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Autore: Rhaenyra17    05/06/2013    2 recensioni
[Dal prologo:
"Neji Hyuuga osservò le Navi Nere: erano munite di cannoni ed ogni soldato aveva un fucile ed una pistola. Si doveva trovare un accordo in fretta.
«È terrificante», biascicò il compagno dai capelli neri.
«Lo so, Rock Lee», ammise Neji, «dobbiamo solo mantenere la calma».
Ma era difficile farlo: Edo era in pericolo."]
[SasukexNaruto; Yaoi; ambientazione storica: Giappone, 1853]
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Nessun contesto
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Capitolo 2 - 罪 Tsumi

Sii caritatevole con tutti gli esseri: l'amore è la prima caratteristica del divino.


11 ottobre 1851, Edo, mattina.

I due amanti percorsero con lentezza estenuante i corridoi dello Shogunato, fino a giungere al cancello d’entrata. Lo oltrepassarono all’apparenza senza indugi, ma con un inenarrabile timore nel cuore, il dubbio sulla sorte di Itachi, la consapevolezza struggente che non sarebbe dipeso tutto solo e soltanto da loro.
Per tutto il tragitto nella foresta che li avrebbe condotti nell’isolata prigione in ferro e pietra, Naruto e Sasuke rimasero a distanza ravvicinata, anche se il massimo tocco che si concedevano era quello delle loro mani che si sfioravano; il biondo di tanto in tanto appoggiava la propria mano sulla spalla del compagno o sulla nuca marmorea. Dal canto suo, l’Uchiha avrebbe davvero voluto baciare Naruto fin quando il fiato non gli sarebbe mancato e soffocare i pensieri scaturiti da quando aveva saputo del ritorno di suo fratello, ma si portava dietro, come sempre, la sensazione di essere costantemente osservato da qualcuno che aveva un’ottima abilità nel nascondersi alla sua vista.
Per evitare, comunque, degli inconvenienti che avrebbero potuto costargli una prematura morte, preferiva sopportare quella tortura e lasciare che la distanza avesse la sua parte ogni qualvolta il sole si ergeva alto nel cielo azzurro e costernato da candidi cumulonembi.
Il cielo.
Le nuvole.
La gioia e la serenità che quella visione gli infondeva.
Tutto ciò gli rimembrava Naruto. Ogni stato d’animo, ogni sensazione, emozione, la bellezza folgorante del compagno, quella pace interiore che trovava soltanto in sua presenza.
Tutte cose che, era certo, non avrebbe mai potuto dimenticare, nemmeno se l’avesse voluto con tutto se stesso, ma non lo voleva. In effetti era arrivato persino ad ipotizzare che, in punto di morte, quelli sarebbero stati gli ultimi pensieri che la sua mente avrebbe potuto mostrargli, perché i più belli e significativi della sua vita, nonché gli unici che l’avrebbero fatto sentire a casa, nonostante la morte lo stesse portando via; magari in un mondo migliore di quello invivibile in cui era costretto a trascorrere ogni attimo della sua vita.
Non che volesse morire per codesta ragione, ovviamente, aveva appena diciotto anni. Il tasso di mortalità a quell’età era anche diminuito nettamente, ma era altrettanto certo che da quando aveva intrapreso la relazione con Naruto, non avrebbe più potuto definirsi salvo. Una minima mossa sbagliata e potevano scoprirli, una minima mossa sbagliata e potevano morire.
«Siamo arrivati», annunciò lo Shogun, indicando con un cenno del capo la struttura che si ergeva nel mezzo della radura, nascosta dalle fronde spesse dei robusti alberi.
«Mh».
Quell’imponente palazzo roccioso incuteva un certo timore, le cancellate in ferro erano arrugginite in alcuni  tratti. Due guardie se ne stavano ritte in allerta dinanzi al portone principale, una mano sulla spada posta al lato sinistro del corpo fasciato ad un’armatura e, al di sotto di questa, una tuta nera copriva gli arti superiori e posteriori; il braccio destro era disteso lungo il fianco e la mano stretta a pugno. I due giovani arrivarono di fronte a loro, che, appena li videro, si inginocchiarono e chinarono il capo, portando la mano destra sul petto e salutando cordialmente.
«Ciao, Kiba; ciao, Neji», trillò ilare Naruto, nascondendo la tensione che gli aleggiava attorno.
I due sorrisero e poi si scostarono, lasciando passare Uchiha e Namikaze, che li superarono senza esitazioni.
I passi rimbombavano nell’ambiente cupo e piuttosto stretto rispetto alla larghezza che lasciava immaginare la struttura, ed era illuminato solo dal fuoco in alcuni tratti, sia a destra sia a sinistra.
«Sei pronto?», si premurò di domandare Naruto, approfittando della solitudine ed anche dell’oscurità per appoggiare il compagno al muro e baciargli le labbra, per poi leccargliele con dolcezza. Il moro si godette il contatto finché non sentì l’ansia contorcergli lo stomaco, mentre lui trepidante attendeva solo di incontrare il nii-san.
«Sì».
Il biondo lo prese per mano ed insieme raggiunsero la cella di Itachi Uchiha, collocata in un corridoio isolato rispetto a tutti gli altri.
Itachi era steso e voltato verso il muro, forse per proteggere i suoi occhi dalla fioca, ma nell’ambiente fastidiosa, luce emanata dalla fiamma, forse perché sapeva che i due sarebbero arrivati e non avvertiva l’incessante bisogno di guardare verso le sbarre.
«Itachi», lo chiamò lo Shogun, «sei sveglio?»
Silenzio.
«Dobbiamo parlare», ritentò, indeciso se aprire o meno la cella ed entrarvi, più che altro data la preoccupazione nei confronti di Sasuke.
«Itachi!», urlò quest’ultimo, esasperato, «Perché?!»
Il quesito, posto con cotanta rabbia, mostrò tutta l’ira funesta che struggeva il cuore puro di Sasuke, mista alla sofferenza immane che da anni tentava di reprimere.
E silenziosamente le lacrime gli rigarono il voto diafano, e nella sovraumana quiete Naruto aprì le sbarre e lasciò che il minore degli Uchiha vi entrasse.
E rimase fuori ad osservare l’Uchiha più grande dai lunghi capelli corvini rialzarsi e mostrare lo sguardo stanco, spento, addolorato, mentre Sasuke era preda di uno stress emotivo, crisi di pianto e sbalzi d’umore che nemmeno la persona più lunatica del mondo avrebbe potuto sopportare al suo posto.
«Otouto», mormorò Itachi, la voce flebile e lo sguardo ancora perso nel vuoto, «da quanto tempo».
«Perché l’hai fatto?!», l’eco del grido provocato da Sasuke si espanse per la cella e per il corridoio, poi si arrestò.
E tutto tacque.

 

«In queste promesse infrante
giù nel profondo
ogni parola si perde nell’eco.
Riesco solo a vedere attraverso
un'ultima bugia

Questa volta finalmente
ti lascerò andare».
[Linkin park – Lost in the echo]

 

28 aprile 1847, Edo.

«Confidiamo in te, Itachi».
Queste furono le parole che il ragazzo udì prima di indossare l’armatura, afferrare la propria spada ed andare via da Edo.
«Proteggete la mia famiglia», aveva raccomandato, prima di mettere piede fuori città.
Clandestinamente, Shisui Uchiha l’aveva raggiunto in un punto cieco al di fuori delle mura di Edo.
«Itachi, io…», provò a dire, ma il giovane Uchiha dai lunghi capelli corvini lo interruppe ancor prima di udire ciò che l’altro era desideroso di esporre.
«Non c’è bisogno che tu dica niente», spiegò monocorde e pacato, elemento che lo caratterizzava sin da quando era solo un bambino.
«Ma non è giusto così, dovrei essere io quello a sacrificare tutto, invece te ne stai andando e sembra quasi facile a guardarti!», sbraitò, «Tutto sembra sempre così semplice quando ci sei tu ed io non ho idea di come sia possibile! Come… io…»
Dei singhiozzi interruppero quello sproloquio che all’inizio poteva sembrare insensato, ma ch’era pregno di sincero dispiacere, vuoto, tristezza, sensi di colpa. Tutto ciò che Shisui stava provando nel vedere Itachi andare via era racchiuso in quelle parole pronunciate forse con troppa velocità.
Ma lui stava andando via. Per colpa sua.
«Shisui», proferì il più piccolo tra i due, «è giusto così».
«No, non lo è», ribadì prontamente l’altro.
«È giusto, invece, che tu abbia l’opportunità di vivere la vita che da infante ti è stata negata», esplicitò con calma, «a me va bene così».
«Dovrei essere io quello che dovrebbe proteggerti! Perché, invece, ti ostini a sacrificare te stesso ogni singolo attimo della tua vita, purché io sia felice?», ululò sofferente, cercando di tenere a bada quella voglia di urlare e farsi, di conseguenza, scoprire.
Itachi gli carezzò con leggiadria una guancia e poi discese sino alle labbra che fissò, nostalgico ed assorto.
«Perché ti amo e questo è l’unico modo per redimermi da questo peccato», confidò, spiazzando l’altro per la convinzione e l’onestà in quelle parole. Shisui boccheggiò prima di ridestarsi e congiungere le labbra con quelle del compagno.
«Non è un peccato», ebbe il coraggio di ansimare sul suo viso, non appena ebbe la forza di distaccarsene, rimanendo comunque a pochi centimetri dalla sua bocca. Nel frattempo, delle amare e calde lacrime sgorgarono dai suoi occhi d’ossidiana, cadendo dal suo mento ed andando a bagnare il terreno.
«Lo è», riconfermò il minore, «questo non lo si può cambiare».
«Non andare via…», lo supplicò con voce flebile e dalla quale traspariva tanta, tanta sofferenza.
«Aishiteru», ripeté Itachi, allontanandosi con velocità ed agilità dall’altro.
Sussurrò poi, lasciando che il vento trasportasse le proprie parole sino all’altro: «Tornerò da te e ci rivedremo».
Peccato che ci fossero più opportunità che l’esilio permanesse per tutta la sua vita, piuttosto che arrivasse una concessione di ritorno a Edo.
«Ti aspetterò», promise solennemente Shisui, rientrando amareggiato e colpevole nella città.

 

Sei mesi dopo
24 novembre 1847, Edo.

«Avevate promesso», ringhiò rabbioso, perdendo completamente la sua espressione indulgente e tranquilla, donatagli dai tratti quasi femminei e delicati del suo giovane viso e dalla pelle nivea e delicata. Le mani impugnavano con forza la katana lucida, pronta a trafiggere i corpi delle persone presenti.
«Non abbiamo potuto fare nulla», tentò di giustificarsi con noncuranza uno di loro, che aveva dichiarato di chiamarsi Kagami.
«Avete infangato il nome della mia famiglia», sibilò tagliente, «e non avete tenuto fede al patto stipulato».
«E tu hai rivelato dei segreti della città, Itachi, senza indugi! Crimine più grave non poteva esser commesso!», sbraitò Obito Uchiha, mentre sua moglie Rin, dietro di lui, tentava invano di tranquillizzarlo.
«Ho agito di conseguenza», ricordò, «vi avevo avvertito che l’avrei fatto, se mi aveste messo in condizione di non avere altra scelta».
«Verrai condannato a morte per questo, altro che esilio», lo accusò Izuna Uchiha, fratello minore del più temibile membro del clan: Madara Uchiha.
«Voi stessi avete firmato la vostra condanna a morte, intanto», li informò, trafiggendo senza batter ciglio il petto di Rin e provando una sadica soddisfazione nel vedere l’espressione di terrore, sgomento e dolore che si dipinse sul volto di Obito.
«T-tu… C-come… hai… osato!», urlando quella frase, gli si scagliò contro, ma il movimento avventato favorì Itachi nell’infilzargli la spada dritta nel cuore.
Con poco garbo e quasi con una gelida indifferenza, sfilò la spada insanguinata e lasciò che il corpo di Obito si accasciasse vicino a quello della moglie: una visione raccapricciante che stava pian piano risvegliando la sua compassione e gli fece in parte realizzare di star distruggendo tutto, così come loro avevano infranto la via che si era creato con i suoi genitori e suo fratello. E fu proprio su quest’ultimo che Kagami puntò per placare l’animo infervorato e devastato del giovane Uchiha.
«Tuo fratello è ancora vivo, Itachi», iniziò, «vuoi davvero che il tuo adorato otouto ti conosca come il traditore assassino di alcuni dei membro più importanti del clan?»
Touché.
«Se sapesse tutto, non mi biasimerebbe di certo», affermò sicuro di sé.
«Peccato che tu non possa tornare in città», sospirò Kagami, «Devo ricordarti che sei esiliato?»
Touché.
Di nuovo.
«Non potrai tornare finché ci saremo noi in città», lo schernì, «tu sei un traditore».
«Kira…»
«Inoltre, i tuoi genitori meritavano di fare quella fine», lo provocò, «organizzare una rivolta contro di noi, disturbare la quiete di Edo e stabilizzare una loro patetica egemonia sugli altri membri del clan…»
Itachi chiuse gli occhi e sospirò profondamente, alla ricerca della razionalità e della calma.
«Devo farlo per lui… per loro… perché non ho scelta».
Afferrò con rapidità un’arma da un borsellino, fece roteare il kunai attorno al dito, strinse l’impugnatura e lo lanciò verso Izuna, colpendogli la gola e trafiggendola.
Preferì non guardare la sua morte ed ignorare i suoi soffocati lamenti, l’odore forte del sangue che impregnava l’aria e ricopriva il tatami chiaro, contornando e sottostando ai corpi privi di vita di Obito e Rin.
Stavano affiorando i sensi di colpa; lui non era un assassino, ma era un uomo di parola. E quella di suo padre contava più di qualunque altra.
«Voglio che tu li uccida uno dopo l’altro e quello che dovrà soffrire di più e che dovrai cercare sarà Kagami Uchiha.
«Ha assassinato tua madre, Itachi; credi che meriti di vivere?
«Io sono impossibilitato dal farlo, ormai… lascio a te il compito di badare a Sasuke quando morirò.
«Loro saranno la causa dello sterminio di innocenti.
«Mi dispiace che lo scoprirai a tue spese.
«Va’, Itachi, so quanto sia dura per te».
“No, non lo sai,” avrebbe voluto dire il ragazzo, ma le parole di suo padre rimbombavano senza sosta nella sua testa.
Pareva scoppiare.
Doveva concentrarsi.
Era un ninja. I sentimenti non dovevano appartenergli. Non in casi simili, non se avessero compromesso una missione di vitale importanza.
Con movimenti quasi fulminei raggirò Kagami Uchiha, usando un kunai per lasciargli tagli sulle braccia, sul colto, sulle mani. Frammenti di abiti tagliati ricadevano sul tatami e la tensione permetteva ad Itachi di percepire il rumore dell’aria che attutiva la già lieve caduta della stoffa. Gli si fermò di fronte e gli piantò un kunai nel braccio, facendogli spalancare gli occhi; ma Kagami non urlò, non ansimò, non boccheggiò. Ed Itachi ammirò quel temerario, nonostante provasse ribrezzo per le malefatte di quell’uomo.
«Mio figlio troverà sicuramente di meglio», ghignò, «gli assassini non fanno per lui».
Itachi non capiva cosa stesse dicendo e in religioso silenzio impugnò la spada, tirandola fuori dal fodero in cui l’aveva momentaneamente riposta.
«Mi chiedo proprio cosa ci vedesse di bello in te», mormorò, il respiro mozzato dalla tosse e dallo sputo di sangue che non poté reprimere.
«Requiescat in pace», disse Itachi, «che i Kami possano perdonarti».
E lo trafisse in un sol colpo.
E la porta dell’ufficio si spalancò.
E ad Itachi parve morire con Kagami e con la parte di Shisui che aveva sempre amato.


11 ottobre 1851, Edo, primo pomeriggio.

«Itachi…», continuava a ripetere Sasuke, incredulo di avercelo finalmente davanti ed al contempo dannatamente incazzato col suo nii-san.
«Mi dispiace doverlo fare», li interruppe Naruto, «mi rammarica dovervi interrompere, ma io stesso devo chiederti, Itachi, cosa ti ha spinto innanzi tutto ad andare via, e poi a costituirti dopo ben quattro anni».
«Me ne rendo conto, Shogun-sama», sussurrò, «sembra insensato, ma non credo parlerò».
«A cosa dobbiamo, almeno, il tuo ritorno?»
Shisui, pensò il maggiore degli Uchiha, ma non lasciò che quell’affermazione sfuggisse dalle sue labbra.

«Era arrivato il momento di farlo», disse semplicemente.
E non parlò più. Si chiuse in un silenzio carico di sofferenza, qualcosa di totalmente ineguagliabile, di molto più grande rispetto a qualunque dolore che in un’intera vita un uomo potesse provare.
«Credo che voglia rimanere, Sas’ke», tentò il biondo, mordendosi le labbra e cercando di non lasciarsi andare alla sua emotività per convincere Itachi a parlare.
L’altro tacque, gli occhi ancora fissi sulla sagoma del fratello maggiore. Forse  per lui era ancora troppo irreale averlo lì, un’utopia amara che faceva solo sentire peggio il minore, illudendolo, forse era un miraggio, forse era lì davvero.
«Torneremo a parlargli», lo rassicurò il biondo, cingendogli le spalle da dietro e baciandogli con dolcezza la nuca.
Il moro semplicemente annuì e lasciò che le mani grandi, calde, esperte, di Naruto lo conducessero via da quel luogo, via dal dolore, via da quell’Itachi che sembrava aver perso persino se stesso.

11 ottobre 1851, Edo, sera.

Usciti dall’abashiri, Sasuke non aveva proferito parola per tutto il tragitto che condusse i due allo Shogunato, l’espressione indecifrabile stampata sul viso, lo sguardo duro, perso, imperscrutabile.
Naruto non parlò, lo lasciò al suoi pensieri, perché sapeva che doveva riordinarli per poi lasciare che l’aiutasse a fronteggiarli.
Aveva visto Sasuke piangere per la seconda volta in tutta la sua vita e sapeva che ciò stava a significare che non era riuscito a tenere erte le sue barriere difensive, che erano solite proteggerlo egregiamente da tutti gli altri, ad eccezione di Naruto e Itachi.
Quando giunsero al Palazzo, Namikaze si mostrò più schivo e scontroso di quando volesse davvero essere, così i samurai preferirono lasciare in pace i due e limitarsi ad un rispettoso cenno per salutarli ed accoglierli.
Consapevole del fatto che non avrebbero osato disturbarli se non per casi urgenti, come ad esempio l’accaduto di quella mattina stessa, non lasciò che Sasuke andasse nella sua stanza a crogiolarsi in se stesso, bensì lo condusse in camera propria.
Con dolcezza iniziò a spogliarlo delle vesti, poi lo fece accomodare sul letto, lo stese e lo coprì con le lenzuola.
Uchiha taceva e teneva lo sguardo ancora fisso dinanzi a sé.
Il biondo si liberò dei suoi abiti e ben presto lo raggiunse, cingendogli un fianco da dietro e stringendo il suo corpo al proprio.
«Sasuke», lo chiamò.
L’altro non parlò.
«Ascolta, non è detta l’ultima parola», tentò di quietarlo, «è ancora presto, ci sono delle ferite aperte nei cuori di entrambi ed assimilare tutto ciò che ha taciuto per anni in una sola mattina e dirla ad alta voce è impossibile. Posso capirlo».
«Ma la vera decisione non spetterà solo a noi», sputò fuori sofferente il moro, «sai bene che anche l’imperatore ha voce in capitolo».
«Quello non sarà un problema, lo sai com’è», sorrise lievemente, «può sembrare bastardo, però in fondo ha un cuore tenero… proprio come te».
«Mh».
Namikaze lo mise a tacere, voltando il capo di Sasuke verso di sé ed incrociando le sue labbra.
«Ora dormi, Sas’kè», consigliò, accoccolandosi all’altro e sospirando. «Oyasumi nasai».
E lasciarono che Morfeo s’impossessasse di loro.

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NB:
1. Il titolo Tsumi, con annesso kanji, significa "errore", "colpa". Se il mio giappo-amico avrà da ridire su questa traduzione, modificherò queste note e il titolo;
2. La frase a inizio capitolo è una delle credenze della religione Shintoista, la più diffusa in tutto il Giappone.

Note dell'autrice:
Salve! Eccomi qua con il secondo capitolo di questa storia! Nemmeno immaginate quanto mi stia piacendo scriverla e mettere tutto insieme! Però, ovviamente, come temevo, sta iniziando a prendere la piega che vuole e i personaggi litigano per poter rimanere nella fic. Intanto, mentre loro litigano, io ho già deciso chi inserire e come inserirlo... Come dicevo, la storia sta andando secondo il suo volere e ormai credo che si aggirerà attorno ai venti capitoli. Per la serie: solo un miracolo mi farà concludere questa storia entro agosto. Confidate in me, ce la posso fare! (?)
Credo che conosciate tutti i personaggi che sono stati menzionati. Comunque verrà chiarito tutto col tempo e, seppur non lo sapete e vi siete solo fatti una vaga idea, tutto sarà confermato o smentito in caso di pensiero errato. 
Bien, come sempre ringrazio i miei accorti PunkDario e Chisana Kitsune per il giappo-aiuto e per le correzioni.
Un grazie speciale a tutti i lettori che hanno inserito la storia tra le preferite e le seguite e a quelli silenziosi.
*abbraccia*

tratrin: sapevo che tu mi avresti capita alla perfezione! Quella pagina è proprio il male, sì D: capisco le tue distrazioni dalla buona intenzione di sonnecchiare, parli con una che soffre d'insonnia e non fa altro che passare notti intere da sveglia *sospira* Mi fa piacere che sia riuscita a trasmettere tutto quello e a mostrare in codesto modo le situazioni e le atmosfere, era proprio il mio intento e sapere che ci sono riuscita mi colma il cuore di gioia! La risposta l'hai avuta in minima parte in questo capitolo, certe cose rispecchiano comunque l'Itachi di Kishimoto, sì. Ma non spoilero altro. Grazie per la recensione, cara! 

Akiho87: oh, ma che piacere trovarti qui! Innanzi tutto ancora mi dispiace per non essere riuscita a consegnare per il contest, mi sarebbe davvero piaciuto completarla e fartela giudicare per il concorso, ma il tempo mi è stato sfavorevole :( Ti ringrazio tantissimo per i complimentoni che mi hai fatti! Anch'io amo da morire il Giappone (tra qualche anno mi avventurerò nei meandri di queste terre favolose, giuro ç_ç vuoi venire?) e ti confesso che inizialmente il mio progetto verteva sul Giappone feudale. Però poi ho constatato che sarebbe stato meglio non andare troppo lontano, dato che mi sarebbe costato molto più tempo per ricercare tutto il materiale! Comunque, come ho detto nelle NdA, sì, ormai la storia fa quello che vuole e andrà ben oltre il limite del contest! Ti ringrazio ancora tanto per la recensione e per i complimenti, spero che la storia continuerà a piacerti!

  
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