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Autore: Neverlethimgo    04/06/2013    2 recensioni
“Aiutatemi.” Lanciò un urlo soffocato che però nessuno riuscì a sentire.
“Non ce la faccio davvero più.” Ma non c’era nessuno a calmare quei pianti, non c’era la sorella che aveva sempre desiderato, non c’era nessuno.
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Is this life?


Capita di vedere persone che ora ridono di gusto perché hanno pianto per troppo tempo, oppure di vederne altre che, dopo aver patito i dolori più grandi, si rifiutano di abbozzare anche solo un misero sorriso.
Per Holly era un po’ diverso.
Holly non era mai stata di malumore per più di poche ore, difficilmente portava rancore verso chi le aveva fatto del male e tutto questo perché, forse, non riusciva ad occupare il suo tempo restando china a piangere sulle sue stesse ginocchia. Holly amava ridere e lo faceva spesso. Quei pochi che avevano avuto la fortuna di conoscerla a fondo, ritenevano fosse una ragazza solare, con la voglia di vivere che puntava oltre le stelle, che fosse in grado di portare via la tristezza con un solo sorriso, o dicendo qualcosa di estremamente divertente.
E Holly era così, Holly era sempre stata così, ma, si sa, non tutto dura in eterno.
 
Come chi si stanca di piangere, c’è chi, come lei, s’era stancato di sorridere. Semplicemente, non le riusciva più così semplice mascherare il suo male con un sorriso.
Holly aveva sempre avuto paura di ciò che comportasse l’essere tristi, conosceva persone che, pur di cacciar via il dolore mentale, se ne provocavano dell’altro, in modo più forte, fisicamente. Era brutto vedere come quelle persone si tuffassero a capofitto verso un baratro senza uscita, in cui l’unica luce che riuscivano a vedere era costituita dai ricordi felici del passato.
“A me non potrà mai succedere una cosa del genere, io non sono così. Io non so essere triste. Io amo ridere!” pensava. Lo pensava e lo gridava a tutti, perché ne andava fiera.
 
Una sera, inaspettatamente, impiegò diverse ore a pensare, a rimuginare su tutto, come se quei pensieri soffocati avessero sentito il bisogno di emergere, di farsi spazio e di ottenere una voce propria.
Critiche insensate, insulti dimenticati che con il passare del tempo aveva ricevuto, ma che sempre aveva sotterrato con un sorriso.
Era convinta, ed in parte ne era ben certa, che sarebbe passato.
Cosa saranno mai delle critiche? Cosa saranno mai delle prese in giro un po’ pungenti, non ti rovineranno di certo la vita.
 
Quella sera la concluse permettendo ad alcune lacrime di rigarle le gote e di addormentarsi, sperando di affrontare la giornata seguente con un sorriso, come sempre.
Ma non andò proprio così.
La sera seguente capitò ancora e più pensava, più le lacrime insistevano nell’affogarle le sue iridi color cioccolato. Più le asciugava, più queste le rigavano le gote.
“Sarà solo un periodo, giusto?” si ripeteva tra sé e sé, mentre le note di una vecchia canzone riempivano la sua stanza vuota. La porta della camera era chiusa, si ripeteva che nessuno dovesse vederla così, nessuno doveva sapere. Così si guardò prima il braccio sinistro e poi la mano destra. Le unghie laccate di rosa erano perfettamente curate e lunghe abbastanza da provocare, mentre scriveva, quel leggero ticchettio sulla tastiera del computer. Si morse il labbro inferiore, senza riuscire ad impedire che le sue gote s’inumidissero ancora una volta, fece scorrere le unghie contro la pelle bianca del braccio sinistro. E più ripeteva quell’azione, più calcava su di essa, riuscendo a provocare numerosi solchi, ma questo non bastava e con sé non aveva null’altro.
Convinta che fuori da quella stanza non ci fosse nessuno, si diresse in cucina ed afferrò un coltello, lo passò lentamente sull’interno del braccio e questa volta vide il rosso del sangue sporcarle la pelle. Le lacrime continuavano ad uscire e quella canzone continuava ad invadere l’atmosfera.
Gettò a terra il coltello, allontanandolo il più possibile da sé e, correndo verso il lavandino, aprì il getto d’acqua, lo fece scorrere sulla ferita e si maledì mentalmente di quanto aveva appena fatto. Si sentì totalmente impotente di fronte a quel gesto. Aveva ceduto nonostante si fosse ripromessa di non fare mai una cosa del genere.
 
I giorni passarono e le lacrime continuavano a rigarle il viso, ogni serata veniva conclusa sempre allo stesso modo: due cuffiette nelle orecchie, una lenta melodia e mille pensieri negativi che la cullavano fino a quando non chiudeva gli occhi.
I giorni divennero settimane e le settimane un mese. Un mese in cui, anche di fronte ad altra gente, appariva spenta e talvolta, quando qualcuno glielo faceva notare, piangeva. Piangeva e non le importava.
Non le importava provare a trovare un modo per superare tutto questo, piangeva perché non aveva più forze per fare altro.
 
Era arrivata al punto da non riuscire a trattenere tutto quel dispiacere, così cominciò a scrivere un po’ dovunque.
 
Un inferno, sto vivendo un inferno e non avrà fine. Talvolta spero che qualcuno spalanchi la porta di camera mia, che mi veda così e che mi abbracci senza dire nulla, che si limiti a stringermi forte a sé.
Ma quel qualcuno non arriva.
Sono sola e non riesco ad urlare per chiedere aiuto. Ogni lacrima rappresenta l’ennesima sensazione di vuoto che mi divora l’anima.
Non odio me stessa, odio quello che mi circonda. Odio vedere come tutti sono troppo impegnati per accorgersene, odio parlarne, ma voglio scrivere.
Odio dover spiegare il perché di tutto questo, so che nessuno mi capirebbe, so che perderebbero tempo a trovare consigli da darmi, ma che tanto non seguirò.
E mi sento morire ogni volta che una lacrima mi riga il viso, mi sento morire ogni volta che sento quegli attacchi di panico prendermi alla sprovvista. Mi sento morire e vorrei tanto farlo.
 
Piegò in quattro quel foglio e lo nascose nella tasca dei suoi pantaloni, avrebbe voluto continuare, ma i suoi occhi erano velati di lacrime e ormai non ci vedeva più. Lasciò che i suoi singhiozzi riempissero quelle quattro mura. Iniziò a mangiare sempre meno, l’appetito le stava passando a vista d’occhio e non provava più niente di diverso dal dolore.
Smise di farsi del male, perché tanto non l’aiutava. Smise di uscire, perché detestava la luce del sole, così forte e prepotente riflettere nei suoi occhi stanchi.
Non cessò però di ascoltare la musica, quella mai. Si nutriva di quella, ma non bastava.
Le risultava difficile fare qualsiasi cosa, dallo scrivere, hobby che da tempo amava, al cantare, al prendersi del tempo per sé stessa. Non ci riusciva più.
In pochi tentarono di parlarle e sembravano sinceri, ma, quando avverti quel demone che ti divora l’anima, non vuoi sentire più niente.
Quei pianti isterici riempivano ormai tutte le sue giornate, i singhiozzi soffocati le provocano un fastidioso dolore alla gola e le lacrime sembravano non volersi prosciugare mai.
“Aiutatemi.” Lanciò un urlo soffocato che però nessuno riuscì a sentire.
“Non ce la faccio davvero più.” Ma non c’era nessuno a calmare quei pianti, non c’era la sorella che aveva sempre desiderato, non c’era nessuno.
   
 
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