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Autore: Alexandra e Mac    26/05/2013    10 recensioni
Chi è realmente Lady Sarah? E perché ha abbandonato l'unico uomo che le aveva fatto conoscere l'amore?
Come procede la storia tra Harm e Mac?
Per chi ha seguito con passione Giochi del Destino regaliamo (da brave STREGHE - o BEFANE!!!) il seguito della storia...
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Clayton Webb, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo XVI

Appuntamento col Destino





Castello della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

14 maggio 2005

Quando videro il giardino antistante rimasero a bocca aperta: un prato verdissimo perfettamente curato si apriva davanti a loro, punteggiato da siepi e alberi sapientemente potati. Sulla sinistra il Beaulieu River formava una larga ansa e nello specchio d’acqua nuotavano coppie di anatre.

Il giardino, ma definire così quell’immenso spiazzo erboso era solo riduttivo, correva tutto intorno al palazzo e sconfinava nelle rovine della Beaulieu Abbey.

L’ingresso era aperto e una scolaresca in attesa giocava con i cannoni posti ai lati del ponte levatoio.

Entrarono in un ampio vestibolo dove le pareti erano interamente ricoperte da quadri degli antenati di Lord Montagu. A terra, una moquette rossa a disegni dorati sembrava ispirata alle mattonelle che una volta avevano formato il pavimento della Beaulieu Abbey, le cui rovine, comprese entro il perimetro della proprietà della Palace House, si trovavano a poca distanza.

Oltre ai quadri ad olio, di cui uno ritraeva il padre di Milord in divisa militare, spiccavano anche vecchie fotografie risalenti, con tutta probabilità, ai primi del ‘900 e che riproducevano i membri della famiglia. Nella stessa stanza c’era anche un armadio a muro dalle cui vetrine si potevano ammirare cimeli appartenuti ai Montagu.

Un ingresso ad arco divideva il vestibolo da un’altra camera dalla quale si dipartiva uno scalone che portava ai piani superiori.

Non appena entrò in quella stanza, a Mac sembrò di esservi già stata, non solo ma il nome Montagu le faceva riaffiorare alla mente il ricordo, peraltro indefinito, di qualcosa. Le pareva di averlo già sentito altrove, ma non ricordava dove… esternò queste sue sensazione ad Harm: “Mi prenderai per visionaria” scherzò.

“Per nulla” rispose, “anche a me questo nome dice qualcosa. Andiamo avanti e vediamo se riusciamo a risolvere il mistero.”

Oltrepassarono la porta ad arco e sulla destra videro che si apriva un’austera quando grande sala da pranzo. Vedendoli così incuriositi, un impeccabile butler si avvicinò:

“Stupefacente vero?”

“Già” rispose Mac, “ma anche molto strano. L’arredamento di questa stanza mi pare essere in netto contrasto con tutto il resto, per quanto poco possiamo avere visto sino ad ora” osservò.

La Dining Hall risale al 1414, ma’am, e sia le volte sia l’arredamento sono ispirati alla Beaulieu Abbey. In questo momento vi trovare nella parte più antica della Palace House. Nel 1982” proseguì l’uomo, “in questa sala fu festeggiato il ventunesimo compleanno dell’Hon. Ralph, figlio maggiore di Milord nonché suo erede, mentre nel 1995 la famiglia ha festeggiato, proprio qui, il centenario di Lady Pearl, la madre di Milord.”

“E’ ancora in uso?” volle sapere Harm.

“No, questa parte della Palace House è aperta al pubblico e non viene più utilizzata dalla famiglia che vive nell’altra ala del Castello.”

“Spazio non ne manca davvero…” osservò Harm guardandosi attorno e pensando alla grandezza del Castello.

“Al piano superiore cosa c’è?” chiese Mac.

La Upper Drawing Room, la Ante Room, e la Private Dining Room, ma’am” rispose compitamente il butler. “Ma prego, salite e vedete con i vostri occhi” li invitò.

Harm e Mac salutarono calorosamente l’anziano signore e ne seguirono il consiglio, avviandosi verso la scalinata.

Ma prima di poter salire si accorsero che, proprio alla base dello scalone, si apriva un’altra stanza. Entrarono e con sommo stupore notarono che era completamente tappezzata di seta azzurra e che tutto l’arredamento era di marcata ispirazione cinese, o comunque orientale.

Anche qui parecchi ritratti alle pareti e un camino in pietra che era uno splendore. Dall’aria che si respirava in quella stanza doveva essere stata una delle più usate in passato, anche per la splendida vista che aveva sul giardino e per le grandi finestre a bovindo che la rendevano molto luminosa.

Uscirono e salirono al piano superiore. Sulla parete a fianco della scala v’erano appesi ancora molti ritratti a olio degli antenati dei Montagu, alcuni indossavano le gorgiere tipiche del regno di Elisabetta I, famosa per l’eccessiva austerità della moda da lei stessa introdotta, altri vestivano abiti di foggia settecentesca ed ottocentesca.

“Di tutti questi quadri, quello che mi è piaciuto di più si trova al piano terra, all’ingresso” disse Mac.

“Alludi al ritratto di Lady Pearl?”

“Sì. Mi è sembrato molto naturale e poco austero. Oltretutto Milady era davvero una gran bella donna in gioventù. Ma c’è di più, mi sembra d’averla già vista da qualche altra parte…” aggiunse perplessa.

Giunsero in cima allo scalone, per fortuna la gente che affollava il Castello scendeva, mentre loro salivano. Quando arrivarono al secondo piano le sale erano vuote e silenziose e i loro passi risuonavano sulla moquette che ricopriva un antico parquet di legno pregiato, stando a quanto dicevano alcune targhe. Nella stanza che si apriva immediatamente alla loro destra, chiamata Upper Drawing Room, la tappezzeria a foglie dorate riproduceva la croce e la corona della Beaulieu Abbey nonché lo stemma della famiglia nobiliare, e grosse mensole di pietra reggevano le armi di alcuni degli antenati di Lord Montagu i cui fasci erano dorati con le stelle e le lune delle armi della famiglia Scott.

Il piano nel centro della stanza era un esempio fine di un Broadwood dell’inizio del 1818.

Una targa, posta al centro del piano così recitava: “I visitatori di questa stanza e di quella adiacente, a volte percepiscono odore di fiori e odono canti gregoriani, ma non c'è nulla da temere. A Beaulieu questi sono fenomeni psichici ben noti!”.

All’improvviso Mac, che stava ammirando tutti questi preziosi arredi, si sentì strattonare per la manica del Barbour.

Si voltò e vide Harm che sorrideva sotto i baffi, la classica espressione del gatto che ha appena mangiato il topo e l’ha fatta franca.

“Cosa sai che io non so?” chiese pur conoscendo già la risposta.

“Seguimi e lo scoprirai” rispose enigmatico.

Rassegnata lo seguì. Tormentarlo di domande non sarebbe servito a nulla se non a fargli fare ancor di più il misterioso per farla morire di curiosità. Uscirono dalla sala che godeva di una fantastica vista sul parco sottostante e si ritrovarono ancora in cima allo scalone.

“Ebbene?” domandò un po’ seccata, ma anche impaziente.

“Alza gli occhi Colonnello e dimmi cosa vedi” rispose Harm mentre il sorriso da sornione diventava a trentasei denti, illuminandogli lo sguardo.

Mac fece quanto consigliato.

“Oh mio Dio!” esclamò più stupita che mai portando una mano alla bocca. “Non ci posso credere!”

Si avvicinò al ritratto per leggere meglio il nome sulla targhetta di ottone, non ancora del tutto convinta di ciò che aveva davanti.

“Ma è davvero…” disse voltandosi verso di lui lo sguardo illuminato da una luce incredula come di chi abbia ritrovato un vecchio amico dopo anni, e stenti a credere che egli sia lì in carne ed ossa.

“Direi di sì” le rispose con somma soddisfazione: ancora una volta era riuscito a sorprenderla.

Sopra di loro, impressa sulla tela, ritratta nel pieno fiore degli anni e della bellezza, stava Lady Sarah Jane Montagu.

“E’ proprio lei. Deve esserlo, non ci sono molte altre Lady Sarah Jane Montagu descritte nel diario di un Conte francese di metà Ottocento” osservò Mac ricordando all’improvviso il perché quel nome le fosse così tanto familiare.

“Sai che un po’ ti somiglia?” disse Harm. “Avete lo stesso sguardo indomito, la stessa luce di determinatezza e lo stesso portamento fiero. Sei sicura di non essere una sua discendente?”

Mac si voltò verso di lui, fissandolo con aria stranita. Era sbigottita dalle sue parole, non le aveva mai rivolto dei complimenti così smaccati. E con quell’aria seria per di più! Apprezzò le sue parole, ma non fece commenti ulteriori limitandosi ad un: “Niente affatto Capitano: bisnonna indiana Cherokee, bisnonno paterno Cherokee capo indiano, e nonna iraniana, ormai dovresti saperlo. Per cui, come vedi, le mie ascendenze non hanno nulla a che vedere con la nobiltà inglese di metà Ottocento”.

Tornò poi a fissare il ritratto: “Chissà come è finita la sua storia” si chiese, parlando più a se stessa che a lui, “se dopo aver lasciato André sulla Medea l’abbia ritrovato, se si siano sposati…”. Sospirò guardando la tela quasi che, da un momento all’altro, Lady Sarah potesse animarsi e scendere dalla cornice nelle sue eleganti crinoline azzurro pallido e, sedendo nella Drawing Room o nella Private Dining Room, raccontare loro la sua vita straordinaria davanti ad una tazza di vero the inglese.

Harm vide l’aria sognante che si era dipinta sul volto di Mac ed ebbe l’impulso di abbracciarla, stringerla a sé e sussurrarle che l’amava perdutamente.

Non poteva sapere che in quello stesso punto, due secoli prima, un altro uomo, vedendo una donna piangere, aveva pensato le medesime cose…

Ma Sarah si riebbe dalla momentanea trance romantica e, tornando il pragmatico Marine di sempre, gli propose: “Cerchiamo una biblioteca, in un posto così ce ne deve essere una per forza, e vediamo se ci sono libri che parlano di lei”.

“Mac non possiamo metterci a curiosare in giro” la redarguì. “Scordi che questa è solo in parte una proprietà aperta al pubblico.”

“Uh uh” lo prese in giro lei, “allora è vero che la promozione ti ha reso meno cow boy… ”

“Non è così” si difese. “Non mi piace essere colto in flagrante da un Milord. Che figura ci faremmo?”

“O, piuttosto, dì, che figura ci faresti TU. Il Capo della Procura Militare delle Forze Navali in Europa, scoperto mentre fruga nella biblioteca di un attempato Lord inglese. Già davvero molto disdicevole…” proseguì Mac il tono sussiegoso degno di una gran dama dell’Ottocento prendendolo in giro atrocemente ma divertendosi un mondo nel farlo.

Harm non disse nulla, la prese per mano e la condusse via, prima che ponesse in atto lo “scellerato” proposito.

Si diressero verso un altro salone, che aveva tutta l’aria di essere una sala da pranzo per bambini. Al centro un tavolo rotondo sul quale erano posati alcuni giocattoli d’epoca.

Mac era elettrizzata, adesso capiva il perché di quella continua sensazione di dejà-vu che la tormentava da quando era arrivata a Beaulieu e aveva messo piede nel Castello. Quelli erano i luoghi in cui era nata e cresciuta Lady Sarah, la protagonista di quell’incredibile avventura a Vienna e che era fuggita sulla nave comandata dall’Ammiraglio Blackbird. Girando per le stanze della Palace House le pareva quasi di vederla camminare fra quelle mura che un tempo erano appartenute alla sua famiglia. Quasi quasi sperò che di notte il suo fantasma, nella migliore tradizione dei castelli inglesi, si aggirasse nelle sale.

In quel momento si trovavano nella Private Dining Room.

Questa stanza, recitava la placca descrittiva, un tempo faceva parte delle cappelle gemelle della parte a Nord del vecchio Castello, successivamente divise dopo la Dissoluzione. Negli anni a venire era stata dapprima usata come una camera da letto e salotto e, dal 1952, come sala da pranzo privata di Lord Montagu.

La pannellatura di lino viene dalla Camera dei Comuni dopo che molta parte di essa venne distrutta dal fuoco in 1834. Il dipinto posto sopra il camino raffigurava John, Marchese di Morthermer, unico figlio di George, Duca di Montagu, ritratto durante il suo Gran Tour in Italia, dal quale riportò le deliziose vedute di Napoli dipinte da Antonio Joli, che si trovavano appese alle pareti.

In fondo alla stanza, vicino al caminetto, si apriva una porta e ne varcarono la soglia, ritrovandosi così in una biblioteca. Dietro di loro l’uscio si richiuse rivelandosi essere un falso scaffale colmo di libri. Nella nuova stanza, il parquet era coperto da preziosi tappeti, alle pareti alti scaffali che giungevano sino al soffitto a cassettoni, carichi di volumi. A destra, rispetto all’ingresso, faceva bella mostra un’antica scrivania accanto alla quale stava una lampada a stelo lungo che proiettava una calda luce ambrata.

Al centro della stanza comode poltrone di panno piuttosto consunte riscaldavano l’atmosfera dandole quel tocco di intimità che la faceva assomigliare ad un ambiente molto “vissuto”. Fu proprio quell’aria di vita vissuta a fare scattare il sospetto nella mente di Mac: “Non è che per caso siamo capitati nella parte non aperta al pubblico?”.

“La porta era aperta. Se questa stanza facesse parte dell’ala privata del Castello l’avremmo trovata chiusa” le rispose Harm.

“Ottima deduzione avvocato, dopotutto lo smalto non l’hai ancora perso fra le scartoffie…” lo prese bonariamente in giro lei.

“E poi non eri tu quella che cercava una biblioteca?” le ricordò ignorando la battuta.

“Eh già.”

Mac si fregò mentalmente le mani e si mise all’opera curiosando fra gli scaffali cercando un qualsiasi indizio che la riconducesse a Lady Sarah, mentre Harm, scuotendo la testa in segno di resa, l’aiutava “lavorando” sulla parete opposta.

D’un tratto un leggero colpo di tosse li avvertì che, oltre a loro, nella stanza c’era anche una terza persona.

Si voltarono di scatto.

“Credo che abbiate… come dire… sconfinato?” disse il nuovo venuto.

Riconosciuto Lord Montagu nell’alto signore che stava loro davanti per averne visto il ritratto nella sala che precedeva la Upper Drawing Room, Harm e Mac si profusero in scuse.

“Non sapevamo che fosse la parte privata del Castello Milord” disse Mac. “Ci trovavamo nella Private Dining Room e la porta che conduceva qui era aperta, per cui abbiamo supposto che la biblioteca fosse aperta al pubblico” proseguì gettando un’occhiataccia ad Harm, il quale le rispose con un’alzata di spalle come a dire “E come lo potevo sapere?!”.

“Probabilmente mia figlia deve aver pensato che l’orario delle visite fosse terminato e l’ha lasciata aperta.”

“Togliamo immediatamente il disturbo Milord” intervenne Harm. Ma Mac lo fermò prima che uscisse: se c’era qualcuno che poteva fornire maggiori spiegazioni su Lady Sarah quello era proprio quel simpatico signore di mezza età dai lineamenti gentili. Pertanto s’azzardò: “Milord sono molto incuriosita da un ritratto appeso nella galleria sulle scale…”.

Harm le strinse il braccio. Negli occhi una muta preghiera: “Per favore Mac….”, ma lei, da bravo Marine qual era, non si diede per vinta e attese una risposta dal nobiluomo.

“Quale sarebbe?” chiese alfine quest’ultimo.

“Quello di Lady Sarah Jane Montagu” rispose. “Vede, io e il mio collega tempo addietro ci siamo “imbattuti” in una dama che portava lo stesso nome e…” in breve raccontò dello strano caso che aveva coinvolto l’Ammiraglio Blackbird e anche loro due.

“Mai e poi mai avrei immaginato che l’avventura vissuta a Vienna della mia antenata avrebbe potuto finire tra le carte di un caso affidato alla Procura della Marina Militare Americana!” esclamò Lord Montagu sinceramente divertito dalla scoperta.

“Ebbene” proseguì sedendosi in una delle poltrone e invitando Harm e Mac a fare lo stesso, “credo che abbiate diritto di conoscere le vicissitudini della mia famiglia, salvata proprio grazie ai buoni uffici di Lady Sarah Jane, figlia di Lord David J. Montagu, Lady Thornton, Duchessa di Lyndham.”

“Oh no!” lo interruppe Mac. “E io che pensavo avesse sposato il Conte D’Harmòn!”


Castello della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

14 maggio 1858

Una carezza sul viso lo svegliò da sogni dolci e arditi, gli stessi che faceva ogni notte, da mesi e mesi ormai.

E come ogni mattino, temeva il risveglio. Con il risveglio quei sogni sarebbero sfumati e con essi la gioia che gli avevano procurato.

Riluttante decise di aprire gli occhi e scorse un’immagine china su di sé.  

Non appena mise a fuoco quell’immagine, sorrise dolcemente, ricordando che ciò che credeva d’aver sognato, quella notte si era trasformato in realtà: lei, finalmente, era stata sua.

Stava per accarezzarla e avvicinare a sé il suo volto per baciarla, quando si accorse di non avere più la benda a coprirgli l’occhio. Istintivamente sollevò una mano per cercarla, finché non vide che era nelle sue mani.

Non disse nulla. Si limitò a fissarla.

Anche lei lo guardò e Nicholas non riuscì a capire che cosa stesse passando nella sua mente. La vide esitare un attimo, quasi a decidere il da farsi. Stava per dirle qualcosa, quando lei sorrise e subito dopo parlò, ormai convinta che fosse  giunto il momento di giocare a carte scoperte.

“Nessuna cicatrice. E il tuo occhio sembra vederci benissimo. Perché la porti?”, chiese con tono allegro, sventolandogli la benda nera davanti agli occhi; quindi, senza neppure lasciargli il tempo di rispondere, gli diede il buongiorno e lo fece seguire da un lungo bacio.

Si staccò dalle sue labbra, ma continuò ad accarezzargli la guancia:

“Per questa facciamo qualcosa”, disse riferendosi alla folta barba che gli ricopriva buona parte del viso.

Lui continuava ad osservarla, sempre in silenzio.

“Mi piaci con la barba, ti regala un aspetto se possibile ancora più distinto, da vero Lord inglese. Ma se la facessi accorciare e sfoltire un po’, come detta la moda, sono sicura che torneresti ad avere anche quell’aria un po’ sfrontata e impertinente che mi è sempre piaciuta tanto. E poi… via questa benda! Posso fare a meno del tuo ciuffo ribelle, ma voglio poterti guardare in entrambi gli occhi. Sai bene quanto adoro i tuoi occhi…”

Detto questo si alzò dal letto.

“Dove vai?” chiese lui.

Lei si voltò a guardarlo, splendida nella sua nudità.

“Conte D’Harmòn, se non ricordo male, avevamo ancora un patto da mantenere: un duello con la spada e una cavalcata nei boschi di primo mattino. Vado a prepararmi. Non vorrei farvi attendere oltre”, gli disse provocante.

Sorridendo, lui si allungò verso di lei, catturandole un polso.

“Vieni qui…” mormorò, facendola cadere tra le sue braccia.

S’impossessò della sua bocca, baciandola intensamente e scoprendosi immediatamente pronto a fare di nuovo l’amore con lei.

Non ne aveva mai abbastanza di sua moglie. Durante la notte si erano amati più volte eppure non riusciva a saziarsi a sufficienza.

“Ti voglio, Sarah…” sussurrò, spostandosi di lato e imprigionandola sotto di sé.

“Ma… la cavalcata? E il duello?” cercò di protestare lei, mentre un sorriso le increspava gli angoli della bocca.

“Domani. Abbiamo atteso per oltre un anno… possiamo attendere un giorno ancora…” rispose, intercalando alle parole baci e carezze sulla sua pelle morbida e invitante.

“Questo, invece, non può attendere…”


Castello della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

14 maggio 2005

All’esclamazione colma di delusione di Mac, Lord Montagu non seppe trattenere una risata di gusto. Lei se la prese un po’, ma si accorse che Milord non si stava prendendo gioco di lei.

“Gradite qualcosa da bere prima che cominci il mio racconto?” chiese.

Prima che Harm e Mac potessero obiettare alcunché disse: “Mettetevi pure comodi, sarà una storia lunga”.

“Quand’è così” replicò Harm, “quello che prende Milord per me va benissimo.”

“E lei Colonnello? Gradisce qualcosa?”

“Della semplice acqua tonica andrà benissimo.”

Lord Montagu suonò un campanello d’argento che emise un sommesso scampanellio, ma tanto bastò perché, come comparso dal nulla, si materializzasse un maggiordomo.

“Due sherry e un’acqua tonica Everly” disse con garbo Milord.

“Subito M’lord” rispose il maggiordomo e, silenzioso com’era venuto, se ne andò per essere di ritorno pochissimi minuti dopo reggendo un vassoio d’argento con tre bicchieri di cristallo che posò sul tavolino posto al centro delle poltrone.

“Occorre altro M’lord?” chiese.

“Per il momento nulla. Grazie Everly.”

“Dove eravamo rimasti?” si rivolse ai due.

Mac ebbe la risposta pronta, era troppo impaziente di conoscere la storia di Lady Sarah per strasene zitta e buona, anche di fronte ad un Lord inglese: “Doveva raccontarci di Lady Sarah e del Conte D’Harmòn” disse.

Harm era rimasto in silenzio, godendosi la scena. Mac sprizzava curiosità da tutti i pori, era una vera gioia vederla.

“Dunque…” cominciò il suo racconto Lord Montagu, mentre fuori le ombre del pomeriggio cominciavano ad allungarsi.

L’antico orologio da tavolo scandì le otto, ma Lord Montagu non aveva ancora terminato di raccontare la storia di Lady Sarah. L’anziano gentiluomo, udendo i rintocchi, si rese conto dell’ora tarda e, interrompendosi per un attimo, scosse nuovamente il campanello d’argento.

Come era accaduto qualche ora prima, Everly si materializzò dal nulla.

“Per favore” disse Milord rivolgendosi al maggiordomo, “avvisa in cucina che stasera avremo ospiti.”

“Certo M’lord” rispose l’uomo e se ne andò.

Harm e Mac fecero per protestare, ma Lord Montagu prevenne ogni loro contestazione: “Come vi accennavo quest’oggi, è una storia lunga, per cui avrei molto piacere che vi fermaste in modo da conoscere la mia famiglia e saperne qualcosa di più sulla vita di Lady Sarah. Del resto ho l’onore di avere come ospiti il Capo della Procura Militare delle Forze Navali in Europa e il Comandante di un ufficio della Procura Militare negli Stati Uniti. Altresì dopo cena avrei piacere di mostravi i diari di mio nonno. Sono certo che lì la vostra curiosità troverà soddisfazione”.

I due ufficiali  si guardarono: quando mai sarebbe ricapitata l’occasione di cenare con un Lord?

“Il nostro abbigliamento non è molto consono Milord” osservò Harm indicando se stesso, che indossava jeans e un maglione sportivo, e Mac anch’essa vestita casual.

“Infatti” intervenne quest’ultima. “Se per voi non è troppo incomodo preferiremmo tornare in albergo a cambiarci. Stamani non avremmo certo previsto di cenare con un Pari d’Inghilterra.”

“Oh, quante storie…”  E con questo Lord Montagu chiuse la questione dell’etichetta.

La cena era squisita e altrettanto lo fu la compagnia di Lord Montagu e della sua famiglia deliziosa. Erano persone molto alla mano, pur essendo nobili.

Al termine della cena Milord, come promesso, mostrò  loro  i diari del nonno e fu la lettura di quei diari a fare comprendere a Harm e Mac il mistero di Lady Sarah e del suo matrimonio con Lord Thornton, futuro Duca di Lyndham.

Ripresero la via del Masters Builders’ House Hotel che era mezzanotte passata, ognuno immerso nei propri pensieri. La storia raccontata da Lord Montagu aveva colpito profondamente entrambi, più di quanto essi stessi avrebbero ammesso.

Mac si era scoperta a voler essere come Lady Sarah capace, nonostante tutto, le sue paure, i suoi dubbi, i suoi timori, di affidarsi completamente ad un uomo, l’uomo che l’amava e che lei stessa aveva scoperto di poter amare, pur avendo paura dell’ignoto. Invece lei stava scegliendo la strada più facile: Clayton.  

Arrivarono in albergo e si diedero la buonanotte; dopo averla salutata, tuttavia, Harm non si ritirò subito nella propria camera, ma scese a bere qualcosa, a sua volta turbato dagli eventi della giornata. Aveva trascorso ore bellissime con lei e si era reso conto d’amarla ancora. Amava anche Belinda, ma era diverso: non l’amava a sufficienza da smettere di amare Mac. Neppure un oceano di distanza e un'altra donna erano riusciti a fargliela dimenticare. E non sarebbe mai successo.

Pensò al racconto di Lord Montagu, a come un uomo era stato capace di riconquistare la donna che amava e si disse che non sarebbe stato da meno di un nobile europeo di metà Ottocento. Tornò sui suoi passi e bussò alla sua porta.

“Abbiamo un discorso in sospeso” , esordì Harm, quando lei gli aprì.

“Abbiamo cosa? Harm hai bevuto per caso?”

Non diede segno d’averla ascoltata ed entrò.

“Sono stanca, Harm. Per favore mi vuoi dire cosa c’è di tanto importante da parlarne proprio ora?”

“Te l’ho appena detto: abbiamo un discorso in sospeso.”

Mac sospirò, appoggiandosi alla porta chiusa: “L’Inghilterra deve averti dato alla tesa, oppure la promozione… o è stato il racconto di Lord Montagu?”.

“Dobbiamo parlare.”

“E di cosa? Non abbiamo più nulla da dirci. Ci sono state le occasioni giuste per farlo ma non sono mai state sfruttate… ora non puoi pretendere di ‘parlare’ solo perchè non ti va giù l’idea che mi sposi con Clay…”

Harm le si avvicinò. Era talmente bella con addosso solo quella vestaglia di seta color panna!

Le sfiorò la guancia con una carezza: “Sei talmente bella…” mormorò.

“Harm, per favore, cerca di essere ragionevole. Sto per sposarmi, mi sono impegnata ad amare e rispettare un solo uomo, e quell’uomo non sei tu” disse Mac quasi in una supplica portando la mano sinistra davanti al viso affinché lui potesse vedere l’anello.

Egli intuì il significato di quel gesto e, per un attimo, si riebbe. Ma fu solo un attimo, appunto. Posò lo sguardo sulle labbra di lei e ne immaginò il gusto e la morbidezza. Vide il suo petto alzarsi ed abbassarsi al ritmo del respiro ed immaginò di far scorrere le sue mani su quella pelle di seta.

Nella penombra creata dalla sola abat-jour posata sul comodino, Mac stava combattendo la battaglia più dura della sua avita.

L’uomo che aveva sempre voluto, l’unico che avesse mai amato con tutto l’ardore di cui era capace, il solo di cui si fidasse e che non le aveva mai mentito era lì davanti a lei con un’espressione tale sul viso quale non gli aveva mai visto.

Lesse in quegli occhi il desiderio di lei e ne ebbe paura, lesse l’amore e ne fu terrorizzata.

Era troppo tardi ormai. Aveva preso un impegno ed intendeva onorarlo fino in fondo, aveva deciso che con Harm proprio non era possibile costruire un futuro ed ora… ora lui stava rovinando tutto come al solito arrivando all’ultimo minuto, provò rabbia e gli occhi le si riempirono di lacrime. Non poteva arrogarsi il diritto di trattarla in quel modo solo perché era geloso, solo perché non poteva averla.

“Cosa vuoi da me?” domandò cercando di appiattirsi contro la porta di robusta quercia inglese, come se volesse divenire tutt’uno con essa. “Perché non mi lasci andare? Perché non accetti la realtà e..”

Fu interrotta: “Perché non posso fare a meno di te” prendendola per le spalle e avvicinandola a sé.

Percepì il calore del suo corpo, sentì i suoi muscoli sotto di sé, le parve quasi di vedere la sua anima che disperatamente cercava di trovare le parole giuste, quelle che aveva sempre sognato di sentirsi dire sin dal loro primo incontro. E si abbarbicò a lui, mentre sentimenti che sperava di aver dimenticato tornarono ad invaderla, privandola d’ogni forza di volontà.

Si lasciò andare alla corrente, senza scampo.

Harm avvertì il suo cambiamento e la strinse a sé ancora più forte, staccandola dalla porta alla quale Sarah sì era incollata, impaurita e spiazzata.

La sentì contro di sé mentre si lasciava andare e il suo corpo rilasciava tutta la tensione accumulata.

Erano due anime erranti che si erano ritrovate dopo un lungo viaggio, due pellegrini che avevano raggiunto un traguardo, ancorché la strada da percorrere fosse ancora lunga.

Harm respirò il suo profumo, respirò la sua paura e il suo desiderio.

Mac alzò il viso verso di lui, lo fissò intensamente vedendolo per quello che era e cogliendo una sfumatura di disperazione in quello che stava facendo: non era gelosia, la sua, non era indispettito perché stava per sposare una persona che lui non poteva soffrire. Harm l’amava. Sul serio. E se avesse compreso che lei davvero voleva unirsi per la vita con Webb, l’avrebbe lasciata andare. Perché l’amava e l’amore fa fare sacrifici per la felicità di chi si ama. Piuttosto che renderla lui stesso infelice l’avrebbe lasciata ad un altro.

Egli la teneva stretta, le sue mani si erano spostate sulla vita e Sarah avvertiva il contatto attraverso la sottile stoffa della vestaglia. Le sembrava che in quel preciso punto del suo corpo la pelle si fosse improvvisamente ustionata.

Quella sensazione l’aveva mai provata fra le braccia del suo futuro marito? Quel misto di caldo e freddo, paura, desiderio e aspettativa, le aveva mai conosciute quando Clay l’abbracciava o la baciava?

“No” rispose a se stessa.

E la corazza si sbriciolò definitivamente lasciando che i sentimenti repressi fluissero liberamente.

Si baciarono e Mac provò un brivido così intenso da farla tremare, ma non si staccò. Anzi insistette in quel bacio, quasi volesse dirgli tutto ciò che non riusciva a comunicare a parole.

Inconsapevolmente si diressero verso il letto, ma a poca distanza Harm si fermò, sciogliendosi dall’abbraccio e dal bacio.

“Sarebbe un errore” disse carezzandole il volto nel suo solito gesto.

Con una punta di cinismo lei si chiese se facesse la stessa cosa anche con Belinda. Ma sapeva che non era così, quel gesto, quell’espressione erano riservati a lei sola.

“Perché?” chiese persa ancora nel suo bacio, con il sapore delle sue labbra in bocca.

“Perché è l’emozione del momento. Potremmo pentircene.”

“Mister razionalità” ironizzò sedendosi sul letto. Per un attimo le era sembrato che i suoi sogni più sfrenati stessero per avverarsi, e ora si dava dell’imbecille per avergli permesso di giungere a tanto. Ma un moto di ribellione la indusse ad esigere ciò che agognava da tempo. Si sentiva come se avesse superato una linea immaginaria di non ritorno. Non poteva, e non voleva, tornare indietro.

“Non puoi decidere razionalmente certe cose Harm” lo rimproverò.

Lui le si sedette accanto: “Mi costa farlo Sarah. Vorrei averti ora, vorrei averti per sempre, ma…”.

Lei non gli diede il tempo di portare a termine la frase.

Assetata di lui come un vampiro gli saltò addosso baciandolo con forza e costringendolo a togliersi gli indumenti.

Con pochi gesti veloci si liberò di tutto ciò che aveva indosso, per la verità molto poco, mentre il fuoco del desiderio troppo a lungo represso esplodeva in lei come un’atomica.

Lo possedette come una furia, come a volersi vendicare di quell’attesa così lunga, come per affermare il suo diritto di appropriarsi di quell’essere umano che stava sotto di lei e si muoveva a sincrono dapprima lentamente, poi sempre più veloce fino a quando la terra intera non scomparve e rimasero solo loro due, i cuori uniti in un solo battito, i respiri ansanti e i corpi spossati.

Nell’attimo del sublime aprì gli occhi e lo guardò, e ciò che vide la fece sentire un tutt’uno con lui le fece capire che le affinità elettive non si possono spezzare.

Si accasciò sopra di lui, esausta, senza fiato e completamente svuotata.

“Credo che il mio matrimonio debba essere annullato” mormorò prima di crollare addormentata.


Castello della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra

14 maggio 1858 

“Da quanto lo sai?”

Erano ancora a letto, dopo aver fatto nuovamente l’amore. André la teneva tra le braccia, senza smettere di accarezzarle la schiena. Lei aveva la testa posata sul suo petto e con una mano gli sfiorava i muscoli delle braccia e del torace.

Entrambi amavano concedersi quei momenti di dolcezza e di intimità, che seguivano alla passione più sfrenata e all’intensità del loro desiderarsi.

“Dal mio rientro da Londra. L’altro giorno ti ho sentito parlare con tuo zio e ho deciso che dovevo sapere cos’altro mi nascondevi. Quello che avevo sentito, unito alle sensazioni che avevo sempre provato con Lord Nicholas Thornton, mi aveva aperto finalmente gli occhi e il cuore, ma volevo essere completamente certa del mio sospetto. Ho consultato l’Almanacco del Gotha e non ho avuto bisogno d’indagare oltre. Era tutto lì, nel nome per intero dell’erede di Sua Grazia: André François Nicholas, Conte D’Harmòn e futuro duca di Lyndham. Nulla da dire, un ottimo partito! Ben due titoli per un solo uomo.”

Lui sorrise: “E’ quello che ho sempre pensato anch’io. Un po’ troppo, per una sola persona”.

“Porti entrambi i nomi di tuo zio… e io che credevo che fosse solo Nicholas ad unirvi…”

“André era anche il nome del mio bisnonno paterno. Nicholas, invece, è stato aggiunto proprio per mio zio. François per S. Francesco, un santo cui mia nonna paterna era particolarmente devota. Da mio zio ho preso in prestito provvisoriamente e in anticipo il cognome, mentre il titolo di Lord mi spetta di diritto già da ora, come suo successore… è una faccenda abbastanza complicata essere erede di due titoli nobiliari e per di più in due paesi diversi.” [1]

“Oh, lo immagino! Quello che non immaginavo, però, era che fossi un così bravo attore. E sei molto abile anche a camuffare la tua voce e il tuo adorabile accento francese!”

“Mi è sempre venuto facile. Da ragazzino facevo ridere tutti. Ma per l’accento… è stato mio zio a pretendere che frequentassi le migliori scuole in Inghilterra, per diventare un vero lord inglese e degno successore al titolo di Duca. Pur rispettando moltissimo mio padre, Sua Grazia ritiene che il sangue francese sia un po’ troppo… passionale per i suoi gusti. O meglio, per ciò che richiederebbe l’aplomb tipicamente british della nobiltà inglese.”

“Ottima idea anche la barba folta e la benda da pirata all’occhio…”

“Non volevo che mi riconoscessi subito e che fuggissi prima d’aver avuto il tempo di aiutarti.”

“Eri davvero convinto che sarei fuggita?”

“Lo avevi già fatto una volta.”

Percepì la tensione del suo corpo mentre ricordava quei momenti.

“Lo so, hai ragione. E mi dispiace tanto. Non saprai mai quanto ho sofferto da quando presi quella decisione…” disse lei, stringendosi maggiormente a lui.

“Ti ho odiato, sai? Quando ho capito che te n’eri andata, per un attimo ti ho odiato.”

“Ti avrei odiato anch’io… e non sai quanto ho odiato me stessa.”

“Poi ho letto il tuo messaggio e ho sentito il cuore andarmi in mille pezzi…”

“André…” poteva sentire ancora la sofferenza che lo aveva devastato allora. “André, perdonami.”

“L’ho già fatto, tanto tempo fa. Mi sono accorto d’averti perdonato nell’istante in cui mi dissi che ti sarei venuto a cercare non appena fossi riuscito a tornare in Inghilterra.”

“Ed è quello che hai fatto.”

“Sì, ma non presto quanto avrei voluto. E non in tempo per trovarti, purtroppo. Quando giunsi a Beaulieu tua madre mi disse che eri ripartita da poco.”

“Hai conosciuto mia madre?” chiese sollevandosi su un gomito ad osservarlo.

“Sì. Fu lei a raccontarmi tutta la storia. Non appena le dissi chi ero, capì tutto quanto. Allora mi chiese come mai avessi aspettato tanto a tornare, se ero innamorato di te. Risposi che ero appena sbarcato, di ritorno dall’America, e che ero venuto subito nell’Hampshire, prima ancora di tornare in Francia dai miei genitori; se non ero rientrato in Europa immediatamente, appena arrivato in America, fu perché per oltre un mese ero stato tra la vita e la morte…”

“Che cosa ti è successo?” domandò lei, preoccupata.

“Durante una tempesta in mare mi ammalai di polmonite. Fui sbarcato incosciente, con la febbre altissima. L’Ammiraglio Blackbird diede ordine che mi portassero presso una piccola comunità religiosa, dove rimasi per oltre tre mesi. Non appena fui in grado di viaggiare, tornai in Europa. Purtroppo nel frattempo la Medea era già ripartita e non riuscii a recuperare nulla, neppure il mio diario, che fu lasciato assieme ad alcuni altri miei effetti personali sulla nave dai marinai che mi portarono a terra. Chissà dove sarà finito, ormai… ”

“L’avrà trovato l’Ammiraglio?”

“Forse. O forse sarà andato perduto…”

“Tenevi molto a quel diario, non è vero?”

“Li ho tutti conservati, da quando iniziai a scriverli all’età di sette anni. Quello perduto era il più importante… c’era la nostra storia. E c’erano le tue parole…”

“Tu sei ancora vivo. E’ solo questo che importa. Ora stai bene, non è vero?”

“Sì, sto bene.”

“Mi sono domandata come mai fossi diventato più magro…”

“Il medico di mio zio ha detto che è già una fortuna se sono ancora vivo, con quello che ho avuto, e che devo ringraziare la mia tempra robusta e la mia buona stella. Con dell’altro po’ di tempo, cibo, riposo e dell’esercizio fisico, nonché una vita tranquilla – e io aggiungerei le attenzioni di una moglie innamorata – riacquisterò poco alla volta il peso di prima.”

“Avrei potuto perderti per sempre…”, mormorò con le lacrime agli occhi.

Lui gliele asciugò con un tenero gesto della mano.

“La mia malattia non fu colpa tua.”

“Ma se non ti avessi mandato in America pur di allontanarti da me…”

“Nessuno può sapere se non sarebbe successo comunque. E poi sono stato curato bene. Il dottore dice che non è rimasto alcuno strascico… Devo solo avere pazienza e seguire i suoi consigli. Ancora pochi mesi e tornerò come prima.”

“Ti vizierò e ti nutrirò personalmente!” disse lei, finalmente un po’ più serena nel costatare che lui non le portava rancore e tranquillizzata dalle sue parole riguardo la sua salute.

“Stai tranquilla. Ho già ripreso parte del peso perduto. E non vorrai, per caso, che diventi grasso come Lord Stevenson, vero?” disse con un sorriso per metà divertito e per l’altra terrificato all’idea di diventare tale e quale ad uno dei nobili più in carne di tutta l’Inghilterra.

“Dirò a Martha, la cuoca, che ti prepari il cibo più saporito e sostanzioso! Proprio l’altro giorno mi ha detto che Lord Thornton tocca poco o nulla ai pasti ed era preoccupata…” poi, abbassando la voce, quasi gli raccontasse un segreto importante che lui solo doveva sapere, aggiunse maliziosa:

”Credo che si sia un po’ innamorata di te… Ah, come non capirla!”

“Ma avrà quasi sessant’anni!” disse lui, divertito.

“E che c’entra? E’ una donna anche lei!” rispose pronta.

“Mi stai dicendo che qualunque donna si innamorerebbe di Lord Nicholas Thornton? Qualunque donna tranne Lady Sarah Jane Montagu, a quanto sembrava!” la stuzzicò lui.

“Io non faccio testo: ero pazzamente innamorata di un bellissimo Conte francese…”

“Ah, lo ERI?”

“Lo ero, lo sono, lo sarò per sempre” rispose lei, baciandolo sulle labbra, prima di aggiungere: “E poi Lord Thornton era davvero impossibile con me…”.

“Lo sono stato davvero?”

“Un po’ sì. Soprattutto quando mi hai detto in faccia la verità.”

“Mi dispiace…” cercò di scusarsi lui, ma lei gli posò un dito sulle labbra, facendolo tacere.

“Avevi ragione. Non devi scusarti.”

“Tornando a Martha”, riprese lui, “rassicurala che non si tratta della sua cucina, che è eccellente. E’ che non mi piace mangiare solo.”

“Non sarai più solo, amore. Non ti lascerò mai più”, lo tranquillizzò lei, baciandolo dolcemente, e non si riferiva soltanto ai pasti.

Il corpo di lui reagì all’istante, ma lei, in quel momento, voleva conoscere tutta la storia.

André protestò con un mormorio di disapprovazione, quando sentì che tentava di fermare le sue mani che la stavano nuovamente cercando.

“Sei insaziabile, ma non di cibo!” lo rimproverò, allegra.

“Mhmm… ma non ho bisogno solo di cibo! Ho bisogno anche di riposo – e quindi stare a letto mi fa bene…” disse mentre si metteva supino e la trascinava sopra di sé, “… e di esercizio fisico. Tanto esercizio fisico…” aggiunse, prima di baciarla e ricominciare ad eccitarla, come solo lui sapeva fare. Poi, guardandola negli occhi, mentre si rendeva conto che stava per capitolare, le sussurrò all’orecchio, aumentandole i brividi che già provava: “In questo modo uniamo l’utile al dilettevole…”.

“Sei terribile…” ma aveva già capito d’aver perso la battaglia.

“E non è proprio questo ciò che più ti piace in me?” le disse, poco prima di farla nuovamente sua.

“Mi piace tutto, di te…” sospirò, mentre lo sentiva entrare in lei dolce e possessivo, “anche quando la mia mente e il mio cuore non ti avevano ancora riconosciuto, il mio corpo lo aveva già fatto, fin dall’inizio…”

“Per questo scappasti da Lord Thornton, la prima sera, quando ci incontrammo al ballo in maschera?” chiese lui, lasciando scorrere le mani nei suoi lunghi capelli, che ricadevano morbidi sul suo torace.

Era strano fare l’amore rispondendo alle sue domande. Ma André sapeva eccitarla anche in quel modo.

“Sì. E tu sapevi che ero io, vero?” chiese a sua volta, mentre si lasciava andare al desiderio che provava per lui.

“Ero lì per incontrarti. Sapevo che ci saresti stata…” rispose lui, le mani che le stringevano i fianchi a trattenerla sopra di sé.

“Eri meravigliosa con quell’abito rosso fuoco…”, mormorò al suo orecchio, facendola impazzire, “così seducente e intrigante… e io morivo dalla voglia di levartelo…”

Come ci riusciva? Come riusciva far l’amore con lei anche con le parole?

“Mi devi ancora un ballo, con indosso quell’abito…” aggiunse, prima di perdere definitivamente il controllo, rovesciarla sul letto e portarla con sé in paradiso. 

 



[1] E’ ovvio che la faccenda dei due titoli nobiliari, e di tutto quello che a riguardo André D’Harmòn racconta a Lady Sarah, è frutto della nostra fantasia. Nonostante alcune ricerche, non siamo riuscite ad appurare se ciò che abbiamo scritto potrebbe essere vero. Abbiamo fatto l’impossibile per renderlo “plausibile”, pertanto, qualora non lo fosse realmente, concedetecelo come “licenza poetica”. - N.d.A.





Fine







Dedica

Questa fanfic è dedicata a Mr.Smith.
E’ un grazie personalissimo per averci regalato dieci anni di sogni, per averci fatto scoprire una vena creativa che non sapevamo di possedere, per averci fatto venir voglia di innamorarci di nuovo e per aver reso possibile conoscere tante persone che non avremmo mai incontrato se non avessimo visto JAG e non ci fossimo “innamorate” di lui e dei suoi fantastici occhi.
Dedicata a David: il classico tipo d’uomo che, quando lo incontri per la strada, ti fa voltare e rimanere ferma ad osservarlo fino a quando non scompare dalla tua vista.

 

 

Questa fanfic è dedicata anche al personaggio di Harmon Rabb jr., eroe gentile ed  affascinante, dal cuore nobile e dal sorriso splendido.
Di te, Harm, non ne abbiamo mai abbastanza e, pur di far brillare la tua stella all’infinito, siamo riuscite a farti rivivere persino attraverso i secoli.
Grazie per avercelo permesso, ispirandoci con ciò che mostri, i tuoi silenzi, i tuoi dubbi e le tue esitazioni, ma anche con tutto quello che ci hai sempre lasciato immaginare, sebbene abilmente rinchiuso nel tuo cuore.

 

 

Infine questa fanfic è dedicata anche ai personaggi che abbiamo inventato, dai quali abbiamo fatto enorme fatica separarci.
Lady Sarah Jane Montagu e il Conte André François D’Harmòn sono frutto della nostra fantasia, ma non  per questo meno “vissuti” o da noi meno amati di Harm e Mac.

Inventare un personaggio, lo abbiamo scoperto e sperimentato sulla nostra pelle, è una faccenda seria: diventa parte di te, al punto da immaginartelo quasi reale. Non si tratta più solo di far rivivere certi personaggi, restando fedeli a precise caratteristiche delineate da altri. Si tratta di inventarsi la personalità e il back-ground del personaggio ex-novo, “creandolo” in tutto e per tutto nella propria mente. E farlo, rendendolo sempre coerente a se stesso, pur lavorando in coppia, credeteci non è cosa facile. Ognuna di noi due ha, nella propria mente, una sua immagine ben precisa di André e Sarah Jane…

Tuttavia Lady Sarah e André D’Harmòn sono due personaggi talmente speciali, al punto che sono riusciti a prendere il sopravvento sulle loro creatrici e hanno iniziato a vivere di vita propria, regalandoci (e speriamo regalandole anche a voi) emozioni meravigliose.

Ma, soprattutto, il dono più grande che ci hanno fatto, è stato permetterci di vivere questa fantastica esperienza assieme.


Mac & Alex




Disclaimers :

Il marchio JAG e tutti i suoi personaggi appartengono alla BELLISARIO PRODUCTION. In questo racconto sono stati usati senza alcuno scopo di lucro.

Qualunque riferimento a fatti o persone, che non siano avvenimenti o personaggi storici, e’ del tutto casuale.

I contenuti del racconto sono tutelati ai sensi della legge 633/1941 (legge sul diritto d’autore). Tutti i diritti riservati.



  
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