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Autore: Shark Attack    04/06/2013    5 recensioni
Prendete una classica storia fantasy e buttatela via: il protagonista cade dalle nuvole e si ritrova a dover salvare il mondo come dice una profezia sbucata da chissà dove, giusto? No, non qui.
Lei è Savannah, lui è Nehroi: sono fratelli senza fissa dimora, senza passato, senza futuro ma con un presente che vogliono vivere a cavallo tra il loro mondo e il nostro seguendo solamente quattro regole: non ci si abbandona, si restituiscono i favori, non si prendono ordini e non si dimentica.
Sfidano antiche leggende, rubano amuleti e armi magiche di ogni genere per il solo fine di diventare più forti e usano i poteri per vivere da nababbi a NewYork. Il resto non conta. (... o almeno, così credono!)
[Grazie anticipate a chiunque vorrà essere così gentile da leggere e lasciare due parole di commento! ^-^]
Genere: Dark, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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33
L'ex-consigliere



«Philip Gordon Mayson», aveva tuonato Heim facendogli tremare le ossa.
Le macerie ancora lì dove erano cadute, i feriti da curare, la gente da trovare e salvare. Il Capo di Norreth non aveva voluto aspettare altro e l'aveva fatto in quel momento, coi piedi nella polvere e l'adrenalina ancora nelle vene. Sotto un cielo buio e senza stelle, la luna illuminava con forza le rovine bianche del palazzo e gettava ombre scure sul viso del vecchio e del giovane collega, a pochi passi da lui.
Il consigliere aveva cercato di sostenere il suo sguardo ma in quel viso solcato da qualche ruga profonda e nascosto in una ispida barba bianca ben curata non riusciva a scorgere altro che delusione e non aveva retto.
L'aveva vista fin troppe volte nel volto di suo padre da non fargli pensare immediatamente a lui e alla sua convinzione che il figlio, l'unico figlio maschio, l'avesse tradito. Agli occhi di suo padre era sempre stato un fallimento e quegli stessi occhi lo avevano guardato attraverso il viso di Heim.
«Sciolgo solennemente il nostro contratto.»
E così era diventato ex-consigliere.
Bandito da Tolakireth e da Norreth, Phil si ritrovò errante nell'enorme distesa verde che parte dal palazzo bianco e arriva fin oltre Eastreth, la città più a nord di tutta Ataklur, quella con le costruzioni più alte, elaborate e scintillanti; le vedeva da lontano come una azzurra striscia di segmenti di diverse lunghezze ed erano il suo faro per non sbagliare direzione, fiancheggiato dalle sagome altrettanto chiare e distanti delle montagne di confine.
Camminava a piedi, calpestando l'erba smeraldina piena di riflessi prima lunari e poi solari, lasciandosi alle spalle le macerie di un palazzo distrutto. Camminava in senso opposto alla folla che faceva pellegrinaggio per sostenere la ricostruzione, avvicinandosi a fatica alla città.
Metro dopo metro, accompagnando lo schiarirsi del cielo, finalmente arrivò.
La città più moderna e popolata di Ataklur, con più varietà di etnie, con così tanta gente e magia da esser passata alla storia come la città che sprofondò. E dal profondo crepaccio che la avvolgeva come un caldo abbraccio di terra che privava della luce i primi dieci piani di tutti gli edifici, Eastreth guardava il piccolo e giovane uomo con i vestiti sporchi e sudati, il viso provato dalla marcia notturna e le scarpe logore che si apprestava a scendervi.
Camminò apparentemente senza meta per un bel po' di isolati, svoltando a caso tra le ombre degli altissimi edifici che tendevano verso il cielo e la luce, specchiandosi nei vetri colorati che li ricoprivano e decoravano.
Erano a tutti gli effetti dei grattacieli, ma per niente squadrati come quelli umani: alcuni erano avvolti da strutture simili a rampicanti complicati, altri avevano pareti che ricordavano un paio d'ali, altri ancora erano più simili a immense statue con appartamenti e stanze all'interno che a normali edifici, come quello a forma di albero, stretto per quindici piani e poi largo ed imponente come le fronde di una quercia per altrettanti altri, fino a svettare ben oltre il confine del crepaccio. La luce del mattino che i suoi vetri rifletteva era in grado di illuminare tutte le zone più basse della città come un secondo sole.
Ma a Phil interessava una sola costruzione, una che meritava il titolo di palazzo. Era posizionato al centro di Eastreth, circolare, pieno di colonne robuste che lo circondavano, non il più alto ma nemmeno il più basso; era costruito tutto in vetro bianco, come se fosse stato incastonato all'interno delle lastre un po' di latte o di vapore, ed era così elegante e raffinato da sembrare il giostraio di tutte le altre costruzioni che lo circondavano e che, come per riverenza, sembravano rivolte ad esso. “Il palazzo degno di un Capo”, aveva pensato la prima volta che l'aveva visto, molti anni prima, e non si era sbagliato.
Varcò la sontuosa soglia e due guardie completamente immacolate lo affiancarono come l'aria.
«Identificati», gli ordinarono all'unisono e quasi senza aprire la bocca.
«Philip Gordon Mayson», rispose tranquillo. Era la prima volta che entrava in quel palazzo con così poca dignità, ma questo non gli impedì di provare una briciola di calore nel sapersi lì e al sicuro.
Le guardie scattarono come soldatini a molla e lo scortarono nelle stanze che già conosceva: attraverso il breve corridoio d'ingresso, nella sala centrale con il trono di pietra su cui trapelava l'alba rendendo mistica e soffusa tutta l'atmosfera, oltre la piccola porta grigia di legno robusto celata lì dietro e poi verso un altro corridoio pieno di curve che portava in una saletta molto simile a quella delle riunioni al secondo piano di Tolakireth, ma decisamente più piccola.
Lì, la principessa Mief Chawia stava leggendo dei documenti con aria assorta, le gambe piegate sulla poltroncina e il lungo vestito svolazzante verso terra.
«Sua maestà», si annunciarono le due guardie. Entrambe alzarono un braccio dietro la schiena di Phil e gli diedero uno spintone tra le scapole, facendolo quasi cadere nella stanza.
La principessa annuì appena, senza alzare gli occhi dal foglio, e le guardie chiusero la porta dietro l'ex-consigliere con un suono sordo e lieve.
«Perché sei qui», domandò con voce annoiata e stanca la donna. I documenti erano ancora sotto al suo naso e gli occhi smeraldini non smettevano neanche per un istante di scorrere le righe che vi erano scritte sopra.
Era mattina presto, la città si stava appena svegliando e il Capo era già al lavoro. Phil fece un'alzata di spalle e si sentì vuoto. «Non so cosa fare», disse semplicemente.
«Heim ti ha licenziato», proseguì la principessa in un tono che sembrava quello di una domanda ma che non lo era affatto. Una desolata realizzazione, pensò l'umano.
Phil annuì e si pettinò distrattamente con due dita, cercando di sembrare meno devastato dal viaggio di quando effettivamente sembrasse.
Chawia mise un foglio sul tavolo di legno scuro e proseguì la lettura con il successivo, sempre senza degnare l'ex-consigliere di uno sguardo. Un ciuffo castano era sfuggito alla sua lunga treccia e le scivolava lungo la tempia con morbidezza. «Rintraccia i ragazzi», ordinò poi, facendo scattare la sua voce come una tagliola.
Phil spalancò leggermente gli occhi, sorpreso, e si inumidì le labbra con nervosismo. «Perché?», osò domandare. La principessa inspirò profondamente e sembrò che si stesse trattenendo dal fare una sfuriata, ma l'umano non smise si manifestare il suo disappunto. «Cosa ci devo fare una volta trovati? Sono la nostra rovina, non posso...»
«Li devi trovare non appena torneranno qui», spiegò lentamente Chawia con voce sempre più dura e spazientita, come se stesse perdendo tempo prezioso per spiegare simili ovvietà.
«Torneranno?»
«Non c'è niente che li possa trattenere di là e molto che li attrae di qua. Credi che tra gli umani ci possa essere una prigione abbastanza solida per due demoni tanto capaci? Trovali.»
Phil schioccò la lingua contro il palato e spostò lo sguardo altrove, indispettito da quella decisione. «Cosa devo fare una volta trovati?», ripeté impertinente.
Gli occhi verdissimi della principessa si alzarono su di lui con uno scatto e Phil si sentì raggelare. Colto alla sprovvista dal suo sguardo chiaro e serio, deglutì e si raddrizzò tutto, nel fisico e nell'animo, annuendo convinto. Quello era un nuovo compito, che gli piacesse o no, e la sua mente doveva già mettersi all'opera per portarlo a termine.
Stava iniziando a pensare chi avrebbe dovuto contattare per tenere d'occhio i confini montani e quali spie pagare per tendere le orecchie su una coppia che non passava tanto inosservata, quando Chawia lo spiazzò di nuovo: «Dovrai unirti a loro.»
Phil sentì l'aria uscirgli dai polmoni e boccheggiò sorpreso. «È... è uno scherzo?», balbettò incredulo. «Non posso... “unirmi” a loro, non me lo permetteranno mai!»
Lo sguardo severo di Chawia si assottigliò ancora di più, mettendolo in agitazione. «Ti avevo permesso di mostrare a loro le tue vere iridi solo per far leva sulla loro ideologia di ribellione al potere ed eri riuscito a convincerli bene in diverse occasioni. Non avevi stretto una sorta di amicizia?», lo torchiò. «O avevi riferito una bugia?»
All'umano si inaridì la bocca. «Prima del disastro», disse a fatica.
«Le tue iridi torneranno castane, non potranno più vedere il sigillo del controllo e ti crederanno libero e onesto. Ti unirai a loro e scoprirai quale missione stanno cercando di portare a termine, capirai perché è tanto importante per loro e, se tu dovessi ritenere che sarebbe un problema per la comunità o per me, farai rapporto all'istante», snocciolò la principessa con assoluta marzialità in quel tipico tono che non ammette repliche, se non di assenso.
Tornò a leggere i documenti che aveva ancora in mano e gli fece un debole cenno di andare via con due dita. «È tutto.»
Spiazzato dai suoi nuovi compiti, Phil uscì dal palazzo con la testa china e il morale di chi stava per andare alla gogna. Sentì dei passi affrettarsi dietro di lui e poco dopo una delle due guardie che l'avevano scortato avanti e indietro comparve di fronte a lui ansimante. «Da parte della principessa», disse. Gli porse una busta troppo riempita, color avorio, e l'umano la prese senza vitalità e con un sospiro rassegnato.
La guardia tornò dentro al palazzo bianco sparendo tra le colonne, illuminato dai riflessi degli altri grattacieli, e Phil svoltò in un paio di vie che conosceva bene alla ricerca della sua locanda preferita. Era più che altro un buco, uno dei pochi edifici ancora costruiti con la pietra del crepaccio e non con i moderni vetri colorati, ma a lui faceva stringere il cuore e sentire bene. Con delle piante rampicanti sconosciute che risalivano le pareti adornandola di foglie scure e mai ingiallite, con il cartello dell'insegna che sporgeva sopra le teste dei passanti recitando Ye Haunt, con quell'odore di alcol, umidità e casa che tanto adorava: il pub adatto per un umano nostalgico.
«Ma tu guarda chi torna a mostrarci la sua bella cravattina!», latrò divertita una donnicciola malvestita dietro il bancone, con uno straccio per pulire i bicchieri appeso sulla spalla e i folti capelli scuri tutti arruffati sul viso truccato.
«Non sei sotto un sasso a Tolakireth?», ridacchiò qualcun altro dal fondo del locale, troppo in ombra per essere visto ma non abbastanza per un occhio allenato come quello dell'umano.
«Siete delusi?», li provocò Phil sedendosi al bancone appiccicaticcio. «Se vi consola stavolta l'ho vista davvero brutta.»
«Non abbastanza, arh!»
L'uomo nell'ombra spostò rumorosamente la sua sedia e forse anche il tavolo, mosse pochi passi pesanti e comparve accanto all'ex-consigliere con un largo sorriso che sbucava appena dalla barba rossiccia ispida e incolta. «Mi stupisce la fortuna spacciata di un ometto tanto gracile e debole in questo mondo che può schiacciarti senza troppi complimenti...» commentò senza serietà.
Phil appoggiò la busta sullo sgabello accanto e batté le mani sul bancone. «Mi sei mancato anche tu, zio Will. Jenna...», salutò la donna con un mezzo sorriso.
L'uomo barbuto si sedette sull'altro sgabello accanto all'umano e lo fece sussultare quando lasciò cadere il suo enorme peso sulle povere gambe di legno. «È vero che sono stati i Fein Anis?», domandò abbassando il tono di voce e guardandosi attorno con circospezione. Il locale era deserto, ma ad Ataklur non si poteva essere mai sicuri.
Phil annuì e il suo viso si rabbuiò.
«L'ultima volta che ti abbiamo visto stavi andando in missione per portarli là o sbaglio?»
L'umano annuì ancora e fece un cenno alla donna: «King's ginger», disse.
«A quest'ora?»
«Sarà una giornata dura.»
Jenna masticò la sua gomma un paio di volte mentre prendeva un bicchiere, poi lo mise sul bancone con un rovinato sottobicchiere di carta e si voltò verso gli scaffali delle bottiglie. Dietro la prima fila di liquori e alcolici di ogni regione di Ataklur c'erano quelli terrestri, in particolare quelli della loro terra natia. Ogni volta che tornava da Londra aveva sempre con sé un paio di casse piene di “roba buona”, come li chiamavano lei e suo padre, e Phil non si lasciava mai sfuggire l'occasione di bagnarsi le labbra in un pezzo della sua amata Inghilterra.
Il liquido dorato scese nel bicchiere come una piccola cascata e Phil aveva già la mano stretta attorno al vetro quando cessò di scorrere. «Perlomeno nessuno mi incolpa», sputò rapido un istante prima di scolarsi tutto d'un fiato il ginger come un assetato o un disperato.
Jenna riempì nuovamente il bicchiere non appena tornò vuoto sul bancone e poi lasciò la bottiglia accanto al cugino.
Si sporse oltre il bancone fino a sollevare le gambe ed allungò un braccio esile. «E questa busta?», disse mentre la prendeva.
Phil per poco non lasciò cadere il bicchiere per terra pur di fermarla. «Non la toccare!», esclamò agitato, ma la donna aveva già aperto la busta e stava sbirciando al suo interno.
«Due rotoli di Carta Chiacchiera, la solita mappa dei punti di rientro ad Ataklur, un po' di talloncini per le spese, un identificativo reale di Eastreth... e questa? Sarebbe una Stella?», commentò con un po' di sprezzo sollevando quello che effettivamente sembrava più un sassolino colorato che un diamante di energia magica.
«Ridammela», disse Phil, ma senza troppa convinzione. Sapendo quali compiti doveva svolgere, non aveva molta voglia di entrare realmente in possesso di quel minuscolo kit.
«Che te ne fai di una Stella così piccola? Non riuscirai nemmeno ad aprire un portale!», si lamentò lo zio Will con la sua voce tuonante, mettendo in soggezione Phil e facendolo sentire ancora peggio di quanto non si sentisse già prima di entrare nel locale.
L'ex-consigliere afferrò la bottiglia di ginger e si versò un terzo bicchiere. «Non devo fare attraversamenti, stavolta, quella serve solo in casi di emergenza...»
«La principessa non pensa che potresti avere bisogno di un briciolo di protezione in più? O spera che ci finisci stecchito?», proseguì Jenna rigirando il coltello nella piaga. Phil non terminò il suo ginger e sbatté il bicchiere sul bancone con forza, bagnandolo con un po' di liquore.
«So benissimo cavarmela da solo!», sibilò a denti stretti e con così tanta serietà sul viso da non lasciare spazio a repliche.
Lo zio Will sospirò e gli posò una grossa mano calda sulla spalla, poi gli sfregò un braccio. «Lo sappiamo», disse paterno e paziente, «Sei un ragazzo in gamba.»
Phil non si lasciò coinvolgere da quella calma fiduciosa e non smise il muso. «Però continuate a scordarvi che ho 28 anni e che non sono un novellino di qui», borbottò.
«Non scordiamo neanche che sei un umano e... sai che ti dico?», decise Jenna all'improvviso, lanciando in aria lo straccio per i bicchieri con un gesto improvviso che sorprese i due uomini. «Non posso lasciarti andare in giro da solo con questo sassolino a proteggerti, vengo con te! Vado subito a cambiarmi!»
«No!», esclamò Phil esalando tutta l'aria che aveva nei polmoni. Si girò verso lo zio e si aggrappò alla sua camicia stropicciata. «Fermala, non può venire sul serio!»
L'uomo si grattò rumorosamente la barba e il suo viso arrossato dal sole o dall'alcol si corrugò pensieroso. Jenna stava per salire le scale dietro la parete delle bottiglie quando gli scalini si appiattirono tra loro e diventarono uno scivolo, facendola rotolare tra i tavoli del pub come una palla da bowling. «Papà!», urlò stridula la donna. «Non hai il diritto di fermarmi!»
«Ma neanche quello di rovinare il lavoro di Phil con una presenza insopportabile come te», commentò tranquillo l'omaccione mentre strizzava l'occhio all'umano. Phil si sentì sollevato e si riprese la Stella lasciata sul bancone. La infilò nella busta e se la mise sotto braccio.
«Sei mio cugino, non sarei stata insopportabile ma solo d'aiuto...», mormorò Jenna in tono offeso mentre aggiustava i tavoli incrinati dalla sua caduta sfiorandoli con la magia e i gradini tornavano tali alle sue spalle.
«Ti capisco e non credere che non apprezzi», le disse Phil con gentilezza aiutandola a risollevare una sedia. «Ma non temere: con i talloncini di scambio mi procurerò un'altra Stella, una più grande, e non sarò più in pericolo... consolati così, una jiin arancione non sarebbe bastata comunque.»
Gli occhi scuri della cugina si assottigliarono incuriositi ed allarmati e così fecero anche quelli dello zio. Phil si morse la lingua ed iniziò ad arretrare verso l'uscita con grande imbarazzo.
«Non intendevo che... ho sbagliato parole, io...»
«Che razza di compito ti hanno affidato stavolta?», domandò con prepotenza zio Will alzandosi dallo sgabello ed avvicinandosi ad ampie falcate al giovane umano. «Stai ancora rischiando la vita per lei? Non se lo merita!»
Phil mise un piede fuori, sotto il sole e sulla strada, lasciando che il buio del pub avvolgesse solamente Jenna e Will. «Vi racconterò tutto al mio ritorno», disse annuendo a sé stesso, con abbastanza decisione da tranquillizzare la cugina, ma non lo zio.
«Sarà meglio», tuonò infine lui, lasciando andare il ragazzo.

Savannah e Nehroi furono identificati due giorni dopo e la notizia fece un certo scalpore nell'ambiente della sicurezza di Ataklur.
Phil fu il primo a rallegrarsene quando gli venne riferito e rilesse più volte il pezzetto di carta bruciacchiato che aveva ricevuto dal vento per essere sicuro di aver compreso bene i simboli. «Dovrebbero inventare un sistema di comunicazione verbale», brontolò quando dovette sforzarsi per troppi secondi su un carattere particolarmente ostico. «O accettare l'uso dei cellulari.»
Nonostante il disappunto, era visibilmente soddisfatto: il suo metodo stava funzionando.
L'aveva proposto al capitano delle guardie di Eastreth subito dopo il suo incontro con la cugina e il suo commento sul livello di magia.
«Abbiamo già diramato i loro volti e le descrizioni a tutte le regioni», lo aveva accolto freddamente il capitano, con l'aria di chi non ha voglia di farsi dire come fare il proprio lavoro da un umano.
«E non pensate che possano cambiare aspetto?», aveva chiesto Phil con insistenza, per nulla deciso a farsi cacciare via prima di aver detto la sua idea. Ricordava bene i video della sorveglianza alla borsa di New York che li aveva incastrati due mesi prima, video che erano stati utili solo perché Savannah non aveva avuto voglia di modificare troppo i loro lineamenti. Con l'intera Ataklur a cercarli, Phil non si sarebbe stupito di trovarli entrambi maschi o bambini o asiatici o, perché no?, animali. Cosa le avrebbe impedito di modificare i loro aspetti a tal punto?
Il capitano lo aveva guardato con un po' più di interesse, come se effettivamente non avessero calcolato quell'eventualità. «Non abbiamo mai dato la caccia ad una jiin viola», aveva detto come giustificazione. «Di solito queste misure sono sufficienti...»
«Nessuna guardia potrebbe mai scoprirli, sono tutti di livello molto inferiore», aveva continuato imperterrito l'ex-consigliere. «Ma l'unica cosa che i Fein Anis non possono cambiare è proprio questo: il loro status. Il grado di Savannah non passa certo inosservato, no? Può trasformarsi anche in una mosca, ma se si rilevasse che quella mosca è una jiin viola...»
Una luce si era accesa negli occhi del capitano e Phil aveva capito che la sua idea era stata approvata.
La Carta Chiacchiera che aveva in mano ne era la conferma: diversi rilevatori di magia posizionati nella regione di Bastreth, lungo la costa nord-orientale, si erano tinti di viola una sola volta al passaggio di due persone anziane e le guardie avevano fatto scattare subito l'arresto.
Purtroppo avevano fallito, ma quella tecnica si era rivelata così tanto utile e precisa da rendere immediata la produzione di massa dei rilevatori e il loro ritiro ufficiale dalla popolazione per il loro stesso bene.
Nascosti ovunque, da sotto le fronde di un cespuglio all'insenatura di una roccia, Ataklur venne rivestita di rilevatori e di guardie in attesa.
Phil strappò in pezzi piccolissimi il frammento di Carta che aveva appena ricevuto, ripose il resto del rotolo bianco nella sua tracolla di cuoio, assieme alla piccola Stella e agli altri componenti della sua “attrezzatura”, e si mise in marcia.




*-*-*-*



Questo capitolo mi ha vista molto indecisa. Innanzitutto la parte di Phil: non so da dove sono usciti i due parenti, ad un certo punto me li sono ritrovati nel foglio e non sono riuscita a toglierli. Boh. Massì, ci stanno. Magari li incontreremo di nuovo, se ripiombano nel file a tradimento.
Poi c'era la parte di Tarrig, che voi non avete letto... era già lì, sotto il “33” ed era prefissata per questo capitolo da mooooooolto tempo, quindi non potevo farci niente, ma mi è venuta troppo lunga e l'ho tagliata <.< Tanto non era proprio utilissima per la trama... al massimo la ripesco dal file Cutten Scenes (come sono professionale xD) più avanti.
E poi, alla fine del capitolo, dopo la parentesi che ho tagliato con i fratelli alle prese con la costruzione dei rilevatori ('na palla, ora che ci penso ^^), doveva comparire di nuovo Phil ma non avrei finito più (in totale ero già a 8 pagine e mezzo! O_O), per cui lasciamo perdere che già mi sento calzare a pennello il soprannome di Mani di Forbice! XDD
Insomma, niente è venuto come programmato! E quindi bon, ho lasciato il capitolo tutto incentrato su Phil e basta perché è giunto il momento che anche il nostro umano acquisisca più spessore! E infatti è uscito di 5 paginette... va beh, i vostri occhi mi ringrazieranno! ^^
Grazie ancora a tutti (tuttE) per il supporto, siete grandi!
Alla prossima, ciao!

Shark
   
 
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