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Autore: Moonspell    26/05/2013    1 recensioni
"Lascia che siano loro a decidere in che cosa sperare: smettiamo di scegliere noi per loro. La Libertà è un arma a doppio taglio, lo so, ma cercare di impedirgli di ferirsi, vuol dire toglierli la possibilità d’essere Liberi"
In un mondo in cui gli Ideali valgono la propria vita e non solo, ognuno verrà messo alla prova dal proprio cuore per trovare un posto in una guerra che non si può evitare. Non importa quanti anni si abbia, perchè la guerra non guarda in faccia a nessuno.
Pausa estiva: momentaneamente congelata
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Remus Lupin, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Classe 1960'
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“Dio ha creato i Maghi e gli uomini hanno creato i Mezzosangue. Chi sei tu per insudiciare l’opera di Dio?”

 
 
Questa frase rimbombava da giorni nella mente di Sirius Black, una voce sibillina che lo tormentava costantemente, a non dargli tregua, a logorarlo fino a togliergli la pace. Quella frase tracciata sul muro con il sangue di una povera capra, ad imbrattare la parete della Testa di Porco come monito ad un uomo che si dice abbia negato con ferocia l’ospitalità a uomini che riteneva simpatizzanti (per non dire seguaci) del Signore Oscuro. Da quando James era venuto a sapere da suo padre i dettagli di quel folle gesto lui, Sirius, aveva perso il sonno ed il piacere della compagnia della sua famiglia: i suoi amici. Persino in quel momento, standosene seduto tra loro nell’affollata Sala Comune, era come se fosse solo, distante da ognuno di loro, angosciato e colmo di sensi di colpa. Per la prima volta provava vergogna, vergogna di stare al loro fianco.
Quella frase, quelle folli parole lo perseguitavano da anni, eppure il tempo era riuscito ad attenuare il dolore che gli causarono quando suo fratello Regolus le pronunciò con rabbia contro di lui appena due anni prima. Sapeva perfettamente che quella follia gli apparteneva, era conscio ch’era stata la mano di suo fratello a tracciare quell’insulto all’intelligenza umana, alla sua stessa dignità, o per lo meno a quel poco che gli rimaneva, che lui sperava gli rimanesse.
La ragione gli gridava con rabbia e collera di denunciare a Prewett e a Silente ciò che sapeva, doveva opporsi a quella brutalità, non doveva lasciare impunita l’aggressione di un pover uomo, per quanto ruvido e pieno di rancori verso lui e James per tutte quei tiri mancini che in passato gli avevano riservato. Ma si trattava di suo fratello dopo tutto, era solo un ragazzo di sedici anni troppo stupido per non lasciarsi condizionare dalla follia di generazioni e generazioni di pazzi. Sapeva che se lo avesse denunciato gli avrebbe rovinato la vita più di quanto già non facesse da solo. Se Prewett aveva ragione non ci sarebbe stata clemenza per lui agli occhi della giustizia. Aveva desiderato da sempre vedere ogni singolo studente che ronzava attorno a Rosier spedito ad Azkaban, assieme a tutta quella feccia che riempiva le loro piccole teste con troppe stronzate. Ma Regulus… in quel momento sentì di non avere la forza di denunciarlo. Lo disprezzava, visceralmente. Era disgustato da lui come da qualunque altro membro della sua famiglia. Eppure, eppure stava provando pena per lui. Un pensiero che gli rivoltò lo stomaco: stava proteggendo chi aveva giurato di combattere, stava proteggendo un deviato che aveva stravolto la vita di molte persone, dei suoi stessi amici, la vita di James che si sentiva in colpa per non aver fatto nulla. Come poteva avere ancora la presunzione di sedere li con loro? Si alzò di scatto da una delle poltroncine del tavolo a cui erano seduti, spiazzando gli altri tre malandrini che si ammutolirono e lo guardarono allontanarsi velocemente. In quel momento pregò perché nessuno di loro lo seguisse e svelto, spintonando senza ritegno un ragazzino del terzo anno per farsi strada lungo le scale, andò a cercare rifugio in camera da letto. La camera che divideva con quattro Grifondoro: lui poteva ancora dirsi degno di esserlo?
 

***

 
 
Oramai il sole stava lambendo l’orizzonte con le calde gradazioni del rosso e dell’oro, sfumando le nubi di rosa e viola in un cielo in cui già stava sorgendo la luna. Le ombre erano distorte, lunghe ed affusolate scivolavano scure e confuse lungo il selciato che si distendeva davanti all’ingresso di Hogwarts. La velocità con cui la notte prendeva spazio era impressionante, vorace divorava gli ultimi bagliori del sole, lasciando che l’aria diventasse fredda.
Lily Evans incrociò le braccia al petto, a proteggersi da quei brividi improvvisi che l’avevano assalita, chiudendo per bene la lunga toga nera su cui aveva appuntata la spilla di prefetto che l’autorizzava a pattugliare i corridoi dopo l’abbondante cena in sala grande. Aveva lasciato James alla torre Grifondoro per mettersi in pari con i compiti di pozioni, facendosi carico lei di rispedire nei loro dormitori gli ultimi ritardatari. Una gentilezza che le permise di privarsi di quello sguardo risentito che ancora sentiva gravare su di se ogni volta che incrociava gli occhi di Potter, quello sguardo che ancora attendeva le scuse che lei non gli avrebbe mai dato per non offrirgli motivo di sentirsi dalla parte della ragione. Per quanto le sue parole fossero state dure e probabilmente eccessive, Mai avrebbe offerto la possibilità a James Potter di poter credere che lei non avesse ragioni di temere per loro, per la loro incoscienza.
Aveva appena richiamato una coppia di studenti del terzo anno che aveva tentato di dileguarsi nel parco eludendo la sua sorveglianza e li guardo rientrare a testa bassa dal portone principale, ritrovandosi a sorridergli con un pizzico d’invidia nei loro confronti: il suo tempo ad Hogwarts stava per scadere, mentre loro avrebbero avuto ancora molti anni per poter continuare a vivere quell’esperienza meravigliosa, al sicuro sotto la guida di Silente, lontano dal terrore che dilagava per tutto il Regno Unito e non solo, ma che tra le mura del castello altro non era che un incubo che li sfiorava superficialmente.
Un sibilo seguì quei pensieri, un bisbiglio confuso, surreale che la scosse con un brivido lungo la schiena, riportandola alla realtà. Fu in quell’attimo che s’accorse in lontananza di Severus, statuario sulla soglia dell’ingresso, intento a fissarla e, con molta probabilità, ad attenderla. D’istinto indietreggiò di un paio di passi, a sottrarsi a quel suo avido sguardo prima di voltarsi del tutto a dargli le spalle, a sfuggirgli. Piuttosto che incontrarlo preferì allungare di poco la strada per raggiungere una delle entrate secondarie del castello: non gli avrebbe lasciato l’opportunità di avvicinarla. Passi svelti, sostenuti, nervosi, nemmeno lei sapeva perché l’ansia l’avesse assalita ma qualcosa la turbava sensibilmente e non poteva essere semplicemente Piton, era una sensazione che andava ben oltre il suo sguardo. Sentiva qualcosa opprimerla, una presenza impalpabile che la costeggiava, un ombra che forse, dopo tutto, non scivolava famelica alle sue spalle, ma accresceva dentro di lei.
Si ritrovò a correre per infilarsi dentro la porta che si apriva sotto il chiostro, gettandosi nell’oscurità della sera, quasi il sole fosse stato ingoiato nel momento stesso in cui il castello aveva inghiottito lei. Si fermò di colpo: il freddo continuava ad assediarla, a scuoterla con lievi tremiti, ma almeno quella strana sensazione l’aveva abbandonata, quasi non fosse stata in grado di oltrepassare la soglia del Castello. Una sciocchezza, una stupida impressione a cui aveva dato il peso sbagliato facendosi scioccamente condizionare da quei cupi pensieri in cui si era immersa per un momento. Era solo stanca, aveva bisogno di riposo, nulla di più. Era un anno importante, lo stress stava già dando i primi sintomi di irritabilità ma avrebbe dovuto saper distinguere il sogno dalla realtà; la paura dalla verità. (1)
Un nuovo sussurro provenne dal fondo del corridoio desolato, un sospiro che parve richiamarla a se, un eco sinistro che durò solo pochi attimi inafferrabili, istanti in cui lei si lasciò stregare fino a smarrirsi del tutto, inspiegabilmente attratta dalle ombre delle armature che sembravano pulsare di vita propria. Il suo respiro si fece profondo, placido, estasiato da quelle illusioni, da quel mormorio delicato che pervase la sua mente: una dolce invocazione, una delicata voce che la richiamava con vellutata passione.
Un tonfo sordo alle sue spalle. Trasalì in un impeto di paura, portando istintivamente la mano alla bacchetta prima di voltarsi in un turbine d’angoscia, semplicemente per accorgersi che la porta si era chiusa e i chiavistelli la stavano sigillando, come ogni sera, come di consuetudine, nulla di cui preoccuparsi. Le fiaccole si accesero una dopo l’altra, magicamente, come se un soffio le risvegliasse da un dolce torpore per illuminare la strada a quella studentessa che nei meandri delle proprie oscurità s’era smarrita. Tutto si svolgeva davanti a lei con naturalezza, con la pacatezza di gesti e azioni che si ripetevano da secoli immemori, un rituale che lei stessa aveva sempre amato; perché quella sera la spaventava?
Indietreggiò, guardandosi attorno circospetta, il respiro appena rotto dall’agitazione, gli occhi verdi spalancati dalla paura: qualcosa era entrato prima che Hogwarts potesse sigillarlo fuori, qualcosa che con se portò un improvviso freddo innaturale e che dilatandosi come un morbo, affievolì la luce. Alcune risate corsero lungo le pareti, sfuggevoli, risate di bambine, lontane, inafferrabili. Cercò di rincorrerle, per capire da dove provenissero, cerco disperatamente un viso qualsiasi:
 
-Chi va la?- alzò la bacchetta davanti a se, come una minaccia, o meglio come uno scudo, una protezione. Restò in ascolto vorticando su se stessa, confusa, ma l’unica risposta che ebbe fu il più totale Silenzio:-Per una volta che mi sono liberata di te, Potter…- quasi maledì il giovane compagno con quel sussurro, riprendendo a camminare velocemente, cercando di affrettarsi, di raggiungere in un qualche modo qualcuno: uno studente, un professore, un fantasma o lo stesso Pix:-Andiamo Lily, da quand’è che senti la necessità della protezione di Potter? Sono solo i qua…- si accorse solo in quel momento che alle pareti i quadri non c’erano, la pietra era totalmente nuda:-Avanti, è Hogwarts, ti ha sempre protetta, non temere le sue stravaganze, non dopo sette anni!- rise nervosamente abbassando la bacchetta, riprendendo il controllo di se
 
-Lily, Lily!- una voce bianca rimbombò ovunque, la voce di una bambina, una voce che le era terribilmente famigliare, cara. Nuove risate, nuovi echi di vecchi ricordi
 
-Petunia?- sussurrò quel nome, sbigottita, incredula: come poteva essere? Perché Hogwarts le stava facendo sentire la voce di sua sorella, le loro risate di quando erano bambine spensierate, di quando lei ancora non sapeva di essere una strega? Che fosse un avvertimento? Avanzava incerta lungo il corridoio, la mano ben salda alla bacchetta e quelli che prima erano passi lenti ed incerti pian piano si trasformarono in una corsa. Si sentì nuovamente oppressa, quasi l’oscurità si facesse densa alle sue spalle, strisciando insidiosa per raggiungerla e ghermirla. Corse, guardandosi indietro, cercando qualcosa di concreto da cui scappare e d’un tratto qualcosa la vide. Si fermò di colpo davanti ad una porta aperta, oltre cui si intravedeva qualcuno. Spiazzata si avvicinò per vedere meglio in quel bagliore diffuso che inizialmente l’accecò, per poi affievolirsi per abbracciare il binario 9 e ¾ in un aura eterea, passata, come un sogno che riaffiora. Una famiglia di quattro persone era nitida tra il fitto fumo bianco dell’Espresso per Hogwarts che annebbiava tutto il resto e riconobbe una piccola ragazzina dai rossi capelli arruffati che si allontanò appena dai genitori, seguita da un’alta ed esile figura radicalmente diversa da lei. Non potè sentire le parole che si scambiarono, ma non era necessario, lei le conosceva già:
 
“Mi dispiace, Tunia, mi dispiace! Ascolta…” le prese la mano e la strinse forte, ma la sorella cercò di sottrarsi “Forse quando sarò la..no, ascolta, Tunia! Forse quando sarò la riuscirò a convincere il professor Silente a cambiare idea!”
 
“Io non…voglio…venirci!” esclamò Petunia tirando la mano, cercando di farla scivolar via dalla presa della ragazzina di undici anni, liberandosi “Tu credi che io voglia andare in uno stupido castello per imparare ad essere una…una…” i suoi occhi sbiaditi vagarono sul marciapiede, sui gatti che miagolavano tra le braccia dei proprietari, sui gufi che sbattevano le ali e gridavano l’uno all’altro nelle gabbie, sugli studenti, alcuni già nelle lunghe divise nere, che recavano i bauli sul treno a vapore rosso o si salutavano con grida di gioia dopo un estate di separazione “…credi che io voglia essere un… un mostro?”
 
“Io non sono un mostro” le lacrime che le inumidirono appena gli occhi quando Petunia si liberò dalla sua presa si sciolsero definitivamente a quelle parole e scivolarono giù, lungo il suo viso “E’ una cosa orribile da dire”
 
“E’ la che stai andando, in una scuola speciale per mostri. Tu e quel Piton… due balordi, ecco cosa siete. È giusto separarvi dalla gene normale. Per la nostra sicurezza” nel vedere la sorella piangere Petunia si mostrò terribilmente compiaciuta. (2)
 
Quel giorno Lily aveva iniziato il suo viaggio per scoprire chi fosse realmente, a quale mondo appartenesse, vedendo il proprio destino spianarsi davanti a se oltre i binari su cui veloce correva il treno. Tuttavia, quello stesso giorno, fu irrimediabilmente separata da una delle persone che più amava; fu rifiutata con astio e lasciata totalmente sola ad affrontare una vita estranea ed ignota. Era senza guide, punti di riferimento e la sola idea che le aveva dato forza quell’estate era stata quella di poter scrivere ogni giorno a sua sorella. Sperava di far affidamento su di lei per farsi rifrancare, consigliare,  ma soprattutto per condividere le proprie gioie, convinta che le cose belle, se non si possono condividere con le persone che si amano, non sono fonte di felicità e non c’era persona al mondo che Lily amasse più di sua sorella. Quel giorno, se non fosse stato per Severus, anziché affrontare con forza la sua nuova vita avrebbe versato lacrime fino a non averne più.
La luce si affievolì in un graduale tremore, fino a spegnersi del tutto, fino a diventare opprimente oscurità, tenebre che sembravano scrutare in lei, insidiandosi fredde e pungenti nel suo cuore. Si ritrasse, cercò di sfuggirgli, di scappare e proseguì. Ma le tenebre non l’avevano abbandonata, le portò inesorabilmente con se.
Mentre avanzava si ricordò di come Petunia si fosse rifiutata, per i sei anni successivi, di accompagnarla al binario, di condividere con lei le amicizie, vergognandosi di presentarla ai suoi compagni, di come non rispondesse mai alle sue lettere e di come irremovibile le impediva di tenere i suoi libri di testo in stanza, costringendola a tenerli custoditi nel sottoscala. Non si sentiva più a suo agio in casa propria, quasi fosse una totale estranea. I suoi genitori non erano cambiati con lei, erano rimasti affettuosi e premurosi. Per amore avevano fatto grandi cambiamenti nelle loro abitudini, imparando ad usufruire dei Gufi per comunicare con lei, si informavano costantemente su ciò che succedeva nel mondo della loro bambina, preoccupandosi e logorandosi per quella guerra così atroce in cui non potevano esserle d’aiuto in alcun modo. Ma non facevano parte del suo mondo, non poteva condividere appieno ogni aspetto della sua vita, che per quanto si impegnassero continuavano a trovarla incomprensibile, quasi fosse una fiaba. E poi c’era lei, sua sorella, che la faceva sempre sentire sbagliata, che l’accusava di essere la causa dei pianti silenziosi della madre, di essere una condanna che faceva vivere male tutti loro. Come darle torto? Oramai erano consci che la guerra non gli era estranea, che per la sola colpa di avere nel cuore e nella famiglia una Strega sarebbero potuti morire senza poter far nulla per evitarlo. Lei, lei era la causa del grave pericolo che vivevano e nulla l’avrebbe mai strappata da quell’incubo che viveva ogni giorno.
Lei doveva affrontare da sola la vita, senza più avere un appoggio: aveva solo le proprie forze su cui contare, ma sentiva che si stavano affievolendo: la paura del mondo che l’attendeva la stava logorando. Come avrebbe mai potuto sopravvivere da sola? Chi l’avrebbe accompagnata nel lungo percorso della sua vita? Non importava, non avrebbe più dovuto mettere a rischio la sua famiglia, avrebbe dovuto rinunciare a loro, per amore.
 
Si asciugò una lacrima che incontrollata le rigò il volto quando, d’improvviso, la voce di Remus si dilatò gioiosa da una delle altre aule. Rideva con una serenità serafica, totalmente spensierato, rideva col cuore, come solo lui sapeva fare. Buffo come quella voce fosse arrivata a coglierla proprio nel cuore delle sue incertezze, come una dolce speranza, come una salda risposta.
Si ritrovò a correre, a cercare da dove provenisse quella risata, invasa da una gioia infinita, sentendosi salva da quell’angoscia che l’aveva assalita, da quelle paure, dal dolore di quelle scelte che faticava a fare. Un sussurro nel suo cuore la convinse che Remus l’avrebbe liberata da quel peso, facendola sentire al sicuro, strappandola da quei pensieri tetri, offrendole una dolce via di fuga. Lo cercò, disperatamente e poi sentì la voce di Peter richiamare Sirius, qualche brontolio da parte di quest’ultimo e le incitazioni di James. Erano tutti li, in una di quelle aule. Si affacciò ad ognuna d’esse, l’ansia nel respiro, si stava convincendo che con loro le ombre l’avrebbero lasciata stare, le Sue ombre.
Eccoli, nascosti in una stanza, seduti sui banchi, mentre Sirius continuava a roteare su se stesso, cercando di guardare oltre le proprie spalle una lunga coda nera che gli era spuntata, ringhiando come un cane indispettito. La scena, così inaspettata e bizzarra, le strappò un sorriso, a spezzare la sua tensione.Fece un passo per entrare, a raggiungerli, a lasciarsi scivolare in quel quadro così sereno, perfetto, a farsi pervadere dalla sua anima, per farne parte. Ma qualcosa la trattenne con fermezza: la paura. Improvvisamente il rifiuto tornò a divorarle il cuore, quell’amaro sapore, quell’insidioso morbo. La paura d’essere respinta. Era una voce nella sua testa, che sibilò più forte di quella della speranza, che aleggiava nel suo cuore. I dubbi l’assalirono e cominciò a chiedersi perché, perché l’istinto l’aveva condotta li, tra loro, perché si aspettava che potessero offrirle la loro mano, come ancora di salvezza? Perché dopo i suoi eterni rifiuti avrebbero dovuto?
Si pietrificò quando vide i suoi timori realizzarsi, accorgendosi che loro s’erano fermati a fissarla, con espressioni severe, gravi. Il sorriso si era dissolto dai loro visi, stranamente cupi, insolitamente lividi, affilati, quasi inquietanti. Remus, seduto su un banco, la schiena appena ricurva e i gomiti appoggiati sulle cosce, scosse il capo, lentamente, in un tacito diniego. Quasi senza accorgersene fece mezzo passo indietro, sentendosi fisicamente respinta, mentre James sciolse l’intreccio delle braccia ed avanzò verso di lei a grandi passi. I suoi occhi scuri erano freddi e duri come ossidiana, carichi di disprezzo
 
-Non sei la ben venuta, Evans. Non nausearci ulteriormente con la tua saccenza, torna nel tuo mondo di perfezione- con un tonfo la porta le venne chiusa in faccia, con rabbia, disprezzo e rancore
 
Un nodo le salì alla gola. Quel rifiuto la sconvolse, la spiazzò, ma non le provocò alcuna rabbia, solo smarrimento. Un mondo di perfezione, un mondo utopico di ideali e principi che lei stessa aveva posto sempre al di sopra delle persone, di se stessa, della sua vita. Era vero, con saccenza aveva creduto di poter giudicare gli altri, di avere la presunzione di sapere cosa fosse giusto e cosa fosse sbagliato. La sola cosa che però aveva ottenuto era una fredda realtà di incertezze, in cui ogni suo sentimento vacillava nella fragilità di ideali che le venivano sgretolati davanti agli occhi, rendendo la sua vita una pena.
Dov’era la lealtà che tanto bramava a questo mondo? Non l’aveva forse trovata in quell’arrogante ragazzo che si batteva per gli amici, per lei, in maniera disinteressata? Dov’era il coraggio di lottare che sperava di veder sorgere? Non era forse da sempre nei cuori di quei ragazzi che aveva più volte mal giudicato quando, senza indugio, erano gli unici a schierarsi per difendere chiunque, ponendosi in prima fila? Dov’era l’altruismo che sognava se non in chi, nonostante il suo rifiuto, era sempre pronto ad offrirle la propria mano per aiutarla a rialzarsi?
Non era forse per saccenza e stupide manie di perfezionismo che aveva sbagliato a giudicare le persone, ritrovandosi solo oggi a rendersi conto che in cuor suo ammirava ciò che i Malandrini erano, rappresentavano? La loro lealtà, il coraggio, l’altruismo e la forza di cui sapevano brillare, abbaglianti, unici, semplici; mentre lei era caduta nel buio più totale delle sue paure.
 
Loro possedevano tutte le doti dell’Amore, quel soave sentimento che a lei mancava così tanto, di cui era priva: non c’era amore nello sguardo di sua sorella quando lei tornava a casa, non c’era amore nelle menzogne di Sev, non c’era amore per lei, in quel mondo in cui era sola.
Desiderò essere guardata con complicità, desiderò quel sorriso che sempre si dipingeva sul volto di James quando si rivolgeva ai suoi amici, desiderava provare un caldo abbraccio inaspettato, la protezione di qualcuno che si sarebbe schierato senza indugio per lei… ancora una volta e molte altre ancora. Ma davvero non aveva tutto ciò? Davvero quel contatto, quello sguardo le erano così estranei? O forse era solo lei che aveva paura, aveva paura di innamorarsi di quel bagliore, temendo un altro tradimento, un altro abbandono.
 
Già, l’amore, che terribile arma a doppio taglio: essa può essere una ragione di vita, ma anche un dolore che ti spegne.
 
Indietreggiò spaventata dalle sue stesse incertezze, da quei rifiuti che si erano accavallati nella sua vita e che temeva si ripetessero; spaventata dall’idea di rinunciare a tutto, per paura d’amare.
Ma in fondo andava bene così, infondo era più saggio custodire tutto dentro se stessi, perché nessuno potesse più ferirla, usando il suo cuore contro le persone che amava. Era meglio il buio della solitudine, perché li nessuno l’avrebbe raggiunta, nessuno avrebbe potuto toglierle ciò che non aveva.
L’amore non era un sentimento saggio la dove poteva essere un arma ed una debolezza. Doveva difendersi, doveva difenderli dalla sua Mediocrità, da quella mediocrità che prima Petunia e poi Severus le avevano urlato contro.
 
Per amore, avrebbe rinunciato ad amare.
 
Si voltò di scatto, gli occhi pieni di lacrime, pronta a fuggire ancora da se stessa, ma lo sgomento la pietrificò li dove si trovava. Vide un bambino al centro del corridoio, dai capelli neri, con grandi occhi scuri che la fissavano, pieni di un’insolita consapevolezza. Le allungo la mano, gliela offrì, in un tacito invito. Incerta, si guardò attorno, spiazzata da tutto ciò che stava vivendo, quasi nulla fosse reale, come se tutto stesse succedendo solo nella sua testa: anche quel bambino era nella sua testa? Eppure portava una divisa di Hogwarts, quella di Serpeverde. Si fece coraggio e si avvicinò a lui, ma man mano che avanzava lui cresceva, invecchiava fino a diventare un uomo adulto quando gli si fermò a qualche metro di distanza.
 
-Chi sei?- gli chiese, mantenendo un certo distacco, a disagio, diffidente. Lo fissò, lo studiò e una strana consapevolezza l’assalì, ma volle rifiutarla. Non era possibile, non nel Castello, non lei. Si stava sbagliando.
 
-Oh, credo che tu sappia chi sono!- disse con un sorriso bieco sulle labbra. Era affascinante, ma non aveva quel fascino che ti mozzava il fiato per la sua bellezza, era qualcosa di più, che sfociava in un innato carisma, in una calma salda, in una forza che trasudava nella sua postura, nello sguardo. Quando incrociò gli occhi verdi di lei la vide trasalire, percepiva la sua paura, quella fredda chiarezza che le aprì finalmente la mente e la portò a capire che lui era li, in lei, da quando quel brivido l’aveva assalita nel cortile
 
-Come… come hai fatto…- indietreggiò di colpo per sfuggirgli, ma si sottrasse solo d’un passo, sbattendo violentemente contro un muro alle sue spalle. Come, come poteva esserci una parete li, come aveva fatto a chiudersi in trappola, senza via di fuga? Non era possibile… quella parete non esisteva, non c’era fino a poco prima, era solo la materializzazione delle sue paure. La mano che stringeva la bacchetta tremava, non riusciva ad alzarla, a minacciarlo, a difendersi… era solo una preda
 
-Mi hai lasciato entrare tu, bambina. Quando hai aperto il tuo cuore a tutte le tue paure, alla paura di ciò che ti attende per il tuo futuro, per la paura del caos che ti aspetta dopo i M.A.G.O. Tu ora sei sola e mi hai invitata ad offrirti il mio appoggio, a guidarti verso le certezze che questo mondo non ti ha mai voluto offrire…- la sua voce era suadente, calda:-Solo io ho accolto il tuo silenzioso appello d’aiuto!-
 
-Ma io non ho bisogno d’aiuto! Io non voglio il Tuo aiuto!- affermò, con la voce rotta dal panico, cercando di scivolare sulla parete, per sfuggirgli. Ma per quanto lei si allontanasse lui restava davanti ai suoi occhi, immobile
 
-Oh, ma tu ne hai bisogno, lo so. Sei rimasta sola a questo mondo, con nessuno che è disposto ad offrirti qualcosa per cui valga la pena combattere, perché nessuno combatterà mai per te!- insidioso distese ancor più il braccio verso di lei, spalancò la mano, a richiamarla
 
-Non… non è vero… tu non puoi offrirmi qualcosa per cui lottare, tu vuoi darmi qualcosa per cui morire come un cane!- il respiro si fece affannato, le mancava l’aria, quasi lui gliela stessa portando via allungandosi verso di lei, bruciandole ossigeno vitale
 
-Oh no, io sto lottando per l’ordine e la disciplina nel Mondo Magico, sto lottando contro la corruzione, contro chi nell’ipocrisia nega a te e a tanti altri maghi dotati la possibilità di realizzare grandi cose!- calmo, la sua voce risuonava comprensiva, consolatoria:-Lily, molti vedono il potere come un male e te lo vogliono negare. Ma perché privarti di una cosa che fa parte di te? Pensa a quante cose stupefacenti potresti fare, a cosa potresti offrire a questo mondo, il cui solo pensiero è quello di vivere di mediocrità-
 
-Voi uccidete babbani e maghi innocenti, donne, bambini e uomini…- non fece in tempo a finire di parlare, lui come sospinto dal vento si trovò ad un battito di ciglia da lei. Non potè guardarlo, non doveva, glielo diceva il suo istinto, così serrò gli occhi
 
-Non era cominciata così, questa guerra. Ma il tuo Ministro non lo ammetterà Mai. Per secoli e secoli i Babbani ci hanno dato la caccia, obbligandoci a nasconderci, a vivere come reietti, a rifugiarci come topi in piccoli angoli del mondo, perché non distruggessero ciò che siamo- era come un ombra che si ingigantiva e incurvava su di lei, non appariva reale, concreto, ma si faceva opprimente:-Guarda solo tua sorella come rifiuta la tua Essenza, divorata dall’invidia, costringendoti alla solitudine, a nascondere ciò che sei, costretta a studiare lontano da lei, a non parlare della tua vita apertamente, vergognandosi di avere una Strega come sorella, disprezzandoti perché hai ciò che lei non avrà mai: la possibilità d’essere Magnifica!- un sibilo quelle parole:-Pensa che nel mondo miliardi di persone ti opprimerebbero con il suo stesso odio, togliendoti la libertà di essere semplicemente una Strega, una meravigliosa strega!- cercò i suoi occhi che pian pian si aprirono:-E così, ti devi nascondere, vivendo nella mediocrità. Ma io ti offro il potere Lily, il Potere di essere libera, di non avere più paure, di non doverti più nascondere, di non temere che i tuoi genitori possano essere screditati dalla Loro gente perché hanno messo al mondo ciò che per molti potrebbe essere un mostro, vivendo alla luce del sole, senza più alcuna proibizione, Libera!-
 
-Vattene!- con odio sibilò quelle parole:-Vattene via, lasciami stare!- cercò di fuggire, di sottrarsi a lui con un impeto di ribellione che non ebbe vita lunga. Fu semplicemente con una mano che lui la dominò: dita affusolate che si strinsero attorno al suo collo, a sbatterla violentemente contro la parete, a mozzarle il respiro per  la violenza di quel gesto.
 
-Non posso andarmene, Lily. Io sono frutto dei tuoi pensieri, dei tuoi desideri. Tu mi hai voluto qui, tu mi hai invocato, io sono le tue speranze. Vieni con me, ti insegnerò grandi cose, ti guiderò verso la strada della grandezza, non avrai più paura, non sarai più sola, vieni con me…- un sussurro mentre quell’ombra si chinava sempre più su di lei, quasi ad avvolgerla, ad inglobarla
 
-VATTENE VIA!- un grido disperato, un ordine ed una supplica allo stesso tempo, urlato a pieni polmoni con gli ultimi frammenti d’aria che le erano rimasti, sentendosi ora soffocare, arrancando. Sentiva il suo respiro sul proprio volto, vivido, reale, caldo ed ardente come l’inferno. Si lasciò scivolare lungo la parete, fino ad inginocchiarsi a terra, incapace di lottare oltre, lui le aveva tolto le forze e l’aveva liberata della sua presa perché cadesse al suo cospetto, sfinita, schiacciata.
 
-Lily!- quella voce parve lontana, surreale, come in un lontano ricordo. Ma corse verso di lei a restituirle un bagliore di speranza, di dolce e soave sorpresa. Un appello disperato che giunse a dissolvere tutto, a scacciare quell’ombra che lesta si ritirò dal pavimento, dai muri, a scivolar via dal corpo straziato della Caposcuola. Un semplice richiamo che riportò al mondo la sua anima reale e tutto tornò a brillare della calda luce delle fiaccole, tutto tornò come prima:-Lily!- ora la sua voce era chiara, limpida e presto lo fu anche la sua figura
 
-James!- le lacrime iniziarono a colare copiose nel momento in cui lo vide inginocchiarsi davanti a lei, incapace di trattenere oltre quella straziante tensione, cercando la sua protezione, la sua complicità, gettando attorno al suo collo le proprie braccia tremanti. Quell’abbraccio che ricevette, così dolce, preoccupato, premuroso, fu un fuoco che bruciò ogni sua paura, tornando a farla respirare:-E’ stato terribile… devo parlarne con Silente, ora!- disse stringendo il suo maglione, quasi a temere che se ne andasse, che la lasciasse di nuovo sola
 
-Ci andiamo appena ti sarai calmata un attimo!- disse staccandosi a fatica da lei, andando a guardarla negli occhi, a prenderle il volto tra le mani ed asciugarle le lacrime:-Non ti preoccupare, non ti succederà più nulla, non ti sfiorerà più, te lo giuro!- fu una promessa che sussurrò con un forte ed amaro senso di colpa, mortificato, arrabbiato. Non era al suo fianco quando aveva bisogno di lui, non era li con lei. Fu con un impeto di disperazione e terrore che tornò ad abbracciarla, pervaso dalla paura di perderla, desiderando solo di tenerla stratta a se:-Perdonami Lily se ti ho lasciata sola!- affondò il viso nei suoi capelli, riempì i polmoni del suo profumo. L’amava, più di ogni altra cosa e a costo della vita l’avrebbe difesa. L’amava e nulla e nessuno avrebbe potuto essere sufficientemente forte da ottenebrare la passione che l’avrebbe protetta per sempre, la Sua passione. L’Amava, e nemmeno Voldemort avrebbe potuto privarla di tutto ciò che lui provava.
 
 
 
 
(1)Questo concetto l’ho ripreso dalle parole di James alla fine del capitolo “Odi il mio ruggito” (penultimo paragrafetto del capitolo 7), in cui lui appunto accusa Lily di vivere troppo nella paura e che questo la porterà a non saper più distinguere tra la realtà ed i suoi timori.
(2)Questo pezzo in corsivo, questo ricordo, non è opera mia ma è ricalcato dai Libri di Harry Potter, precisamente dal 7° libro, in cui Harry rivede i ricordi di Piton nel pensatoio di SIlente. Quindi questo pezzo non è opera mia, ma i diritti sono di J.K. Rowling








NOTE


Eccomi qui infine con il nuovo capitolo: ho deciso all'ultimo di dare un attimo una svolta alla trama e ci ho messo un po' a scrivere questo piccolo "viaggio" nel cuore di Lily perchè, insomma, non è stato facile per me entrare nella mente dell'Oscuro Signore e pensare cosa potesse far sgorgare i Lily per renderla fragile, senza scadere ovviamente nel banale.
Perchè ho scelto che Voldemort abbia tentato di arruolare Lily? Perchè dai libri si sa che ha cercato di arruolare lei e James, che l'hanno respinto e poi sfidato. Tuttavia non sono specificate le dinamiche: quando e come ha cercato di arruolarli e successivamente come e quando loro hanno scelto di sfidarlo. Così ho deciso di dare un po' questa mia interpretazione in cui Voldemort vede in Lily un potenziale ancora prima che entri nell'Ordine e che cerchi di traviarla in un momento di debolezza e non quando ha già le spalle coperte da un amore saldo e scelte ben radicate che condivide con gli amici. Ovviamente tutto ciò che le racconta non corrisponde esattamente al vero... insomma, sappiamo tutti che Voldemort è una persona sibilina, che sa essere molto persuasivo e che fa il lavaggio del cervello: non gli interessa convincere le persone della sua verità, non tutte per lo meno, ma a lui basta dominare gli altri ed asservirli ai propri scopi anche se ciò vuol dire raggirarli ed illuderli di cavolate. Certo con Lily non poteva parlare di purezza di sangue, ma una strega formidabile come lei poteva essere ottima carne da macello per i suoi progetti.
L'inizio, la parte che riguarda Sirius fa ovviamente riferimento al capitolo precedente. Ho voluto introdurre così Regulus, a non renderlo un fantasma nella vita di Sirius, dato che per me non lo è affatto. La frase iniziale, quella in corsivo che altro non è la frase che hanno scritto alla Testa di Porco non è una citazione, ma è di mia "creazione". Ci tengo a sottolineare che io non condivido e non incito al razzismo e chiedo scusa se ho tirato in ballo la religione: non voglio offendere nessuno, ho solo cercato di essere realista. Ritengo che, come nella nostra storia uomini pazzi si sono sentiti autorizzati da Dio a fare scempio della dignità umana, anche i Mangiamorte possano essere altrettanto poveri di spirito e di intelligenza. Tuttavia, se la cosa dovesse turbare la sensibilità di qualcuno basta farmelo sapere e modificherò la frase, rinnovando le mie scuse verso chi si è sentito offeso.
Vi chiedo solo un po' di pazienza per il prossimo capitolo perchè avendo modificato la storia ora devo riordinare tutto visto che era già scritta e completa ed ho ovviamente stravolto l'intero lavoro!




 

   
 
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