Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Trick    16/12/2007    7 recensioni
SPOILER DEATHLY HALLOWS NEL FINALE
Narcissa adorava sua sorella maggiore, avrebbe voluto essere come lei. E non capiva perché mai il suo sguardo si facesse più cupo, quando gli confidava tali segrete ambizioni.
L'autunno malinconico e l'incombente caduta delle sue foglie a fare da scenografia ad un passato trascorso nello sfarzo soffocante della dimora dei Black.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Black, Narcissa Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Più contesti
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Non dite niente, non è necessario. Devo aggiornare il Diario, ho ancora quel dannato ultimo capitolo della Bella e la Bestia da finire e ho lasciato a porte aperte la raccolta sul Primo Ordine. Molto poco professionale da parte mia, ma non lo è stato neppure trascorrere tutto il pomeriggio a scrivere quando avrei dovuto prepararmi per la riparazione del mancato debito di chimica...ç__ç Domani sarò linciata, e l'ispiratazione poetica non sembra essere una scusa plausibile...

È da quando ho chiuso Deathly Hallows che il rapporto fra Andromeda e Narcissa mi tormenta. Ora spero non lo farà più, visto che mi sono auto-gettata in una sorta di abisso malinconico da fic deprimente. Sono così triste che credo andrò rubare la Nutella a mio padre.

(la para mentale del complicato e del complesso è del mio prof. di disegno: siete fortunati che io l'ho ridotta a due incomprensibili righe, perché per spiegarmela – in modo altrettanto incomprensibile, oltretutto – ha avuto bisogno di 48 minuti e di una ricreazione. Che io ho finito per perdere, naturalmente).

Un grazie speciale a tutti coloro che sopportano i miei errori di battitura!^^




Siamo solo foglie

by Trick



§§§


Andromeda fissava con aria cogitabonda il lieve e malinconico scivolare delle adamantine gocce di pioggia sulla fredda superficie della finestra, la schiena rigida sulla sfarzosa poltrona bordeaux e il mento alzato con fierezza, secondo la rigorosa educazione che una famiglia come quella dei Black soleva impartiva dall'alba dei tempi. Muta e immobile, seguiva il lieve oscillare delle foglie fin quando queste non si staccavano dal ramo sotto gli incessanti colpi del vento, ed esibendosi nella loro prima e ultima danza, non ricadevano fiacche e impotenti sulla sterile terra del giardino. Tutto sembrava fiacco e impotente, in quel pungente pomeriggio d'autunno. Il sole, sbrindellato disco di luce, a stento sembrava in grado di varcare la densa coltre di nubi fumose che lo circondava: sfuggiva dalla loro morsa in pochi miseri e deboli fasci di luce, avvolgendo di un biancore quasi etereo l'amaro paesaggio della brughiera scozzese. Andromeda socchiuse le palpebre, per meglio concentrarsi sulla gracchiante sinfonia del vecchio giradischi d'ottone di suo zio Alphard, cimelio dei cimeli fra tutti gli strani oggetti che sua madre, Druella, considerava poco meno che inutile ciarpame. Nonostante la metallica intonazione di cui erano caratterizzate, l'armonia della musica di quel giradischi era sempre stata capace di alleggerire tutte le ansie e le paure che affliggevano la secondogenita delle sorelle Black, illudendola, seppur superficialmente, di aver la facoltà di strappare il proprio gambo dalla soffocante stretta del suo ramo, e – a differenza delle foglie secche e raggrinzite e della loro implacabile discesa – di potersi librare nell'aria, libera di dirigere da sola la propria orchestra.

Solo quando anche l'ultima nota si fu dispersa nella stanza, Andromeda decise di riaprire gli occhi. L'immagine evanescente e confusa del minuto viso della sorella si mescolava alle tracce lineari della pioggia come nel disegno di un acquarellista, vaga e labile come lo può essere solo l'istante più fuggente.

«Narcissa» asserì con apatica benevolenza, «è buona educazione chiedere il permesso prima di varcare la soglia di qualsiasi stanza non sia la propria, ero convinta lo sapessi».

La gote pallide della bambina si tinsero di un lieve rossore, mentre abbassava rapida gli occhi cilestrini sulle punte lustre e lucenti delle sue scarpette nere e strofinava fra loro i piedini agitati borbottando qualche sofisticata parola di scusa. Distogliendo finalmente lo sguardo dall'orizzonte aldilà della finestra, Andromeda sorrise con dolcezza all'indirizzo della sorella più piccola.

«Vuoi che ti pettini i capelli, Cissy?» le domandò teneramente, alzandosi dalla poltrona e lisciando con eleganza le pieghe della lunga gonna porpora.

Senza interrompere lo studio dei particolari delle proprie scarpette, Narcissa annuì un paio di volte.

«Non mi piace quando lo fa Bella» si lamentò in un sussurro, quasi temesse di essere sentita dallo spirito della sorella maggiore, «mi tira sempre i capelli e la sua spazzola è dura e fa male».

Il sorriso di Andromeda si allargò, mentre allontanava la sedia dallo scrittoio intagliato nell'angolo e la avvicinava con garbo alla finestra. Traducendo il gesto di Andromeda come un implicito invito, gli occhi di Narcissa s'illuminarono di gioia, e trotterellando allegramente verso la sedia non riuscì a trattenere una sommessa risatina.


§§§


Sapeva che quello che stava facendo era una cosa sbagliata. Sapeva che le signorine educate non entravano in nessuna stanza – neanche in quelle delle proprie sorelle grandi – senza prima aver chiesto il permesso; sapeva che non si doveva parlare in modo cattivo di niente e nessuno – neanche della spazzola dura di Bellatrix – e sapeva che una brava signorina educata non trotterellava, né ridacchiava. Le brave signorine educate marciavano graziosamente.

O strisciavano, come le diceva sempre Andromeda, anche se Narcissa non aveva mai capito a cosa lei andasse riferendosi.

Le piaceva molto trascorrere il suo tempo con lei: a differenza di Bellatrix, intransigente molto più della madre, Andromeda le permetteva di fare quelle cose proibite che non erano permesse in nessun'altra camera della grande dimora. E poi, di tanto in tanto, Andromeda trovava il modo di procurare ad entrambe una fetta di torta alla cioccolata e con movimenti aggraziati della bacchetta, vi disegnava con lo zucchero a velo le forme più strane e divertenti. E come rideva, Narcissa, nel vedere le farfalle e i fiori con cui la sua porzione veniva decorata! E se accidentalmente qualche briciola finiva per macchiare i suoi bei vestitini, Andromeda non si arrabbiava mai come Bellatrix, né la rimproverava con asprezza. Con lo stesso ondeggiare elegante del polso, la bacchetta di Andromeda sapeva cancellare le macchie sui suoi vestiti così come le faceva apparire sulla torta. E poteva ridere con lei, perché anche lei lo faceva, e la ascoltava, Andromeda, non le aveva mai detto di tacere come Bellatrix, non l'aveva mai sentita dire di avere di meglio da fare che farsi importunare dalle sue stupide ciance infantili.

«Da grande voglio essere anch'io come te, Dromeda» le aveva confidato una sera, mentre lei le ripuliva la bocca dai residui di cioccolata con un sorriso quasi materno, «non voglio essere cattiva come Bella».

Il sorriso di Andromeda si era fatto improvvisamente più lieve, più triste. Aveva guardato Narcissa malinconica prima di mozzare il discorso, dicendole: «Bella non è cattiva, Cissy. Non mi piace che tu dica certe cose».

Narcissa non riusciva a capire molte cose di Andromeda.

A partire dal fatto che secondo lei le signorine educate strisciavano, fino al fatto che diventasse così infelice quando le diceva che avrebbe voluto essere come lei.


C'era forse qualcosa di sbagliato, nell'essere come Andromeda?


§§§


Delicata e scrupolosa, la spazzola di Andromeda scivolava con calma attraverso i capelli sottili e dorati di Narcissa, che se li vedeva ricadere ogni tanto davanti alle spalle sempre più lucidi e splendenti della volta prima. In quel mentre, Narcissa aveva iniziato a fissare i colori brunastri e rossicci delle foglie ai piedi delle betulle dalle cortecce candide del giardino, scattando con lo sguardo ogniqualvolta il soffio del vento ne smuoveva qualcuna, portandola a dondolare improvvisamente sull'onda di quella brezza invisibile.

Primo soffio.

Più o meno sei foglie.

Secondo soffio.

Un po' meno di prima.

Terzo soffio.

Adesso sono sicuramente dieci.

«Cosa c'è di così interessante in giardino, Cissy?»

«Nulla» s'affrettò a dire, «solo le foglie».

«E perché mai le fissi con tanta insistenza, se per te non sono nulla?»

Narcissa meditò un attimo sul significato di quelle parole. «Perché le foglie cadono, Dromeda?»

La spazzola cessò di pettinarle la chioma; per un attimo, Narcissa temette di aver detto qualcosa di estremamente sconveniente. Si rasserenò quasi immediatamente vedendo Andromeda sedersi sulla sua bella poltrona e scrutare con un sorriso indecifrabile il malinconico paesaggio oltre al vetro. Nonostante gli angoli delle sue labbra fossero vagamente arricciate verso l'alto, il suo sguardo sembrava uggioso quanto il cielo plumbeo della brughiera ed era una luce quasi luttuosa, adesso, a creare leggere e confuse ombre sul suo viso grazioso.

«Perché cadono?» ripeté, grattandosi con aria assorta il mento. «Cadono perché è arrivato l'autunno» concluse con naturalezza, guardando la sorella negli occhi.

Dall'espressione indispettita di Narcissa chiunque avrebbe capito che non era affatto soddisfatta di quella concisa risposta.

«E perché arriva l'autunno?» domandò di nuovo, fissando ostinata il volto della sorella e raddrizzandosi composta sullo schienale. «Perché se è in autunno che le foglie cadono, c'è l'autunno a farle cadere?»

La risata argentina di Andromeda risuonò nella stanza, avvolgendola con più ardore di quanto non avrebbe mai potuto fare il modesto sole novembrino. «Perché è semplicemente così, Cissy» disse divertita, scostando dalle piccole spalle della bambina un ciuffo indisciplinato, «come la vita, capisci?»

Narcissa scosse il capo, decisa a non lasciarsi sfuggire nemmeno la più inutile delle lettere che componevano la spiegazione della sorella. Andromeda sospirò pensosa, si appoggiò comodamente al bracciolo della poltrona e riprendendo a fissare il malinconico danzare delle foglie secche, soppesò con attenzione la propria risposta. «Non si può togliere l'autunno solo perché cadono le foglie, Cissy, sarebbe come strappare a una persona una parte del corpo solo perché questa non ci piace. Sarebbe come...» s'interruppe un attimo, ponderando sul modo più efficace per illustrarle un concetto così ampio, «...come se non morisse più nessuno».

Il dondolare ritmato con cui si erano cullate fino a quel momento le corte gambe di Narcissa s'interruppe bruscamente. «Non sarebbe meglio se nessuno di noi morisse?» chiese ingenuamente, grattandosi intimorita l'orecchio sinistro.

Andromeda sorrise con tristezza. «Non si può fare» rispose mestamente, «o non ci sarebbe posto per tutti nel mondo. Il ciclo della vita è una cosa complicata, Cissy. È complicata perché come tutte le cose complicate è difficile, certo, ma rimane sempre imprigionata dietro a regole già stabilite. Una nuvola, invece, quella è complessa. Perché il profilo di una nuvola è inafferrabile, ed essendo tale, è difficile. La differenza, però è che una nuvola è libera da ogni concetto, da ogni legge, da qualunque cosa».

«Noi siamo complicate o complesse, Dromeda?»

«Complicate» fu la risposta, «tanto complicate».

Le due sorelle scrutarono meditabonde il giardino per alcuni minuti, la più giovane affannandosi nel tentativo di decifrare quelle enigmatiche parole appena ricevute, e la più vecchia intenta a chiedersi per quale motivo le foglie non si fossero ancora ribellate alla brutalità e all'ingiustizia dell'autunno.

«Allora, quando una foglia cade» disse Narcissa, «è finita?»

«Lascia il posto ad un'altra foglia, una foglia più giovane. Il ciclo della vita non può finire».

«Ma non può tornare su?»

«No, non può».

«È difficile, Dromeda» si lagnò Narcissa.

«Lo so. Forse lo capirai un giorno».

«E perché noi non siamo complesse?»

«Perché noi non siamo nuvole, Cissy» rispose amaramente Andromeda, posando pensierosa un polpastrello sulla superficie fredda del vetro, «non siamo nuvole.».

«E cosa siamo?»

«Foglie».


§§§


Fiacchi e svogliati, i radi raggi del sole attraversavano malamente l'intrico spoglio dei rami scuri, creando ombre appena percettibili sull'ammattonato che serpeggiava attorno ai bianchi monumenti sormontati da leziosi angeli canuti o da ruvide e trascurate statue bendate della Giustizia; immobili e muti custodi, controllavano che in quella dimora tutti contribuissero a mantenere l'aria serena e pacifica.

Ora che la sera avanzava e il cielo si faceva sempre più cupo all'orizzonte, vi era rimasta solo una donna a vegliare su tutto quel marmo. Apparentemente sola, soleva da parecchi giorni visitare quel luogo, restandosene per ore e ore nel medesimo punto, in solenne e indisturbato silenzio.

Un cadenzato rumore di passi alle proprie spalle la costrinse ad alzare il capo, ed ella, per nulla sorpresa o intimorita, si voltò lentamente verso quel maleducato intruso che aveva osato infrangere la sua veglia.

Gli occhi di Narcissa Malfoy si specchiarono in quelli di Andromeda Tonks, mescolandosi fra loro come sotto il pennello di un pittore estasiato, così immensi ed eloquenti a tal punto, che qualunque parola percepibile dall'orecchio umano, sarebbe stata inutile.


"Dove sono le foglie, Dromeda?"

"Le mie sono cadute, Cissy."


§§§








   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Trick