Capitolo
13
Sbronza
triste
Fernand
corse all’impazzata, senza meta. La brezza tagliente frustava impietosa il suo
viso. Fuggiva: la sua corsa rabbiosa gli aveva regalato l’illusione di poter
disperdere nel vento il dolore che gli appannava i sensi.
Oltrepassò
alla cieca le strade grigie che scorrevano come ombre sotto i suoi piedi; ignorò
il tumulto dei passanti affrettati che incrociavano il suo cammino, l’aria dal
sapore di fiele che gli penetrava con prepotenza nei polmoni, i vicoli angusti e
solitari e la tetra solitudine che gli mordeva l’anima.
-
Guarda dove vai, razza di sciagurato! – lo apostrofò duramente un mercante che
rincasava dopo una lunga giornata di lavoro.
Urtandolo,
per poco non aveva ribaltato il carretto con la mercanzia che lo sconosciuto
trasportava con zelante fatica.
Ma
a Fernand non importava nulla di ciò che si agitava e si muoveva al di fuori di
sé, da quando il suo mondo si era configurato chiaramente per lui nei begli
occhi scintillanti d’odio che Auguste gli aveva incollato addosso, un istante
prima di atterrarlo con un manrovescio carico di quella collera e quel rancore
che gli aveva serbato per mesi, chiuso nel suo astioso silenzio, e che soltanto
allora gli aveva scaraventato addosso con la furia bruciante di un anatema.
Fernand l’aveva compreso soltanto allora.
Lo
zigomo colpito bruciava come marchiato a fuoco, mentre il vento infieriva
crudele sulla sua carne e sul suo animo straziato.
Arrestò
la sua corsa solamente quando, sostenendosi disperatamente alla parete di un
edificio ruvida e priva d’appigli, realizzò che un ulteriore passo l’avrebbe
schiantato al suolo, stroncato dalla fatica.
Le
gambe non gli ressero, tanto che in una manciata di secondi si ritrovò
accasciato in un cantuccio della strada polverosa. In quel vicolo così fosco,
tetro, squallido e claustrofobico poteva idealmente rispecchiarsi il suo animo
strappato da una forza oscura che gli spezzava il respiro. Ignorando le membra
doloranti ed i palmi delle mani escoriati, Fernand lottò per riprendere a
respirare regolarmente e soffocare i singulti di pianto che si sovrapponevano
prepotentemente all’intenso ansimare e al battito convulso. La sua mano corse ad
artigliare affannosamente il petto dolorante che si alzava e si abbassava nello
spasimo, quasi il cuore fosse in procinto di sfondare la prigione della cassa
toracica, anelando la libertà.
Si
passò nervosamente una mano sul volto congestionato, madido di lacrime e di
sudore: il mondo aveva ripreso a ruotare vorticosamente intorno ai suoi occhi,
nel caleidoscopio di confusi bagliori che lo schermo delle lacrime proiettava
dinnanzi a sé.
Le
sue dita si strinsero intorno alle sbarre sottili della bassa finestra in linea
con il piano della strada che permetteva alla fioca luce della sera di
illuminare il seminterrato sottostante.
Maledetto,
sibilò. Maledetto, schifoso
bastardo!
Ti
odio. Ti odio, perché nessuno, prima d’ora, mi aveva mai inflitto tanto dolore
con un semplice sguardo, condito da un’umiliante
percossa.
Chi
sei, maledetto? Chi sei tu, in grado di farmi questo?
Vorrei
provare a odiarti, in verità. Forse, la prospettiva neppure ti
dispiacerebbe.
Vorrei
non poter provare nei tuoi confronti nulla che prescinda dal disprezzo, ma, ora
come ora, so che non farò in tempo ad alzarmi da quest’oscuro angolo d’inferno
che sarò immancabilmente pronto a ricadere nel mio cruciale e tremendo
errore.
Fernand
respirò profondamente, tentando di riscuotersi e di governare i pensieri che si
agitavano incontrollati nella sua mente in subbuglio.
Mi
ha picchiato. Non ha minimamente esitato a colpirmi, spedendomi dritto lungo il
pavimento della locanda, come uno straccio sporco.
Auguste,
chi è, per te, Fernand?
Una
sciagura che ti è disgraziatamente piombata sul capo e che ogni volta ti costa
la fatica di ricondurre al proprio posto.
È
andata così: appurato che i libelli ed i miei discorsi alla locanda avevano
suscitato nella gente l’entusiasmo di opporsi alla tirannia del duca, Auguste ha
avuto paura di questo giovane sciagurato ed ha pensato che il modo migliore per
stornare la tragedia in atto fosse umiliare pubblicamente l’arringatore di
troppo, uccidendo il suo presunto ascendente sulla
folla.
Il
gesto di Auguste racchiude quest’unico significato: tutto qui. Per quanto
concerne me, non vi è nient’altro. Niente che giustifichi la sua
ostilità.
Io,
Fernand, cosa sono per lui, in fin dei conti? Una spina nel fianco, una piaga
infetta da sanare al più presto.
Rabbrividendo,
Fernand sfiorò la mano con cui, di rimando, aveva colpito il volto di Auguste, e
gli parve che il violento impatto gli bruciasse ancora sulle
nocche.
Si
era risollevato, furente. La rabbia, unico alito vitale, era stato il solo
impulso che, in quel momento, l’aveva indotto a puntare i palmi delle mani sul
pavimento e far leva per rialzarsi in piedi.
La
collera più densa: il solo sentimento, potente ed adrenalinico come una scossa,
che in quell’istante aveva provato nei confronti di
Auguste.
Rabbia,
perché non conoscevano altro modo di comprendersi ed interagire, se non
dilaniarsi reciprocamente.
Rabbia,
pura, cristallina, priva di sfumature, perché, in un guizzo di lucidità, Fernand
aveva sbattuto duramente la faccia contro la verità priva di veli: tutto ciò cui
lo stava conducendo il vago sentimento d’ammirazione morbosa ed affetto
incondizionato verso Auguste era la disperazione che quell’uomo gli elargiva a
piene mani.
Solo
dolore, dispiacere, umiliazioni: era l’unico modo in cui quel dannato bastardo
ripagava il suo amore.
Non
riesco a odiarlo, neppure dopo quello che mi ha fatto; la consapevolezza mi
trafigge il petto come mille lame acuminate.
Non
era così che doveva andare. Volevo parlargli; volevo stargli vicino e prendermi
cura del suo dolore. Volevo provare ad essergli amico. Invece, a causa di un mio
capriccio, non ho fatto altro che incanalare la sua collera su di
me.
L’ho
colpito perché ho visto nei suoi occhi la freddezza e l’indifferenza. L’ho
colpito, perché non potevo sopportare un istante di più quello sguardo carico di
disprezzo.
Eppure,
non ho scelto io di amarlo.
Fernand
nascose il volto fra le mani, in un eccesso di dolore.
Una
pioggia sottile prese a conficcarsi su di lui come tanti gelidi spilli che gli
rigavano il volto, mescolandosi al tepore bruciante delle sue
lacrime.
Non
è colpa sua se tutto ciò che è in grado di assicurarmi, come compenso per la mia
molesta presenza, è il dolore, unico risvolto. Ed io non riesco a mantenere quel
distacco che mi consentirebbe di non stare male. Odiarlo sarebbe un balsamo
sulle mie ferite: eppure, non mi è concesso.
E’
un tormento che non conosce sollievo. La sua sofferenza mi si ripercuote
addosso, perché vederlo soffrire e non poter fare nulla per lui è un veleno che
mi corrompe. Senza volerlo, ho ottenuto soltanto di infierire su di lui: nulla
di più.
Tante
volte il suo sguardo si è posato su di me, impenetrabile, ed ogni volta ho
vissuto nel terrore, perché sapevo che ogni suo cenno di riprovazione sarebbe
stato uno schiaffo in pieno volto.
L’unico
sistema di difesa che sia riuscito a mettere in atto per dissimulare l’influsso
che Auguste, inconsciamente, esercita su di me, è stato agire di mia iniziativa
e fingere che il suo giudizio per me non contasse nulla. Ho sbagliato in pieno,
perché lui ha interpretato il mio atteggiamento come astio da
incrementare.
Ci
siamo ingannati a vicenda. Quando crollerà il muro di freddezza e rancore che
abbiamo eretto fra noi?
Fernand
si accoccolò in un angolo squallido di quel vicolo e pianse la disperazione che
in quegli ultimi mesi aveva fomentato dentro di sé, sospeso in un insopportabile
limbo.
La
pioggia fine e pungente saettava in mille scaglie umide davanti ai suoi occhi,
disegnando lievi e caliginose voragini sospinte dal vento ed infilandosi tra i
suoi capelli umidi.
-
L’ho visto. È fuggito da quella parte.
Un
urlo lo riscosse bruscamente dal suo abisso. Fernand si sollevò in piedi,
trafelato.
Un
uomo lo fronteggiava con gli occhi stravolti che lampeggiavano di collera sotto
la bassa fronte bruna ed il cappellaccio calcato sul capo.
Il
mercante che ho quasi travolto: cosa vuole, ora?
-
Restituiscimi il maltolto, pezzo di farabutto!
Fernand
arretrò di un passo, preso alla sprovvista, non riuscendo a schivare il poderoso
pugno che l’uomo gli vibrò all’addome. Contrasse istintivamente i muscoli dello
stomaco, evitando d’incassare in pieno il colpo, ma l’intensità della percossa
fu tale da fargli perdere l’equilibrio e piegarlo al
suolo.
-
Ti ho visto scappare, maledetto – lo sconosciuto lo afferrò di malagrazia per i
risvolti della marsina, strattonandolo e costringendolo a sollevare il capo –
Restituiscimi la borsa, disgraziato, se vuoi conservare integro il faccino da
damerino che ti porti appresso!
Fernand
si ritrovò nuovamente scaraventato contro la dura terra, il volto ferito dalla
polvere. Per un attimo, divenne tutto scuro dinnanzi a
lui.
-
Lascialo andare, o ti ammazzo come un porco! – ruggì una voce, sopraggiunta alle
sue spalle solo in quel momento.
Vide
il braccio del suo aggressore trattenuto da un giovane dai lunghi capelli biondi
che brandiva minaccioso un lungo stiletto, dirigendolo alla gola
dell’uomo.
-
Vattene – soggiunse il ragazzo armato, un sussurro che non ammetteva
repliche.
Il
mercante indietreggiò un paio di passi, il volto livido, fino ad allontanarsi
con passi sempre più spediti, tirandosi dietro il suo modesto
carretto.
- A
proposito: rieccoti la tua roba – Dorian scagliò nella sua direzione una piccola
borsa, che rimbalzò con un tonfo sordo sul selciato – Ti è caduta – precisò con
un velo di sarcasmo, la voce glaciale.
Fernand
si tirò su a sedere, frastornato.
- È
tutto a posto? – Dorian si chinò su di lui.
Non
c’è nulla che stia al suo posto.
-
Sto bene – un sussulto.
Fernand
avrebbe voluto schermare il suo dolore, ricomponendo all’istante l’armatura di
gelo che sempre anteponeva fra le proprie debolezze ed il resto del mondo, ma il
fluire disperato delle lacrime non aveva cessato di solcargli il volto
pallidissimo.
Il
pianto trattenuto dentro di sé era un nodo d’angoscia che gli soffocava il
respiro e lo costringeva alla bocca dello stomaco come un duro fardello. Aveva
creduto che sopprimere le lacrime avesse potuto preservare lo scudo di freddezza
che si ostinava ad innalzare quale baluardo di difesa sulle proprie fragilità.
Parimenti, lo sfogo delle lacrime avrebbe potuto se non altro costituire per lui
un momentaneo sollievo: dolore represso che sgorgava via dal suo animo inquieto
sotto forma di acqua salata che purifica le passioni più contorte e laceranti.
Invece, il liquido rovente che gli irrorava le guance sortiva piuttosto un
effetto corrosivo sul suo cuore.
Il
sangue che cola dalla ferita è soltanto una mera conseguenza che non apporta
alcun sollievo alla medesima.
-
Sicuro che vada tutto bene? – Dorian diresse lo sguardo su Fernand,
esaminandolo.
-
Non è nulla, Dorian – soggiunse il più giovane – Ai pugni nello stomaco ci sono
abituato – ribatté con amarezza.
-
Perché sei scappato? – incalzò Dorian.
Fernand
chinò il capo, il volto in fiamme, evitando quanto possibile lo sforzo di
formulare una risposta.
-
Non capisco, Fernand – Dorian gli cinse le spalle con un braccio, attirandolo su
di sé, mentre con la mano libera scostava la lunga ciocca ondulata che gli era
ricaduta sul viso.
Non
capisco neppure io: cosa pretendi di cavarne fuori?
-
è… difficile. Difficile
accollarsi il disprezzo e l’avversione da parte di una persona che… – Fernand
sollevò gli occhi al cielo, alla ricerca di un termine adeguato – a cui tieni;
la cui considerazione, per te, nonostante tutto è importante.
Capisci?
-
Dovevi restare e costringerlo a ragionare, a costo di prenderlo a pugni.
D’altronde, stavolta Auguste non ha tutti i torti a dire che siamo stati degli
incoscienti nel far scoppiare la bega degli opuscoli in un momento tutt’altro
che favorevole – riprese Dorian, quasi parlando fra sé – Ed è stato folle
illudersi che Auguste avrebbe chiuso entrambi gli occhi.
Svincolandosi
dall’abbraccio che tentava di riscaldarlo, Fernand ancorò uno sguardo tagliente
su Dorian con fare sarcastico ed inquisitore.
-
“Te l’avevo detto, Fernand”? – alzò
gli occhi al cielo, esasperato – A quando l’immancabile conclusione della
faccenda? Mi meraviglio.
-
Non servirebbe a nulla – replicò asciutto Dorian.
-
Cosa non serve a nulla?
Il
giovane dai capelli biondi si portò una mano alla fronte,
disorientato.
-
Recriminare quel che è accaduto.
Fernand
incrociò le braccia sul petto. Benché si sforzasse di sostenere il confronto con
gelida noncuranza, non riusciva ad impedire al proprio corpo di sussultare,
scosso da un violento affanno, né alla superficie dei suoi occhi arrossati di
tremolare sotto lo scintillio delle stille di dolore che lottava per ricacciare
indietro.
-
Dorian, non c’è nulla. Nulla, capisci?
-
Perché non gli hai spiegato le tue ragioni, anziché aggredirvi a
vicenda?
Fernand
sbuffò.
-
Non potevo perdere la faccia ancora una volta.
- E
forse, neppure avrebbe capito – concluse tristemente Dorian in un sussurro – Era
accecato dal dolore e dalla rabbia.
Fernand
si morse il labbro che tremava pericolosamente. Sollevò il capo nel vano
tentativo d’impedire a roventi fiotti di lacrime di scivolare lungo le guance
inermi.
Non
credevo potessi sentirmi così… Confuso, umiliato,
mortificato.
-
Non posso fare nulla. Nulla. Ho gettato al vento l’ultima carta rimasta da
giocare. Potrei tornare indietro, ecco: tornare indietro a qualche mese fa ed
evitare accuratamente d’incrociare la mia esistenza con quella di quel
dannatissimo Auguste de
-
Ti prego, Fernand, ti prego.
Dorian
chinò mestamente il capo e lasciò che Fernand affondasse il volto nell’incavo
della sua spalla, scosso da spasmodici singulti e vacillante sulle proprie
gambe. Si strinse a sua volta nelle spalle sussultanti del ragazzo,
abbrancandogli la giacca con le dita nervose. Serrò dolorosamente le
palpebre.
Cosa
mi succede? Vi è qualcosa di strano nel non tollerare l’esistenza di qualcosa in
grado di ridurlo in questo stato?
Mi
tremano le mani: se lo sconosciuto che ha osato colpirlo avesse indugiato ancora
qualche istante davanti a me, credo l’avrei ucciso, accecato dalla frustrante
consapevolezza che tornare alla locanda e spezzare qualche osso ad Auguste non
sarebbe utile a nessuno.
Non
serve a nulla: la mia collera gioverebbe poco a Fernand, e non posso
semplificare tutto riversando ogni colpa su Auguste. Dopo tutto ciò che gli è
piombato sulla testa nel corso di soli due giorni, non mi meraviglio che sia
così poco in sé.
Non
sono stato capace d’impedire che il nostro dolore ci si ritorcesse contro,
annullando la nostra volontà di reagire e portandoci a riversare le nostre
angosce gli uni sugli altri. Non sono stato in grado neppure di proteggere
Fernand.
Stiamo
soffrendo tutti, e questo ci spinge soltanto ad esasperare i nostri dissensi.
Perché non ho impedito a Fernand ed Ambrosie di consegnare i maledetti libelli
nelle mani di quella donna senza scrupoli? Perché siamo stati così ciechi, così
presi dalle nostre spinte egoistiche da non curarci di
Auguste?
Non
so neppure come avrei reagito, al suo posto, se dopo la perdita di una persona
cara i miei compagni non avessero saputo far altro che banchettare sopra le mie
sciagure e portare avanti in tutta tranquillità dubbie iniziative: con ogni
probabilità, anch’io l’avrei vissuta come un
tradimento.
Fernand
non ha mai avuto cattive intenzioni nei confronti di Auguste, e così nessuno di
noi. Ma abbiamo peccato solo d’ingenuità.
Perché
neppure l’odio nei confronti di colui che è responsabile dei nostri mali riesce
ad unirci?
Non
ha colpa Fernand né Auguste.
-
Dov’è mia sorella, Dorian?
-
Alla locanda, con Auguste e…
Tacque:
Il nome di Raphäel, in quel momento, sarebbe stato per Fernand un pugno in pieno
petto.
-
Ho già capito – il volto di Fernand assunse una piega risentita – Non contento
di plagiare Auguste, quel cane sta tentando di portare anche Ambrosie dalla sua
parte. Non ha proprio remore di nulla.
-
Basta così, Fernand: cercare a tutti i costi un responsabile non ti aiuterà a
stare meglio.
-
Dici sul serio? In fondo, parte della colpa è sua, se Auguste si sta
allontanando da noi e se Ambrosie sembra nascondere
qualcosa.
-
Lascia fuori Raphäel da faccende che non lo riguardano. In questo momento, il
problema è fra te ed Auguste.
-
Neppure tu puoi fare a meno di lasciarti trasportare dal diabolico ascendente di
quel damerino vestito da straccione che irretisce le gonnelle con il suo musetto
da bravo ragazzo? È così?
Le
mani sottili di Fernand si strinsero sul colletto di Dorian in una morsa
svogliata.
L’alcool
ed il dispiacere gli hanno dato il colpo di grazia.
-
Perché bevi, Fernand? Il vino ti fa smarrire la lucidità.
-
Al diavolo l’alcool, e al diavolo voi tutti!
-
Ti fai del male: dici cose di cui ti pentiresti, agisci in maniera avventata.
Perché, Fernand?
-
Non lo so neanch’io, Dorian: non lo so! – il giovane si strofinò le labbra nel
debole tentativo di eliminare l’aroma d’alcool fastidiosamente incollato alla
bocca – Portami via da questo vicolo ripugnante.
Dorian
lasciò scorrere una flebile carezza sul volto di Fernand, sfiorando pensieroso
il segno che la percossa aveva tracciato sullo zigomo
d’avorio.
- È
solo un graffio – replicò Fernand, con distacco – Aveva un anello o qualcosa del
genere.
Dorian
gli prese affettuosamente il viso tra le mani, squadrandolo con infinita
malinconia.
- A
casa, cercherò qualcosa per medicarti. Ora, andiamo via: la pioggia ti sta
inzuppando da capo a piedi. Hai freddo?
Istintivamente,
fece per sfilarsi il lungo soprabito che lo proteggeva dalla pioggia sottile e
sferzante.
-
Ti ringrazio, Dorian; non è necessario – con un gesto della mano, Fernand
respinse l’offerta – Casa tua non è poi così distante.
* *
*
-
Fernand, mi spiace: purtroppo, nonostante sia ormai maggio inoltrato, nel mio
appartamento, la sera, si gela.
Il
giovane annuì con un cenno del capo, chiuso nei suoi pensieri, osservandolo
distrattamente sfilarsi il cappotto gocciolante.
Lo
vide dirigersi verso il caminetto a riattizzare un fuoco quasi
morto.
-
Siediti ad asciugarti, Fernand: ti prenderai una
polmonite.
-
Devo aver dimenticato il mantello alla locanda – mugugnò il
ragazzo.
Chiuse
gli occhi, assorto, proteggendosi dallo sfolgorio delle fiamme che lo
abbagliava.
- I
tuoi capelli sono fradici – osservò Dorian, tastandogli una ciocca increspata
tra le dita – E la giacca non è ridotta meglio. Ti porto qualcosa di
asciutto?
Fernand
si sfilò l’indumento, riponendolo su di una sedia.
-
Lascia stare; non è importante – allungò pigramente le gambe verso il caminetto
acceso – Si asciugherà in fretta. Sono molto stanco,
davvero.
Chiuse
gli occhi, abbandonandosi in un indolente languore, quando Dorian prese a
tamponargli i capelli umidi con un panno pulito.
-
Hai sentito la novità? – riprese a parlare Fernand.
-
Uh?
-
Il duca du Lac ha fatto arrestare alcuni presunti intellettuali dalla lingua
troppo affilata e sottoporre tutte le stampe a censura; come se non bastasse, ha
inviato delle truppe in città: dunque, Noir Trésor è ufficialmente sotto il
presidio dei suoi sciacalli.
-
Già – annuì mestamente Dorian – Ho saputo soltanto stasera: motivo in più per
cui Auguste ha fatto la cosa giusta, almeno una volta, nel far sparire i nostri
opuscoli dalla circolazione, prima che la diffusione divenisse irreparabile e si
estendesse fino a raggiungere le mani sbagliate.
Dorian
intinse il suo fazzoletto di stoffa in un catino d’acqua tiepida e se ne servì
per ripulire la leggera abrasione sul viso di Fernand.
- E
così, ancora una volta, Fernand ha fatto la figura dell’idiota – mormorò il
ragazzo con voce vagamente delirante.
Dorian
trasalì, quando Fernand, distendendo il proprio corpo alla ricerca della
posizione più comoda, gli sfiorò la spalla con la testa, per poi accostarsi
dolcemente a lui. Gli arruffò gentilmente i capelli.
-
Tu ed Auguste vi chiarirete, o vi ci potrei persino costringere. In fondo è
stata colpa dell’incoscienza di quella donnaccia, Madame Bertie o come diavolo
si fa chiamare, se i nostri libelli hanno rischiato di finire nelle tasche
sbagliate. Auguste voleva soltanto proteggerti: ne sono
sicuro.
Fernand
scosse il capo.
-
Lo dici soltanto per cercare di non allarmarmi: ad un primo sguardo, tutto
lascia pensare che Auguste abbia ogni interesse di questo mondo a stornare il
pericolo dai suoi compagni. In realtà, la situazione è più complessa: Auguste mi
detesta, ed ora più che mai.
-
Perché ne sei così strenuamente convinto?
Fernand
scrollò tristemente le spalle, strette nella camicia leggera che si asciugava
lentamente nel dolce tepore che rapidamente si diffondeva nella piccola
sala.
-
Auguste mi sempre disapprovato ciò che facevo e, dacché sono entrato a far parte
di questa fottuta organizzazione, non ha fatto altro che avversare apertamente
tutte le mie iniziative come per partito preso. Inoltre, credo che, giunti a
questo punto, fare un passo indietro sarebbe impensabile: Auguste ha gettato la
maschera, ha dichiarato apertamente il suo disprezzo e, peggio di tutto, credo
mi ritenga in qualche modo responsabile della morte di
Lucien.
Dorian
si volse di scatto verso di lui.
-
Che assurdità è questa? Cosa c’entrano le tue iniziative con
Lucien?
-
Recentemente, le divergenze fra loro si erano in qualche modo placate. Fatto sta
che, nel corso di queste ultime riunioni, ogni qual volta io ed Auguste abbiamo
dissentito su qualcosa, Lucien ha spesso preso le difese del suo amico,
schierandosi esplicitamente contro di me. Auguste non perdona la mia presunta
malevolenza e, quasi quasi, riterrà che io sia in qualche modo compiaciuto della
sua fine. Non lo so, Dorian, è una sensazione a pelle: è dall’altra sera che
Auguste non fa che evitarmi e sembra tollerare sempre meno la mia
presenza.
-
No, Fernand, assolutamente: credo che le spiegazioni stiano
altrove.
-
Hai qualche idea migliore a riguardo? – un’ombra di sarcasmo vibrò per un
istante sul volto di Fernand.
-
Non lo so. Ma escludo a priori che Auguste ti odi. Sarebbe un’ipotesi troppo
fantasiosa: si può odiare l’uomo che dall’alto del suo potere ci opprime e ci
abbandona a noi stessi nel momento del bisogno; di certo, Auguste avrà in odio
chi ha ucciso il suo amico, ma non te.
-
Il fatto, Dorian, è che in fondo abbiamo ucciso noi Lucien. Ognuno ha la sua
parte di colpa. Noi ci siamo esposti, Lucien ne ha pagato il
prezzo.
-
No, Fernand: non ti seguo. Ti stai contorcendo sempre di più nei tuoi
ragionamenti, forse perché vuoi ad ogni costo un pretesto plausibile per
giustificare la tua malata convinzione che Auguste ti
detesti.
-
Cosa te ne dà la certezza?
Dorian
alzò gli occhi al cielo.
-
Non vi è ragione. Dovrebbe guardarti in faccia e decidere di odiarti, ma… Non
sarebbe possibile. Non è possibile.
Lo
sguardo di Dorian scivolò curioso sul viso di Fernand, studiando minuziosamente
ogni sfumatura malinconica dipinta su quei tratti minuti e
raffinati.
Fernand
distolse il volto, a disagio, senza riuscire a scandagliare l’espressione
indecifrabile che l’amico gli rivolgeva, sì da coglierne le
contraddizioni.
-
Stai tranquillo, Fernand: proverò a parlare con Auguste. Quell’uomo avrà pure le
sue pecche, ma sa essere ragionevole.
-
Vorrei tanto chiarire che io non ho mai desiderato nulla di male riguardo
Lucien; e se a volte ho agito in maniera impulsiva, non ho avuto intenzioni
negative. Io… – il ragazzo si raggomitolò su se stesso, gli occhi lucidi – Sto
male, se penso a quel che è accaduto a Lucien: sul serio. Lui… Non meritava
questo. Nessuno lo meritava. Mi spezza il cuore pensare che una persona che ho
conosciuto e stimato non ci sia più; che non la rivedrò mai più. Il mio peggior rimpianto è
certamente il non essere riuscito ad avvicinarmi un po’ di più a lui e a
comprendere le sue ragioni e le sue angosce. So che non mi ha mai apprezzato
come desideravo, ma era sincero. Ed era sempre gentile con me; è stato il primo
a venire in mio soccorso, quando, appena approdato a Noir Trésor, ero come un
cucciolo smarrito e davvero non sapevo dove sbattere la
testa.
Fernand
tirò su col naso, gli occhi arrossati.
D’un
tratto, Dorian si drizzò in piedi, turbato dalla crudeltà del ricordo, quasi a
voler tenere soltanto per sé il suo personale momento di sconforto. Compì il
giro della stanza con passi rapidi ed inquieti, per poi riprendere la sua
postazione al fianco di Fernand. In silenzio, gli circondò le spalle con un
braccio.
-
Che hai, Dorian?
-
Niente – rispose il giovane, riavviandosi nervosamente i capelli – Soltanto un
po’ di mal di testa.
-
Non sono l’unico ad aver alzato il gomito, stasera.
-
Già – rincarò la dose Dorian, affibbiandogli un buffetto sulla guancia – Ma
vorrei che non lo facessi più. Fermati, finché sei in tempo: la disperazione
porta con sé cattivi doni.
- A
volte, Dorian – riprese Fernand – Mi capita di pensare a quanti pericoli
corriamo a causa delle nostre attività, e a quanto Auguste, in questo momento in
particolare, sia vulnerabile e privo di difese. Potrei morire, se di nuovo
accadesse qualcosa ad uno di voi. Qualcuno vuole danneggiarci, ed il fatto che
siamo divisi in un momento così critico non potrà che agevolare le sue future
manovre. Mi viene da rabbrividire. Se soltanto, ancora una volta, non ne avessi
combinata un’altra delle mie, e se qualche volta non avessi dato ascolto al mio
maledetto orgoglio, forse tra noi non ci sarebbe questa spaccatura incolmabile,
e forse non ci ritroveremmo così soli ed esposti al
pericolo.
Dorian
gli rivolse un sorriso benevolo.
-
Questa situazione ti pesa enormemente, Fernand: prima Lucien, ora i dissidi con
Auguste – sospirò – So quanto ti fa star male. Farò il possibile per
riconciliarti con lui: te lo prometto.
Coraggio,
Fernand, dillo; se non a Dorian o ad Ambrosie o a chiunque altro ti sia stato
vicino in questi momenti, almeno a te stesso. Ammettilo con te
stesso.
Io
amo Auguste: è questa la verità.
Fernand
attese in silenzio, lasciandosi andare e aderendo maggiormente al corpo
dell’amico.
-
Dorian?
-
Sì?
-
Perché fai tutto questo?
Il
ragazzo lo strinse maggiormente a sé.
-
Mi fa male vederti soffrire.
Gli
occhi turchesi di Fernand si fissarono su di lui come lanterne, non paghi della
sua risposta. Sorrise, quando due chiazze color porpora infiammarono le gote di
Dorian.
-
Vuoi torturarmi: è così – Dorian gli prese il mento tra le dita – Ti diverti a
mettermi a disagio, come se non ti sia bastato il mio imbarazzo la notte scorsa,
la fatica di riuscire a confessarti che…
Fernand
ammirò in estatico silenzio il volto pallido e teso di Dorian, scrutando quegli
occhi azzurri che bruciavano nei suoi. Scorse lentamente lungo il suo profilo
che si stagliava in controluce nel riverbero del focolare, sulla linea delicata
degli zigomi e del naso sottile ed affilato, vagamente appuntito. Seguì i
mutevoli giochi di luce che la danza delle fiamme proiettava sul suo viso,
accarezzando con lo sguardo i capelli ondulati che sfuggivano dal nastro,
ombreggiandogli le guance.
Lo
sguardo di Dorian scorreva febbrile tutt’intorno, per poi tornare ad indugiare
assetato sul suo, attirato sul suo volto come una
calamita.
-
Ti ringrazio, Dorian. Ti ringrazio… di esserci ora, per me. Sei l’unica persona
veramente amica.
La
bocca di Fernand si posò languidamente su quella di Dorian, schiudendosi in un
umido bacio.
- …
ti voglio bene, Fernand. Non mi lasci nemmeno concludere – gli ingiunse
scherzosamente Dorian, prima di riprendere possesso con voluttà delle labbra
roventi del suo amico.
Cullato
dalle carezze di Dorian, sfinito, Fernand si era assopito sul divano, adagiato
tra il morbido schienale ed il calore del corpo dell’amico che aderiva al
suo.
Le
dieci. Così tardi… Il tempo è un tiranno, un mostro affamato di vita che non ci
dà tregua.
Dorian
buttò giù le gambe dall’improvvisato giaciglio, avendo cura di non ridestare
bruscamente Fernand dal suo sonno leggero. Si erano addormentati un paio
d’ore.
-
Fernand, svegliati… – gli sussurrò dolcemente vicino all’orecchio, colpendo
inavvertitamente la pelle sensibile con l’erotica carezza del suo
respiro.
Poi,
un insolito particolare catturò la sua attenzione. Gli scostò delicatamente i
capelli dal collo.
-
Fernand!
Il
giovane dischiuse gli occhi e strinse la mano di Dorian, facendo leva per
sollevarsi a sedere.
-
Scusami: devo essermi addormentato – mugolò insonnolito.
-
Solleva un attimo la testa – gli ingiunse Dorian, un’inspiegabile venatura
allarmata nella voce.
-
Ehi, vuoi dirmi che ti prende?
-
Che hai fatto sul collo?
Dorian
sfiorava dolcemente due minuscoli segni rossi che, soltanto in quel momento,
aveva intravisto sul lato sinistro del collo.
-
Che strano! Pensa che, sinora, non mi ero accorto di nulla. Ti fa male
così?
Esercitò
una lieve pressione con le dita.
-
No, al massimo mi fai il solletico – Fernand si ritrasse – Mi spieghi
cos’ho?
Il
ragazzo gli porse uno specchio.
-
Giudica tu.
Fernand
esaminò perplesso i due forellini allineati che spiccavano quasi impercettibili
sulla gola pallida.
-
Non saprei. Mi avrà punto qualche insetto.
Dorian
si strinse nelle spalle, confuso, scosso da uno strano fremito
d’apprensione.
-
Coraggio, dobbiamo andare.
-
Già; prima che mia sorella mi spelli vivo!
-
Ambrosie non mi sembra il tipo di donna che si comporta da mamma-chioccia con i
suoi pulcini.
-
Già – il ragazzo s’infilò il soprabito che Dorian gli porse per proteggersi
dall’umidità della notte – A quest’ora, sempre che non si sia trattenuta con
Auguste, dovrebbe essere a casa e ancora non ha avuto mie notizie. Senza contare
che ognuno di noi, da solo in un simile momento, è una preda appetitosa per i
sicari del duca o per chiunque altro abbia deciso di sbarazzarsi di noi. Temo
soprattutto per mia sorella: non mi va di mollarla a casa o in giro da
sola.
-
Dobbiamo fare in fretta, Fernand: fra mezz’ora c’è il
coprifuoco.
Fernand
sgranò gli occhi.
- È
davvero arrivato a tanto, quel fottuto aguzzino?
Dorian
sollevò un sopracciglio con fare mordace.
-
Sa che i “miserabili traditori” amano congiurare nell’ombra e colpire col favore
delle tenebre come i vampiri, i ladri e gli assassini.
-
Sarà – Fernand si morse un’unghia, soprappensiero, mentre un mezzo sorriso
cospiratore si faceva largo sul suo volto – Tuttavia, se ci pensi bene, questa
situazione può offrirci spunti interessanti.
Dorian
inasprì il suo sguardo.
-
Basta, Fernand. Almeno per il momento, deponi le armi.
Il
più giovane arricciò le labbra, vagamente contrariato.
-
Scherzavo. Hai ragione tu. Abbiamo altro cui pensare.
Fernand
si tirò il cappello sulla fronte, per poi incamminarsi mestamente con Dorian
attraverso le strade buie e tortuose, sulla via di casa.
Il
mio cantuccio:
Buonasera
a tutti coloro che ancora seguono (e apprezzano… Spero!)
NT!^^
Stavolta
mi sono lasciata un po’ attendere, lo ammetto, causa scrittura “su due fronti” e
impegni universitari!
Avrei
voluto preparare qualcosa di più originale come augurio di Buon Natale ai
lettori, ma, come vedete, il tempo è stato davvero “tiranno”; dunque, spero
vivamente che apprezziate lo stesso questo tredicesimo capitolo. Sono contenta
di essere riuscita ad aggiornare prima di Natale: spero che il risultato non
deluda le aspettative.
Al
prossimo aggiornamento e… Buone feste a tutti!^^