CAPITOLO
6: GIORNO 30
“…sento
la
vita scorrere via dagli esseri umani...” Noa se ne stava
seduta con gli occhi
chiusi in profondissima concentrazione: riusciva a percepire la linfa
vitale
luminosa delle persone sulla Terra nonostante fosse distante milioni di
chilometri. “E’ INEVITABILE, PICCOLO
DRAGO.” Una lacrima rigò il suo viso e una
muta preghiera si levò in quell’aria carica di
potere che faceva tremare ogni
angolo del pianeta.
Passarono
trenta giorni. Trenta, infernali giorni. La città era stata
abbandonata circa
al ventesimo giorno di assedio di quei mostri: in principio non erano
molti e
attaccavano raramente, poi divennero tanti, troppi, e mietevano ogni
giorno
sempre più vite. Le guerriere non riuscirono a contrastarli
pur combattendo con
tutte le loro risorse e le ronde di guardia furono un fallimento,
così fecero
l’unica cosa che potevano fare: con la morte e la vergogna
nel cuore dovettero
nascondersi per sopravvivere; se fossero morte avrebbero lasciato Noa a
combattere da sola e tutto sarebbe stato inutile.
Ben presto
infatti capirono un’atroce verità: i demoni non
volevano gli abitanti, volevano
loro, volevano eliminare ogni alleato della piccola Noa per poterla
annientare
più facilmente e questo non potevano permetterlo. Guardarono
inermi le persone
abbandonare le loro case per salvarsi e i demoni che puntualmente si
prendevano
le loro vite; i sopravvissuti probabilmente non sarebbero
più tornati, ma
almeno le ragazze erano sicure che i mostri non li avrebbero inseguiti:
se
rimanevano in città i demoni avrebbero continuato a cercarle
lasciando in pace
i poveri cittadini e così, infatti, fecero; decisero di
rimanere separate per
dare meno nell’occhio e, nonostante le loro case erano
malridotte, erano ancora
abitabili, quindi per il momento non dovevano cercare una nuova
sistemazione.
Il problema era procurarsi i beni di prima necessità: vicino
a casa Outer c’era
un supermercato ormai abbandonato; dovevano resistere altri trenta
giorni e le
strade erano invase da orde di demoni che volevano la loro testa, e
ogni volta
che dovevano uscire per prendere da mangiare dovevano studiare a
tavolino i
percorsi migliori e i migliori nascondigli per non farsi scoprire.
E ogni volta
poteva essere l’ultima, potevano morire in ogni momento:
quando i demoni le
scoprivano iniziava una guerra disperata per sopravvivere; erano troppi
e
troppo forti, l’unica possibilità era fuggire e
pregare di seminarli, ma fuggire
voleva dire anche soffrire la fame per un altro giorno. Le strade
puzzavano di
morte: centinaia erano i cadaveri sparsi per la città di
coloro che non erano
riusciti a fuggire in tempo; corpi mutilati invasi da vermi e ratti,
sangue a
pozzanghere bagnavano l’asfalto e un panorama di desolazione
riempiva gli occhi
e il cuore delle Sailor. Ogni giorno ad attenderle c’era una
macabra
provocazione, un ultimatum tanto terrificante che spesso non aprivano
neanche
le finestre per far entrare un raggio di sole pur di non vederlo: i
demoni
avevano decapitato le teste di molti cittadini e le avevano piantate su
delle
picche in giro per la città; corpi di uomini, donne e
bambini erano impiccati
agli edifici e lasciati lì appesi come messaggio di sfida
per le guerriere,
l’odore poi era insopportabile nelle giornate di sole.
Quella mattina le Outer si svegliarono presto per controllare la scorta di provviste e si accorsero che stavano finendo, così si riunirono intorno al tavolo per pianificare la strategia migliore per uscire di casa: Hotaru dormiva inquieta nel suo lettino, mentre le altre apparivano distrutte fisicamente e mentalmente. Setsuna aveva contusioni un po’ ovunque sul corpo e se ne stava spesso da sola a contemplare le cartine della città: tutto l’orrore che aveva visto in quei giorni che sembravano eterni la stava uccidendo tanto lentamente quanto dolorosamente e doveva tenere la mente occupata per non impazzire; qualche volta si lasciava andare a pianti tanto convulsi che Haruka e Michiru erano costrette a darle dei calmanti molto potenti che fortunatamente avevano in casa.
Le guerriere
di Urano e Nettuno non se la cavavano meglio: avevano
ferite superficiali di poco conto, ma ciò che le distruggeva
era la mancanza di
sonno: infatti erano circa dieci giorni che praticamente non dormivano,
quando
una riusciva ad addormentarsi era puntualmente perseguitata dagli
incubi
terribili di ciò che avevano visto in quei giorni e
l’altra, che non se la
sentiva di lasciare l’amata in balia di quei sogni
terrificanti, le stava
accanto e cercava di calmarla, di conseguenza non dormivano nessuna
delle due.
La piccola Hotaru aveva smesso di parlare e pareva come morta, Setsuna
credeva
che sicuramente era dovuto allo shock.
Col viso smorto e gli occhi assenti, le tre guardarono la cartina e discutevano: il senso di colpa le divorava ogni giorno e si sentivano delle codarde; le Inner non se la cavavano meglio, ma dovevano rimanere separate. Quella volta sarebbe toccato ad Haruka e Michiru uscire, così si recarono in camera loro a cambiarsi di abito; una volta pronte si guardarono profondamente in quei occhi così stanchi e doloranti che non sembravano quelli di persone vive.
Si baciarono
forse per l’ultima volta e si accarezzarono dolcemente.
Improvvisamente Hotaru
fece irruzione nella stanza e si buttò addosso alle due
piangendo disperata: anche
se non parlava le due sapevano benissimo cosa voleva dire e la
abbracciarono
forte; le diedero un bacio sulla fronte e la guardarono sorridendo.
“Dobbiamo
andare amore... torniamo presto ok?” Disse Michiru
trattenendo le lacrime e
Haruka si mise in ginocchio davanti alla bambina. “Tu devi
rimanere qui con
mamma Setsuna, ha bisogno di te.” Hotaru annuì
singhiozzando e la portarono in
cucina dove la guerriera di Plutone le stava aspettando.
Non parlarono: si abbracciarono tutte e tre con la speranza di rivedersi ancora, poi le ragazze uscirono. Passi felpati e occhi sempre vigili: avevano scelto un percorso tortuoso tra le case dei vecchi vicini; superavano veloci siepi, giardini e piscine, a volte i padroni di casa erano ancora dentro le loro dimore trucidati nei loro letti. Arrivarono all’incrocio dove si trovava la vecchia sala giochi tanto adorata da Usagi e ormai semi distrutta; avvicinandosi caute intravidero due figure: si nascosero pensando che fossero demoni, poi guardando meglio e riconobbero Rei e Makoto. Haruka attirò la loro attenzione con piccoli suoni e, nascoste dietro una casa, si abbracciarono teneramente.
“Che
ci fate qui? Non avete il centro commerciale vicino il
tempio?”
Chiese a bassa voce Michiru e Rei spiegò la situazione.
“Ci hanno beccate tre
giorni fa; nel casino il centro commerciale è andato
distrutto, così siamo
costrette a venire fino a quaggiù.” “Beh
allora venite con noi. Se volete
possiamo individuare una sistemazione per voi che sia più
vicina al
supermercato.” Haruka sorrise leggermente e Makoto
ricambiò il sorriso.
“Magari
ragazze! Ci salvereste la vita. Letteralmente.” Annuirono,
poi si mossero
insieme per raggiungere la meta. “Come stanno le
altre?” Chiese la bionda
mentre avanzavano silenziose. “Stanno bene, più o
meno. Qualche ferita di poco
conto e tanta paura.” Rispose Makoto seguendo il gruppo, poi
intravidero
l’edificio. “Ci siamo quasi.” Si divisero
ed avanzarono su due lati: testa
bassa e passi leggeri come piume riuscirono ad arrivare
all’entrata quando
sentirono un rumore dietro di loro. Si girarono di scatto tutte e
quattro ma
non videro nulla. I loro cuori battevano all’impazzata nei
loro petti, il
sudore imperlava la loro fronte. Decisero di trasformarsi anche se era
abbastanza pericoloso perché potevano essere viste ed
esplorarono la zona: i
dintorni sembravano sgombri, così aprirono la porta per
entrare con Michiru in
cima al gruppo. Un ruggito ruppe il silenzio e un demone
schizzò fuori dalla
porta con lame al posto delle mani: la violinista non fece in tempo ad
urlare
che quello le squarciò il viso trafiggendo
l’occhio sinistro.
Agonizzante
e grondante di sangue cadde a terra in preda al dolore con le mani sul
volto e
ben presto arrivarono altri demoni urlando come furie cieche. Haruka
fece
rimettere in piedi Michiru che dovette far conto sull’unico
occhio che ancora
vedeva e iniziarono a combattere disperatamente: la bionda schivava a
fatica i
loro fendenti; evitò uno di quelli e tranciò di
netto un demone con la sua
fidata spada. Mentre sangue e viscere uscivano copiose da quel corpo
infame,
altri sopraggiungevano come orde infinite; Makoto ne aveva folgorati un
bel po’
giocando molto di arti marziali nelle quali era molto portata: parava e
colpiva, schivava e contrattaccava con abile maestria, mentre Rei si
era posta
in una zona sopraelevata per poter fare il cecchino con il suo arco
infuocato.
Un dardo fiammeggiante colpì dritto in testa un demone
squagliandoli la scatola
cranica e tutto ciò che c’era dentro; Michiru era
in estrema difficoltà visto
che aveva un occhio fuori uso e infatti presto fu messa con le spalle
al muro:
uno dei nemici la stava per trapassare da parte a parte quando Haruka
fu
miracolosamente più rapida e lo trafisse per prima; la
situazione stava
degenerando, così Rei ordinò la ritirata.
La bionda
usò l’energia rimasta per sfoderare un World
Shaking abbastanza forte da
stordire i nemici e permettere la fuga, ma mentre cercavano di scappare
Rei fu
afferrata e fu trafitta al ventre; la ragazza urlò con voce
strozzata e il
sangue sembrò un fiume in piena. Haruka, che si trovava
più vicina delle altre,
corse in suo aiuto e decapitò con un colpo il mostro
afferrando la guerriera di
Marte al volo: Makoto la prese in braccio e la bionda le fece segno di
fuggire
il più in fretta possibile mentre lei li distraeva con
Michiru. Esprimendo
eterna gratitudine con lo sguardo la guerriera di Giove
fuggì via mentre le due
Outer continuavano a combattere. Dopo alcuni minuti un demone
afferrò Haruka
per il braccio destro e la strinse finché la ragazza non fu
costretta a
lasciare cadere la lama a terra; il dolore era atroce e urlò
forte quando il demone,
godendo delle grida della guerriera, fece leva sulle gambe e le
spezzò di netto
il braccio provocando tanto dolore che la bionda quasi perse i sensi.
Michiru,
sentendo quelle urla terrificanti, diede fondo a tutte le energie
rimaste e
creò uno tsunami che travolse tutti i nemici insieme: non
era certo sufficiente
ad ucciderli, ma almeno avrebbe avuto un po’ di tempo per
recuperare Haruka e
fuggire via. “Amore lo so che fa male ma dobbiamo correre,
muoviti!” Con le
lacrime agli occhi la bionda si alzò urlando la sua agonia e
iniziò a correre
trascinata dall’amata: il braccio a penzoloni che cadeva sul
fianco della
ragazza era segno che l’articolazione era completamente
andata e il braccio era
tenuto insieme solo dai muscoli e dai tendini, difficilmente lo avrebbe
salvato. Sciolsero la trasformazione per non far percepire la loro
energia ai
demoni e corsero, corsero, corsero.
Michiru era
consapevole che forse avrebbe perso l’occhio e che sarebbe
rimasta sfigurata ma
doveva continuare a vivere, doveva farlo per la donna che amava e per
la sua
famiglia; il sangue grondava copioso e sentiva le forze abbandonarla,
ma
continuò a correre. Quando arrivarono a casa non ebbero
neanche la forza di
controllare se qualcuno le avesse seguite ed entrarono
nell’edificio cadendo
rovinosamente a terra, il terrore di Setsuna e Hotaru negli occhi. La
guerriera
di Plutone portò Michiru immediatamente in bagno per cercare
di curarla:
nonostante le sue conoscenze mediche era una situazione critica e gli
strumenti
che aveva in casa erano inadeguati, iniziò a sudare freddo
dalla paura. Haruka
si trascinò sul divano aiutata da Hotaru che piangeva a
dirotto non sapendo
cosa fare.
Il
dolore fu
troppo intenso per la povera guerriera di Urano e perse i sensi con un
solo
pensiero in testa: mancavano altri venticinque fottutissimi giorni e
Noa
sarebbe tornata.