Cap. III. Una giornata con la morte
Non riusciva a cancellare quell’immagine dalla sua mente.
Riviveva quei secondi ogni istante della sua vita.
Lei che arriva al semaforo, aspettando che scatti il verde; lui
che attende all’altro lato della strada. Bello come un dio, completamente
ignaro del freddo, che affrontava con una giacca leggera e l’immancabile sciarpa
bianca. Quel suo sorriso; quegli occhi d’ametista.
Il semaforo che diventa verde, lei che avanza. E
quell’auto…quell’auto nera che sfreccia ignorando il rosso del suo semaforo. La
voce di Kei che urla il suo nome.
-Hilary!
Il resto era successo talmente in fretta da non rendersene
nemmeno conto: una spinta e Hilary si era trovata a rotolare sul marciapiede
senza capire cosa fosse accaduto. Poi aveva guardato la strada e il suo cuore
aveva smesso di battere: c’era lui a terra, c’era del sangue…
Gli corse accanto, ma non poteva fare più nulla: gli occhi di
Kei, quegli occhi viola in cui amava perdersi, si erano chiusi per sempre.
Quel bastardo alla guida non si era neanche fermato: era andato
dritto per la sua via senza voltarsi.
Teneva fra le braccia il corpo senza vita del suo amore,
chiedendo aiuto: una piccola folla si era radunata attorno a loro, ma nessuno
poteva riportarlo in vita. L’aveva perso…per sempre.
Sdraiata sul letto, Hilary Tachibana, guardava con aria spenta
il soffitto: se c’era un Dio sopra di lei, quanto aveva deciso di farla
soffrire? La morte di suo padre, la partenza di Simon, il secondo matrimonio di
sua madre… Quanto male aveva fatto per meritare anche questo dolore?
Era una sofferenza che
le esplodeva dentro, partendo dal cuore e arrivando in ogni punto del suo
corpo. Kei, il suo Kei, non c’era più.
Aveva dato la sua vita per salvarla, ma lei ora desiderava solo
morire.
Guardandosi allo specchio, Takao Kinomiya finì di abbottonarsi
la camicia. Sentiva le voci dei ragazzi nell’ingresso che cercavano di
allontanare i giornalisti: non capivano che volevano essere lasciati soli con
il loro lutto? Erano stufi di parlare con quelle persone, stufi delle loro
domande, stufi della loro mancanza di rispetto.
Andavano ad un funerale, al funerale del loro amico, non ad un
party esclusivo.
Eppure quegli imbecilli non riuscivano a farselo entrare in
testa: essere un pluricampione mondiale aveva i suoi lati negativi. E stavano
emergendo tutti in quell’occasione.
-Kei…pazzo di un mezzosangue…- sussurrò, guardando la fotografia
sopra al tavolo. Due anni prima gli aveva chiesto quanto amasse Hilary e il
ragazzo dagli occhi viola gli aveva risposto:
-Darei la vita per lei.
Ed era andata proprio così: era finito sotto quell’auto per
salvare l’amore della sua vita.
Se solo ripensava a quella telefonata…
“Max e Rei stavano discutendo sulla disposizione degli
addobbi, mentre il prof urlava loro che erano blader e non decoratori
d’interni. Takao, avvolto in un groviglio di cavi, stava controllando le luci,
quando il telefono iniziò a squillare.
-Maledizione, sempre nei momenti giusti- imprecò. Emergendo dai
fili, gridò in direzione della cornetta: -Arrivo!
Trascinandosi appresso le luci dell’albero, il campione
raggiunse finalmente l’apparecchio.
-Venire voi a rispondere mai, vero?- inveì verso la sala. –Casa
Kinomiya, chi parla?
Mentre aspettava una risposta, agitò un piede per liberarsi
dalle sue “catene”. Ma dall’altra parte del filo non c’era che silenzio.
-Pronto?
Stava già pensando ad uno scherzo, quando sentì un singhiozzo.
-Takao…
Conosceva quella voce: era una voce che non avrebbe mai più
voluto sentire in quello stato. L’aveva giurato a sé stesso due anni prima.
-Hila, sei tu?
-Takao…
Sì, era proprio lei. E stava piangendo. Cominciò a preoccuparsi:
Hilary non era il tipo che si metteva a piangere per delle sciocchezze. E a
quell’ora avrebbe dovuto essere con Kei.
-Hilary, cos’è successo? Ti prego,
parla!
-Kei…
Se non altro, aveva cambiato nome. Cosa aveva combinato stavolta
quel ragazzo? Doveva essere qualcosa di grave, se Hilary piangeva a quel modo.
-Hila, cosa c’è? Hilary!
-Oh, Takao…lui…lui è…è morto…- balbettò, prima di scoppiare in
lacrime.
Fu come ricevere una coltellata dritta al cuore. Morto? No, non
era vero. Non era che un incubo da cui presto si sarebbe svegliato.
-Hilary…che stai dicendo? È uno scherzo, vero?- Ma lei continuò
a piangere e Takao abbassò lo sguardo, nascondendo gli occhi sotto la frangia
scura. Strinse le labbra fra i denti, ricacciando indietro le lacrime. –Dove
sei, Hila?
-A Tokio…in ospedale…
-Aspettami lì…non fare cretinate, mi raccomando.
Quando rientrò nella sala, cadde il silenzio: i volti dei suoi
amici si voltarono verso di lui, fermo sulla porta, il viso ancora celato dai
capelli.
-Smontate tutto- sibilò. –Non abbiamo più niente da festeggiare.
-Ma, Takao…la settimana prossima è Natale- intervenne Max.
-No, non c’è proprio un bel niente.
-Takao, cos’hai?- Nonno Jey gli venne incontro dal corridoio.
-Chi era al telefono? È forse successo qualcosa?- Rei, il suo
caro compagno di squadra: pareva avere un sesto senso per quelle cose, specie
se riguardavano il suo migliore amico.
-Perdonami se ti spezzo il cuore- pensò. –Ha chiamato Hilary
dall’ospedale…
-L’ospedale?!- ripeterono tutti all’unisono.
-Si tratta di Kei…è morto.”
Prese dall’armadio la giacca nera e gettò un’occhiata al foglio
con il discorso funebre: lo rilesse velocemente, per poi appallottolarlo e
buttarlo nel cestino. Kei preferiva le cose oneste e sincere, non le frasi
preparate a tavolino.
Si diresse verso la stanza degli ospiti dove dormiva Hilary,
ancora sotto l’effetto dei tranquillanti: soffriva da morire, come se le
avessero strappato una parte di lei. E Takao temeva che fosse una ferita
impossibile da rimarginare.
L’avevano sollevata da ogni responsabilità: Takao aveva
organizzato il funerale, parlato con la stampa e contattato il presidente
Daitenji, in vacanza ai Tropici.
Max e Rei si erano occupati della scelta della cassa, della
lapide e dei fiori: tutte rose, i fiori preferiti di Kei.
Ma se i due ragazzi ogni tanto si facevano ancora prendere dalla
disperazione, il loro capitano stringeva i denti e tirava avanti: non poteva
crollare anche lui, non ancora.
Avrebbe sfogato il suo dolore una volta finito il funerale.
-Sei pronto, Takao?
Uno sfatto Max si era affacciato alla porta: gli occhioni
azzurri sembravano ancora più grandi su quel viso pallido e scarno, reso ancora
più bianco dal completo nero.
-Sì, devo solo chiamare Hilary. Se ne sono andati i giornalisti?
-Purtroppo no. Rei li sta trattenendo, ma noi dovremo uscire dal
retro se non vogliamo incontrarli.
-Cose da pazzi…- mormorò in risposta, bussando alla porta.