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Autore: Lucinda_Price    03/06/2013    1 recensioni
Oggi non posso sbagliare. Oggi è un giorno nuovo, oggi è un giorno degno di essere vissuto. E io vivo, non sono più la me sbiadita che si aggira nei vicoli dell'Eur. Sono una me nuova, una me che non muove solo i suoi arti confusamente, ma che fa anche battere il suo cuore. Dopo tre anni fantasma, incastanoti tra la mia vita prima e la mia vita ora, non certo come un gioiello, eccomi qui. Pronta per un nuovo giorno e per una nuova vita. E spero vivamente di farcela, non posso sbagliare, ma non sono certa che lo farò.
Storia dedicata a voi, che la leggete, e a quattro persone che ci sono sempre state.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Mi sudano le mani. Le mie mani, sempre troppo congelate, come tutti mi hanno sempre lasciato intendere, ardono di un nuovo calore. Improvvisamente mi rendo conto che non lo so più il significato di quei ‘tutti’. Chi sono ormai? Esistono? Non lo so più. Le certezze mi hanno ormai abbandonata da tempo ed io sono stata troppo inerte per inseguirle, per cui ho perso la corsa, esse non mi appartengono più. L’unica cosa che posso fare adesso, la mia unica scelta obbligata e fabbricarne di nuove e oggi sento di poterlo fare. Non dico che sarà semplice, anzi, tutto il contrario, ma voglio provarci, devo farlo. È questa l’unica cosa che so, l’unica cosa alla quale restare aggrappata, l’unica cosa che mi rende forte.
Non sono mai stata forte, sono gracile fuori e debole dentro e questo mi ha sempre distrutta, isolata. Ho sempre invidiato i potenti, sempre voluto avere anche solo un briciolo della loro autostima. Ma adesso basta, oggi devo essere forte, per me stessa quantomeno, oggi i giochi li comando io, oggi sono io il fato, io che decido, io che scelgo.
Mi sudano le mani, ma so che non è il caldo. Ho la pelle d’oca. Tremo, ma so che non è il freddo. Sento una fitta all’altezza dello stomaco, ma so che non è mal di pancia. Mi sorprende come i contrasti si prendano gioco del mio corpo, caldo e freddo uniti nel gioco infinito dei sensi. Ma a loro non basta impossessarsi del mio corpo, poiché si addentrano anche nella mia anima, popolata da emozioni diverse, contrastanti, ma pur sempre emozioni. La verità è questa. È sempre meglio provare qualcosa, qualsiasi cosa, che rimanere inerti. Ed io sono rimasta inerte davvero troppo a lungo. Questo mi ha spaventata talmente da farmi avere il terrore della fine, ma sono stufa di rimpiangere i fantasmi del mio passato. So che sono vicino a me, ma devo scegliere di ignorarli, perché si sono nutriti per troppo tempo del mio spirito, della mia mente e del mio cuore.  Sento una lacrima rigarmi il volto, scendere sulla guancia destra e cadere nel vuoto. Decido che è l’ultima.
 
Sono pronta per la terza tappa di questa mattinata, la penultima in realtà. È giunta l’ora del marchio. Non sono mai stata una fanatica dei tatuaggi, ma so che hanno un significato. E poi, io ho il bisogno di riprendere il controllo sul mio corpo. Ammetto di essere spaventata, ma mi impongo di muovere un piede davanti all’altro e di sdraiarmi a pancia in giù sul lettino, tra un po’sarà tutto finito.
La prima volta che osservo il mio riflesso per intero sullo specchio non mi sembra vero, eccomi. Ho aspettato tanto, troppo, ma finalmente riesco a vedermi. Mi giro di schiena, così da ammirare la fenice che occupa per intero la mia spalla sinistra ed io, proprio come quello stupendo animale, risorgo dalle mie ceneri.

Dopo aver pranzato all’ultimo piano del centro commerciale, concedendomi un panino da McDonald e un’insalata, mi preparo psicologicamente all’ultimo incontro della giornata, forse il più decisivo. Ma ormai sento che sto iniziando a volare e non ho alcuna intenzione di smettere. Ritornare all’aderenza delle suole con l’asfalto mi infastidirebbe. Faccio un respiro profondo e mi reputo pronta, per quanto possa essere pronta una che si reca al patibolo.
Non ho mai avuto fiducia nelle mie doti, né sono convinta di possederne, infatti non mi aspetto nessun esito positivo. La mia rivincita sarà una soltanto, provarci. Andare incontro a quello che so che sarà un fallimento a testa alta, prendermi le critiche, rischiare il tutto per tutto. E lo farò.

Io vivo delle mie parole. Nei tre anni fantasma tutte queste parole hanno vissuto ancorate a delle pagine, composte da inchiostro, incerte e barcollanti. Sono avanzate una per una nelle pagine bianche non solo del mio taccuino, ma si sono anche impresse nel mio cuore, lo hanno marchiato. E credo che ora sia giunto il tempo di farli prendere aria, di aprirle al mondo, di dischiuderle e farle respirare. È arrivata l’ora che qualcuno le legga, che vengano trasmesse in un circuito di cuori, legati dai miei flebili versi. Ma questa è soltanto una pura utopia. Un’utopia che oggi è arrivato il momento di cercare di inseguire. La deciderà il destino la lunghezza della mia corsa ed anche la sua intensità. Però, per oggi, voglio dare una mano a questo destino, ed indirizzarlo nella giusta direzione.

Tra un’ora ho il mio primo incontro con un editore, una prova che mi sono concessa il lusso di provare. Devo consegnargli alcune delle mie poesie, che ho relegato con cura per l’occasione. Sono emozionata, emozionata da tante cose, paure, ansia, tormento e anche gioia. Gioia di uscire dal guscio, di sentirmi libera, di spiegare le ali come la fenice sulla mia spalla, paura di schiantarmi al suolo, di subire una delusione, ma la prima è molto più intensa della seconda, per fortuna.
Esco dal centro commerciale e salgo sul primo taxi, destinazione un bar molto elegante con dei tavolini all’aperto. Non è un’ora di massima affluenza e non ho difficoltà ad individuare colui con il quale devo incontrarmi, certamente mi sono d’aiuto il suo volto che scruta i passanti e il nome sulla sua valigetta: Marco Rinaldi. È un signore di mezza età, in completo blu scuro e occhialetti da intellettuale. Mi accomodo sulla sedia accanto alla sua e mi accorgo che ha già ordinato un paio di caffè. Dannazione. Odio il caffè e credo di essere già abbastanza nervosa, ma farò un’eccezione.
«Buon pomeriggio signor Rinaldi, io sono Luna Lia» dico, con il più grande sorriso che riesco ad esibire e porgendogli la mano. Il suono della mia voce mentre pronuncio il mio nome è diverso, perché stavolta sono convinta che mi appartenga.
«Buon pomeriggio a lei signorina, la stavo aspettando. Non vedo l’ora di leggere le sue parole, siamo da svariati mesi nella ricerca incessante di nuovi autori e forse lei potrebbe essere quella giusta.» Ha una voce potente, ma elegante, piacevolissima da ascoltare.
«La ringrazio, ma prima credo sia il caso che lei legga le mie parole. A questo proposito le ho portato questo.» dico porgendoli i fogli relegati. Pesano. Come può la comune carta pesare tanto? Pesano le parole, pesano i momenti in cui sono state scritte, pesa la vecchia me.

Ad incontro finito scorgo il mio forse editore che inizia a leggere la prima poesia della raccolta e ignoro le fitte che mi tagliano all’altezza del petto.




Rinascita

Pacate grida, insapori disgrazie;
disgustano anche il più pulito dei cieli.
Con passi sonanti mi allontano dall'oblio e vago in universi paralleli.
Mi scalzo dai pregiudizi e mi libro in volo come una dolce farfalla.
Avvampano le mie gote di un insolito rosso vermiglio
e si colora la mia anima delle raggianti sfumature di un'alba che si tinge di rosa.
Ammiro ciò dal quale mi separo, ma lo lascio dietro comunque,
non degno della mia ritmica corsa contro la realtà.
Rimango ancora immersa in quel sogno e volo in cieli migliori, più puliti,
immaginando ciò che non esiste. Vivendolo, anche.



Riemergo dalle ceneri.

Risorgo da un groviglio di polvere,
nascosta dietro un muto sguardo di ghiaccio;
aspetto il consumarsi di questa lenta eternità di sentimenti repressi.
  
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