Ciao a tutte!
Arrivo a postare anche questo nuovo
capitolo! È un po’ noiosetto a mio parere, ma serve ai fini della storia… e poi
questo dovrebbe essere l’ultimo capitolo palloso XD però accadono taaaaante ma
tante cose, in compenso :D
Ci leggiamo in basso ;)
Capitolo tre
Bella
In viaggio verso la fazenda ‘Paraiso’,
28 Febbraio 1887
Per
raggiungere la fazenda impiegammo diverse ore. Dalla casa della signora
Violante ci spostammo in carrozza fino alla stazione dei treni, e da quel punto
in avanti viaggiammo sul treno per recarci al piccolo paesino di Araùjo; una
volta arrivati, avremmo preso una carrozza che ci avrebbe condotto fino alla
fazenda.
Non
avrei mai immaginato che per arrivare fino a lì ci volesse tutto quel tempo, e
tutti quei cambiamenti di mezzi di trasporto: pensavo che arrivarci in carrozza
fosse sufficiente.
Dopo
aver espresso ad alta voce questo mio pensiero, Carlisle mi spiegò che la loro
fazenda era troppo lontana per essere raggiunta in carrozza, e che quindi
arrivarci in treno era l’opzione migliore, oltre che più veloce.
Il
viaggio in treno trascorse tranquillamente, e per la maggior parte del tempo
restammo tutti in silenzio; non c’era molto da dire, e il silenzio che si era
formato tra di noi era del tutto naturale, non c’era nessuna traccia di
disagio.
Passai
la maggior parte del tempo ad osservare il paesaggio rurale e le campagne
attraverso il finestrino: il treno ne era circondato, avevamo lasciato la città
e quindi la campagna, le varie coltivazioni ed i boschi erano le uniche cose
che erano presenti.
Era
come se fossi di nuovo a casa: la campagna era la mia casa, e anche se quella
che stavo vedendo non era la stessa in cui ero nata e cresciuta mi piaceva
ugualmente. Era molto simile, se non identica… ero felice di poter osservare di
nuovo tutte le distese di campi coltivati e baciati dal sole.
Sapere
che avrei vissuto in un posto circondato da così tanto verde e che mi ricordava
così tanto casa mi consolava, e mi aiutava moltissimo ad accettare la nuova
realtà che era entrata nella mia vita. Il Brasile era così bello… e
all’improvviso, non provai più la paura che mi ero trascinata dietro per tutto
il viaggio.
Ma
la nostalgia per la mia famiglia, rimasta in Italia, era ancora presente, e mi
si presentava davanti agli occhi ogni volta che scorgevo qualcosa di nuovo e
bello, pensando che agli zii sarebbe piaciuto. Mi consolavo ripetendo a me
stessa che la lontananza era solo temporanea, e che presto li avrei rivisti.
Battei
un paio di volte le palpebre, destandomi da quei pensieri, e ripresi ad
osservare il paesaggio che scorreva velocemente al di fuori del finestrino.
Strinsi le dita attorno allo scialle, che avevo tolto in precedenza e che
tenevo poggiato sul grembo, mentre l’entusiasmo per quel breve e nuovo viaggio
tornava ad invadermi.
Scostai
la fronte dal finestrino dopo qualche minuto, mantenendo però gli occhi fissi
sul paesaggio: qualcosa stava cambiando adesso, e distinguevo un piccolo
agglomerato di case poco lontano, proprio nel punto in cui il treno si stava
dirigendo.
Non
feci in tempo a far notare ai miei compagni di viaggio quel particolare, che
Carlisle mi anticipò. «Siamo quasi arrivati!» esclamò, sporgendosi dal suo
posto per osservare anche lui dal finestrino.
«Sì,
ormai manca pochissimo!» Esme si unì al suo entusiasmo, e si portò le mani
giunte al viso, sorridendo. «Non vedo l’ora di riabbracciare i ragazzi! Mi sono
mancati così tanto…» aggiunse.
«Ma
siamo stati via solo pochi giorni, cara.» le fece notare lui, carezzandole la
spalla.
«Lo
so, ma è più forte di me! Non riesco a star loro troppo lontana… credo che sia
una reazione da mamma.»
Carlisle
rise. «E noi non le mettiamo in discussione, Esme. Spero che Emmett e Edward
abbiano fatto un buon lavoro mentre eravamo via, e che non abbiano combinato
molti pasticci.»
«Non
credo che sia accaduto, Carlisle, e poi c’erano Billy e gli altri che davano
loro una mano… sono dei bravi ragazzi, e devi cominciare a fidarti di loro.
Sono quasi degli adulti!» negli occhi di Esme scorsi una luce nuova, che li
illuminava e che li rendeva più belli e dolci. Doveva accadere ogni volta che
parlava dei suoi figli, e non era difficile capire che voleva loro molto bene.
«Sì,
sono grandi, ma spesso e volentieri si comportano ancora da immaturi,
specialmente Emmett! Non ti preoccupi di Alice, invece, vero?» domandò suo
marito, inarcando un sopracciglio.
Esme
scosse le spalle, carezzando con le dita la tesa del suo cappellino. «No,
perché dovrei? È una ragazza matura per la sua età e molto diligente. Sono
sicura che si è comportata bene e che non ha dato nessun fastidio a Sarah,
anzi, secondo me si è anche offerta di darle una mano aiutando nelle varie faccende
domestiche.»
Carlisle
si grattò il mento, soppesando le parole di sua moglie. «Sì, devo darti
ragione. Alice è sempre brava ed educata.»
La
sua risposta fece ridere Esme, che scosse la testa mormorando qualcosa che
assomigliava molto a un “Uomo di poca
fede”.
Sorrisi,
osservandoli: mi piacevano tantissimo come persone e come coppia, e più
trascorrevano i minuti e più ne avevo la conferma.
Ben
presto il treno cominciò a rallentare, fino a fermarsi completamente una volta
arrivato alla stazione del paese. La banchina cominciò pian piano ad
affollarsi, mano a mano che i passeggeri scendevano dal treno.
«Sarà
meglio che scendiamo anche noi.» bisbigliò Carlisle alzandosi in piedi, e
subito tutti noi lo imitammo.
Prendemmo
i nostri bagagli, e seguendo le altre persone che si trovavano sul nostro
stesso vagone scendemmo dal treno. Fuori faceva meno caldo e tirava una leggera
brezza, che apprezzai moltissimo e mi beai del venticello che sentivo sulla
pelle.
Usciti
dalla stazione, trovammo una carrozza libera e io ed Esme prendemmo posto su di
essa, mentre papà, Carlisle e il cocchiere caricavano le nostre valige e chiacchieravano
tra di loro. Ci raggiunsero dopo pochi minuti e, una volta sistemati, partimmo.
«Quanto
manca alla fazenda?» chiese papà, esprimendo ad alta voce una delle tante
domande che viaggiavano all’interno della mia testa.
«Non
molto, nel giro di una ventina di minuti dovremmo arrivare…» rispose lui,
sorridendo.
Passai
quei minuti in trepidante attesa, stringendo le dita tra di loro ed osservando
di tanto in tanto la strada bianca che stavamo percorrendo. Mancava ormai poco
all’arrivo, e non vedevo l’ora di vedere con i miei occhi la mia nuova casa.
Volevo conoscere tutto, ogni particolare, ogni posto, ogni cosa che facesse
parte della fazenda, senza contare le persone che ci abitavano e che conoscevo
solo attraverso dei nomi.
Non
vedevo l’ora di poter dare finalmente un volto a quelle persone che mi
incuriosivano così tanto.
E
alla fine, ecco che arrivammo.
La
carrozza varcò un cancello di legno e proseguì il suo cammino, attraversando
dei vasti campi che erano divisi dalla strada. In lontananza, si scorgeva il
profilo di una grande casa bianca e quello di diverse altre costruzioni, alcune
più piccole e altre più grandi.
Mi
guardavo attorno con emozione e anche con molta curiosità, non riuscendo a
credere ai miei occhi. Tutto quello che vedevo era molto più bello di quanto
avessi immaginato, al di sopra delle mie aspettative e al di sopra di ogni
altra cosa.
Nel
giro di pochi minuti la carrozza si fermò in un grande piazzale, e nello stesso
momento in cui accadde Carlisle mise di nuovo il suo cappello in testa, ridendo
e battendo un paio di volte le mani.
«Benvenuti
nella vostra nuova casa, amici miei!» esclamò, rivolgendo a me e a papà un
enorme sorriso.
Descrivere
la fazenda e parlare di tutte le caratteristiche che la rendevano quella che
era con poche parole, era davvero impossibile. Non riuscivo neanche a trovare
una parola adatta da associare alle sensazioni che avevo provato dopo il primo
impatto. Era sinceramente impossibile.
Mi
guardavo intorno, non riuscendo a posare gli occhi da un punto all’altro per
più di pochi secondi, e nel mentre cercavo di memorizzare quanti più
particolari potevo nel più breve tempo possibile.
Il
piazzale in cui ci trovavamo era circondato da due costruzioni; una era senza
dubbio la casa in cui viveva la famiglia di Carlisle, l’altra invece sembrava
un magazzino. Poco distante da lì c’era un portico in pietra, ma non riuscivo a
capire bene a cosa servisse.
Erano
poche cose, poche e semplici, ma non riuscivo a smettere di guardarle: mi sembravano
le cose più belle e preziose del mondo.
«Tra
poco andiamo a fare il giro di tutta la fazenda, Bella.» sussultai nel sentire
la voce di Esme così vicina a me, non mi ero resa conto che si fosse
avvicinata. Lei dovette capirlo, perché mi sorrise gentilmente. «Non volevo
spaventarti, scusami.»
«Ero
distratta, non mi hai spaventata.» la rassicurai, ricambiando il sorriso. «È
tutto così… nuovo, per me.»
«Oh,
tesoro, credo che sia una reazione abbastanza normale!» mi rassicurò, prendendo
una mia mano tra le sue e stringendola con fare rassicurante. «Tra qualche
giorno ci farai l’abitudine, è solo questione di tempo…»
«Mamma?
Papà? Siete tornati!»
Distolsi
lo sguardo dalle attenzioni di Esme per guardare la figura di una ragazza dai
capelli scuri che, di corsa, saltò tra le braccia di Carlisle cingendogli il
collo con le sue. La sentii ridere allegramente, una risata forte e argentina
quasi contagiosa.
«Sì
Alice, siamo qui! Proprio come vi avevamo promesso…» rispose lui, lasciando la
presa sul corpo della ragazza che capii essere la sua figlia più piccola. «E
come vedi, abbiamo degli ospiti! Lui è Charlie Swan, ti ho parlato tantissimo
di lui…»
«Vieni
Bella, ti faccio conoscere mia figlia.» mormorò piano Esme, e mettendo una mano
sulla mia schiena mi sospinse verso il gruppo allegro di persone che si trovava
poco lontano da noi.
Alice
stava ridendo per qualcosa che doveva averle appena detto papà, ma si voltò in
fretta quando sentì che ci stavamo avvicinando. Aveva un sorriso bellissimo,
dolce e molto particolare, che faceva risaltare i suoi occhi scuri. Venne verso
di noi in fretta, senza abbandonare l’allegria che la stava caratterizzando.
«Ciao
mamma!» Alice abbracciò Esme con slancio, lasciandole anche un bacio sulla
guancia che venne poi ricambiato da sua madre.
«Tesoro!
È andato tutto bene mentre eravamo via?» le chiese lei, carezzandole il viso
con amore.
«Tutto
bene! A parte i miei fratelli, ma sai come sono fatti, si divertono troppo a
farmi i dispetti!» ridacchiò, per poi portare tutta la sua attenzione su di me.
Mi venne spontaneo sorriderle, così come lei stava sorridendo a me. «Sei
Isabella, vero?» chiese, diventando improvvisamente timida.
Annuii,
allungando una mano verso di lei. «Sì, sono io. È un piacere conoscerti,
Alice.»
«Oh,
il piacere è tutto mio!» ignorando la mia mano, la ragazza mi buttò le braccia
al collo e mi strinse in un forte abbraccio, al quale non ero affatto preparata
ma che ricambiai in fretta. «Non pensavo che fossi così bella, davvero, sei una
ragazza stupenda!» sussurrò al mio orecchio.
Sentii
le guance scaldarsi alle sue parole, e mantenni lo sguardo basso mentre
l’abbraccio finiva. Sorrisi, vergognandomi un poco. «Sei molto bella anche tu,
Alice…» mormorai.
«Oddio,
ti ho messa in imbarazzo vero? Non era mia intenzione farlo!» Alice si portò le mani
alla bocca, coprendola, e sgranò gli occhi.
«No,
non è successo nulla, non preoccuparti!» mi affrettai subito a
tranquillizzarla, spaventata per la sua reazione.
«Alice,
tesoro, non confondere la povera Bella! Lasciala respirare un momento, non fare
come tuo solito.» la ammonì bonariamente Carlisle, che ci aveva raggiunto
insieme a papà. «Piuttosto, sai dove sono andati a finire i tuoi fratelli?»
«Sono
scesi alle piantagioni, ma hanno detto che sarebbero tornati a casa per il
pranzo… saranno contentissimi di sapere che siete tornati così presto!» disse,
alzando la voce verso l’ultima parte della frase.
Suo
padre rise. «Benissimo! E visto che manca poco all’ora di pranzo, che ne dite
se andiamo tutti in cucina e li aspettiamo lì?» propose.
Non
riuscii a studiare bene l’interno della casa quando entrammo, visto che eravamo
diretti verso la cucina, ma quello che guardai mi fece capire che era una
normale casa di campagna, sebbene enorme e ben arredata. Era semplice, e con
qualcosa di familiare nell’aria… mi piaceva.
Una
volta arrivati in cucina, una grande stanza luminosa e calda per via del
focolare che ardeva in un angolo, venimmo accolti da una donna dalla pelle
olivastra e dai capelli scuri, non molto alta. Aveva le mani bagnate per via di
qualcosa che stava lavando, ma si apprestò ad asciugarsele in tutta fretta sul
suo grembiule.
«Senhor Carlisle, Senhora Esme! Che bello rivedervi! È andato bene il viaggio?» disse
gentilmente, nella sua voce si percepiva un pesante accento che la rendeva
particolare.
«Benissimo,
grazie Sarah.» rispose Esme.
«I
vostri figli non sono ancora arrivati, stavo aspettando che tornassero per
servire il pranzo in tavola…»
«Non
preoccuparti, vorrà dire che li aspetteremo. Posso presentarti i nostri nuovi
amici, nel frattempo…»
Quella
giornata sembrava destinata ad essere riservata solo alle presentazioni, e alla
conoscenza delle tante persone che vivevano nel territorio della fazenda.
Insieme alla famiglia di Carlisle, infatti, scoprii che vivevano anche diverse
altre famiglie che lavoravano per lui e che coltivavano i campi di caffè.
Io
e papà parlammo un po’ con Sarah, che era davvero gentile e molto simpatica; ci
raccontò che viveva nel piccolo villaggio poco distante, che chiamava
‘colonia’, insieme ai suoi genitori anziani, a suo marito e ai suoi figli, due
gemelle e un maschio. Ci avrebbe presentato tutti quel pomeriggio, subito dopo
la fine del pranzo.
«Le
mie figlie sono poco più grandi di te, ma non penso che questo rappresenti un
grande problema. Saranno molto contente di conoscerti, vedrai.» mi disse
calorosamente.
«Sì,
lo spero…» il resto della risposta rimase incastrato nella mia gola, a causa di
due nuove persone che entrarono in cucina e che calamitarono tutta la mia
attenzione.
Erano
due uomini, alti e molto simili per quanto riguardava l’aspetto fisico, ma
diversi nel volto. Il ragazzo dai capelli corvini e corti sembrava molto
giovane, quasi un fanciullo, l’altro invece, con i capelli un po’ più lunghi e
castani, sembrava più severo e maturo rispetto alla persona che lo affiancava.
«Mamma,
papà, ma che bella sorpresa!» esclamò il ragazzo con i capelli scuri. Andò a
salutare prima Carlisle e poi Esme, riservando a quest’ultima persino un
baciamano scherzoso.
«Sempre
il solito, eh Emmett?» rise sua madre, sollevandosi quasi in punta di piedi per
riuscire a baciare la guancia del ragazzo. «Lei è Isabella Swan, la figlia di
Charlie. Vai a salutare anche lui, dopo, fai il bravo ragazzo.»
«Ma
io sono un bravo ragazzo, mamma!» si accigliò un poco, ma scacciò via il tutto
con una risata sonora mentre si voltava verso di me e mi studiava. Il sorriso
divertito che aveva sfoggiato anche poco prima tornò sulle sue labbra, ed era
così pieno di ilarità che non potei fare a meno di sorridere anche io, tanto
era contagioso.
«Molto piacere di conoscerti, cara Isabella.»
disse, parlando in italiano, ed esibendosi pochi secondi dopo in un inchino
quasi reverenziale. Scoppiai a ridere.
«Emmett,
non starai esagerando?» lo ammonì Esme, che lo osservava semi divertita
mantenendo le braccia incrociate davanti al petto.
«Sì,
mamma, sta sicuramente esagerando!» le rispose un'altra voce, a me sconosciuta.
Non l’avevo sentita prima di quel momento, ma nel sollevare gli occhi e nel
distogliere così l’attenzione da Emmett capii che si trattava dell’altro
ragazzo.
Si
era avvicinato, e grazie a questa sua vicinanza notai quanto fosse veramente
alto. I suoi capelli erano dello stesso colore di quelli di Esme, e una ciocca
più lunga delle altre gli ricadeva dispettosa davanti agli occhi. Gli occhi…
erano di un colore che non avevo mai visto prima di allora.
Erano
verdi, ma di una sfumatura più chiara rispetto alle altre e particolare,
luminosa. Sembrava di osservare una pietra preziosa esposta alla luce del sole.
Sorrise,
trattenendo una risata tra le labbra mentre osservava il fratello, poi sollevò
lo sguardo e i suoi occhi incrociarono i miei. Fu come essere travolti da
un’ondata di aria fredda: le mie braccia vennero percorse da una serie di
brividi, e lo stesso accadde alla mia schiena. Le mie guance, invece, si
scaldarono e così fui costretta ad abbassare leggermente il viso per nascondere
quella mia reazione ai suoi occhi.
Mi
imbarazzai, moltissimo: non riuscii a capire da cosa dipendeva tutto quello che
stavo provando in quel momento. Non poteva essere solamente perché ci eravamo
guardati direttamente negli occhi… non poteva. Sarebbe stato da sciocchi
pensarlo.
«Ecco,
Isabella, lui è mio figlio Edward. Edward, lei è Isabella.» Esme cominciò a
presentarci, incurante della piccola difficoltà che stavo provando forse perché
non se ne era accorta. E se non se ne era accorta lei, allora neanche… Edward,
se ne era accorto.
Tornai
a guardarlo, battendo le ciglia come per scacciare qualcosa di fastidioso, e
cercai di sorridere in maniera naturale. Lo stava facendo anche lui, tenendo un
sopracciglio inarcato e sollevato verso l’alto.
«Piacere
di conoscerti, Edward.» dissi, e per quanto cercassi di alzare il tono della
voce mi uscì comunque qualcosa di simile ad un sussurro.
Edward,
dopo avermi guardata per qualche istante, abbassò lo sguardo ed io lo imitai
non appena sentii che aveva preso la mia mano nella sua, e che la sollevava per
poterci poggiare sopra le sue labbra. Il tocco fu leggero, qualcosa di più di
un semplice sfioramento, ma ebbe lo stesso il potere di farmi rabbrividire… di
nuovo.
Sorrise,
continuando a stringere la mia mano. «Il piacere è tutto mio, Isabella.» replicò
in un mormorio.
Durante
il pranzo non riuscii a non pensare a quello che era accaduto poco prima.
Tornavo con la mente a quando Esme mi aveva presentato suo figlio, Edward, e
alle reazioni che avevo provato quando i nostri sguardi si erano incrociati.
Forse stavo anche diventando pazza, ma riuscivo ancora a sentire un leggero
pizzicore nel punto in cui le sue labbra si erano poggiate sul dorso della mia
mano.
Smisi
per qualche secondo di muovere le posate con le quasi stavo tagliando la mia
porzione di carne e alzai il viso, scrutando la tavola e le persone che vi
erano sedute tutt’attorno: erano tutti allegri e impegnati chi a mangiare e chi
a chiacchierare. I miei occhi, inconsapevolmente, si posarono ancora una volta sulla
figura di Edward.
Era
seduto verso la fine della tavola, accanto a suo padre e a suo fratello, e
sembrava concentrato su una discussione che Carlisle stava tenendo. Anche
Emmett e papà lo ascoltavano, attenti.
Tornai
a concentrarmi sul mio piatto e sentii le mie guance avvampare, al pensiero che
qualcuno avesse potuto beccarmi proprio mentre ero occupata a guardare Edward;
mi vergognavo, non mi era mai capitato prima di allora di provare un simile
coinvolgimento nei confronti una persona che conoscevo da così poco tempo, e
con cui avevo parlato soltanto una volta.
Era
strano, impensabile e, decisamente, era una situazione assurda… ma lo guardai
di nuovo con la coda dell’occhio. Stirai le labbra in un sorriso, vedendo che
stava ridendo per qualcosa che dovevano aver detto. Aveva un sorriso così
bello… lui, era bello.
«Va
tutto bene, Bella? Hai le guance tutte rosse!» sobbalzai, sentendo la voce
allegra di Alice. Seduta al mio fianco, mi osservava con attenzione e faceva
oscillare piano la forchetta tra le dita.
«Stavo
pensando…» risposi a voce bassa, rivelando così solo una parte di verità, ed
imitai i suoi movimenti. Quando feci cadere la forchetta con un sonoro
tintinnio dentro al piatto, però, smisi di farlo.
«Non
lo avevo notato, sai?» ridacchiò, tornando a mangiare. Si voltò di nuovo verso
di me dopo che ebbe mangiato un pezzetto di carne. «Questo pomeriggio mio padre
ti accompagnerà a mostrarti la casa e il resto della fazenda, e vrrei tanto
unirmi a voi. Oggi non ho proprio voglia di stare in casa e di mettermi a
cucire!» aggiunse, sbuffando non appena finì di parlare.
«Ti
piace cucire?» chiesi, non riuscendo proprio a fare a meno di domandarglielo.
Ci conoscevamo da così poco tempo e non sapevo praticamente nulla di lei… ero
curiosa, e mi sarebbe piaciuto moltissimo sapere qualcosa in più su di lei.
«Moltissimo,
è la prima cosa che faccio non appena termino la mia parte di lavori di casa! La
mamma mi ha insegnato a farlo quando ero ancora piccola e non ho più smesso; ho
imparato anche a confezionare vestiti, abiti e camicette… posso farti vedere
come si fa, se vuoi.» propose alla fine del suo breve monologo.
«Io
so già cucire, ma non ho mai provato a realizzare dei vestiti.» le dissi con
una punta di entusiasmo nella voce; quello che mi stava dicendo Alice era molto
interessante e mi incuriosiva.
«È
facile, ci vuole solo un po’ di concentrazione e di tempo! Più tardi ti porto a
vedere tutti i lavori che ho fatto e che sto facendo…»
«Mi
piacerebbe moltissimo, grazie.»
Alice
mi sorrise, inclinando la testa da una parte. «Ma ti pare? Non ringraziarmi,
per me è un piacere.»
Riuscii
a vedere i suoi lavori solo a tarda sera, però, per via dell’impegno che
dovevamo svolgere con Carlisle. Anche se, a dire la verità, non era un vero e
proprio impegno.
La
fazenda ‘Paraiso’ era davvero molto grande e piena di attività; c’era la parte
composta dalla casa e dai magazzini, che avevo già visto quando ero appena
arrivata, e poi ce n’erano altre due: quella dove sorgeva la colonia e dove
vivevano i contadini, e la parte che era riservata ai campi di caffè e che era
la più estesa.
C’erano
acri e acri di terra, tutti coltivati a caffè e che assomigliavano moltissimo a
un mare verde. Avevo provato più volte a cercare di capire dove finissero i
campi, ma non ci ero riuscita nonostante ci avessi provato con tutta me stessa:
erano così vasti che si estendevano oltre l’orizzonte… ed ero sicurissima sul
fatto che non sarei riuscita a percorrerli tutti in una sola giornata.
Carlisle
ci aveva presentato anche gli abitanti della colonia, una cinquantina di
persone in tutto. Conobbi gli anziani genitori di Sarah, il signor Ignazio e la
signora Natalina; suo marito, Billy, ed i suoi tre figli: le gemelle Rachel e
Rebecca, identiche nell’aspetto e che somigliavano moltissimo alla loro madre,
e il loro fratello più piccolo, Jacob.
Lui,
invece, era identico per tutto e per tutto a suo padre. Era altissimo – molto
più alto di Emmett, che fino a poco prima era la persona più alta che avessi
mai visto –, aveva i capelli scuri e lunghi fino alle spalle e degli occhi
neri, molto profondi ed espressivi. Il viso era quello di un uomo, ma aveva
ancora qualcosa che richiamava la fanciullezza… e poi, era anche molto
simpatico, era impossibile negarlo.
Mi
aveva fatto ridere molto, e mi aveva presa subito in giro perché non riuscivo a
capire bene quello che mi stava dicendo. Il portoghese era ancora una lingua
nuova per me e dovevo ancora impararla per bene, dopotutto ero arrivata in
Brasile solo da due giorni e non potevo già aspettarmi di capire tutto… ma,
come mi aveva fatto notare Alice, che mi era stata sempre accanto quel
pomeriggio e che mi aiutava con la lingua, avevo a disposizione tutto il tempo
del mondo per fare pratica.
Mentre
scherzavamo insieme a Jacob, avevo notato che una ragazza della colonia non
aveva fatto altro che guardarmi in modo strano per tutto il tempo, come se
stessi facendo o dicendo qualcosa che la infastidisse, solo che non capivo bene
cosa potesse essere.
La
ragazza si chiamava Leah, ed anche lei aveva gli occhi ed i capelli neri, molto
lunghi, intrecciati e lasciati ricadere su di una spalla. Cercai di non darle
troppa importanza, ma mi sentivo a disagio nel sentire i suoi occhi addosso.
Quel
pomeriggio quasi tutti si erano uniti a noi durante il giro alla fazenda, solo
Esme e Sarah erano rimaste in casa per dare una sistemata e per cominciare a
preparare la cena. Più di una volta mi ero ritrovata, come durante il pranzo, a
lanciare sbirciate e sguardi tutt’intorno per capire dove fosse Edward.
Cercavo
di smetterla e di concentrarmi su quello che mi circondava, ma era più forte di
me e finivo sempre col ritornare al punto di partenza. In un paio di occasioni
Edward mi aveva colta in fragrante mentre lo osservavo, e lui mi aveva sorriso
entrambe le volte. Io avevo ricambiato, ma mi ero anche affrettata a nascondere
il viso per non fargli vedere che ero arrossita a causa dei suoi sorrisi.
E
avevo ripensato ai suoi sorrisi anche durante la cena: ero rimasta per la
maggior parte della sua durata in silenzio mentre mangiavo, in parte perché non
avrei saputo cosa dire, ed in parte perché mi vergognavo persino di alzare la
testa per paura di guardare Edward.
Ero
confusa: volevo guardarlo, ma allo stesso tempo avevo paura delle reazioni che
avrebbe potuto avere se lo avessi fatto. Avevo paura di mostrarmi ridicola ai suoi
occhi, una bambina sciocca. Cercai di non pensarci, e a fatica ci riuscii.
Dopo
cena, approfittando del fatto che gli uomini si erano riuniti in salotto per
bere un ultimo bicchiere di vino prima di andare a dormire, Alice mi prese per
mano e quasi correndo mi condusse fino alla sua stanza da letto. La mia, come
mi fece notare lei mentre entravamo, era a due porte di distanza lungo il
corridoio.
«Così
siamo vicine se abbiamo bisogno di qualcosa. Di parlare, o… non lo so, di
qualcosa in generale!» esclamò, richiudendo frettolosamente la porta dietro di
sé. «Tengo il mio cucito in quel cassettone, accanto alla finestra. C’è un
vestito che sto finendo di preparare proprio in questi giorni, devi
assolutamente dirmi se ti piace o no.»
«Va
bene!» risposi divertita: Alice non si fermava mai, era così piena di energia e
di vitalità ed era quasi impossibile riuscire a farla stare buona e tranquilla.
Mi piaceva molto stare in sua compagnia.
«Eccolo
qui, ci sono alcuni spilli nelle maniche, fai attenzione a non pungerti.» mi
avvertì dopo che ebbe frugato per un po’ all’interno di un cassetto. Spiegò il
vestito celeste sul suo letto e poi batté le mani, tutta contenta. «Che te ne
pare?»
«Oh,
mi piace!» carezzai lievemente la stoffa della gonna, non volevo rovinarla in
alcun modo. «Che cos’è? Lino? Cotone?»
«Cotone.
È il mio tessuto preferito, leggero e comodo.» prese il vestito tra le mani e,
dopo averlo soppesato un po’, me lo mise davanti scrutandolo con occhio
critico. «Se lo aggiusto un pochino sui fianchi e sul petto potrebbe andarti
bene… ci lavorerò domani con calma.»
«Aspetta,
non ho capito… vuoi aggiustare questo vestito per me?» chiesi, aggrottando le
sopracciglia per la confusione.
Alice
annuì. «Questo vestito è per te. Ci
sto lavorando da pochi giorni, volevo regalarti qualcosa di carino per il tuo
arrivo… anche se, a quanto sembra, ho sbagliato colore. A te sta molto bene il
blu, non il celeste.»
«Alice,
ma non… non serve che ti disturbi così tanto per me.» provai a protestare.
«Ma
a me piace, non è affatto un disturbo! Specialmente adesso che so che ti piace,
ci lavorerò con più attenzione e dovizia. E poi, voglio già cominciare a
mostrarti come fare per cucirne uno e… e comincerò anche ad insegnarti un po’
di portoghese.»
La
sua gentilezza e disponibilità nei miei confronti mi colpì, e questo mi spinse
ad abbracciarla. Io non avevo niente con cui poterla ricambiare, e a lei questo
sembrava davvero non importare.
«Alice,
davvero non so come poterti ringraziare.» sussurrai.
Le
sue braccia rafforzarono la presa sulle mie spalle e la sentii ridere contro il
mio orecchio. «Non devi, non lo faccio per avere qualcosa in cambio.» mormorò
tranquillamente.
Sentivo
che tra me e lei poteva nascere una bella amicizia, ma era ancora troppo presto
per poterlo dire con certezza.
__________________
Siete arrivate fino a qui senza
addormentarvi? Se sì, ne sono davvero felice! Almeno so che il capitolo non vi
ha annoiato XD
Come avete letto, i nostri ‘eroi’ sono
finalmente arrivati alla fazenda e hanno familiarizzato con il posto e le
persone che ci abitano… e c’è stato anche un colpo di fulmine!
Avete visto che Bella si è completamente
rimbecillita non appena ha visto Edward? Povera stella XD sarei rimbecillita
anche io al posto suo XD secondo voi, anche Edward ha sentito la scintilla? Mah,
staremo a vedere u.u
Da questo momento in avanti la fazenda
farà da sfondo all’intera storia, quindi preparatevi perché ne vedremo delle
belle! Sapeste che cosa ho in mente o___o ahahah *risata malefica*
Vi ringrazio per le recensioni che mi
avete regalato allo scorso capitolo – risponderò presto, anche per quanto
riguarda l’altra storia :D – e spero di tornare ad aggiornare presto. Sto per
cominciare un corso e avrò meno tempo a disposizione, ma non appena posso mi
metto a invadere i fogli di Word ;)
Come sempre, per qualsiasi cosa potete
contattarmi sul mio gruppo
Facebook!
Un bacione e a presto! *w*