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Autore: metaldolphin    01/06/2013    2 recensioni
Prequel del Crossover "Comunque pirati": scopriamo perchè Zoro era ridotto così male, prima dell'incontro con i pirati dello spazio.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Roronoa Zoro, Un po' tutti | Coppie: Nami/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Vita da pirati'
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La realtà andava e veniva, come le onde che si infrangevano sul fasciame della Sunny.
Immagini confuse si affollavano nella mente, contendendosi il posto col dolore intenso che ormai mi era compagno.
L’odore di terra bagnata era stato sostituito da quello di disinfettante che  permeava l’infermeria della nave. Percepivo del movimento intorno a me, poi sentii bisbigliare voci femminili, certamente Nami e Robin. Non riuscivo a capire cosa dicessero, mentre la coscienza scivolava nuovamente via da me.

Quando riuscii a percepire di nuovo qualcosa, era il freddo la sensazione imperante; un po’ di tepore si irradiava solo dalla mano che qualcuno stringeva, mentre piangeva sommessamente nel silenzio di quella stanzetta spoglia.
Con uno sforzo doloroso, mossi appena il capo e socchiusi gli occhi; per fortuna, la penombra in cui eravamo immersi, mi aiutò a focalizzare cosa avevo intorno senza ferirmi troppo gli occhi, sensibilizzati alla luce, e riuscii a distinguere la figura che mi sedeva vicino.
 -Na… miii…- riuscii a mormorare, ma sentivo la bocca asciutta e amara ed ero già stanco, ma lei mi strinse la mano più forte e mi sorrise speranzosa.
-Zoro! Ti sei svegliato, finalmente!- esclamò e sembrava felice, ma io non potei fare di più e chiusi di nuovo gli occhi.
-Zoro, ti prego, guardami…- implorava, ma non riuscii ad accontentarla: avevo già speso quel brandello di energia che avevo in corpo. 
Però riuscivo a sentirla: mi chiamava, ferendomi ancor più col tono affranto che usava e, mentre il buio mi inghiottiva di nuovo, realizzai che, forse, in qualche modo, lei teneva a me.

La terza volta che fui in me, percepivo il freddo ancora più intensamente, nonostante il peso delle coperte che avevo addosso; non riuscivo a frenare il tremore diffuso e il battito dei miei stessi denti, mentre un dolore sordo mi pulsava nel torace.
Capii presto che ero ridotto peggio di quanto pensassi.
Sentii qualcuno entrare e chiamare piano Nami: a quanto pareva si era assopita sulla sedia. Mi chiesi quanto tempo fosse passato.
La voce era di Chopper.
-Nami, svegliati, va’ a riposare, ci sono anche gli altri che possono stare qui, non vorrai ammalarti…
-No, Chopper- sussurrò lei -devo restare, potrebbe svegliarsi, avere bisogno…
-Non lo lasceremo da solo- mormorò l’altro un po’ spazientito dalla testardaggine di lei.
-Guarda come trema…- aggiunse lei con voce affranta.
-È l’infezione in corso, ma si difende bene. Fammi dare un’occhiata alla ferita più grave.
Sentii che venivo scoperto e poi mani e zampe lavorarono veloci, sicure e delicate su di me. Feci leva sulla mia forza di volontà ed aprii gli occhi.
Scorsi i miei due compagni, così intenti da non accorgersi che ero sveglio; l’unico suono che la mia gola secca riuscì ad emettere, era così lieve ed inarticolato che fu udito appena.
Si voltarono a guardarmi e la vidi sorridere, in contrasto con due profonde mezzelune scure che aveva sotto gli occhi a sottolineare la stanchezza che la affliggeva.
Il piccolo medico mi si fece vicino.
-Zoro! Senti dolore da qualche parte?- chiese, premuroso, ma professionale.
La previdente Nami mi avvicinò un bicchiere d’acqua, ma riuscii a versarne la maggior parte, ingoiandone solo una minima quantità, che mi diede comunque sollievo.
Provai a tendere le labbra, e ricambiai la premura della navigatrice con l’ombra di un sorriso, che mi costò gran fatica, e ricevetti una carezza leggera che mi gratificò quanto quella preziosa acqua che mi aveva offerto prima.
-Il pet-to- risposi a Chopper e lo vidi annuire -È la zona che mi preoccupa di più, ma non temere, stai reagendo bene. Ma non affaticarti.
Lo sentii andare via: avevo chiuso gli occhi, sfinito, ma prima di riaddormentarmi avevo sentito il profumo di Nami più vicino e la sensazione di labbra premute sulla fronte.
“Perdonami Nami: questo compleanno non avrei voluto che lo trascorressi così…”

Al terzo giorno mi ero ripreso abbastanza da riuscire a star sveglio e ad esprimere il desiderio di uscire a prendere un po’ d’aria.
Chopper acconsentì, a patto che fossi ben coperto e che fossi spostato in barella; sbuffai, ma se non c’era altro modo…
Nami era presente, come al solito, e giustificava il suo continuo intervento su me perché si riteneva l’unico componente dell’equipaggio capace di tenermi a bada.
Era sera, la navigazione procedeva tranquilla e nel cielo risplendevano milioni di stelle.
Era uno spettacolo da mozzare il fiato e rimasi incantato ad ammirarle: forse certe cose si apprezzano di più, se sai che puoi perderle, ero stato così vicino alla morte…
Forse, vedendomi così assorto, Nami prese a descrivermi il cielo, le sue costellazioni e le leggende ad esse legate.
Mi trovai ad ascoltarla, affascinato dalla sua competenza in materia e dalla passione che ci metteva… tanto che la sera seguente le chiesi di continuare quell’esposizione.
E lei, con una pazienza che non le sospettavo, spiegava e rispondeva ai miei quesiti, forse stupendosi di questo allievo così inaspettatamente attento.
La guardai e notò il movimento, tanto che si girò e abbassò il suo volto verso il mio; poi, mentre tra i nostri occhi sembrava crescere una nuova luce, tornò, improvvisamente, a contemplare il firmamento.
In quell’attimo avrei voluto leggere qualcosa di più nel suo sguardo, ma avevo visto soltanto qualcosa che somigliava alla pietà. Ero davvero andato vicino alla morte, ma vedevo i miei compagni trattarmi con troppi riguardi, mentre avrei voluto che tutto fosse come prima.
L’indomani, a cinque giorni dall’attacco, saremmo approdati ad una nuova isola e, forse, lei sarebbe tornata alle normali attività, allontanandosi da me, ormai in via di guarigione.
Mi sarebbero mancate le ore trascorse insieme.
Mi sarebbe mancata lei.
Ora lo sapevo.
E non mi dolevano tanto le recenti ferite, quanto il cuore, al pensiero che per lei non sarebbe stato lo stesso.
Tornai a rivolgere lo sguardo verso il cielo, ma, ormai, le stelle non mi sembravano più tanto brillanti.
   
 
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