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Autore: RumoreDiFavoleSpente    01/06/2013    1 recensioni
Due ragazzi, indissolubilmente legati dalla pioggia. Cosa succede se per essere felici ci vuole il brutto tempo e non le giornate passate al sole in un parco ma per strada senza un ombrello ad assaporare l'odore di bagnato sentendosi giusti almeno per un secondo nella mano dell'altro?
***
Fisso i tuoi occhi. Quei due smeraldi che hai al posto delle iridi. Sono verdi come i miei ma tu hai sempre detto che i miei sono più belli. Insistevi ma io non ci credevo mai. I tuoi, che il più delle volte preferivi nascondere nei modi più banali, quando mi si piantavano addosso erano delle frecce che penetravano la pelle e arrivavano al cuore. Fissarli era difficilissimo ma distogliere lo sguardo sembrava ancor più impossibile. Li amavo, tanto quanto amavo te. E mi chiedo se hai mai provato ad amare me come io ho fatto con te.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non so per quanto camminai. Non avevo neanche una meta, il posto non lo conoscevo e di sicuro, in una notte piovosa, non era il massimo girare per quelle strade di montagna da sola.

<< Dannazione, sei una scout >> pensai. << Sai come adattarti, e poi al più, passerai una notte insonne. Che sarà mai? >>

Continuai a ripetermi questa frase come un mantra per convincermi a stare tranquilla. Per certi versi funzionò.

“Cavolo, è meraviglioso qui.” Dissi estasiata.
Avevo trovato una radura in pendenza che dava sul paesino a valle, sapevo che la casa dove eravamo era un po’ isolata ma non pensavo così tanto. Amo la montagna, l’aria fresca e la sensazione di libertà. Era tutto perfetto, nonostante la pioggia. Anzi, forse la pioggia rendeva tutto migliore.
Mi sedetti sul prato, era bagnato ma non avevo parte del corpo o indumento che non  lo fosse quindi, tanto valeva…almeno mi godevo il panorama.
Presi una sigaretta, la accesi e mi portai le ginocchia al petto per riscaldarmi un poco e cercare di non bagnarla del tutto, volevo gustarmela, poteva solo farmi calmare.

Ripensai a lui. Matteo.
A come tutto era iniziato.

A scuola, alla festa di carnevale avevo baciato un tuo compagno di classe e mi confessasti più avanti di esserne rimasto quasi ferito e di essere uscito a fumarti una sigaretta. Una Camel Light. Come quella che si stava consumando tra le mie dita.
Ma avevi la ragazza, non avrebbe comunque potuto funzionare.
Poi quella sera di Giugno mentre recitavo a teatro quel tuo messaggio mi ha stupito: “Ciao, stupida mangiabudini! Come va?” Quel soprannome, ancora mi fa sorridere, nonostante siano passati quasi cinque anni. Stupido Mangiabanane, così ti chiamavo io. Era tutto nato all’uscita dalla mensa: io ero con il mio ragazzo e tu con la tua ragazza, io avevo un budino e tu una banana. Hai iniziato a stuzzicarmi dandomi della mangia budini e io ho detto alla tua ragazza di stare attenta alle corna con gli uomini perché il suo fidanzatino era un fottuto mangia banane a tradimento. Ridemmo tutti di gusto. Ma ricordo i tuoi occhi, il tuo sguardo, che si nascondeva dietro alla buccia gialla di quel frutto protagonista dello scherno. Eri un arcobaleno: la buccia gialla, le gote rosse dall’imbarazzo ma gli occhi più verdi che io abbia mai visto. Magari non stupendi, non di quelli di cui metteresti la foto su internet ma di un intensità che imbarazza. Non sono descrivibili, ogni parola sarebbe superflua  e sminuente, lo si può capire solo guardandoli.

E io l’ho fatto, Dio se l’ho fatto. Ho sempre avuto un buon senso dell’orientamento ma ogni volta che ti fisso negli occhi mi vengono le vertigini, mi sento minuscola e mi perdo nel cercare di trovare una fine all’immensità di quel che sei.

La prima volta che ti baciai fu quasi per gioco. Il giorno prima mi avevi distrutto, avevi scoperto tutti i miei punti deboli, mi avevi messo davanti a un evidenza che cercavo di nascondere da tutta una vita e che nessuno aveva mai sospettato. Ero sempre circondata di gente ma lo facevo principalmente perché avevo una paura maledetta di stare da sola e tu guardandomi dritta negli occhi mi dissi: “Non sarai mai sola. Ci sarò io, per sempre”.

Ti conoscevo da quasi tutto l’anno ma non avevamo praticamente mai parlato, suonava da frase di circostanza ma non ci feci caso, andava bene. Avevo bisogno di qualcuno che rimettesse insieme i pezzi in quel momento. Il fatto che fosse la stessa persona ad avermi distrutta che ora mi aiutava a ricompormi non era importante, non per me.
Ti facesti abbracciare a forza, mi facesti promettere che ti avrei chiesto aiuto se ne avessi avuto bisogno e io promisi.
Il giorno dopo ti aspettai nella panchina dentro al giardino della scuola, prima dell’inizio delle lezioni.
Ti sedesti di fianco a me e mi voltai a guardarti. Attimi che sembrarono secoli, gli occhi fissi sui tuoi e un mare di emozioni che montava dentro e nessun argine a bloccarne la furia. Verde e verde, smeraldo e malachite. Così simili da sembrare gli stessi.
“Fermo.” Dico semplicemente e mi avvicino lentamente a te per baciarti ma ti sporgi e allora ti blocco, ti fisso di nuovo negli occhi e le sensazioni restano invariate. “Fermo.” Ripeto, più convinta di prima e mi avvicino ancor più lentamente fino a sfiorare le tue labbra. L’impeto da cui ti lasci sopraffare è imponente e malgrado mi fossi ripromessa che sarebbe stato solo un bacio mi lascio trascinare, senza paura, senza tempo, senza limite. Mi abbandono alle tue mani che mi accarezzano il viso, mi inebrio del tuo profumo misto all’odore di sigaretta che hai appena spento, trattengo il respiro per non rovinare il momento in cui la mia mano scivola sul tuo collo e arriva alla spalla. Devo fermarti. Mio malgrado.

Da quel momento è praticamente iniziato tutto ma non è andata come mi aspettavo.
Lontani centinaia di chilometri, un lavoro che ti spaccava la schiena nei cantieri con tuo nonno per portare qualche soldo a casa e io al mare, a pensarti senza tregua nei pomeriggi sonnolenti della mia estate.

Sapevo che ti avrei rivisto a settembre. Tre visite di poche ore in due mesi non sono quel che si può definire un rapporto ottimale. Oltretutto ci sentivamo poco così pensai stupidamente che per l’estate potevamo farne a meno e che sarebbe stato tutto meraviglioso durante l’anno scolastico.
Se proprio devo dirla tutta, non mi fidavo di te. Sei sempre stato un donnaiolo e ne ho avuto la riprova proprio sta sera. Quindi decisi che per un po’ andava bene così.
Tornati a scuola ti aspettai, come un ubbidiente cagnolino attende il padrone al ritorno a casa. Avevi promesso che ci saresti stato sempre, e io avevo bisogno di te. Tutto andava nel verso giusto.

E allora perché ho dovuto aspettare più di un mese per avere udienza da sua maestà Matteo? Che ti avevo fatto per meritarmi un trattamento da schiava invece che da amante?

Mi risvegliai dal torpore dei pensieri perché la sigaretta mi scottò le dita, ho il vizio di tenerla più in alto rispetto al filtro e mi incanto spesso a pensare. Per certi versi è un ottima sveglia. In ogni caso era caduta a terra ed era irrecuperabile così me ne accesi un'altra, giusto per assicurarmi una bella polmonite al mio rientro a casa.
Non ci volle molto prima che i miei pensieri si dirottarono di nuovo verso il flash-back interrotto poco prima e la scena che, simpaticamente, si ripropose era di quelle che ancora gli rinfacciavo durante le liti peggiori.

Era Ottobre e finalmente potevamo parlare, mi avevi concesso un pomeriggio da passare insieme. Passeggiammo per la scuola, lungo il viale alberato fino ad arrivare nel NOSTRO anfiteatro ligneo. Naturalmente pioveva, non forte. Quella pioggia leggera che ti inumidisce il viso e impregna l’aria di quel caratteristico odore che amiamo entrambi.
Al riparo delle scalinate del teatro mi baciasti. Avevo aspettato tanto quel momento che tutta la rabbia che avevo per non essere stata considerata da te, svanì in poco meno di un secondo. Sei sempre stato bravo a parlare e mi dicesti che avevi bisogno di tempo per sistemare delle cose a casa, del tempo per te stesso, per riprendere in mano la tua vita. Come mi dicesti tu quella volta io ti promisi che ti avrei aspettato, che ci sarei stata e che non saresti stato solo. Così feci. Ma dopo due settimane ti mettesti con quella zoccoletta, Claudia.

Nero.

Divenni furiosa e ti scrissi una lettera in cui ti sputavo un faccia tutte le belle parole che mi dicesti, tutte le stronzate che ti inventasti per tenermi buona. Te la consegnai una mattina prima di entrare in classe. Stavi per piangere mentre la leggevi. Avevo colpito nel segno.

Dopo mesi di silenzio io continuavo ad essere innamorata di te ma tu non ne volevi sapere, non ti interessava, o almeno, così sembrava.

Poi per capodanno dello stesso anno ricevetti una tua chiamata dove. con fare da cucciolo, chiedevi implorante se riuscivo a prendere il tuo portafoglio che stupidamente avevi lasciato nell’armadietto a scuola. Naturalmente ogni tuo desiderio era un ordine per me e come ricompensa ricevetti un tuo sorriso e un “Grazie Rudolph. Mi hai salvato il Natale”.

La collera montò dentro di me e durante la festa per l’ultimo dell’anno conobbi Angela, la prima ragazza con cui sono stata e credendo di aver trovato finalmente la pace dopo di te, ti scrissi un messaggio:
Eccola, forse è lei che mi salverà, forse con lei riuscirò a dimenticarti, a passare oltre. Buon anno amore mio. Ti Amo.” Aspetto ancora la risposta a quel messaggio.

Angela non mi aiutò a superare quel che eri stato, non durò molto e ben presto tornai a sognarti, a volerti, a scriverti lettere solo per poter parlare con te. Ogni sguardo, ogni incontro casuale e ogni volta che mi evitavi, erano per me motivo di rabbia. Passò anche quell’anno e tu ti beccasti un paio di debiti e il nostro rapporto in qualche modo si incrinò ancora.
Mi fidanzai con un'altra ragazza, Valentina. Una storia tempestosa durata quasi due anni che mi proibì qualsiasi contatto con il mondo all’infuori di lei. Quando finalmente uscii dal vortice autodistruttivo di quella relazione mi resi conto che non c’eri più. Ti avevano bocciato, avevi cambiato scuola e che mi persi gli ultimi momenti possibili da passare con te. Non so ancora se fui felice perché almeno per una volta qualcuno aveva fregato te o distrutta perché non ti avrei più visto per i corridoi. Fatto sta che passarono gli anni e mi abituai alla tua assenza.


Passai un periodo decisamente buio della mia vita e non so per quale motivo decisi di farlo ma ti ricontattai. Ricordo di averti detto che se mi fissavo allo specchio, dritto negli occhi, non mi riconoscevo. Non ero certa di chi fosse l’immagine riflessa sulla superficie ma che se mi concentravo e isolavo la figura dal resto della stanza, dietro di me c’eri tu. Sentivo la tua presenza. Più volte, sovrappensiero, convinta a tal punto che fossi reale, ho allungato la mano in cerca della tua e non trovandola, l’illusione si infrangeva e tornavo bruscamente alla realtà. Mi avevi ascoltato attento e poi, dandomi dell’idiota, mi dicesti di nuovo che avrei dovuto chiamarti, perché saresti venuto a salvarmi, ci saresti stato sempre e non dovevo avere paura. Me lo feci bastare.
All’inizio era tutto un po’ titubante. Tu mi avevi praticamente ucciso e io te ne avevo fatte altrettante in un modo o nell’altro. O quantomeno, tu te la prendi molto più di me. Fatichi a mettere da parte l’orgoglio, anche se si tratta di amore, anche se si tratta di me.

Si perché se tu hai un enorme potere su di me, io c’è l’ho su di te. Per questo spesso sei scappato, perché odi farti controllare. Ma quando, dopo quel lungo periodo, ci siamo rivisti, sembrava che ti mancasse il mio comando.
Mi giurasti di nuovo eterno amore. Io non volevo, non potevo permettermi di stare male di nuovo a causa tua.
Come sempre le tue doti da venditore di fumo fecero la sua parte
Ti tratterò con i guanti bianchi, sarai la mia donna. Fra meno di sei mesi sarai a cena con me e mia mamma e io siederò al tavolo con le due donne della mia vita”. Come no.

L’ennesima cazzata, l’ennesima botta nei denti. Dopo aver giurato anche l’ingiurabile andasti con Sara.

Se solo ti avessi avuto per le mani ti avrei strozzato e poi preso a pugni e poi a calci. Poi, una volta finito con te avrei cominciato con me, stupida bambina che credeva a tutto quel che dicevi.
Ma mi presi la mia rivincita, dopo averti perdonato per l’ennesima volta. Misi tra noi due Giulia.
Era un diversivo, era una cosa da niente. Inutile. Non la volevo. Volevo te, come sempre. Il tuo orgoglio parlò per te, inventasti bugie su bugie pur di farmi sentire in colpa, ti inventasti un tumore benigno da togliere alla svelta per farmi andare in ansia. Cercai di tenerti testa per un po’, volevo vedere quanto eri disposto a spingerti oltre pur di riavermi. D’altra parte, prove da me ne avevi sempre avute, io da te niente.
Ovviamente a un certo punto “lesa maestà” non si fece più sentire e io mandai dolcemente a puttane tutto il buono che poteva nascere con Giulia. Le confessai tutto, povera. Non oso immaginare come si sia sentita. Ma mi voleva bene, per davvero e decise di restarmi affianco e non smetterò mai di ringraziarla per questo. Mi aiutò a riaverti. Finse, anche dopo mesi dalla nostra rottura, di essere ancora la mia ragazza e questo spronò quel cavernicolo che sei  a intestardirsi per riprendermi.
Alla fine, quando decisi che era abbastanza, Giulia rispettò i patti e si inventò una scusa per lasciarmi.
Da quel momento tutto era andato per il meglio.

“Fino a questa sera.”
Mi sopresi a fare questo pensiero e non ero certa di averlo pronunciato davvero.
Alzai gli occhi al cielo, pioveva ancora e non accennava a smettere. La città a valle era ancora più incantevole e io avevo beatamente perso il senso del tempo. Guardai l’orologio e mi resi conto che ero sparita da più di due ore. Decisi di riaccendere il telefono, giusto per controllare se a qualcuno importava della mia esistenza.
Un mare di messaggi e di chiamate perse. Tutti dallo stesso numero.
I messaggi erano sempre più ansiosi e preoccupati: “Cate dove sei finita, ti prego parliamone, non puoi andare in giro per i boschi da sola…è pericoloso. Mio dio rispondi ti prego. Ti ho cercata in lungo e in largo, ma dove sei finita?”

Sorrisi, non sapevo che pensare. Era tutto troppo ipocrita, non sarei tornata da lui. Non se lo meritava. Non di nuovo. Ne avevo abbastanza. Mi aveva cercato in lungo e in largo? Beh evidentemente non abbastanza. Ero a piedi e lui aveva la macchina, di sicuro aveva sbagliato i luoghi in cui cercare perché non potevo essere troppo lontana dalla casa.

“Resterò qui a dormire, sta anche quasi per smettere quindi tanto meglio. D’altronde…non può piovere per sempre*, no?” e così dicendo, con un sorriso sardonico in volto, chiusi gli occhi e mi abbandonai a Morfeo.
 

 
 
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Ciao (:
Ci sono, ecco il primo capitolo. E’ la mia storia con Matteo. E’ molto riassunta ma decisamente completa, non pensavo che ci sarei riuscita.
E’ strano vederla scritta per davvero, una volta per tutte. Piccolo traguardo :D
 
Beh, fatemi sapere che ne pensate! Sia in bene che in male u.u
A presto!
°Shakalabumba!



*citazione dal film “Il Corvo”
  
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