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Autore: nevaeh    06/06/2013    6 recensioni
Louis, ventidue anni e una laurea in letteratura, si è appena trasferito a Lassox con sua figlia Eleanor. A volte fa fotografie, ma sempre a sua figlia o a qualche stupido paesaggio.
Harry lavora in una pasticceria con l'insegna rossa e ha le mani sempre calde.
***
Harry alza lo sguardo per la prima volta, da quando sono entrati, e lo guarda.
Ha gli occhi verdi, ma che potrebbero sembrare anche azzurri o magari grigi. Semplicemente, Louis non riesce a distogliere lo sguardo dal suo. E non sa cosa gli sta succedendo, perché non si è mai sentito in questo modo e un po’ è spaventato e un po’ gli fa anche piacere.
“Papà? Papà!” Eleanor lo strattona per un braccio, Louis a fatica interrompe quello sguardo. Si accorge che Harry ha atteggiato le labbra in un mezzo sorriso, e improvvisamente gli fa male lo stomaco.
***
Baker!Harry/Singlefather!Louis [side Niall/Eleanor, Zayn/Perrie]
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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N.D.A. Scusate, ma ho avuto un sacco di problemi con il codice HTML, sistemerò al più presto e rimuoverò questo avviso.

“Per favore, Kate, dal principio.” Louis Tomlinson ama il suo lavoro e porta grandissimo rispetto per quegli autori che, nella sua breve vita, gli sono stati accanto così amorevolmente. Louis è, anche, un insegnante deciso e severo ed è per questo che, accompagnata Eleanor a scuola e preso un caffè al volo nella pasticceria senza nome – glielo ha servito Perrie, e veramente Louis ci è rimasto un po’ male – adesso sta sbuffando mentre Chaterine cerca di ripetere a memoria la prima declinazione latina. La ragazzina, i capelli scurissimi raccolti in una treccia spessa, deglutisce provando a concentrarsi.

“Usiamo rosa, rosae. Che funzione svolge il nominativo?”

Kate risponde: “funzione di soggetto.” facendo annuire il professore.

“Lo possiamo declinare, adesso?”

“Rosa, rosae, rosae.”

Louis la interrompe, pedante, “che quantità c’è sulla prima sillaba?”

“Breve. Lunga sulla seconda.” risponde prontamente la ragazza, che poi, a un cenno affermativo, continua “Rosam, rosa, rosa.”

Louis annuisce soddisfatto, Kate rimane in piedi al suo banco fino a quando non viene chiamato un suo compagno per continuare. Nonostante sia soltanto il secondo giorno di scuola, Louis ci tiene affinché le cose siano fatte per bene, ed è per questo che ha amorevolmente caricato di esercizi a casa i suoi studenti.

“Decliniamo la forma plurale, Thomas.” il ragazzo si alza, passandosi una mano tra i capelli. Louis sa che non ha studiato, glielo legge in faccia – e nelle chiazze di sudore sotto le ascelle – e scuote la testa deluso quando l’allievo continua a non rispondere.

“Siamo ancora all’inizio, ragazzi. Io pretendo che memorizziate le declinazioni, dovete dirle come fossero il Padre Nostro.”

Nessuno osa fiatare, perché il tono non ammette repliche; Louis continua, alzandosi dalla cattedra, “c’è qualcuno che è in grado di continuare?”

Qualcuno alza la mano, molti invece incassano la testa nelle spalle. Louis vede un ragazzino in ultima fila: non ha alzato la mano, ma gli occhi gli luccicano come se stesse fremendo dalla voglia di farlo.

“Come ti chiami?” lo interpella allora, girando tra la classe. Lancia un’occhiataccia ad una ragazza che sta usando il cellulare sotto il banco e torna a fissare l’attenzione sullo studente, che sta mormorando un “David Hale” per niente convinto.

“Possiamo declinare il plurale di questo sostantivo?”

Quello deglutisce, poi annuisce in imbarazzo; “rosae, rosarum, rosis,” fa una pausa, poi ricomincia “rosas, rosae, rosis.”

Louis annuisce, senza nessun’altro commento rivolge una domanda alla ragazza col cellulare, “vuoi dirci cos’è un pluralia tantum?” la interroga, continuando a girare per la classe.

La mattinata passa in fretta, Louis insegna grammatica latina ai ragazzi del primo anno e letteratura italiana a quelli dell’ultimo anno. Ama il suo lavoro, e ci tiene a svolgerlo nel migliore dei modi.

“Louis, ciao!” all’ora di pranzo ha preso un tramezzino col prosciutto e una bottiglietta d’acqua, Liam Payne lo chiama con un sorriso rischiando di fargli cadere il già esiguo pranzo.

“Payne.”

Si siedono ad uno dei pochi tavoli disponibili, per questa settimana nessuno dei due ha il compito di sorvegliare la pausa pranzo.

“Allora, non mi hai ancora raccontato niente di te!” Liam è il tipico ragazzone inglese: ventun anni, fisico prestante, biondo, un sorriso enorme che gli fa venire le rughette intorno agli occhi scuri. Quando Maggie era rimasta incinta Louis aveva sedici anni, e da troppo tempo non frequenta suoi coetanei.

“Mi sono trasferito qui due giorni fa, veramente.” Comincia allora a raccontare, togliendo la carta dal panino “io e mia figlia Eleanor, a dirla tutta.”

Liam annuisce, sorride “davvero? E tua moglie?” domanda con un’ingenuità tale che Louis nemmeno ce la fa, a risentirnese.

“E’ a Manchester. Ci siamo separati sei mesi fa.”

L’altro arrossisce in un modo che fa venire a Louis da ridere, ma si trattiene per rispetto, aggiungendo invece “mi piace qui, però. Anche a mia figlia.”

“E’ ok, intendo…” Liam da un morso al suo panino, toglie il tappo dalla bottiglietta d’acqua liscia “è un posto tranquillo. Io e mia moglie avremmo preferito trasferirci a Londra, ma alla fine quando lei è rimasta incinta siamo rimasti. Penso sia un bel posto in cui crescere un bambino.” spiega, con evidente orgoglio nella voce, “partorirà dopo Natale.”

Louis sorride, “io ero spaventatissimo, all’inizio. Non saprei adesso come sarebbe la mia vita, senza Eleanor. Lo stringi tra le braccia, il giorno in cui nasce, e capisci che nulla potrà essere più lo stesso. Penso sia stato il momento più bello della mia vita.” Arrossisce di botto quando si rende conto di quello che ha detto, ma a Liam non sembra importare più di tanto. Annuisce con foga e gli brillano gli occhi.

“Non vedo l’ora.”

Louis gli sorride, controlla l’orologio e sospira accorgendosi di quanto sia tardi; “ehi, dovresti venire con noi a prendere qualcosa da bere, qualche volta.” Liam richiama la sua attenzione mentre entrambi si stanno alzando per gettare le carte dei panini.

“Mi piacerebbe, Liam, ma come faccio con la bambina?”

La faccia dell’altro è tutta un programma, mentre annuisce grevemente. Louis è di nuovo tentato dall’idea di ridere, ma si trattiene per la seconda volta. Liam gli sta simpatico, non c’è dubbio.

“E’ vero, amico, non ci avevo pensato!” ridacchia nervosamente “comunque prendi il mio numero, ci sentiamo!” propone.

Louis annuisce e poco dopo lascia la mensa, saluta un paio di studenti che lo salutano correndo verso la loro aula ed entra in quella in cui terrà il suo corso di letteratura. È il primo giorno di questo nuovo corso, e in realtà Louis ha un po’ paura.

“Chi di voi sa dirmi in che anno comincia, convenzionalmente, il medioevo?”

La lezione dura due ore, e Louis ha tutto il tempo per spiegare alla classe cosa sia il Medioevo latino e perché le lingue parlate in quel periodo si chiamassero “volgari”. È contento quando uno studente gli chiede per quale motivo si usi l’espressione “lingue romanze” e ancora di più quando non deve nemmeno rispondere, perché è una ragazza a rispondere, anche un po’ scocciata “dov’eri mentre spiegavano il romanice loqui, John?” che aveva fatto ridacchiare tutta la classe, prof compreso. Alla fine, quando alle tre e un quarto del pomeriggio la campanella suona, Louis deve interrompersi mentre fa la differenza tra la figura del monaco eremita e quella del giullare di corte. Gli studenti escono in fretta dall’aula, chi per prendere il pullman, chi per rivedere il proprio fidanzato, e lui ha tutto il tempo di radunare i libri sparsi sulla cattedra ed avviarsi tranquillamente verso l’uscita. È mentre attraversa il giardino che nota, per la seconda volta, il ragazzino che quella mattina aveva risposto alla sua domanda senza nemmeno riflettere quando si era dichiarato impreparato.

“David?” il ragazzino sta da solo, la cravatta della scuola allentata e i primi bottoni della camicia slacciati. Si gira un attimo verso il suo professore, sbuffa mentre aspetta che lo raggiunga.

“Buongiorno, prof.”

Louis sorride, “volevo fare proprio due chiacchiere con te.”

“Proprio adesso? Devo prendere l’autobus.” Cerca di sviare, ma l’altro non glielo lascia fare.

“Solo una domanda, permetti?” David annuisce, un po’ controvoglia, così Louis continua “perché oggi hai detto di non essere preparato?”

David si stringe nelle spalle, “non mi va che pensino che sia secchione.”

“Ti piace studiare, non la vedo una cosa tanto grave.” Louis fa una smorfia che fa ridere lo studente, intanto continuano a camminare verso la fermata.

“Professore la ringrazio, davvero,” David si ferma e lo guarda, divertito “ma ho sedici anni. È normale che non voglia che gli altri pensino che sia uno sfigato.”

Louis nemmeno risponde, questa volta, limitandosi ad un sorriso mentre scuote la testa. Gli da una pacca sulla spalla, poi si stringe nelle spalle “va bene, David, lo capisco. Posso darti una mano, però.”

Il ragazzo lo guarda per un istante, stranito, “che cosa intende?”

“Se davvero ti piace la mia materia potrei darti del materiale.” spiega pazientemente Louis, per la seconda volta.

David ci pensa un po’, poi si stringe nelle spalle e Louis lo prende come un segno di assenso.

Si avvia senza ulteriori parole lungo la strada piena di foglie cadute, controllando gli sms che gli sono arrivati. Non ne ha molti, dal momento che ha parlato – cioè, Eleanor ha parlato – al telefono con Maggie e Lily è all’università tutto il giorno. Sua sorella Lottie, che sta finendo il college, gli ha mandato un messaggio all’ora di pranzo scrivendogli di odiarlo per averla lasciata in balia della sua prof pazza di letteratura francese. Louis ha sorriso e risposto in fretta, quindi adesso sospira rimettendo il telefono a posto nella borsa di pelle. È davanti alla pasticceria dopo neanche cinque minuti, e senza che nemmeno se ne renda conto ha la reflex pronta in mano ed Harry che serve due adolescenti con un sorriso dall’altra parte del vetro. Ha le fossette. Dio, ha sul serio le fossette? Scatta una fotografia, Harry alza lo sguardo e incrocia il suo, sorride lievemente. Louis scatta ancora.

Alle tre e trenta Eleanor esce di nuovo correndo dall’asilo,stavolta però si trascina dietro una bambina dalla pelle scura e con un sacco di treccine.

“Papà!” lo saluta gettandosi tra le sue braccia, come se non lo vedesse da anni invece che da poche ore. Louis la abbraccia forte sollevandola da terra, poi le scompiglia per scherzo i capelli, facendola sbuffare infastidita. C’è una signora di colore appena dietro le bambine, e non serve molto a capire che sia la mamma di Emily, l’amichetta di sua figlia.

“Buongiorno, signora.” Saluta, cordiale. La donna sorride e gli stringe la mano. Gli dice che per quel giorno il corso di danza non c’è, a quanto pare la maestra aveva una visita medica e quindi aveva rimandato al giorno dopo. Louis ne è contento, annuisce meccanicamente mentre la donna lo mette a parte dei giorni, degli orari e dell’attrezzatura per le lezioni; sorride e ringrazia quando addirittura lei si offre di andarle ad accompagnare, purché lui vada a riprenderle. Quando le nuove arrivate vanno via, Eleanor saltella contenta intorno a suo padre continuandogli a dire quanto è contenta e quanto si è divertita in classe.

“La maestra ci ha fatto unire tutti i puntini per scrivere le letterine, papà! Ho scritto il mio nome così, ma era lunghissimo!” Eleanor riprende fiato, mentre entrano nella pasticceria “perché ho un nome così lungo? Emily è più corto ma è bello lo stesso!” continua a blaterare, mentre Perrie, comparsa improvvisamente dietro il bancone, li saluta allegra.

“Buonasera, piccolina! Com’è andata a scuola?”

Eleanor sbuffa, “la maestra ci ha fatto scrivere i nostri nomi,” rivela “il mio è così lungo!”

Louis scuote la testa divertito mentre prende in braccio sua figlia per farla sedere sul bancone, Perrie la ascolta interessata mentre le porge una fetta di crostata alla marmellata.

“Com’è questa?”

Alla domanda di Eleanor, squittita con la sua vocina limpida, risponde però direttamente Harry, che sta uscendo dal laboratorio con un canovaccio tra le mani. Le asciuga, e Louis non può fare a meno di notarle di nuovo: grandi, bianche e nodose. “Marmellata alle albicocche. Ti piace, pulce?”

Eleanor da un morsetto e annuisce soddisfatta, continuando a mangiare in silenzio. Perrie sparisce, Harry si poggia di nuovo al bancone come il giorno prima. Ride di nuovo.

“Hai già finito con le foto?”

Louis, in risposta, gliene scatta un’altra. Harry sbatte gli occhi – che oggi non sono azzurri, ma nemmeno completamente verdi – e fa comparire le fossette.

“Almeno sei bravo a farle?” chiede, divertito.

Louis guarda Eleanor, che sta richiamando la sua attenzione perché finisca la crostata al suo posto, poi si stringe nelle spalle, “non lo so, non le ho mai fatte guardare a nessuno.”

Harry si sporge un po’ di più attraverso il bancone, indossa una maglietta a mezze maniche grigia, sul petto c’è cucito un taschino con un cuore, Louis riesce a leggere la scritta “lover” prima di essere di nuovo distratto dagli occhi verdi – ma nemmeno tanto – di Harry.

“Potresti farle vedere a me,” sta proponendo lui, intanto, “se ti piace tanto fotografarmi.”

“Non mi era mai successo di aver voglia di fotografare te.”

Harry lo guarda stranito, poi scoppia a ridere, “forse perché fino a ieri non mi avevi mai visto?” suggerisce, ironico.

Louis rimane serio, si morde un labbro sottile, “non avevo mai fotografato nessuno di diversi da qualche stupido paesaggio e mia figlia.” ammette, in imbarazzo. Le guance gli diventano rosa appena appena ed Harry smette di colpo di ridere.

“Davvero?”

Louis annuisce soltanto. Non sa perché gli ha appena detto questa cosa, che potrebbe essere inopportuna e abbastanza imbarazzante per due persone che praticamente nemmeno si conoscono. Tra due maschi, poi.

“Allora le voglio vedere davvero. E non solo per capire se sei bravo.” Harry si avvicina ancora un po’ di più e Louis arrossisce ancora, dimentico per un attimo di sua figlia che se ne sta seduta lì accanto a loro sul bancone, dei clienti che entrano ed escono e di Perrie che li serve con un sorriso malizioso sulle labbra. Non pensa nemmeno che a metterlo così in imbarazzo e in soggezione sia un ragazzino – maschio, persino – e che si senta come un adolescente alle prime armi. Non pensa a nulla, in realtà, di diverso dalle fossette che si sono create agli angoli della bocca rossa e carnosa di Harry. Ed è un ragazzino, dio mio. Quanto ha, diciassette anni?

Porta di nuovo la macchinetta fotografica davanti al viso, allora, scatta una, due, tre volte in rapida successione ed Harry se ne rimane lì, gli occhi lucidi e le mani ancora umide dopo essersele lavate.

“Un giorno, magari.” e non sa nemmeno lui se quella che gli è appena uscita dalle labbra sia o no una promessa, ma Harry sorride e ritorna nel laboratorio senza altre parole. Louis non può fare a meno di imitarlo, mentre paga e con Eleanor esce dal locale.

Incontra Harry ogni giorno alle tre e mezza del pomeriggio, dopo aver preso sua figlia dalla scuola. Tiene le sue lezioni, scatta delle fotografie a tutto e a niente e poi le rivede mille volte, studiando le imperfezioni e appuntandole su un block notes. Va a fare la spesa al Tesco dietro l’angolo di casa sua, non sa ancora cucinare – non crede che imparerà mai a farlo, veramente – ma si sforza lo stesso di preparare una cena ogni sera per sua figlia. Sistema la casa, prepara le lezioni col pc e i mille libri sul tavolo della cucina che ha scelto con sua sorella Lottie all’Ikea, mette a letto Eleanor e le legge le favole di Fedro o Le bellissime avventure di Caterì dalla Trecciolina e altre storie, che la bambina sembra apprezzare particolarmente, parla al telefono con sua madre e la sua migliore amica, Maggie chiama con Skype la sera e parla con Eleanor mentre lui ne approfitta per fare la doccia.

Con Harry, veramente, non parla quasi mai. Ogni volta che entra nel locale con sua figlia lui compare magicamente, ma non si avvicina a meno che non sia per giocare con la bambina. Louis, però, continua a fotografarlo. Lo fa col sorriso sulle labbra, la reflex davanti al viso ed Harry che si muove dietro al bancone servendo clienti con le fossette sulle guance. Louis non sa cosa gli stia succedendo, Harry è un ragazzo. No, è un ragazzino: non ha nemmeno la barba, per dio! Però si fa fotografare con un mezzo sorriso sulle labbra, sparendo ogni tanto nel laboratorio per uscirne, attimi dopo, con le mani piene di dolci. A volte, invece, rimane lì dentro per ore, Louis solitamente aspetta quanto più può, chiacchiera con Perrie e con il suo ragazzo che ha scoperto chiamarsi Zayn ma che non è di molte parole. Lo ha aspettato anche fino alle cinque, il pomeriggio precedente, ma lui non è più uscito dalla stanza nel retro della pasticceria.

Il martedì Louis è particolarmente contento, perché ama sua figlia Eleanor ma è grato del fatto che lei abbia lezione di danza e che potrà fare quello che vuole fino alle cinque. Entra in pasticceria con la borsa di pelle su una spalla, gli occhiali da vista in bilico sul naso. Perrie lo saluta come sempre con uno squillante “Ciao, Lou!” che porta Harry, inevitabilmente, ad uscire dal laboratorio. Indossa un paio di blu jeans scuri strettissimi, una maglietta di una qualsiasi band indie rock e un fermaglio che gli tiene indietro i ricci. Louis non riesce ad impedirsi di pensare - solo per un secondo, si chiaro – che sia la cosa più bella che abbia mai visto. Si salutano sempre con un sorriso, Louis chiede sempre un caffè ed Harry glielo porge pochi secondi dopo.

“Ho appena fatto i biscotti.” annuncia d’un tratto Harry, un sorriso sul volto che fa comparire le fossette “ne vuoi uno?”

Louis scuote la testa, non gli piacciono troppo i dolci e persino il caffè gli sembra più buono completamente senza zucchero. Ha già la reflex tra le mani, la pasticceria è completamente deserta e Perrie annuncia con un sorriso che andrà nel laboratorio.

“Devo mettermi in posa?” scherza ancora Harry.

“Non hai l’accento di qui.” Louis cambia completamente argomento, in imbarazzo.

Harry si stringe nelle spalle, “mi sono trasferito qui a Giugno di quest’anno per lavorare.”

“Non sembri il tipo a cui piaccia fare il pasticcere. “ troppo in imbarazzo, Louis parla a macchinetta senza rendersi nemmeno conto di cosa stia blaterando. Harry ridacchia, toglie la mollettina dai capelli e li ravviva con gesti decisi delle mani bellissime. Louis fotografa velocemente.

“E che tipo sembro?” il tono è divertito, ovviamente, ma Harry ha perso il sorriso. Inchioda l’altro con gli occhi facendolo arrossire – possibile? – ancora di più. Quando lui non risponde, limitandosi a stringersi nelle spalle in imbarazzo, Harry continua: “ho capito che la scuola non faceva per me, così invece di iscrivermi al College ho provato con la scuola di pasticceria. Mi è andata decisamente meglio."

Louis annuisce soltanto, non riesce a spiegarsi perché Harry gli stia raccontando questa cosa, ma ne è stranamente feli

“Io sono qui per incontrare un ragazzo."

Harry ride, “me?” e Louis avvampa. Come è possibile che lui, che parla perfettamente persino l’italiano e il francese, si impappini davanti a un bambino con le fossette che fa le torte?

“Uno studente.” specifica, una mano tra i capelli corti.

“Ed è legale?” Harry continua a scherzare, a Louis fa piacere vederlo così di buon umore, quindi finge di sbuffare incrociando le braccia sul bancone.

“Parleremo di letteratura.” chiarisce, divertito.

Harry ride alzando le mani, spara un “si dice così, adesso?” che fa borbottare scontento – ma solo per finta – l’altro.

“Quindi ti intendi di letteratura.”

Louis si stringe nelle spalle, “più o meno. La insegno al Liceo.”

“Potresti insegnarla anche a me.” propone, semi serio, Harry.

Louis annuisce, come se l’altro abbia appena avuto l’illuminazione del secolo, “potrei fotografarti mentre leggi le poesie di Catullo.”

“Di chi?”

Louis, però, non può rispondere, perché la porta si apre e David Hale entra con le guance rosse e un libro tra le mani. Louis sorride notandolo e lo invita ad avvicinarsi, prendono posto entrambi agli sgabelli alti in un angolo del bancone.

“Allora, David, com’è andata la lettura?” si incontrano solitamente dopo scuola, Louis gli spiega come migliorare la tecnica di traduzione dal latino e gli consiglia cose da leggere. David sembra contento e a Louis piace pensare di essere una specie di angelo custode, per lui, e la cosa lo fa sentire stranamente orgoglioso.

Harry pulisce il bancone due volte, sistema i biscotti nella vetrina e riordina i muffin sull’espositore. Poi, finalmente, si avvicina ai due. A Louis batte poco poco il cuore più forte del normale, quando Harry cerca di spiare i libri aperti sul bancone e lui può vedere i tatuaggi sul petto un po’ più chiaramente. David alza lo sguardo un istante, poco interessato, e Louis ridacchia.

“Cosa, Harry?”

Quello sbuffa, prende un biscotto apparentemente disinteressato, “andiamo, a chi interessa il latino? Se è una lingua morta ci sarà anche un perché, no?”

Louis scuote ridendo la testa, David guarda confuso il suo professore, “Andiamo, Haz, cosa c’è di più bello della lingua perfetta?” ed arrossisce appena, perché lo ha chiamato Haz e non pensava per niente e adesso si sente in imbarazzo da morire. E non po’ nemmeno arrossire, perché un suo studente gli è seduto accanto, così aggiunge “e non è una lingua morta. È una lingua finita.

Harry sembra trovare la scena abbastanza divertente, perché mastica il biscotto e sorride nuovamente, “se lo dici tu, Loulou…” borbotta, mentre due signore di mezza età entrano chiacchierando. E Louis, a ventidue anni, si sente un completo idiota perché un ragazzino riesce a farlo arrossire anche senza motivo, e David lo guarda maliziosamente mentre si schiarisce la gola. Dannazione.

“Allora, di cosa stavamo parlando?”

David trattiene una risata, “mi stava spiegando le differenze tra il teatro greco e quello romano, professore.” gli ricorda allora, schiarendosi la voce.

Louis annuisce e cerca di darsi un contegno, annuendo e cercando di riprendere il filo del discorso.

Vanno avanti fino alle cinque meno un quarto, poi Louis chiude il libro e fa cenno a Perrie, chiedendole se può lasciare la borsa in negozio mentre va a prendere Eleanor a lezione di danza.

Lei ed Emily hanno già finito di cambiarsi, anche se entrambe hanno ancora i capelli stretti in un elegante chignon. Accompagnano Emily a casa a piedi e per tutto il tempo le bambine chiacchierano di chissà cosa, Eleanor gli prende la mano mentre si avviano verso la pasticceria.

“Sono così affamata!” annuncia, una manina sullo stomaco.

Il clima in pasticceria non è cambiato, Perrie gli passa la borsa con un sorriso mentre lui mette Eleanor seduta sul bancone.

“Cosa mi fai assaggiare oggi?” chiede la bambina con un sorrisone, mentre Perrie le mette in un piattino dei dolcetti al cocco. Persino Louis ne prende uno, sovrappensiero.

“Pensavo non ti piacessero i dolci.” Harry esce dal laboratorio e sospira, spegnendo la luce del retrobottega. Zayn entra nel locale e saluta tutti con un cenno.

“Stavo pensando,” scherza Louis “che il massimo che mangeremo stasera a cena sarà insalata e hamburger precotti. Sono un pessimo cuoco.” ammette poi, una mano dietro la nuca in chiaro segno di imbarazzo. Sta sorridendo lo stesso però.

Eleanor smette di mangiare un attimo, “a me piace quello che cucini, papà!” lo rassicura con un bel sorriso. Tutti ridono mentre Perrie infila la giacca e recupera la borsa.

“Noi allora andiamo, Hazza. Ci vediamo domani!” Zayn prende una mano di Perrie, “Ciao, piccola!” saluta lei, ricambiata con un bacio volante dalla bambina.

Harry e Louis rimangono per un istante in silenzio, poi il più piccolo si apre in un sorriso, “se tu mi insegnassi le tue poesie morte – no, scusa, finite - io potrei insegnarti a cucinare.”

Louis passa le mani sulle spalle di Eleanor, che ha già perso interesse per la merenda e adesso vuole bere qualcosa. Harry l’accontenta subito con un bicchiere di succo di frutta.

“Le mie poesie non sono morte!” è l’unica cosa che riesce a ribattere, indignato, Louis.

Harry ride, mentre l’altro mette già Eleanor, “potresti fotografarmi mentre cucino l’arrosto.” cerca di dissuaderlo, un sorriso malizioso sul volto.

Louis non riesce nemmeno a crederci quando si ritrova a dire “mi stai invitando a cena fuori, Haz?” ed è stranamente emozionato mentre lo fa.

Ed Harry scoppia semplicemente a ridere, e di colpo non sembra più essere tanto bambino, mentre risponde “sembra che io lo stia facendo, Loulou?” prendendolo in giro, ma fino a un certo punto.

“Assolutamente sì, e non mi piace essere invitato ad uscire così.” e oh, mio dio, sta davvero flirtando con lui? Mentre sua figlia gironzola nella pasticceria giocando con il suo pupazzetto preferito?

“E come vorresti essere invitato, allora?” il tono di Harry è serio, Louis si stringe nelle spalle. Allora Harry si sporge appena verso di lui, fino ad essere a pochi centimetri da lui, “ti va di cenare con me, una di queste sere?” e Louis non può fare a meno di annuire.

 

Incontra Eleanor – la sua vicina di casa, ovviamente – quella stessa sera davanti all’ascensore. In quella settimana ha capito che fa praticantato come avvocato e che sta per sposarsi con un tizio con l’accento irlandese  e le guance sempre troppo rosse. Sta parlando al telefono e si scambiano soltanto un cenno ed entrano in ascensore in silenzio. Il cellulare di Louis comincia a squillare, sua figlia gli si è attaccata alla gamba e non può tanto muoversi. Cerca comunque di rispondere. “Lily, sono un’idiota.”

Dall’altra parte della cornetta una ragazza ride, “che hai combinato?”

“Un sacco di cose. E sono un idiota. Dio, ho una figlia, dovrei cominciare a pensare prima di accettare inviti a cena ben sapendo che non posso lasciare Ellie da sola a casa!”

Lily, dall’altra parte della cornetta, sbuffa, “verrei io, ma sai che non posso. Mi dispiace, Lou.”

“Non ti preoccupare, Lily, non te lo chiederei mai.”

“Contatta una babysitter.” gli propone la sua amica.

Louis ridacchia sarcastico, “faccio il professore, Lily. Dove li trovo i soldi per una babysitter?” lancia un’occhiata alla ragazza che è con loro nell’ascensore e le sorride cortesemente, mentre le porte si aprono. Lei ricambia, esce per prima ma Louis nemmeno ci fa caso, troppo impegnato a sentire Lily dire “non lo so davvero, allora…” seriamente partecipe al dramma.

Ella si ferma un attimo titubante, tocca la spalla di Lou e lo distrae dalla sua migliore amica che sta dicendo “e poi… con chi è che dovresti uscire?!”

“Senti, Louis…” il ragazzo allontana il telefono dall’orecchio e le presta attenzione per la prima volta. È sempre bellissima, con i capelli tirati indietro in una coda di cavallo e il viso truccato solo lievemente.

“Dimmi, Ella.”

“Se vuoi la bambina la sera posso tenertela io, ogni tanto.”

Louis sgrana gli occhi, poi si apre in un sorriso fin troppo speranzoso, “davvero, Ella? Cioè… non voglio disturbarti…”

Lei sorride, si stringe nelle spalle, “durante il giorno sono impegnata, ma la sera devo studiare per l’esame di stato. Può stare da me, Niall compra la pizza e possono guardare un cartone mentre io lavoro.” lo tranquillizza. Louis annuisce soltanto, troppo incredulo per proferire parola. Ha persino chiuso il telefono, nemmeno osa immaginare la reazione che avrà Lily per tale affronto.

“Bene, allora… buonanotte!” Ella sorride ad entrambi ed entra nel suo appartamento, Louis ed Eleanor fanno lo stesso. Il telefono ricomincia a squillare, Louis risponde già pronto alle urla, che effettivamente non tardano ad arrivare.

“Non mi hai detto con chi esci, comunque. Solo una settimana e già cominci una relazione?”

Louis ride mentre prende l’insalata dal frigo, “è solo una cena, Lily. Chiacchiereremo e berremo vino.”

“Spero non ti sia preso il compito di cucinare.”

Louis scuote la testa, divertito, “mica voglio che muoia al primo appuntamento!” commenta.

“Allora, com’è che si chiama?” incalza però Lily.

E Louis sospira solo, mentre pronuncia “Harry.”

L’unica cosa che la sua migliore amica dice, dopo un secondo, è “ha un bel nome.” Louis sorride.

   
 
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