Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: KrisJay    28/05/2013    4 recensioni
"«Papà…»
«Sì, tesoro?» mi osservò, aspettando che continuassi a parlare.
Battei un paio di volte le palpebre, concentrandomi sui suoi occhi scuri. «Il signor Carlisle ci aiuterà?» chiesi.
«Sì, tesoro, ci aiuterà.» mi rispose, baciandomi i capelli."
1887. Sono sempre di più gli italiani che abbandonano la loro patria in cerca di fortuna, di una vita migliore, salpando alla volta del nuovo continente.
Isabella e suo padre, Charlie Swan, fanno parte di questo gruppo di persone.
Insieme raggiungeranno il Brasile, dove una vecchia amicizia li sta aspettando... e lì, la loro vita cambierà radicalmente, specialmente per Isabella.
Isabella, che non voleva partire.
Isabella, che pian piano ha imparato ad apprezzare quel nuovo paese.
Isabella, che ha scoperto cosa vuol dire amare, anche se tutto non va proprio come lo abbiamo sempre immaginato...
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Carlisle Cullen, Charlie Swan, Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Sotto un cielo coperto di stelle - Capitolo3

Ciao a tutte!
Arrivo a postare anche questo nuovo capitolo! È un po’ noiosetto a mio parere, ma serve ai fini della storia… e poi questo dovrebbe essere l’ultimo capitolo palloso XD però accadono taaaaante ma tante cose, in compenso :D
Ci leggiamo in basso ;)

 
 

 

 
 

Sotto un cielo coperto di stelle

 
Capitolo tre
 

Bella
In viaggio verso la fazenda ‘Paraiso’, 28 Febbraio 1887

Per raggiungere la fazenda impiegammo diverse ore. Dalla casa della signora Violante ci spostammo in carrozza fino alla stazione dei treni, e da quel punto in avanti viaggiammo sul treno per recarci al piccolo paesino di Araùjo; una volta arrivati, avremmo preso una carrozza che ci avrebbe condotto fino alla fazenda.
Non avrei mai immaginato che per arrivare fino a lì ci volesse tutto quel tempo, e tutti quei cambiamenti di mezzi di trasporto: pensavo che arrivarci in carrozza fosse sufficiente.
Dopo aver espresso ad alta voce questo mio pensiero, Carlisle mi spiegò che la loro fazenda era troppo lontana per essere raggiunta in carrozza, e che quindi arrivarci in treno era l’opzione migliore, oltre che più veloce.
Il viaggio in treno trascorse tranquillamente, e per la maggior parte del tempo restammo tutti in silenzio; non c’era molto da dire, e il silenzio che si era formato tra di noi era del tutto naturale, non c’era nessuna traccia di disagio.
Passai la maggior parte del tempo ad osservare il paesaggio rurale e le campagne attraverso il finestrino: il treno ne era circondato, avevamo lasciato la città e quindi la campagna, le varie coltivazioni ed i boschi erano le uniche cose che erano presenti.
Era come se fossi di nuovo a casa: la campagna era la mia casa, e anche se quella che stavo vedendo non era la stessa in cui ero nata e cresciuta mi piaceva ugualmente. Era molto simile, se non identica… ero felice di poter osservare di nuovo tutte le distese di campi coltivati e baciati dal sole.
Sapere che avrei vissuto in un posto circondato da così tanto verde e che mi ricordava così tanto casa mi consolava, e mi aiutava moltissimo ad accettare la nuova realtà che era entrata nella mia vita. Il Brasile era così bello… e all’improvviso, non provai più la paura che mi ero trascinata dietro per tutto il viaggio.
Ma la nostalgia per la mia famiglia, rimasta in Italia, era ancora presente, e mi si presentava davanti agli occhi ogni volta che scorgevo qualcosa di nuovo e bello, pensando che agli zii sarebbe piaciuto. Mi consolavo ripetendo a me stessa che la lontananza era solo temporanea, e che presto li avrei rivisti.
Battei un paio di volte le palpebre, destandomi da quei pensieri, e ripresi ad osservare il paesaggio che scorreva velocemente al di fuori del finestrino. Strinsi le dita attorno allo scialle, che avevo tolto in precedenza e che tenevo poggiato sul grembo, mentre l’entusiasmo per quel breve e nuovo viaggio tornava ad invadermi.
Scostai la fronte dal finestrino dopo qualche minuto, mantenendo però gli occhi fissi sul paesaggio: qualcosa stava cambiando adesso, e distinguevo un piccolo agglomerato di case poco lontano, proprio nel punto in cui il treno si stava dirigendo.
Non feci in tempo a far notare ai miei compagni di viaggio quel particolare, che Carlisle mi anticipò. «Siamo quasi arrivati!» esclamò, sporgendosi dal suo posto per osservare anche lui dal finestrino.
«Sì, ormai manca pochissimo!» Esme si unì al suo entusiasmo, e si portò le mani giunte al viso, sorridendo. «Non vedo l’ora di riabbracciare i ragazzi! Mi sono mancati così tanto…» aggiunse.
«Ma siamo stati via solo pochi giorni, cara.» le fece notare lui, carezzandole la spalla.
«Lo so, ma è più forte di me! Non riesco a star loro troppo lontana… credo che sia una reazione da mamma.»
Carlisle rise. «E noi non le mettiamo in discussione, Esme. Spero che Emmett e Edward abbiano fatto un buon lavoro mentre eravamo via, e che non abbiano combinato molti pasticci.»
«Non credo che sia accaduto, Carlisle, e poi c’erano Billy e gli altri che davano loro una mano… sono dei bravi ragazzi, e devi cominciare a fidarti di loro. Sono quasi degli adulti!» negli occhi di Esme scorsi una luce nuova, che li illuminava e che li rendeva più belli e dolci. Doveva accadere ogni volta che parlava dei suoi figli, e non era difficile capire che voleva loro molto bene.
«Sì, sono grandi, ma spesso e volentieri si comportano ancora da immaturi, specialmente Emmett! Non ti preoccupi di Alice, invece, vero?» domandò suo marito, inarcando un sopracciglio.
Esme scosse le spalle, carezzando con le dita la tesa del suo cappellino. «No, perché dovrei? È una ragazza matura per la sua età e molto diligente. Sono sicura che si è comportata bene e che non ha dato nessun fastidio a Sarah, anzi, secondo me si è anche offerta di darle una mano aiutando nelle varie faccende domestiche.»
Carlisle si grattò il mento, soppesando le parole di sua moglie. «Sì, devo darti ragione. Alice è sempre brava ed educata.»
La sua risposta fece ridere Esme, che scosse la testa mormorando qualcosa che assomigliava molto a un “Uomo di poca fede”.
Sorrisi, osservandoli: mi piacevano tantissimo come persone e come coppia, e più trascorrevano i minuti e più ne avevo la conferma.
Ben presto il treno cominciò a rallentare, fino a fermarsi completamente una volta arrivato alla stazione del paese. La banchina cominciò pian piano ad affollarsi, mano a mano che i passeggeri scendevano dal treno.
«Sarà meglio che scendiamo anche noi.» bisbigliò Carlisle alzandosi in piedi, e subito tutti noi lo imitammo.
Prendemmo i nostri bagagli, e seguendo le altre persone che si trovavano sul nostro stesso vagone scendemmo dal treno. Fuori faceva meno caldo e tirava una leggera brezza, che apprezzai moltissimo e mi beai del venticello che sentivo sulla pelle.
Usciti dalla stazione, trovammo una carrozza libera e io ed Esme prendemmo posto su di essa, mentre papà, Carlisle e il cocchiere caricavano le nostre valige e chiacchieravano tra di loro. Ci raggiunsero dopo pochi minuti e, una volta sistemati, partimmo.
«Quanto manca alla fazenda?» chiese papà, esprimendo ad alta voce una delle tante domande che viaggiavano all’interno della mia testa.
«Non molto, nel giro di una ventina di minuti dovremmo arrivare…» rispose lui, sorridendo.
Passai quei minuti in trepidante attesa, stringendo le dita tra di loro ed osservando di tanto in tanto la strada bianca che stavamo percorrendo. Mancava ormai poco all’arrivo, e non vedevo l’ora di vedere con i miei occhi la mia nuova casa. Volevo conoscere tutto, ogni particolare, ogni posto, ogni cosa che facesse parte della fazenda, senza contare le persone che ci abitavano e che conoscevo solo attraverso dei nomi.
Non vedevo l’ora di poter dare finalmente un volto a quelle persone che mi incuriosivano così tanto.
E alla fine, ecco che arrivammo.
La carrozza varcò un cancello di legno e proseguì il suo cammino, attraversando dei vasti campi che erano divisi dalla strada. In lontananza, si scorgeva il profilo di una grande casa bianca e quello di diverse altre costruzioni, alcune più piccole e altre più grandi.
Mi guardavo attorno con emozione e anche con molta curiosità, non riuscendo a credere ai miei occhi. Tutto quello che vedevo era molto più bello di quanto avessi immaginato, al di sopra delle mie aspettative e al di sopra di ogni altra cosa.
Nel giro di pochi minuti la carrozza si fermò in un grande piazzale, e nello stesso momento in cui accadde Carlisle mise di nuovo il suo cappello in testa, ridendo e battendo un paio di volte le mani.
«Benvenuti nella vostra nuova casa, amici miei!» esclamò, rivolgendo a me e a papà un enorme sorriso.
 

***

 
Descrivere la fazenda e parlare di tutte le caratteristiche che la rendevano quella che era con poche parole, era davvero impossibile. Non riuscivo neanche a trovare una parola adatta da associare alle sensazioni che avevo provato dopo il primo impatto. Era sinceramente impossibile.
Mi guardavo intorno, non riuscendo a posare gli occhi da un punto all’altro per più di pochi secondi, e nel mentre cercavo di memorizzare quanti più particolari potevo nel più breve tempo possibile.
Il piazzale in cui ci trovavamo era circondato da due costruzioni; una era senza dubbio la casa in cui viveva la famiglia di Carlisle, l’altra invece sembrava un magazzino. Poco distante da lì c’era un portico in pietra, ma non riuscivo a capire bene a cosa servisse.
Erano poche cose, poche e semplici, ma non riuscivo a smettere di guardarle: mi sembravano le cose più belle e preziose del mondo.
«Tra poco andiamo a fare il giro di tutta la fazenda, Bella.» sussultai nel sentire la voce di Esme così vicina a me, non mi ero resa conto che si fosse avvicinata. Lei dovette capirlo, perché mi sorrise gentilmente. «Non volevo spaventarti, scusami.»
«Ero distratta, non mi hai spaventata.» la rassicurai, ricambiando il sorriso. «È tutto così… nuovo, per me.»
«Oh, tesoro, credo che sia una reazione abbastanza normale!» mi rassicurò, prendendo una mia mano tra le sue e stringendola con fare rassicurante. «Tra qualche giorno ci farai l’abitudine, è solo questione di tempo…»
«Mamma? Papà? Siete tornati!»
Distolsi lo sguardo dalle attenzioni di Esme per guardare la figura di una ragazza dai capelli scuri che, di corsa, saltò tra le braccia di Carlisle cingendogli il collo con le sue. La sentii ridere allegramente, una risata forte e argentina quasi contagiosa.
«Sì Alice, siamo qui! Proprio come vi avevamo promesso…» rispose lui, lasciando la presa sul corpo della ragazza che capii essere la sua figlia più piccola. «E come vedi, abbiamo degli ospiti! Lui è Charlie Swan, ti ho parlato tantissimo di lui…»
«Vieni Bella, ti faccio conoscere mia figlia.» mormorò piano Esme, e mettendo una mano sulla mia schiena mi sospinse verso il gruppo allegro di persone che si trovava poco lontano da noi.
Alice stava ridendo per qualcosa che doveva averle appena detto papà, ma si voltò in fretta quando sentì che ci stavamo avvicinando. Aveva un sorriso bellissimo, dolce e molto particolare, che faceva risaltare i suoi occhi scuri. Venne verso di noi in fretta, senza abbandonare l’allegria che la stava caratterizzando.
«Ciao mamma!» Alice abbracciò Esme con slancio, lasciandole anche un bacio sulla guancia che venne poi ricambiato da sua madre.
«Tesoro! È andato tutto bene mentre eravamo via?» le chiese lei, carezzandole il viso con amore.
«Tutto bene! A parte i miei fratelli, ma sai come sono fatti, si divertono troppo a farmi i dispetti!» ridacchiò, per poi portare tutta la sua attenzione su di me. Mi venne spontaneo sorriderle, così come lei stava sorridendo a me. «Sei Isabella, vero?» chiese, diventando improvvisamente timida.
Annuii, allungando una mano verso di lei. «Sì, sono io. È un piacere conoscerti, Alice.»
«Oh, il piacere è tutto mio!» ignorando la mia mano, la ragazza mi buttò le braccia al collo e mi strinse in un forte abbraccio, al quale non ero affatto preparata ma che ricambiai in fretta. «Non pensavo che fossi così bella, davvero, sei una ragazza stupenda!» sussurrò al mio orecchio.
Sentii le guance scaldarsi alle sue parole, e mantenni lo sguardo basso mentre l’abbraccio finiva. Sorrisi, vergognandomi un poco. «Sei molto bella anche tu, Alice…» mormorai.
«Oddio, ti ho messa in imbarazzo vero? Non era mia intenzione farlo!» Alice si portò le mani alla bocca, coprendola, e sgranò gli occhi.
«No, non è successo nulla, non preoccuparti!» mi affrettai subito a tranquillizzarla, spaventata per la sua reazione.
«Alice, tesoro, non confondere la povera Bella! Lasciala respirare un momento, non fare come tuo solito.» la ammonì bonariamente Carlisle, che ci aveva raggiunto insieme a papà. «Piuttosto, sai dove sono andati a finire i tuoi fratelli?»
«Sono scesi alle piantagioni, ma hanno detto che sarebbero tornati a casa per il pranzo… saranno contentissimi di sapere che siete tornati così presto!» disse, alzando la voce verso l’ultima parte della frase.
Suo padre rise. «Benissimo! E visto che manca poco all’ora di pranzo, che ne dite se andiamo tutti in cucina e li aspettiamo lì?» propose.
Non riuscii a studiare bene l’interno della casa quando entrammo, visto che eravamo diretti verso la cucina, ma quello che guardai mi fece capire che era una normale casa di campagna, sebbene enorme e ben arredata. Era semplice, e con qualcosa di familiare nell’aria… mi piaceva.
Una volta arrivati in cucina, una grande stanza luminosa e calda per via del focolare che ardeva in un angolo, venimmo accolti da una donna dalla pelle olivastra e dai capelli scuri, non molto alta. Aveva le mani bagnate per via di qualcosa che stava lavando, ma si apprestò ad asciugarsele in tutta fretta sul suo grembiule.
«Senhor Carlisle, Senhora Esme! Che bello rivedervi! È andato bene il viaggio?» disse gentilmente, nella sua voce si percepiva un pesante accento che la rendeva particolare.
«Benissimo, grazie Sarah.» rispose Esme.
«I vostri figli non sono ancora arrivati, stavo aspettando che tornassero per servire il pranzo in tavola…»
«Non preoccuparti, vorrà dire che li aspetteremo. Posso presentarti i nostri nuovi amici, nel frattempo…»
Quella giornata sembrava destinata ad essere riservata solo alle presentazioni, e alla conoscenza delle tante persone che vivevano nel territorio della fazenda. Insieme alla famiglia di Carlisle, infatti, scoprii che vivevano anche diverse altre famiglie che lavoravano per lui e che coltivavano i campi di caffè.
Io e papà parlammo un po’ con Sarah, che era davvero gentile e molto simpatica; ci raccontò che viveva nel piccolo villaggio poco distante, che chiamava ‘colonia’, insieme ai suoi genitori anziani, a suo marito e ai suoi figli, due gemelle e un maschio. Ci avrebbe presentato tutti quel pomeriggio, subito dopo la fine del pranzo.
«Le mie figlie sono poco più grandi di te, ma non penso che questo rappresenti un grande problema. Saranno molto contente di conoscerti, vedrai.» mi disse calorosamente.
«Sì, lo spero…» il resto della risposta rimase incastrato nella mia gola, a causa di due nuove persone che entrarono in cucina e che calamitarono tutta la mia attenzione.
Erano due uomini, alti e molto simili per quanto riguardava l’aspetto fisico, ma diversi nel volto. Il ragazzo dai capelli corvini e corti sembrava molto giovane, quasi un fanciullo, l’altro invece, con i capelli un po’ più lunghi e castani, sembrava più severo e maturo rispetto alla persona che lo affiancava.
«Mamma, papà, ma che bella sorpresa!» esclamò il ragazzo con i capelli scuri. Andò a salutare prima Carlisle e poi Esme, riservando a quest’ultima persino un baciamano scherzoso.
«Sempre il solito, eh Emmett?» rise sua madre, sollevandosi quasi in punta di piedi per riuscire a baciare la guancia del ragazzo. «Lei è Isabella Swan, la figlia di Charlie. Vai a salutare anche lui, dopo, fai il bravo ragazzo.»
«Ma io sono un bravo ragazzo, mamma!» si accigliò un poco, ma scacciò via il tutto con una risata sonora mentre si voltava verso di me e mi studiava. Il sorriso divertito che aveva sfoggiato anche poco prima tornò sulle sue labbra, ed era così pieno di ilarità che non potei fare a meno di sorridere anche io, tanto era contagioso.
«Molto piacere di conoscerti, cara Isabella.» disse, parlando in italiano, ed esibendosi pochi secondi dopo in un inchino quasi reverenziale. Scoppiai a ridere.
«Emmett, non starai esagerando?» lo ammonì Esme, che lo osservava semi divertita mantenendo le braccia incrociate davanti al petto.
«Sì, mamma, sta sicuramente esagerando!» le rispose un'altra voce, a me sconosciuta. Non l’avevo sentita prima di quel momento, ma nel sollevare gli occhi e nel distogliere così l’attenzione da Emmett capii che si trattava dell’altro ragazzo.
Si era avvicinato, e grazie a questa sua vicinanza notai quanto fosse veramente alto. I suoi capelli erano dello stesso colore di quelli di Esme, e una ciocca più lunga delle altre gli ricadeva dispettosa davanti agli occhi. Gli occhi… erano di un colore che non avevo mai visto prima di allora.
Erano verdi, ma di una sfumatura più chiara rispetto alle altre e particolare, luminosa. Sembrava di osservare una pietra preziosa esposta alla luce del sole.
Sorrise, trattenendo una risata tra le labbra mentre osservava il fratello, poi sollevò lo sguardo e i suoi occhi incrociarono i miei. Fu come essere travolti da un’ondata di aria fredda: le mie braccia vennero percorse da una serie di brividi, e lo stesso accadde alla mia schiena. Le mie guance, invece, si scaldarono e così fui costretta ad abbassare leggermente il viso per nascondere quella mia reazione ai suoi occhi.
Mi imbarazzai, moltissimo: non riuscii a capire da cosa dipendeva tutto quello che stavo provando in quel momento. Non poteva essere solamente perché ci eravamo guardati direttamente negli occhi… non poteva. Sarebbe stato da sciocchi pensarlo.
«Ecco, Isabella, lui è mio figlio Edward. Edward, lei è Isabella.» Esme cominciò a presentarci, incurante della piccola difficoltà che stavo provando forse perché non se ne era accorta. E se non se ne era accorta lei, allora neanche… Edward, se ne era accorto.
Tornai a guardarlo, battendo le ciglia come per scacciare qualcosa di fastidioso, e cercai di sorridere in maniera naturale. Lo stava facendo anche lui, tenendo un sopracciglio inarcato e sollevato verso l’alto.
«Piacere di conoscerti, Edward.» dissi, e per quanto cercassi di alzare il tono della voce mi uscì comunque qualcosa di simile ad un sussurro.
Edward, dopo avermi guardata per qualche istante, abbassò lo sguardo ed io lo imitai non appena sentii che aveva preso la mia mano nella sua, e che la sollevava per poterci poggiare sopra le sue labbra. Il tocco fu leggero, qualcosa di più di un semplice sfioramento, ma ebbe lo stesso il potere di farmi rabbrividire… di nuovo.
Sorrise, continuando a stringere la mia mano. «Il piacere è tutto mio, Isabella.» replicò in un mormorio.
 

***

 
Durante il pranzo non riuscii a non pensare a quello che era accaduto poco prima. Tornavo con la mente a quando Esme mi aveva presentato suo figlio, Edward, e alle reazioni che avevo provato quando i nostri sguardi si erano incrociati. Forse stavo anche diventando pazza, ma riuscivo ancora a sentire un leggero pizzicore nel punto in cui le sue labbra si erano poggiate sul dorso della mia mano.
Smisi per qualche secondo di muovere le posate con le quasi stavo tagliando la mia porzione di carne e alzai il viso, scrutando la tavola e le persone che vi erano sedute tutt’attorno: erano tutti allegri e impegnati chi a mangiare e chi a chiacchierare. I miei occhi, inconsapevolmente, si posarono ancora una volta sulla figura di Edward.
Era seduto verso la fine della tavola, accanto a suo padre e a suo fratello, e sembrava concentrato su una discussione che Carlisle stava tenendo. Anche Emmett e papà lo ascoltavano, attenti.
Tornai a concentrarmi sul mio piatto e sentii le mie guance avvampare, al pensiero che qualcuno avesse potuto beccarmi proprio mentre ero occupata a guardare Edward; mi vergognavo, non mi era mai capitato prima di allora di provare un simile coinvolgimento nei confronti una persona che conoscevo da così poco tempo, e con cui avevo parlato soltanto una volta.
Era strano, impensabile e, decisamente, era una situazione assurda… ma lo guardai di nuovo con la coda dell’occhio. Stirai le labbra in un sorriso, vedendo che stava ridendo per qualcosa che dovevano aver detto. Aveva un sorriso così bello… lui, era bello.
«Va tutto bene, Bella? Hai le guance tutte rosse!» sobbalzai, sentendo la voce allegra di Alice. Seduta al mio fianco, mi osservava con attenzione e faceva oscillare piano la forchetta tra le dita.
«Stavo pensando…» risposi a voce bassa, rivelando così solo una parte di verità, ed imitai i suoi movimenti. Quando feci cadere la forchetta con un sonoro tintinnio dentro al piatto, però, smisi di farlo.
«Non lo avevo notato, sai?» ridacchiò, tornando a mangiare. Si voltò di nuovo verso di me dopo che ebbe mangiato un pezzetto di carne. «Questo pomeriggio mio padre ti accompagnerà a mostrarti la casa e il resto della fazenda, e vrrei tanto unirmi a voi. Oggi non ho proprio voglia di stare in casa e di mettermi a cucire!» aggiunse, sbuffando non appena finì di parlare.
«Ti piace cucire?» chiesi, non riuscendo proprio a fare a meno di domandarglielo. Ci conoscevamo da così poco tempo e non sapevo praticamente nulla di lei… ero curiosa, e mi sarebbe piaciuto moltissimo sapere qualcosa in più su di lei.
«Moltissimo, è la prima cosa che faccio non appena termino la mia parte di lavori di casa! La mamma mi ha insegnato a farlo quando ero ancora piccola e non ho più smesso; ho imparato anche a confezionare vestiti, abiti e camicette… posso farti vedere come si fa, se vuoi.» propose alla fine del suo breve monologo.
«Io so già cucire, ma non ho mai provato a realizzare dei vestiti.» le dissi con una punta di entusiasmo nella voce; quello che mi stava dicendo Alice era molto interessante e mi incuriosiva.
«È facile, ci vuole solo un po’ di concentrazione e di tempo! Più tardi ti porto a vedere tutti i lavori che ho fatto e che sto facendo…»
«Mi piacerebbe moltissimo, grazie.»
Alice mi sorrise, inclinando la testa da una parte. «Ma ti pare? Non ringraziarmi, per me è un piacere.»
 

***

 
Riuscii a vedere i suoi lavori solo a tarda sera, però, per via dell’impegno che dovevamo svolgere con Carlisle. Anche se, a dire la verità, non era un vero e proprio impegno.
La fazenda ‘Paraiso’ era davvero molto grande e piena di attività; c’era la parte composta dalla casa e dai magazzini, che avevo già visto quando ero appena arrivata, e poi ce n’erano altre due: quella dove sorgeva la colonia e dove vivevano i contadini, e la parte che era riservata ai campi di caffè e che era la più estesa.
C’erano acri e acri di terra, tutti coltivati a caffè e che assomigliavano moltissimo a un mare verde. Avevo provato più volte a cercare di capire dove finissero i campi, ma non ci ero riuscita nonostante ci avessi provato con tutta me stessa: erano così vasti che si estendevano oltre l’orizzonte… ed ero sicurissima sul fatto che non sarei riuscita a percorrerli tutti in una sola giornata.
Carlisle ci aveva presentato anche gli abitanti della colonia, una cinquantina di persone in tutto. Conobbi gli anziani genitori di Sarah, il signor Ignazio e la signora Natalina; suo marito, Billy, ed i suoi tre figli: le gemelle Rachel e Rebecca, identiche nell’aspetto e che somigliavano moltissimo alla loro madre, e il loro fratello più piccolo, Jacob.
Lui, invece, era identico per tutto e per tutto a suo padre. Era altissimo – molto più alto di Emmett, che fino a poco prima era la persona più alta che avessi mai visto –, aveva i capelli scuri e lunghi fino alle spalle e degli occhi neri, molto profondi ed espressivi. Il viso era quello di un uomo, ma aveva ancora qualcosa che richiamava la fanciullezza… e poi, era anche molto simpatico, era impossibile negarlo.
Mi aveva fatto ridere molto, e mi aveva presa subito in giro perché non riuscivo a capire bene quello che mi stava dicendo. Il portoghese era ancora una lingua nuova per me e dovevo ancora impararla per bene, dopotutto ero arrivata in Brasile solo da due giorni e non potevo già aspettarmi di capire tutto… ma, come mi aveva fatto notare Alice, che mi era stata sempre accanto quel pomeriggio e che mi aiutava con la lingua, avevo a disposizione tutto il tempo del mondo per fare pratica.
Mentre scherzavamo insieme a Jacob, avevo notato che una ragazza della colonia non aveva fatto altro che guardarmi in modo strano per tutto il tempo, come se stessi facendo o dicendo qualcosa che la infastidisse, solo che non capivo bene cosa potesse essere.
La ragazza si chiamava Leah, ed anche lei aveva gli occhi ed i capelli neri, molto lunghi, intrecciati e lasciati ricadere su di una spalla. Cercai di non darle troppa importanza, ma mi sentivo a disagio nel sentire i suoi occhi addosso.
Quel pomeriggio quasi tutti si erano uniti a noi durante il giro alla fazenda, solo Esme e Sarah erano rimaste in casa per dare una sistemata e per cominciare a preparare la cena. Più di una volta mi ero ritrovata, come durante il pranzo, a lanciare sbirciate e sguardi tutt’intorno per capire dove fosse Edward.
Cercavo di smetterla e di concentrarmi su quello che mi circondava, ma era più forte di me e finivo sempre col ritornare al punto di partenza. In un paio di occasioni Edward mi aveva colta in fragrante mentre lo osservavo, e lui mi aveva sorriso entrambe le volte. Io avevo ricambiato, ma mi ero anche affrettata a nascondere il viso per non fargli vedere che ero arrossita a causa dei suoi sorrisi.
E avevo ripensato ai suoi sorrisi anche durante la cena: ero rimasta per la maggior parte della sua durata in silenzio mentre mangiavo, in parte perché non avrei saputo cosa dire, ed in parte perché mi vergognavo persino di alzare la testa per paura di guardare Edward.
Ero confusa: volevo guardarlo, ma allo stesso tempo avevo paura delle reazioni che avrebbe potuto avere se lo avessi fatto. Avevo paura di mostrarmi ridicola ai suoi occhi, una bambina sciocca. Cercai di non pensarci, e a fatica ci riuscii.
Dopo cena, approfittando del fatto che gli uomini si erano riuniti in salotto per bere un ultimo bicchiere di vino prima di andare a dormire, Alice mi prese per mano e quasi correndo mi condusse fino alla sua stanza da letto. La mia, come mi fece notare lei mentre entravamo, era a due porte di distanza lungo il corridoio.
«Così siamo vicine se abbiamo bisogno di qualcosa. Di parlare, o… non lo so, di qualcosa in generale!» esclamò, richiudendo frettolosamente la porta dietro di sé. «Tengo il mio cucito in quel cassettone, accanto alla finestra. C’è un vestito che sto finendo di preparare proprio in questi giorni, devi assolutamente dirmi se ti piace o no.»
«Va bene!» risposi divertita: Alice non si fermava mai, era così piena di energia e di vitalità ed era quasi impossibile riuscire a farla stare buona e tranquilla. Mi piaceva molto stare in sua compagnia.
«Eccolo qui, ci sono alcuni spilli nelle maniche, fai attenzione a non pungerti.» mi avvertì dopo che ebbe frugato per un po’ all’interno di un cassetto. Spiegò il vestito celeste sul suo letto e poi batté le mani, tutta contenta. «Che te ne pare?»
«Oh, mi piace!» carezzai lievemente la stoffa della gonna, non volevo rovinarla in alcun modo. «Che cos’è? Lino? Cotone?»
«Cotone. È il mio tessuto preferito, leggero e comodo.» prese il vestito tra le mani e, dopo averlo soppesato un po’, me lo mise davanti scrutandolo con occhio critico. «Se lo aggiusto un pochino sui fianchi e sul petto potrebbe andarti bene… ci lavorerò domani con calma.»
«Aspetta, non ho capito… vuoi aggiustare questo vestito per me?» chiesi, aggrottando le sopracciglia per la confusione.
Alice annuì. «Questo vestito è per te. Ci sto lavorando da pochi giorni, volevo regalarti qualcosa di carino per il tuo arrivo… anche se, a quanto sembra, ho sbagliato colore. A te sta molto bene il blu, non il celeste.»
«Alice, ma non… non serve che ti disturbi così tanto per me.» provai a protestare.
«Ma a me piace, non è affatto un disturbo! Specialmente adesso che so che ti piace, ci lavorerò con più attenzione e dovizia. E poi, voglio già cominciare a mostrarti come fare per cucirne uno e… e comincerò anche ad insegnarti un po’ di portoghese.»
La sua gentilezza e disponibilità nei miei confronti mi colpì, e questo mi spinse ad abbracciarla. Io non avevo niente con cui poterla ricambiare, e a lei questo sembrava davvero non importare.
«Alice, davvero non so come poterti ringraziare.» sussurrai.
Le sue braccia rafforzarono la presa sulle mie spalle e la sentii ridere contro il mio orecchio. «Non devi, non lo faccio per avere qualcosa in cambio.» mormorò tranquillamente.
Sentivo che tra me e lei poteva nascere una bella amicizia, ma era ancora troppo presto per poterlo dire con certezza.

 
 
 

__________________

Siete arrivate fino a qui senza addormentarvi? Se sì, ne sono davvero felice! Almeno so che il capitolo non vi ha annoiato XD
Come avete letto, i nostri ‘eroi’ sono finalmente arrivati alla fazenda e hanno familiarizzato con il posto e le persone che ci abitano… e c’è stato anche un colpo di fulmine!
Avete visto che Bella si è completamente rimbecillita non appena ha visto Edward? Povera stella XD sarei rimbecillita anche io al posto suo XD secondo voi, anche Edward ha sentito la scintilla? Mah, staremo a vedere u.u
Da questo momento in avanti la fazenda farà da sfondo all’intera storia, quindi preparatevi perché ne vedremo delle belle! Sapeste che cosa ho in mente o___o ahahah *risata malefica*
Vi ringrazio per le recensioni che mi avete regalato allo scorso capitolo – risponderò presto, anche per quanto riguarda l’altra storia :D – e spero di tornare ad aggiornare presto. Sto per cominciare un corso e avrò meno tempo a disposizione, ma non appena posso mi metto a invadere i fogli di Word ;)
Come sempre, per qualsiasi cosa potete contattarmi sul mio gruppo
Facebook!
Un bacione e a presto! *w*

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: KrisJay