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Autore: Hope it    31/05/2013    1 recensioni
Abbie è una ragazza forte, che nasconde i suoi sentimenti dietro ad un sorriso.
Lei è coraggiosa, orgogliosa.
Lei sa perfettamente cosa vuol dire il dolore, visto che l'ha provato molte volte.
Lei è bellissima, ma non sa di esserlo.
Lei è dolce, quando vuole
Lei sa amare, ma non lo fa da tempo, per paura di essere ferita.
Ma sarà proprio un ragazzo, ad entrare nella sua vita casualmente, riuscirà a sconvolgerla a tal punto da cambiarla, per sempre.
Capiranno, insieme, l'importanza del vero amore, diquello che significa amare, dare la vita per una persona, capiranno l'importanza della vita e di tutto ciò che ne fa parte.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Navigavo sola nel buio, non riuscivo a muovermi. Cercavo di tenermi a galla, ma mi sentivo come se dei fili invisibili mi imprigionassero le braccia e le gambe.  Il mio corpo era completamente inerte. Era tutto completamente nero, a parte una piccola luce brillante in lontananza. Ricordavo a malapena ciò  che era successo. Avevo cercato di salvare il ragazzo biondo e molto probabilmente la macchina mi aveva investito. Forse ero morta. Era probabile. Ma non mi spiegavo il perché era tutto cosi buio. O forse ero ancora viva, ma stavo per morire. Tutto quel nero mi spaventava. Non avevo mai avuto paura della morte, fino a quando me la sono trovata davanti. Pensai al ragazzo che avevo salvato. Non lo conoscevo nemmeno, cosa mi aveva spinto a buttarmi sotto un macchina per lui? Una vocina dentro la mia testa disse ‘l’amore.’. ma io non lo conoscevo. Poteva essere una forma di amore, salvare una persona che non conosci? Ricordavo perfettamente i suoi occhi blu, forse l’ultima cosa che ho visto prima che la macchina mi investisse. Mentre li guardavo, avevo visto il mondo. Tutto ciò che cercavo, su una sola persona, che però non rivedrò mai più. Quel solo pensiero mi fece sprofondare ancora di più nell’oscurità che mi avvolgeva. Sentivo i fili che mi trattenevano stringere ancora di più, mentre mi sembrava di soffocare. Mentre cadevo, sentii una voce, in lontananza.
‘’ si sveglierà?’’ disse una voce dolce, angelica.
non avevo idea di chi sia. Una voce femminile rispose, ma non capii cosa. Rimasi in ascolto, in attesa di sentire ancora quella voce, ma niente. Forse stavo già andando in paradiso. Forse era un angelo che mi aspettava. Ripensai di nuovo al ragazzo che avevo salvato. Poi mi ricordai. ‘’ehi  ti sei fatta male?’’ aveva detto quando gli ero andata addosso. Rividi il suo viso preoccupato, i suoi occhi cosi azzurri. In un attimo capii che era la sua voce. dovevo uscire da qui. Dovevo vivere.
‘’ è tutta colpa mia.’’ Lo sentii dire, di nuovo.
No. non poteva darsi la colpa, ero io che avevo voluto salvarlo. Avrei voluto parlare con lui, abbracciarlo. Ma non potevo. Cercai di aprire gli occhi, ma più li aprivo, più il buio si stendeva davanti a me. fino a quando non vidi un luce. Era un piccola luce in lontananza, ma brillava cosi tanto, da accecarmi. Cercai di riemergere dalle tenebre e avvicinarmi alle luce. Ci riuscivo. Lottavo con tutte le mie forse, contro i fili invisibili che mi trattenevano, li sentivo diventare sempre più deboli. Ero, ormai, vicinissima alla luce, i fili che mi tenevano si sciolsero. Attraversai la luce che risplendeva sempre di più. Pochi minuti dopo, aprii gli occhi.
 
La luce appesa al soffitto mi accecò per un momento, fino a quando mi abituai. Mi guardai intorno. Ero sdraiata su un letto singolo, interamente bianco. Accanto a me c’èra un macchinario che continuava a fare un ‘bip’ strano, uno dei cavi era attaccato al mio braccio destro con un ago. Faceva un po’ male, pizzicava. La stanza era piccola, completamente bianca, con dei mobili portaoggetti grigio chiaro. Era una stanza d’ospedale. Guardai alla mia sinistra. C’èrano due sedie grigie. In una delle due era seduto un ragazzo, con la testa tra le mani. Era il ragazzo che avevo salvato. Mi agitai sul letto, ma non riuscivo a muovermi, la gamba destra iniziò a farmi male. Guardai il mio corpo. Avevo un pigiama tipico da ospedale, bianco con decorazioni monotone e grigie. Sulla gamba desta c’èra uno strano rigonfiamento che si vedeva dalle lenzuola. Non avevo idea di cos’èra, avevo paura di guardare. L’ansia mi assalì. Cercai di chiamare il ragazzo, ma non dava segni di vita. Era immobile, sulla sedia, sempre con la testa tra le mani. Aprii la bocca per parlare, ma ne uscì un verso roco. Ero senza voce. Per quanto tempo avevo dormito? ‘’ehi..’’ dissi, quasi in un sussurro. Il ragazzo mi sentì. Alzò la testa sgranando i suoi occhi. I miei occhi incontrarono i suoi. Erano lucidi e rossi. Rimasi a guardarlo per un secondo a bocca aperta. Mi mancava il respiro, era un angelo, era perfetto.  Stava per dire qualcosa, ma la porta si aprì di colpo, interrompendolo. Un’infermiera con un lungo camice bianco entrò, sorridendomi.
‘’ ciao Abbie. ‘’ salutò sorridendomi.
La guardai perplessa e lei continuò.
‘’ sei stata investita da una macchina e si rimasta in coma per tre giorni.  Hai subito delle lesioni sulla gamba destra, per questo abbiamo dovuto ingessarla. Sei stata fortunata, non hai subito nessun danno cerebrale, ma dovrai restare in ospedale per un po’, per alcuni accertamenti medici. Come ti senti ora?’’
non risposi subito, le parole ‘coma’ e ‘lesioni alla gamba destra’ continuavano a girarmi in testa. Guardai il ragazzo, che mi stava fissando, in attesa di una mia risposta, come la dottoressa, davanti a me.
‘’b..bene’’ dissi, mentre la mia voce roca era poco più che un sussurro.
La dottoressa sembrava poco convinta. Abbassai lo sguardo, verso la mia gamba, doveva si vedeva un rigonfiamento. Tolsi le coperte. Dalla coscia al piede, c’è una grande fasciatura, era gesso, probabilmente. Rimasi a bocca aperta, di sicuro non avrei potuto ballare, almeno per un po’.
‘’ hai una frattura al ginocchio, e il muscolo del polpaccio compromesso.’’ Mi spiegò la dottoressa, come se mi avesse letto nel pensiero.
Sapevo perfettamente cosa voleva dire ginocchio rotto. Niente più danza. Abbassai lo sguardo trattenendo le lacrime. Perché era dovuto succedere proprio a me? perché? Non mi pentivo di quello che avevo fatto, ma non avrei mai desiderato questo. La dottoressa si schiarì la voce, forse aspettando una mia reazione, che però non arrivò. Ero totalmente annebbiata, non riuscivo a pensare lucidamente. La dottoressa disse, di nuovo ‘’ ti lascio con il tuo amico, se hai bisogno, per qualsiasi cosa chiamami.’’ Uscì, chiudendo la porta e lasciandomi sola. Il mio sguardo si perse nel vuoto, mentre nella stanza calò il silenzio.
 
 
 
  
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