il corridoio era moderatamente affollato. Vicino a una finestra intravide i lunghi capelli scuri di Marlene McKinnon e a quel punto fece dietrofront: non aveva molta voglia di parlare, neppure con la bella Corvonero. Era uno di quei giorni uggiosi, in cui al mattino si svegliava col piede sbagliato e di sera andava a letto anche più nervoso. Allo stato d’animo già burrascoso, poi, si aggiungeva il fastidio alla spalla che, seppur lieve, lo pungolava ancora estendendosi di tanto in tanto al braccio. Un allenamento di Quidditch sarebbe stato davvero  un toccasana per l’umore, ma, nell’impossibilità di muoversi, avrebbe dovuto cercarsi un’alternativa.

«Che palle» mugugnò a denti stretti quando la rampa di scale che aveva imboccato decise di cambiare direzione, costringendolo a salire al quinto piano contro la sua volontà.

Svoltò l’angolo e — quando si dice il caso — si imbatté in un gruppetto di Serpeverde del sesto. Ottimo passatempo per scacciare la noia, se tra loro non ci fosse stato Regulus1.

Quando i loro sguardi si incrociarono, per il tempo irrisorio di qualche battito di ciglia, Sirius avvertì la rabbia montare nello stomaco. Suo fratello lo osservò con espressione neutra, ma indugiò un po’ troppo per essere indifferente.

«Ciao, Sirius» disse, con quel suo tono di una pacatezza esasperante.

«Ciao».

I compagni Serpeverde proseguirono senza fermarsi, premurandosi di rivolgere a Sirius delle occhiate sprezzanti che lui non mancò di ricambiare. Regulus, invece, si attardò.

«Come stai?» chiese, come se fosse del tutto naturale.

Ma, dannazione, non lo era, non poteva più esserlo. Non dopo che, appena sei mesi prima, Sirius aveva ammucchiato i suoi averi in un baule e, in sella alla moto, aveva lasciato per sempre Grimmauld Place ponendo tra sé e la sua famiglia una distanza che andava ben oltre i chilometri di strada. Regulus non l’aveva fermato — non che avesse possibilità di successo, ma non ci aveva neanche provato — e, da allora, Sirius aveva smesso di considerarsi suo fratello maggiore. 
Troppo diversi, troppo poco affiatati per mantenere un legame che si era sgretolato anni prima, consumandosi già dopo lo Smistamento. Irreversibilmente lontani, eppure Sirius non seppe ignorarlo, non ci riuscì.

«Come vuoi che stia? Di sicuro non passo il mio tempo con quella gente, il che è un bene» rispose, caricando di rancore ogni sillaba, trasudando risentimento dagli occhi.

Regulus s’irrigidì.

«Non cambi mai, fratello. Vorrei poter dire che questo mi consola, ma mi è impossibile» disse freddamente.
Era impressionante quanto, in pochi anni, il bambino timido e ritroso fosse stato soppiantato dal ragazzo arguto e distaccato, l’esatto opposto di Sirius, che invece faticava a dominare le passioni.

«Tu, al contrario, sei cambiato, Reg. Non ti riconosco» ribatté risentito.

Non v’era più traccia del fratellino spaurito e gentile, che lo assecondava in ogni marachella e si nascondeva nella sua stanza quando Walburga2 era particolarmente incazzata.

«Sono solo cresciuto, Sirius. Sei tu ad essere rimasto indietro».

«Indietro? Indietro, dici? E, dimmi» si infervorò, «dimmi, per te rifiutare le convinzioni insensate di tua madre e dei tuoi amichetti Purosangue significa rimanere indietro? Cosa sei diventato, Reg? La marionetta di chi?!»

Sirius prese fiato, ansante, consapevole di aver valicato un limite. Sapeva bene che quello era un terreno di discussione accidentato, che Regulus non era uno stupido e se aveva compiuto una scelta l’aveva fatto con convinzione. Ma non riusciva a tollerare che suo fratello fosse rimasto dall’altra parte, non capiva perché.

«Non ti fa bene il fumo, Sirius. Hai la mente troppo annebbiata per poter solo lontanamente vedere quello che vedo io. Tu non capisci, non guardi. Non ascolti. Nostra madre ha le sue convinzioni, tu hai le tue, non spetta a nessuno dire quali siano giuste e quali sbagliate. Né a me né a te».

«Ma sono sbagliate, Regulus, come diavolo fai a non accorgertene?»

«Ti importa davvero? Non credo, sai? Penso che ti dia solo fastidio che il tuo fratellino non penda più dalle tue labbra. C’è una novità, Sirius: io ho una testa e quello che voglio fare della mia vita ha smesso di riguardarti dal momento in cui te ne sei andato!»

Per la prima volta, notò, anche Regulus sembrava sul punto di perdere il controllo, sebbene fosse molto meno istintivo. Se non l’avesse conosciuto, avrebbe giurato che il suo allontanamento da casa l’avesse turbato nel profondo.

«La stai buttando nel cesso, la tua vita! Cos’è, diventare un Mangiamorte è la tua massima aspirazione?» tuonò.

Regulus rise sguaiatamente, senza curarsi del fatto che tutti gli abitanti dei ritratti magici appesi nel corridoio si accalcassero nei dipinti più vicini per ascoltare la lite.

«Oh, ma allora è questo, ti da fastidio che io abbia delle aspirazioni. Non è mica colpa mia se sei un fallito che non sa cosa fare della sua vita, che prima rivendica chissà quale autonomia e libertà e poi va a chiedere ospitalità agli amici» disse d’un fiato, riversando in quel fiume di parole astiose il frutto di mesi e mesi di silenzio.

«Almeno io ho ce li ho, degli amici! A te non rimarrà nessuno, se continui così» replicò Sirius, punto sul vivo.

«Be’, tieniteli stretti, allora. Potreste avere gli anni contati, di questi tempi, sai com’è».

«Vaffanculo» sibilò amareggiato e seppe che quella conversazione non poteva più proseguire.

Si allontanò scoccando una definitiva occhiata delusa a Regulus, che gli volse ostinatamente le spalle.

◊◊◊

«Potter, devo parlarti.»

Dopo una ponderata, sofferta riflessione, Lily aveva concluso che il solo modo per fugare ogni dubbio — o, almeno, per affrontarlo di petto — fosse cercare risposte in biblioteca. Aveva la necessità di compiere un’indagine approfondita e definitiva in ogni libro che trattasse gli Incantesimi di Memoria: avrebbe scandagliato sino all’ultima pagina, se fosse occorso, pur di mettere finalmente a tacere le preoccupazioni. Doveva sapere se esisteva una possibilità, anche remota, che gli effetti di un Oblivion svanissero per qualche ragione e doveva appurarlo al più presto. Quanto prima avesse depennato l’ipotesi che Potter riconquistasse la memoria di quell’infelice bacio, tanto prima avrebbe chiuso quella storia. Era durata anche troppo.

«È già la seconda volta in pochi giorni che mi cerchi di tua spontanea volontà, Evans. Devo forse pensare che tu abbia finalmente colto l’enorme potenziale romantico della nostra relazione?»

Lily scosse la testa, stizzita. «Certo che no. Mi duole dovertelo chiedere, ma avrei bisogno di un favore».

Gli occhi di James s’illuminarono dietro le lenti. «Cosa, cosa? Non ho bisogno di niente da te, Potter!» la scimmiottò. «Hai già cambiato idea?»

Sbuffò. Questo era esattamente il motivo per cui non avrebbe mai voluto chiederglielo.

«Senti, è importante. Davvero».

«Un favore, eh? Dimmi pure, dimmi pure, sto già pensando alla contropartita».

«Fatica sprecata. Comunque, dovresti sostituirmi alla ronda di stasera, ehm, per piacere».

James alzò un sopracciglio. «Impossibile».

«Sei sordo? Ti ho detto che è importante, Potter! Ho da studiare e sei l’unico che sia autorizzato a sostituirmi. Non te l’avrei mai chiesto, altrimenti».

James si ravviò i capelli e scrollò le spalle. «Mi dispiace, ma resta il fatto che sia impossibile, almeno stasera».

«Ma perché?» sbottò contrariata. «Avanti, che vuoi in cambio?»

«Mia cara, non sei l’unica ad avere degli impegni. Ci sono gli allenamenti di Quidditch, la partita è alle porte, non so proprio fino a che ora si protrarranno» spiegò con semplicità.

Lily si morse il labbro. Aveva altre due lezioni da seguire, un tema da terminare e Alice le aveva chiesto una mano in Pozioni; per recarsi in biblioteca non rimaneva che la sera, ma era incastrata nel turno di ronda. Nondimeno, il solo pensiero di trascorrere un’altra notte e un altro giorno senza poter cercare risposte la atterriva. Doveva assolutamente trovare un sostituto.

«Senti, Evans, non so che dirti. Perché non provi a rivolgerti a Remus?» propose James.

«Non è legale, lui non è un Caposcuola».

(A dire il vero, Remus era stato il primo a cui Lily l’avesse chiesto, contravvenendo ai propri principi e mandando al diavolo il rispetto per le regole di Hogwarts: e tutto pur di non doversi rivolgere a Potter. Ma Remus si era scusato, confessandole di avere un bel po’ di sonno arretrato e, notando le occhiaie pronunciate che gli cerchiavano gli occhi, Lily non se l’era proprio sentita di insistere).

«Ma questo è l’ultimo problema, nessuno lo verrebbe a sapere. Anzi, forse io ho la persona giusta».

Lo fissò scettica. «E chi sarebbe, sentiamo?»

«Hai bisogno della serata libera, no? Dici che è importante. Lascia fare a me e non ti preoccupare».

«È proprio quando dici “lascia fare a me” che comincio a temere il peggio».

«Mi offendi, Evans. Io mi prodigo per aiutarti e tu non ti fidi. Sei senza cuore» disse, teatrale. 

Lily soppesò le possibilità. Se avesse lasciato fare a Potter, avrebbe avuto tutto il tempo che le serviva per le sue ricerche, ma si sarebbe comportata da vera irresponsabile incurante delle regole. D’altro canto, quello era il solo modo per liberarsi di un peso che la stava logorando.

«Oh, e va bene» si risolse, infine. «Posso contare sulla tua maturità, Potter?»

«Puoi farci tutto quello che vuoi».

«Smettila. Okay, allora, ma sappi che se qualcosa andrà storto—»

«Sì, sì, ho afferrato. Rilassati, Evans!»

Si scambiarono uno sguardo: minaccioso quello di Lily, indisponente quello di James.

«Immagino che a questo punto dovrei, ehm, ringraziarti».

«Non c’è di che».

«Bene. Allora… ciao» disse, allontanandosi. Non ebbe il tempo di sorprendersi del fatto che non avesse preteso qualcosa in cambio, che la voce di Potter — vivace, canzonatoria, irritante — la raggiunse dalla cima delle scale.

«Sono proprio felice che sabato sarai alla mia partita, Evans! Davvero un bel pensiero, da parte tua» esclamò, premurandosi che tutti gli astanti lo udissero.

A Lily non restò che riversare la frustrazione sui gradini, calpestandoli con superflua virulenza.


◊◊◊

Quando varcò il buco del ritratto, era a dir poco furioso. Remus, affondato in una poltrona, lo salutò con un cenno.

«Che succede?» chiese poi, dal momento che Sirius non lo degnava di uno sguardo. «Sirius, va tutto bene?»

«Niente. No» borbottò, lasciandosi cadere sul divano e allungando i piedi sul tavolino con sguardo truce.

«Ehm, interessante. Ti sei appena contraddetto, lo sai, sì?» Remus lo osservò preoccupato da sopra il suo libro, Sirius lo ignorò.

«Okay, ho capito. Quando avrai voglia di parlare fammi un fischio, ma ti prego» aggiunse con una smorfia «leva quelle zampe dal tavolo, ci sono le mie pergamene».

«Regulus» sbottò Sirius dopo alcuni minuti di silenzio, durante i quali non solo non aveva spostato di un millimetro le scarpe dalle preziose pergamene di Remus, ma aveva combattuto con se stesso per non pronunciare il nome del fratello, che, alla fine, era fuoriuscito dalle labbra come una maledizione incontenibile.

«Reg— vi siete parlati?» arguì Remus, mettendo d’un tratto via il libro, interessato.

Sirius annuì al pavimento. Il fastidio provocato dal recente scontro bruciava più di qualsiasi altra ferita, all’altezza dello stomaco — dentro il petto.

«Avresti dovuto vederlo. Quel piccolo saccente traviato! Ti giuro che l’avrei preso a pugni».

«Non l’avrai mica fatto?» si agitò Remus.

Sirius sbuffò, irritato. «Ti ho detto che l’avrei fatto volentieri, l’avrebbe meritato. Tu non sai com’è diventato, ha osato dire che è cresciuto, che sono io a non capire, che—»

«Forse è solo ferito dal fatto che tu sia andato via di casa, Sirius» osservò l’altro con semplicità.

«…che sono un fallito— cosa? Ah, lui sarebbe ferito? Non mi dire…»

«È tuo fratello. Se ti vuole bene almeno la metà di quanto gliene vuoi tu, allora sì, penso che abbia sofferto che tu li abbia lasciati» spiegò Remus, cauto.

Ma Sirius non lo fu altrettanto. «Che cazzo dici, Remus? Bene? Ha detto che non so cosa fare della mia vita, che mi sono rifugiato a casa di James perché non sono capace di cavarmela da solo!»

Remus accennò un sorriso comprensivo. «È un ragazzino, Sirius. Se ha detto questo è perché è arrabbiato, magari è geloso della tua amicizia con James, magari—»

«Ma tu da che parte stai, eh?» proruppe, esasperato.

«Sto solo cercando di essere obiettivo».

«Smettila di piscanalizzare3 quel deficiente, allora! Perché uno che si diletta tra Mangiamorte e Arti Oscure non merita comprensione, per quanto mi riguarda».

Remus sospirò, scuotendo la testa — meglio non far presente a Sirius che il termine corretto fosse psicanalizzare — e tornò al suo libro senza una parola.

In quella, il solito chiasso annunciò l’arrivo di James in Sala Comune e Sirius ne approfittò per raggiungerlo, sicuro che almeno Prongs l’avrebbe appoggiato senza esitazione e non avrebbe tentato di giustificare Regulus contro ogni logica. 


◊◊◊

Il coprifuoco era scattato da cinque minuti quando Sirius raggiunse l’Ingresso.

«Sirius? Che… piacere» commentò Marlene, piuttosto sorpresa, quando lo vide.

«Non guardarmi così, McKinnon, se sono qui è solo per fare un favore a James».

«A James? Ne sei sicuro? Mi risultava che questa sera fosse il turno di Lily Evans».

Sirius si accigliò, salvo poi scuotere la testa. Avrebbe dovuto immaginarlo, la Rapa c’entrava sempre quando James faceva richieste improbabili. Be’, pazienza. Era stato lui a lamentarsi di non avere niente da fare quella sera, dal momento che non poteva volare e aveva bisogno di un diversivo per non sfogare ulteriormente contro Remus la rabbia repressa. James gli aveva immediatamente proposto di sostituirlo alla ronda — evitando accuratamente di dirgli che fosse per rimpiazzare Evans, ovvio — e lui, ignaro, aveva accettato di buon grado.

«Be’, dovrai accontentarti di me, spiacente» disse, brusco.

Malgrado la compagnia di Marlene non gli dispiacesse, era ancora poco incline a lasciarsi alle spalle l’atteggiamento scontroso, frutto del malumore di quella giornata. La ragazza,comunque sorrise, porgendogli una pergamena.

«Bene, allora qui ci sono i corridoi che controllerai tu. Io vado dall’altro lato, così facciamo prima. Dal terzo piano proseguiremo insieme, okay?»

«Mhm, okay».

«Ci rivediamo di sopra tra mezz’ora» lo congedò.

Si separarono.
Era la prima volta che Sirius girava per il castello a quell’ora tarda in solitudine. Tutte le altre c’erano anche James, Remus e Peter e la loro destinazione era quasi sempre la Stamberga Strillante. Adesso, invece, era solo, completamente libero di muoversi dovunque volesse e provava una sensazione strana. Nei corridoi deserti, i passi riecheggiavano amplificati e la sua ombra scivolava lentamente lungo le pareti. Ma non era quella a turbarlo, no. Sirius Black non era il tipo che si spaventasse per la sua ombra — non per le ombre visibili, almeno. Gli risultava impossibile non ripensare alla discussione con Regulus, alle parole cariche di risentimento che aveva rivolto e si era sentito rivolgere, al modo in cui poi se l’era presa con Remus che, conciliante, cercava solo di capire. Ma non poteva, non poteva capire. Certi meccanismi contorti e crudeli che scattavano nella mente e nelle viscere di un Black erano indubbiamente di difficile comprensione, se ne rendeva conto.

I corridoi del primo e del secondo piano erano perfettamente vuoti e silenziosi e riuscì a ispezionarli con facilità. Quando ebbe finito, circa mezz’ora più tardi, salì al piano superiore per incontrare Marlene. Nel percorrere i gradini pensò a quanto fosse stato scostante anche con lei e un po’ se ne pentì. La verità era che non riusciva bene a decifrare le emozioni che la sua compagnia gli suscitava perché, quando l’aveva rivista al campo di Quidditch, aveva provato qualcosa di strano — un misto di sollievo e eccitazione, il moto di curiosità che forse gli era mancato quando uscivano insieme l’anno prima e che aveva spinto entrambi a interrompere la conoscenza.

«McKinnon» la apostrofò, quindi, allorché la scorse sul pianerottolo.

«Ah, sei già qui» sorrise lei, avvicinandosi. «Tutto bene, di sotto?»

Sirius annuì.

«Che ne dici di qualche minuto di pausa? Ho bisogno di sedermi prima di proseguire il giro» propose, indicando l’ampio sedile di pietra nel vano di una finestra.

La accompagnò, ma, diversamente da lei, non si sedette e restò a guardarla, le spalle poggiate al muro.

«Ti ricordavo un po’ più espansivo, Sirius» osservò, allusiva.

«L’ultima volta che lo sono stato con te, mi hai colpito in pieno setto nasale con una Pluffa»le ricordò, abbozzando un sorrisetto.

Marlene ridacchiò — aveva le ciglia lunghissime. Se stava guardando gli occhi di una ragazza aveva davvero qualcosa che non andava.

«Oh, è stato mortificante, mi è dispiaciuto sul serio!»

«Dovrei crederci?» domandò scettico, le labbra ancora arcuate verso l’alto.

«Certo!» disse Marlene, alzandosi. «Sai» proseguì, «mi sono davvero divertita l’altro giorno con te. Prima di farti male, intendo».

Sirius fece una smorfia.

«Allora, come te la passi? Quante nuove conquiste all’orizzonte, quest’anno?»

«Vai subito al sodo, McKinnon, brava».

«Cerco solo di fare conversazione, è un secolo che non chiacchieriamo un po’… non che prima chiacchierassimo propriamente» aggiunse.

Sirius non poté trattenere una risatina e Marlene lo imitò.
Rimasero per un po’ a fissarsi, silenziosi.

«Ti capita mai di ripensare a noi, Sirius?» gli chiese d’un tratto, gli occhi profondi sempre più vicini ai suoi e sempre più scuri.

Che cosa? Non sapeva cosa risponderle. Confessarle che ricordava a stento quel paio di volte in cui erano stati a Hogsmeade insieme gli parve indelicato, così tacque, aspettando che fosse lei a proseguire.

«Sai, l’altro giorno ti ho mentito. Cercavo esattamente te, al campo. Certo, il fatto che sia la nuova Cacciatrice di Corvonero è verissimo, ma, ecco… forse non è stato proprio un caso che io fossi lì a quell’ora…»

«Che vuoi dire?» le chiese, senza rendersi conto di stare ormai bisbigliando.

Marlene era troppo vicina. «Non lo so neanch’io… è solo… non fai che ritornarmi in mente, da qualche tempo… nei momenti meno opportuni, Black…» la sentì dire, la voce ridotta a un sussurro appena percettibile contro il suo viso.

E poi le sue labbra furono su quelle di Sirius e fu inopportuno, davvero inopportuno. Inopportuno a tal punto che lui rimase impalato — stupito, confuso. Inopportuno e fugace, ma evidentemente non abbastanza da evitare l’innesco dell’ancor meno opportuno meccanismo di erezione tra le sue gambe. Tutto quello non aveva senso... o sì?

«Dovremmo… la ronda…» farfugliò poi Marlene, discostandosi in fretta, le guance imporporate.

Sirius schiuse e richiuse la bocca un paio di volte, incerto se attrarla a sé e smettere di pensare o, al contrario, restare nell’inazione e attendere una sua mossa. Optò per uno sguardo sornione, interrogativo.

«Cos’era quello, McKinnon?»

«Avevo bisogno di sapere se mi facesse ancora qualche effetto. Ora… andiamo? Mancano ancora troppi piani da ispezionare» spiegò lei, liquidando la questione come se nulla fosse. 

«Andiamo».

Marlene gli rivolse un cenno d’intesa, precedendolo nel corridoio.

«E, McKinnon?» la apostrofò, le braccia conserte, come in attesa.

«Sì, Black. Continui a farmi lo stesso effetto».

Sirius si ritrovò a sorridere senza davvero capire perché e decise di rimandare all’indomani ogni altro interrogativo, mettendo in stand-by i pensieri.

◊◊◊

James tornò tardi dall’allenamento.
Quando Remus lo sentì rientrare rumorosamente in Dormitorio e armeggiare con la divisa prima di infilarsi in bagno,Peter e Frank russavano da un pezzo. Nell’arco di pochi secondi, lo scroscio della doccia divenne il sottofondo dei suoi pensieri. Sbadigliò, rigirandosi sotto le lenzuola. Odiava avere sonno ma non riuscire ad addormentarsi, il che gli capitava sempre più spesso nell’ultimo periodo. Era frustrante. Si rannicchiò di fianco, scostando leggermente la tenda solo per appurare che il letto di Sirius fosse ancora vuoto.
Aveva ripensato per il resto del pomeriggio al suo atteggiamento, ricavandone solo che rassegnazione. Se esisteva una peculiarità di Grifondoro di cui Sirius disponesse a iosa era la cocciutaggine. Regulus aveva scelto, non c’era alcun dubbio che la sua scelta fosse sbagliata, Remus ne conveniva. D’altro canto, gli riusciva curiosamente semplice entrare nella psicologia del ragazzo; era elementare che il rancore che nutriva nei confronti di suo fratello fosse in larga parte legato al fatto che da sempre, da sempre, Sirius considerasse James come sangue del suo sangue, come una famiglia, come e più di un fratello ed era lampante, perfino scontato che Regulus ne soffrisse e ne fosse, in qualche misura, geloso. Remus provava empatia per quella condizione, la comprendeva e riteneva che non fosse del tutto da demonizzare. Non che fosse invidioso del legame di James e Sirius, tutt’altro; ma riusciva a percepirne la complicità e talvolta, benché erroneamente, lo sapeva, non poteva fare a meno di sentirsi tagliato fuori. Come chiunque. Come Regulus.


◊◊◊

Intanto, i pensieri di Lily erano più che mai in iperattività.
La biblioteca era stracolma di volumi di Incantesimi e lei non aveva idea di dove cominciare; cercare di notte, con la luce fievole della bacchetta come unica fonte di illuminazione, non semplificava certo le cose. Sbuffò, armandosi di pazienza e, scelti i primi due o tre volumi che sembravano promettenti, iniziò a sfogliarli.

«Allora, vediamo… “Memoria: meglio perderla che trovarla?”. Bella domanda» mormorò, leggendo il primo titolo.

Si rannicchiò ai piedi dello scaffale, il grosso tomo sulle ginocchia.
Quella notte sarebbe stata molto, molto lunga.



#Note
1.Regulus Black: fratello minore di Sirius. Dai volumi della Saga, emerge che fosse fortemente tentato dal Lato Oscuro, che però non comprendeva appieno,e per un breve periodo fu sotto il servizio di Voldemort. Regulus, infatti, aderiva alle convinzioni della famiglia Black sulla superiorità dei maghi Purosangue rispetto a quelli Mezzosangue e inizialmente si alleò col Signore Oscuro diventando un Mangiamorte; quando infine capì quali mezzi Voldemort fosse disposto ad usare per raggiungere il suo scopo, lo abbandonò. 
2.Walburga Black: fiera e rigidamente Purosangue, madre di Sirius e Regulus Black, moglie di Orion. Aveva un rapporto conflittuale col figlio Sirius, il quale, con la sua morte, avrebbe ereditato la casa al 12 di GrimmauldPlace. Il suo ritratto,che come tutti i ritratti dei maghi può animarsi, rivela l'immagine di una strega urlante, scarmigliata ed inorridita dal vedere Mezzosangue, Licantropi e Nati Babbani, ospiti graditi ed indisturbati della sua amata GrimmauldPlace. Feroci saranno i rimproveri che rovescerà su Sirius (tra gli epiteti più affettuosi è possibile citare 'traditore del tuo sangue', 'abominio' e 'vergogna della mia carne'), cui quest'ultimo risponderà con pari gelido disprezzo. [fonte: Saga di Harry Potter e Wikipedia]
3.Piscanalizzare: James e Sirius continuano a storpiare le parole babbane, già.  

 

   
 
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