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Autore: Judith Loe    28/05/2013    1 recensioni
La verità era che lei non sapeva. Aveva vissuto la sua vita fino a quel momento nella più completa ignoranza. Come la maggior parte, per non dire la quasi totalità, del genere umano; era stata tenuta all'oscuro di tutto, protetta da una realtà che avrebbe potuto distruggerla, un mondo complesso, di cui si temeva non sarebbe riuscita a reggere il peso. E chi avrebbe potuto? La verità era che quel mondo sarebbe dovuto restare segreto. Un regno freddo e governato da rigide leggi. L'Illusione era pericolosa. E le ombre che vi si muovevano dentro lo erano ancora di più.
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3 Il Momento.
 
 
 
  Accompagnammo prima Ann, poi io e Tyler proseguimmo verso casa mia. Arrivati al vialetto, spense la macchina. Rimasi ferma sul sedile. Credevo mi avrebbe solo accompagnata…
 
  “Vuoi entrare?” chiesi titubante. Non che ci fosse nulla di strano nel farmi trovare da Alex a casa da sola con Ty, ma solitamente almeno, me lo chiedeva prima.
Lui stava scrutando il giardino.
 
  “Hmm? No, no…cioè, non ho niente da fare, quindi potrei, ma forse tu sei occupata…”. Iniziò senza distogliere lo sguardo da casa mia.
 
  “Io non ho niente da fare. Ma tu non dovresti essere già a casa?” feci inarcando un sopracciglio.
 
  “No, perché?” chiese incuriosito dalla mia domanda, concentrandosi su di me.
 
  “Non hai detto che stasera avete gente a cena…” iniziai insospettita.
La sua espressione si modificò in un istante. Di colpo capì di aver commesso un errore, e tentò di nascondere sotto un’espressione sorpresa l’ansia.
 
  “Oh, giusto! Me ne stavo dimenticando. Grazie Em! Fortuna che ci sei tu!” esclamò sorridendomi, mentre metteva in moto l’auto. Saltai giù veloce, e mi avvicinai al finestrino per salutarlo, ma lui ripartì non appena mi richiusi la portiera alle spalle.
Restai in mezzo alla strada con una mano alzata a mò di saluto.
 
  “Beh, grazie per il passaggio” bofinchiai irritata avviandomi verso l’ingresso.
  La casa era deserta. Alex e Violett non sarebbero rientrati prima delle sette. Guardai l’ora: le cinque.
Alex lavorava nella redazione del giornale del paese come foto reporter; come se in un paesino tanto piccolo potesse accadere qualcosa di tanto importante da avere bisogno di un reporter. Il massimo del suo lavoro consisteva nel fotografare il vincitore della “zucca mostruosa” ad Halloween, oppure andare alla festa di qualche vecchietto centenario…roba super emozionante. In compenso con un fratello fotografo, avevo una raccolta infinita di fotografie che praticamente ricostruivano tutta la mia vita. Naturalmente svolgeva anche atri lavoretti in giro per il paese, racimolando a fine del mese l’equivalente di un vero stipendio alternandosi tra mille mansioni.
Invece, Violett, lavorava nell’unica boutique della cittadina. Non so esattamente come avremmo fatto a sopravvivere se Alex non avesse avuto un lavoro e non ricevesse un bel po’ di soldi ogni mese da mamma e papà, considerando che era un miracolo se Violett riusciva a vendere un paio di vestiti griffati al mese. In campagna la gente non tiene troppo agli orpelli.
  Mi guardai attorno sospirando.
Cosa potevo fare per riempire il tempo? Avevo già fatto tutti i compiti, mi ero fatta una doccia e avevo dato una pulita veloce in giro. Non avevo nient’altro da fare. Andai in salotto e mi sdraiai sul divano. Fissai per un po’ il soffitto. I miei amici mi credevano una pazza, soprattutto Tyler. In effetti mi ero comportata in modo strano; anche Alex l’aveva notato e Violett la sera prima a cena, aveva tirato fuori una storia assurda paragonando l’adolescenza ad una malattia infettiva e spiegandolo come se io fossi il caso patologico.  
In quell’istante normalmente l’istinto di alzarmi dalla sedia e assalirla avrebbe vinto, ma ero ancora nella fase apatica della faccenda. Non riuscivo a non pensare a quel ragazzo. Non avevo comunque detto niente a nessuno perchè in fondo, forse , il mio inconscio voleva che io mi rifugiassi in quel pensiero, che mi teneva la mente impegnata, piuttosto che farmi pensare alla figuraccia che avevo fatto con Erick…         
  Eppure era tutto così ovvio! Non esisteva nessun ragazzo della pioggia! Insomma chi è così fuori da star sotto la pioggia di sera e senza ombrello. Quando l’avevo visto avevo la febbre alta, me lo potevo anche essere immaginato, no?
  La conclusione non mi convinceva. In parte ero contenta di essermi immaginata tutto; non stavo impazzendo. Ma dall’altra ero dispiaciuta. Voglio dire, la prospettiva di essere spiata da qualcuno che non conoscevo mi metteva i brividi, ma il fatto che fosse lui a farlo, no.
Forse stavo davvero impazzendo. Non che fossi l’unica…ripensai a Phil nel parcheggio, e allo strano comportamento di Tyler. Forse Violett aveva ragione…doveva essere la scuola a far impazzire noi adolescenti.
  Improvvisamente suonò il campanello. Per poco non mi scappò un urlo. Mi alzai di scatto dal divano e mi precipitai alla porta.
 
  “Arrivo!” Guardai fuori dallo spioncino. Non c’era nessuno.
 
  Stupidi ragazzini… Pensai.
 
  Mi voltai e tornai a fissare il salotto vuoto. Mi brontolò lo stomaco, forse in frigorifero c’era ancora un po’ di torta al cioccolato che la mamma di Ty aveva fatto per il compleanno di Susan, la sua sorellina. Aveva ingaggiato Alex come fotografo alla festa della piccola, il tema era “le principesse delle favole”. Tyler era stato costretto –  premio l’uso dell’auto - a travestirsi prima da drago, che le invitate grazie ai poteri magici dei loro regni, avrebbero dovuto uccidere, ed in seguito da principe azzurro. Non avrei mai potuto ringraziare mio fratello a sufficienza per averci fornito la documentazione di ciò che era successo nonché ore e ore di grasse risate.
  Il tempo di andare in cucina e prendere un bicchier d’acqua e il campanello suonò nuovamente. Mi rovesciai l’acqua addosso.
 
  Adesso basta!
 
Corsi alla porta e l’aprii di colpo, ma anche questa volta non trovai nessuno. Rimasi ferma a guardarmi intorno. Aveva ricominciato a piovere e in giro non c’era anima viva. Sbuffai e abbassai lo sguardo verso lo zerbino, prima di richiudere la porta. Mi bloccai.
C’era un foglietto a terra, proprio nel mezzo dello zerbino. Mi abbassai e lo raccolsi continuando a lanciare occhiate alla strada vuota, era uno scherzo? Sopra c’era scritto il mio nome. Lo presi e lo aprii. Lentamente il mio cervello elaborò il contenuto, e ci mise molto più tempo del necessario. Doveva essere uno scherzo….non poteva che esserlo! Ma mentre rimanevo immobile a fissare il bigliettino mi resi conto che mi tremavano le mani.
 
  Manca poco. Tieniti pronta.
 
Mi si gelò il sangue nelle vene. Rilessi il biglietto. Ma che cavolo…
Spaventata lanciai un ultimo sguardo al vialetto vuoto ed alla veranda silenziosa, rientrai in casa e mi chiusi la porta alle spalle, per sicurezza a chiave, cosa che non avevo mai sentito il bisogno di fare. Poi corsi in camera mia accendo tutte le luci della casa ma mano che sfilavo davanti agli interruttori. Arrivata in camera mi guardai attorno, sotto il letto, ed aprii anche l’armadio. Tanto per stare più sicuri. M’infilai a letto e presi l’Ipod. Lo misi al massimo e nel giro di poco mi resi conto di aver iniziato a battere il tempo con un piede a terra, battendo un ritma venti volte superiore a quello normale. Questo accadeva solo quando avevo veramente paura. Mi costrinsi a incrociare le gambe sul letto.
  Che stava succedendo? Tieniti pronta a cosa? Manca poco? Che scherzo era?
Ripresi il foglietto che mi ero infilata in tasca, mentre il cervello galoppava creando immagini e possibili scenari, stranamente la maggior parte riconduceva al vialetto di ciottoli bianchi, o al lampione nel parco…
Eppure il messaggio era chiaro; ma chi poteva avermelo scritto? Non era di certo la scrittura perfettamente curata di Ann, e tanto meno quella disordinata di Ty. Allora di chi? Di nuovo due occhi ghiaccio mi illuminarono il cervello quando chiusi le palpebre tentando di capirci qualcosa. La voce mi parve più impaziente del solito.
 
  “Emily!” mi chiamava con foga, arrabbiato. Ma non capivo, ed avevo paura. Mi tappai le orecchie sperando che l’allucinazione svanisse da sé.
  La porta si spalancò di colpo. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola.
 
  “Oddio” esclamò Alex facendo un salto.
 
   Alex, è Alex.
 
Cercai di tranquillizzarmi, ma era impossibile avevo i nervi a fior di pelle ed il cuore che batteva all’impazzata. Iniziai ad inspirare con un ritmo più regolare tentando di calmarmi. Ma non ce la facevo, continuavo ad ansimate terrorizzata. Credevo che fosse arrivato a prendermi… e non capivo se la paura derivasse da quello o dal fatto che in realtà avessi davanti Alex. Mio fratello, non lui. Cacciai con forza il pensiero dalle mie priorità.
Numero uno: sembrare normale e non allarmare Alex. Numero due: cercare di fare ordine nella testa. Numero tre: trovare un modo per interrompere quelle cazzo di allucinazioni!
 
  “Cosa succede?” domandò allarmato.
 
  “Niente scusa. Mi hai colto di sorpresa. Stavo…mi ero…mezza addormentata e non me l’aspettavo, ecco…” farfugliai confusa.
 
  “Perché le luci sono tutte accese e la porta era chiusa a chiave?” chiese. In quel momento rilassai il pugno destro e la chiave di casa cadde sulla coperta. La fissai per un istante.  Non ricordavo di averla presa… Poi alzai lo sguardo, Alex mi fissava con la bocca socchiusa, pronto all’interrogatorio.
 
  “Dei ragazzini mi hanno spaventata. Loro e i loro scherzi deficienti…” lo anticipai tentando di sembrare irritata e non terrorizzata a morte.
 
  “Certo che sei proprio una fifona!”  ridacchiò la voce di quella brutta racchia di Violett. Entrò nella stanza anticipata da una vampata di Chanel n. 5. Si avvicinò ad Alex e mi lanciò uno sguardo sprezzante. Io la fulminai. Lei distolse lo sguardo in modo altezzoso.
 
  “Sei sicura che vada tutto bene?” chiese Alex visibilmente turbato. Allontanai lo sguardo dalla strega e gli rivolsi un sorrisetto tirato.
 
  “Sì, sono solo un pò tesa in questo periodo, la scuola, le verifiche… tutto qua”. Violett rivolse gli occhi al cielo ed uscii dalla stanza facendo svolazzare il foulard di seta, come una diva del cinema anni cinquanta. Patetica. Riusciva a darmi sui nervi anche in un momento del genere!
Alex nel frattempo era rimasto in silenzio fissandomi, soppesando le mie parole, poi annuì, quasi tentando di autoconvincersi e disse: “ Già, ho incontrato Ty prima anche lui sembra sotto pressione ultimamente…”
 
  Ty? Che c’entra Ty? 
 
  Alex continuò a guardarmi con intensità. Deglutii a disagio.  Poi si voltò ed uscì dalla stanza.
 
  “Vieni di là, stasera pizza!”.
Mi alzai velocemente, non volevo restare sola, e li seguii, continuando a guardarmi attorno, preoccupata che qualcosa - beh qualcuno – potesse saltare fuori da dietro un angolo.O che potesse non farlo.
 
*
 
  Per tutta la serata non riuscì tranquillizzarmi, il biglietto era ancora nella mia tasca che sembrò di colpo pesantissima, come se contenesse dei sassi o una pistola…  io e le mie stupide idee sui presagi di morte! Troppi film dell’orrore!
Era nato tutta dalla mia immaginazione e mi ero permessa di ricamarci troppo. Dovevo smetterla! Con tutta quella storia ridicola…eppure il biglietto era ancora nella mia tasca. Lentamente mi infilai una mano nella tasca. 
 
  Ah! 
 
La ritrassi di colpo. Eh già, era ancora lì. Dannazione…
  Alex poggiò con troppa forza un piatto sul tavolo, mi spaventai e alzai di colpo la testa. Mi guardò preoccupato, mentre Violett inarcava un sopracciglio, ancora convinta che stessi facendo una scenata adolescenziale. Non stava funzionando. Alex si stava già inquietando. Io non riuscivo a non pensare a ciò che stava accadendo come avrei dovuto fare. E avevo nuovamente la terribile impressione di essere spiata. Sbirciai veloce verso la finestra che dalla cucina dava sul portico, ma fuori era scesa la sera e non si vedeva nulla. Eppure sentivo che fuori c’era qualcosa…doveva esserci! Sentivo i suoi occhi addosso…
  Alex stava per dire qualcosa, non mi andava di dover spiegargli il motivo del mio turbamento.
 
  “ Non ho molta fame. Penso che andrò da Ty” annunciai con leggerezza alzandomi.
 
  “Adesso?”  fece Violett, sopracciglio sempre inarcato, con quella sua voce gracchiante, neanche avesse qualcosa incastrato tra il nasino alla francese e la gola da arpia che si ritrovava.
 
  “ Sì, adesso” risposi io scocciata. Ci guardammo per qualche secondo in cagnesco.
 
  “Devo accompagnarti?” chiese Alex già pronto ad alzarsi.
 
  “No, no! “ mi affrettai a dire. Dovevo restare un pò da sola. Fare ordine, e controllare che fuori non ci fosse veramente nessuno. Non sembrò troppo felice della mia decisione di rifiutare il passaggio. Ci pensò su per un attimo, mentre io me ne stavo lì impalata, agitata, già con i piedi rivolti verso la porta d’ingresso.
 
  “ Okay…ma non tornare tardi. ” acconsentì Alex.
Uscii senza dire una parola. Non volevo andare da Ty, ovviamente, cosa cavolo gli avrei raccontato?    
 
  Sai com’è, mi è arrivato un biglietto anonimo da qualcuno che probabilmente sta organizzando il mio funerale… non avrebbe funzionato.
 
Uscita in veranda, la notte mi avvolse. Era tutto così fermo e statico che mi sentii un’idiota; come avevo potuto credere che ci fosse fuori qualcuno? Forse era meglio così.
  Cominciai a camminare senza meta con strani pensieri che mi affollavano la testa e mischiandosi tra loro creando i peggiori scenari e le possibilità più assurde; si alzò il vento, spostandomi i capelli sulla faccia. Mi fermai per rimetterli a posto e mi accorsi dove mi avevano condotta i piedi. Ero arrivata a quella panchina, sotto quel lampione. Anche quella sera era acceso, ma funzionava a singhiozzi, lasciandomi di tanto in tanto nell’oscurità totale.
 
  E se il biglietto l’avesse scritto proprio lui…
 
  Non che non ci avessi già pensato, ma ora in quel luogo, mi sembrava di avvertire esattamente la sua presenza. Quegli occhi azzurri si collegarono alla voce vellutata ed un brivido mi percorse la schiena.
  Mi bloccai di colpo. Sentii la paura crescere. Mi guardai intorno e alzai lo sguardo verso casa mia. E sì, da qui si vedeva veramente la finestra del mio bagno, non dentro, ma se la luce fosse stata accesa probabilmente…
  Improvvisamente mi accorsi che qualcuno mi aveva appoggiato una mano sulla spalla. Fu come se una scossa elettrica mi avesse attraversato il corpo. Strinsi la mano preparandola all’impatto, mi girai, caricai il colpo e diedi un pugno più forte che potei sulla faccia di…
 
  “Oddio!”  urlai capendo l’errore che avevo appena commesso.
Ty si accasciò a terra come fosse stato un palloncino che si stava sgonfiando.
 
  “ Tyler! Dio! Che cavolo…” Cosa avevo fatto?
Ty rantolò qualcosa che non capii, poi si girò su un fianco e sputò sangue.
 
  “Dai fammi vedere…” dissi cercando di girarlo. Lui mi allontanò e si rimise in piedi. Teneva una mano tesa verso di me, ma non perché voleva lo aiutassi; era per tenermi a distanza. Aveva la maglietta piena di sangue e il naso molto gonfio.
 
  “ Dimmi cosa devo fare! C-chiamo un’ambulanza”.
 
  “No” gemette lui temendosi il naso stretto in una mano. ” Hai già fatto abbastanza” disse gettandomi un’occhiata obliqua.
 
  “Non l’ho fatto apposta, mi dispiace tanto, non puoi neanche immaginare quanto…” iniziai cercando di scusarmi.
 
“Cosa ti salta in mente di prendermi a pugni?”.
 
  “Non pensavo fossi tu…”
 
  “Ma se ti ho chiamato!” ribatté incredulo.
 
  “Non ti ho sentito…”mi guardò disorientato. Il sangue si era fermato. Non avevo sentito nessuno chiamarmi. Cavolo, stavo peggiorando.
 
  “E’ rotto?” chiesi indicando il naso, intimorita dal suo tono di voce e dal suo sguardo.
 
  “Non lo so… non penso…ahi…” disse toccandosi la punta del naso e facendo una smorfia per via del dolore.
 
  “Mi dispiace tanto…” continuai mugugnando. Lui scosse la testa e io mi azzittii.
Poi alzò lo sguardo verso di me e fu come se in quel momento stesse cercando di entrarmi nella testa e di captare i miei pensieri, i suoi occhi erano diventati più scuri del solito, più penetranti. Era preoccupato. Non doveva esserlo o avrebbe complicato tutto. Non doveva sapere nulla di tutto questo. Stavo impazzendo, ma potevo farcela da sola. Era il mio segreto, le mie allucinazioni e mi piacevano troppo per poterle condividere. E poi avevo l’impressione che se l’avessi fatto si sarebbero interrotte, e non mi andava. Certo raccontarlo a qualcuno, confessarmi, avrebbe reso tutto più semplice, ma la posta in gioco era troppo alta.
  Mi concentrai e riuscii a liberarmi dalla potenza del suo sguardo.
 
  “Perché eri qui da sola?” domandò serio. Si guardò attorno cercando di capire cosa stessi cercando, cosa volessi fare, ma quello che vide non lo soddisfò ne lo aiutò a capire. Per lui quel luogo non aveva nessun significato, per me sì. Tornò a me con un’espressione interrogativa e anche un po’ spazientita.
 
  “Non lo so.” ammisi piano.
 
  “Non lo sai” ripeté lui acido. La cosa mi diede sui nervi. Potevo chiedergli la stessa cosa! Cosa ci faceva a zonzo a quell’ora?  Non che io avessi un motivo…
  Ty scosse la testa e ritentò.
 
  “ Allora dove stavi andando prima di venire, per chissà quale motivo, qui?”.
 
  “Non lo so…” mormorai.
 
  “ Come non lo sai?! Come è possibile che tu non sappia niente?” gridò infastidito.
La cosa mi urtò e sentii le lacrime salire agli occhi. Ero spaventata a morte già per i casini miei, se ci si metteva pure lui…
  Lo notò. Fece un respiro profondo e si calmò.
 
  “Cosa ti sta succedendo?” chiese supplicante. Feci per voltarmi ed andarmene ma era lì che volevo stare e lui aveva rovinato tutto. Così scossi la testa. “Non osare rispondere che non lo sai” mi avvertì.
Non resistetti più e scoppiai in lacrime. Mi lasciai cadere sulla panchina.
 
  “Ma è così!” dissi tra i singhiozzi “Non lo so! Non so perchè sta succedendo questo, io non ho chiesto niente, non ho fatto del male a nessuno, non so di chi fosse il biglietto, non so lui chi fosse….” mi fermai. Avevo detto troppo. Mi morsi un labbro a disagio. Perché Tyler era lì? Come aveva fatto trovarmi?
  Forse Alex lo aveva chiamato chiedendogli di cercarmi, ne sarebbe stato capace…
   Si sedette accanto a me, e mi cinse le spalle con un braccio. Tentai di allontanarmi da lui, non me lo permise.
 
  “Lui chi?” chiese distaccato, ma sembrava tutt’altro che disinteressato.
Era molto interessato…
Cosa potevo dirgli? Mi prese il viso tra le mani e dolcemente lo voltò verso il suo.
 
  “Emily. Dimmelo.” ordinò con dolcezza. Scossi la testa meccanicamente. “Lui-Chi?” ripeté con più enfasi. Sentii le sue dita stringersi sul mio viso. Mi aveva immobilizzato. Il battito accelerò.
In quel momento qualcosa si mosse dietro di noi. Ty si alzò ad una velocità incredibile, le mani, che avevano abbandonato il mio viso, pronte ad affrontare chiunque avesse provocato il rumore.
 
  Che atteggiamento strano da parte sua, non avrebbe fatto del male ad una mosca, immaginarsi lottare con qualcuno.
 
Forse era solo il buio e il silenzio che era stato rotto all’improvviso. Ne approfittai. Mi alzai di scatto e cominciai a correre.
 
  “Emily fermati!” urlò. Mi resi conto che anche lui si doveva essere messo a correre. Non doveva raggiungermi. Continuavo a correre i lampioni per strada si erano già accesi e faceva freddo. Giravo a caso nelle strade, l’importante era andare lontano e non farmi raggiungere.
 
  Oh no.  
 
  Vicolo cieco. Ty mi stava chiamando. O meglio urlava qualcosa che assomigliava ad un  “non lì”,   ma non mi fermai per capire meglio. Non doveva essere molto lontano, anzi era anche troppo vicino. Mi guardai intorno, ma non c’era modo per uscire. Se fossi tornata verso la strada principale Ty non mi avrebbe fatto allontanare più e io non volevo parlargli. Merda! Cominciai a tastare il muro cercando una rientranza o una sporgenza, possibilmente un vicolo, un qualsiasi posto per nascondermi! E in più non vedevo ad un palmo dal mio naso, era tutto così dannatamente buio! Sentii un rumore e mi voltai lentamente, non ero sola. Una luce impresse sull’asfalto per un secondo la mia ombra, poi l’oscurità mi avvolse nuovamente come un mantello scuro, premendomisi addosso.
  Ma quella strana luce mi aveva permesso di vedere: avevo visto dove mi trovavo ciò che mi circondava; per un secondo avevo visto, visto tutto.
  Il vicolo era stretto allargando le braccia avrei toccato entrambe le pareti che correvano ai miei fianchi, l’asfalto era ricoperto di ghiaia bianca e polvere di gesso, muri ricoperti da graffiti che sembravano volere uscire dai muri stessi. Scritte allungate verso l’alto di un verde brillante. Di fronte a me una lampada tonda inchiodata nel bel mezzo di un muro di mattoni che mi bloccava la strada, incrostata di sporco ma che rivelava sotto lo strato di sudiciume un vetro sull’arancione. Un passo riecheggiò nel silenzio assoluto. Uno strano senso di familiarità mi spaventò. Quel posto assomigliava terribilmente ai miei sogni eppure era anche totalmente diverso.
  Il cuore cominciò a battere più veloce. Era dietro di me lo sapevo.
  Mi voltai e lo vidi.
Come potevo non essermene accorta prima?
Era lì, appoggiato contro il muro che mi guardava.
  E fu stupido, lo so, ma in quel momento mi sentii…bene. Ero felice! Felice che lui esistesse, di non essermelo sognato….felice come non sarei dovuta essere….sapevo anche questo.
  Gli occhi! Gli occhi! Era lui!
Indossava una felpa nera e un paio di jeans, non doveva avere più di vent’anni. Quando parlò tutto andò a posto. Quella voce vellutata che mi chiamava nei sogni, - la sua voce! – mi tranquillizzò.
 
  “Quel tipo…” disse indicando con un cenno della testa la strada “Il tuo amico…” pronunciò l’ultima parola in modo strano “Comincia a darmi sui nervi.”. I suoi occhi brillarono quando incontrarono i miei. Anche se era buio pesto e fossi lontana da lui, li vedevo benissimo sembravano fatti di ghiaccio. Aveva i capelli castano scuro. Era senza dubbio la persona più bella che avessi mai visto.
 
  “Dai, vieni” disse girandosi e avvicinandosi. Contro ogni logica, rimasi immobile e quando mi prese la mano il cuore cominciò a battere ad una velocità folle, sembrava volasse, il battito era talmente violento da non farmi sentire neppure il rumore dei nostri passi sull’asfalto bagnato.
 
  “D-dove andiamo?” chiesi insicura, ma beandomi della sua voce. Era sua. Era la sua voce, era la voce che mi chiamava nei miei sogni, era lui che mi aveva condotta in quel luogo. Non ero pazza.
 
  Ah!
 
  Lui non rispose, ed io riuscii a girarmi prima che entrassimo in un vicolo, che con il buio non avevo notato prima, vidi Ty.
 
  “Mi dispiace…” sussurrai troppo piano perchè lui potesse sentirmi, eppure lo vidi alzare la testa verso di me. Ero sicura che per un attimo mi avesse almeno intravisto.
 
*
 
  Mi voltai verso il ragazzo che mi tirava per il polso. Solo in quel momento realizzai che stava accadendo davvero. Ero sola, dispersa in periferia, trascinata per un braccio da uno sconosciuto. A guardarla in questo modo l’effetto magico di poco prima spariva completamente, eclissato da un fastidioso senso di nausea. Stavo per parlare, ma le parole mi morirono in gola.
Non dissi più nulla e un senso d’inquietudine cominciò ad avvolgermi.
  Lui continuava a camminare e io non capivo dove fossimo. Passavamo sotto palazzi di marmo bianco, resi neri dal tempo e dall’incuria. Questo senza dubbio non era il posto fino a dove ci trovavamo trenta secondi prima. Questo strano luogo doveva essere a centinaia di chilometri di distanza da casa mia, perché anche l’aria sembrava avere un altro odore ed il cielo una nuova visuale.
  Dove cavolo eravamo?
Ci fermammo un attimo prima che mi assalisse il panico; mi guardai intorno. Eravamo in una specie di piazzetta circondata da alti palazzi. Alzai la testa fino a vederne la fine. Là in cima, come un diamante incastonato in un medaglione, c’era la luna con la sua corte di stelle e un fazzoletto di cielo.
Lui si allontanò da me lasciandomi la mano, e avvicinandosi ad una piccola fontana nel centro dalla piazza. Ma a che diavolo stavo pensando? Lasciami trascinare via da uno sconosciuto! Non sapevo neanche il suo nome. Finalmente parlò.
 
  “Allora che ne pensi?”. Mi domandò. Non avevo la più pallida idea di cosa stesse parlando.
 
  “Che ne penso… di cosa?” chiesi a bassa voce. L’idea di essermi ostinata a credere che fosse reale ora non sembrava più tanto buona. Che stavo combinando?
 
  “Beh, è abbastanza ovvio!” sorrise.
 
  “Non lo so” sussurrai.
 
  “Cioè, non sei felice di tornare a casa?” domandò incredulo. Gli pareva veramente una cosa ovvia.
 
  Casa?
 
  “Io non abito qui.” cercai di sorridere, ma non ci riuscii troppo bene, perché l’espressione di lui mutò “Anzi, non so neppure dove siamo esattamente.”. Farfugliai a disagio. Non sapevo se sorridere o darmela a gambe.
Abbassò gli occhi e il sorriso si spense.
 
  “Avevano ragione. Proprio non ricordi niente”. Era dispiaciuto. Mi faceva male vederlo triste. Era assurdo neanche lo conoscevo!
  Poi rialzò gli occhi accesi di nuovo dell’emozione: “Però ti ricordi di quella sera alla finestra…>>.
 
Certo che me ne ricordavo.
  Tutto divenne nero. Pioveva e lui era lì in piedi che mi fissava con lo stesso sguardo di quella sera; una grossa macchia rossa cominciò ad allargarsi sulla sua maglietta. Sentii il bisogno di corrergli in aiuto…ma lui stava bene... Durò un secondo, ma quando finì mi assalii una stanchezza inconcepibile. Ero sfinita come se l’allucinazione avesse iniziato a nutrirsi della mia stessa energia vitale. La pioggia non cadeva più. Le ginocchia ceddero, ero completamente bagnata.
 
  “Lo prendo per un sì” disse ridendo eccitato. Guardai verso di lui, si stava riavvicinando sorridente. Anche lui era tutto bagnato.
 
 Sono stata io? È successo ora…davvero?
 
  La stanchezza prese il sopravvento. Mi stesi a terra arrendendomi al fatto che qualunque cosa fosse accaduta ero comunque spacciata. Non avevo la forza di tenere gli occhi aperti immaginarsi difendersi da quello starno ragazzo. Si abbassò su di me e mi prese in braccio.
 
  “Allora esisti…” sussurrai io.
 
  “Non ti preoccupare Emily, andrà tutto bene.”.
 
Tutto diventò nero.
 
 
 
 
NOTE
 
Ci siamo quasi… ;)
   
 
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