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Autore: Cassandra Morgana    23/12/2007    2 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
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Capitolo 13

Sbronza triste

 

 

Fernand corse all’impazzata, senza meta. La brezza tagliente frustava impietosa il suo viso. Fuggiva: la sua corsa rabbiosa gli aveva regalato l’illusione di poter disperdere nel vento il dolore che gli appannava i sensi.

Oltrepassò alla cieca le strade grigie che scorrevano come ombre sotto i suoi piedi; ignorò il tumulto dei passanti affrettati che incrociavano il suo cammino, l’aria dal sapore di fiele che gli penetrava con prepotenza nei polmoni, i vicoli angusti e solitari e la tetra solitudine che gli mordeva l’anima.

- Guarda dove vai, razza di sciagurato! – lo apostrofò duramente un mercante che rincasava dopo una lunga giornata di lavoro.

Urtandolo, per poco non aveva ribaltato il carretto con la mercanzia che lo sconosciuto trasportava con zelante fatica.

Ma a Fernand non importava nulla di ciò che si agitava e si muoveva al di fuori di sé, da quando il suo mondo si era configurato chiaramente per lui nei begli occhi scintillanti d’odio che Auguste gli aveva incollato addosso, un istante prima di atterrarlo con un manrovescio carico di quella collera e quel rancore che gli aveva serbato per mesi, chiuso nel suo astioso silenzio, e che soltanto allora gli aveva scaraventato addosso con la furia bruciante di un anatema. Fernand l’aveva compreso soltanto allora.

Lo zigomo colpito bruciava come marchiato a fuoco, mentre il vento infieriva crudele sulla sua carne e sul suo animo straziato.

Arrestò la sua corsa solamente quando, sostenendosi disperatamente alla parete di un edificio ruvida e priva d’appigli, realizzò che un ulteriore passo l’avrebbe schiantato al suolo, stroncato dalla fatica.

Le gambe non gli ressero, tanto che in una manciata di secondi si ritrovò accasciato in un cantuccio della strada polverosa. In quel vicolo così fosco, tetro, squallido e claustrofobico poteva idealmente rispecchiarsi il suo animo strappato da una forza oscura che gli spezzava il respiro. Ignorando le membra doloranti ed i palmi delle mani escoriati, Fernand lottò per riprendere a respirare regolarmente e soffocare i singulti di pianto che si sovrapponevano prepotentemente all’intenso ansimare e al battito convulso. La sua mano corse ad artigliare affannosamente il petto dolorante che si alzava e si abbassava nello spasimo, quasi il cuore fosse in procinto di sfondare la prigione della cassa toracica, anelando la libertà.

Si passò nervosamente una mano sul volto congestionato, madido di lacrime e di sudore: il mondo aveva ripreso a ruotare vorticosamente intorno ai suoi occhi, nel caleidoscopio di confusi bagliori che lo schermo delle lacrime proiettava dinnanzi a sé.

Le sue dita si strinsero intorno alle sbarre sottili della bassa finestra in linea con il piano della strada che permetteva alla fioca luce della sera di illuminare il seminterrato sottostante.

 

Maledetto, sibilò. Maledetto, schifoso bastardo!

Ti odio. Ti odio, perché nessuno, prima d’ora, mi aveva mai inflitto tanto dolore con un semplice sguardo, condito da un’umiliante percossa.

Chi sei, maledetto? Chi sei tu, in grado di farmi questo?

Vorrei provare a odiarti, in verità. Forse, la prospettiva neppure ti dispiacerebbe.

Vorrei non poter provare nei tuoi confronti nulla che prescinda dal disprezzo, ma, ora come ora, so che non farò in tempo ad alzarmi da quest’oscuro angolo d’inferno che sarò immancabilmente pronto a ricadere nel mio cruciale e tremendo errore.

 

Fernand respirò profondamente, tentando di riscuotersi e di governare i pensieri che si agitavano incontrollati nella sua mente in subbuglio.

 

Mi ha picchiato. Non ha minimamente esitato a colpirmi, spedendomi dritto lungo il pavimento della locanda, come uno straccio sporco.

 

Auguste, chi è, per te, Fernand?

Una sciagura che ti è disgraziatamente piombata sul capo e che ogni volta ti costa la fatica di ricondurre al proprio posto.

 

È andata così: appurato che i libelli ed i miei discorsi alla locanda avevano suscitato nella gente l’entusiasmo di opporsi alla tirannia del duca, Auguste ha avuto paura di questo giovane sciagurato ed ha pensato che il modo migliore per stornare la tragedia in atto fosse umiliare pubblicamente l’arringatore di troppo, uccidendo il suo presunto ascendente sulla folla.

Il gesto di Auguste racchiude quest’unico significato: tutto qui. Per quanto concerne me, non vi è nient’altro. Niente che giustifichi la sua ostilità.

Io, Fernand, cosa sono per lui, in fin dei conti? Una spina nel fianco, una piaga infetta da sanare al più presto.

 

Rabbrividendo, Fernand sfiorò la mano con cui, di rimando, aveva colpito il volto di Auguste, e gli parve che il violento impatto gli bruciasse ancora sulle nocche.

Si era risollevato, furente. La rabbia, unico alito vitale, era stato il solo impulso che, in quel momento, l’aveva indotto a puntare i palmi delle mani sul pavimento e far leva per rialzarsi in piedi.

La collera più densa: il solo sentimento, potente ed adrenalinico come una scossa, che in quell’istante aveva provato nei confronti di Auguste.

Rabbia, perché non conoscevano altro modo di comprendersi ed interagire, se non dilaniarsi reciprocamente.

Rabbia, pura, cristallina, priva di sfumature, perché, in un guizzo di lucidità, Fernand aveva sbattuto duramente la faccia contro la verità priva di veli: tutto ciò cui lo stava conducendo il vago sentimento d’ammirazione morbosa ed affetto incondizionato verso Auguste era la disperazione che quell’uomo gli elargiva a piene mani.

Solo dolore, dispiacere, umiliazioni: era l’unico modo in cui quel dannato bastardo ripagava il suo amore.

 

Non riesco a odiarlo, neppure dopo quello che mi ha fatto; la consapevolezza mi trafigge il petto come mille lame acuminate.

Non era così che doveva andare. Volevo parlargli; volevo stargli vicino e prendermi cura del suo dolore. Volevo provare ad essergli amico. Invece, a causa di un mio capriccio, non ho fatto altro che incanalare la sua collera su di me.

L’ho colpito perché ho visto nei suoi occhi la freddezza e l’indifferenza. L’ho colpito, perché non potevo sopportare un istante di più quello sguardo carico di disprezzo.

 

Eppure, non ho scelto io di amarlo.

 

Fernand nascose il volto fra le mani, in un eccesso di dolore.

Una pioggia sottile prese a conficcarsi su di lui come tanti gelidi spilli che gli rigavano il volto, mescolandosi al tepore bruciante delle sue lacrime.

 

Non è colpa sua se tutto ciò che è in grado di assicurarmi, come compenso per la mia molesta presenza, è il dolore, unico risvolto. Ed io non riesco a mantenere quel distacco che mi consentirebbe di non stare male. Odiarlo sarebbe un balsamo sulle mie ferite: eppure, non mi è concesso.

E’ un tormento che non conosce sollievo. La sua sofferenza mi si ripercuote addosso, perché vederlo soffrire e non poter fare nulla per lui è un veleno che mi corrompe. Senza volerlo, ho ottenuto soltanto di infierire su di lui: nulla di più.

Tante volte il suo sguardo si è posato su di me, impenetrabile, ed ogni volta ho vissuto nel terrore, perché sapevo che ogni suo cenno di riprovazione sarebbe stato uno schiaffo in pieno volto.

L’unico sistema di difesa che sia riuscito a mettere in atto per dissimulare l’influsso che Auguste, inconsciamente, esercita su di me, è stato agire di mia iniziativa e fingere che il suo giudizio per me non contasse nulla. Ho sbagliato in pieno, perché lui ha interpretato il mio atteggiamento come astio da incrementare.

Ci siamo ingannati a vicenda. Quando crollerà il muro di freddezza e rancore che abbiamo eretto fra noi?

 

Fernand si accoccolò in un angolo squallido di quel vicolo e pianse la disperazione che in quegli ultimi mesi aveva fomentato dentro di sé, sospeso in un insopportabile limbo.

La pioggia fine e pungente saettava in mille scaglie umide davanti ai suoi occhi, disegnando lievi e caliginose voragini sospinte dal vento ed infilandosi tra i suoi capelli umidi.

 

- L’ho visto. È fuggito da quella parte.

Un urlo lo riscosse bruscamente dal suo abisso. Fernand si sollevò in piedi, trafelato.

Un uomo lo fronteggiava con gli occhi stravolti che lampeggiavano di collera sotto la bassa fronte bruna ed il cappellaccio calcato sul capo.

Il mercante che ho quasi travolto: cosa vuole, ora?

- Restituiscimi il maltolto, pezzo di farabutto!

Fernand arretrò di un passo, preso alla sprovvista, non riuscendo a schivare il poderoso pugno che l’uomo gli vibrò all’addome. Contrasse istintivamente i muscoli dello stomaco, evitando d’incassare in pieno il colpo, ma l’intensità della percossa fu tale da fargli perdere l’equilibrio e piegarlo al suolo.

- Ti ho visto scappare, maledetto – lo sconosciuto lo afferrò di malagrazia per i risvolti della marsina, strattonandolo e costringendolo a sollevare il capo – Restituiscimi la borsa, disgraziato, se vuoi conservare integro il faccino da damerino che ti porti appresso!

Fernand si ritrovò nuovamente scaraventato contro la dura terra, il volto ferito dalla polvere. Per un attimo, divenne tutto scuro dinnanzi a lui.

- Lascialo andare, o ti ammazzo come un porco! – ruggì una voce, sopraggiunta alle sue spalle solo in quel momento.

Vide il braccio del suo aggressore trattenuto da un giovane dai lunghi capelli biondi che brandiva minaccioso un lungo stiletto, dirigendolo alla gola dell’uomo.

- Vattene – soggiunse il ragazzo armato, un sussurro che non ammetteva repliche.

Il mercante indietreggiò un paio di passi, il volto livido, fino ad allontanarsi con passi sempre più spediti, tirandosi dietro il suo modesto carretto.

- A proposito: rieccoti la tua roba – Dorian scagliò nella sua direzione una piccola borsa, che rimbalzò con un tonfo sordo sul selciato – Ti è caduta – precisò con un velo di sarcasmo, la voce glaciale.

Fernand si tirò su a sedere, frastornato.

- È tutto a posto? – Dorian si chinò su di lui.

Non c’è nulla che stia al suo posto.

- Sto bene – un sussulto.

Fernand avrebbe voluto schermare il suo dolore, ricomponendo all’istante l’armatura di gelo che sempre anteponeva fra le proprie debolezze ed il resto del mondo, ma il fluire disperato delle lacrime non aveva cessato di solcargli il volto pallidissimo.

Il pianto trattenuto dentro di sé era un nodo d’angoscia che gli soffocava il respiro e lo costringeva alla bocca dello stomaco come un duro fardello. Aveva creduto che sopprimere le lacrime avesse potuto preservare lo scudo di freddezza che si ostinava ad innalzare quale baluardo di difesa sulle proprie fragilità. Parimenti, lo sfogo delle lacrime avrebbe potuto se non altro costituire per lui un momentaneo sollievo: dolore represso che sgorgava via dal suo animo inquieto sotto forma di acqua salata che purifica le passioni più contorte e laceranti. Invece, il liquido rovente che gli irrorava le guance sortiva piuttosto un effetto corrosivo sul suo cuore.

 

Il sangue che cola dalla ferita è soltanto una mera conseguenza che non apporta alcun sollievo alla medesima.

 

- Sicuro che vada tutto bene? – Dorian diresse lo sguardo su Fernand, esaminandolo.

- Non è nulla, Dorian – soggiunse il più giovane – Ai pugni nello stomaco ci sono abituato – ribatté con amarezza.

- Perché sei scappato? – incalzò Dorian.            

Fernand chinò il capo, il volto in fiamme, evitando quanto possibile lo sforzo di formulare una risposta.

- Non capisco, Fernand – Dorian gli cinse le spalle con un braccio, attirandolo su di sé, mentre con la mano libera scostava la lunga ciocca ondulata che gli era ricaduta sul viso.

Non capisco neppure io: cosa pretendi di cavarne fuori?

- è… difficile. Difficile accollarsi il disprezzo e l’avversione da parte di una persona che… – Fernand sollevò gli occhi al cielo, alla ricerca di un termine adeguato – a cui tieni; la cui considerazione, per te, nonostante tutto è importante. Capisci?

- Dovevi restare e costringerlo a ragionare, a costo di prenderlo a pugni. D’altronde, stavolta Auguste non ha tutti i torti a dire che siamo stati degli incoscienti nel far scoppiare la bega degli opuscoli in un momento tutt’altro che favorevole – riprese Dorian, quasi parlando fra sé – Ed è stato folle illudersi che Auguste avrebbe chiuso entrambi gli occhi.

Svincolandosi dall’abbraccio che tentava di riscaldarlo, Fernand ancorò uno sguardo tagliente su Dorian con fare sarcastico ed inquisitore.

- “Te l’avevo detto, Fernand”? – alzò gli occhi al cielo, esasperato – A quando l’immancabile conclusione della faccenda? Mi meraviglio.

- Non servirebbe a nulla – replicò asciutto Dorian.

- Cosa non serve a nulla?

Il giovane dai capelli biondi si portò una mano alla fronte, disorientato.

- Recriminare quel che è accaduto.

Fernand incrociò le braccia sul petto. Benché si sforzasse di sostenere il confronto con gelida noncuranza, non riusciva ad impedire al proprio corpo di sussultare, scosso da un violento affanno, né alla superficie dei suoi occhi arrossati di tremolare sotto lo scintillio delle stille di dolore che lottava per ricacciare indietro.

- Dorian, non c’è nulla. Nulla, capisci?

- Perché non gli hai spiegato le tue ragioni, anziché aggredirvi a vicenda?

Fernand sbuffò.

- Non potevo perdere la faccia ancora una volta.

- E forse, neppure avrebbe capito – concluse tristemente Dorian in un sussurro – Era accecato dal dolore e dalla rabbia.

Fernand si morse il labbro che tremava pericolosamente. Sollevò il capo nel vano tentativo d’impedire a roventi fiotti di lacrime di scivolare lungo le guance inermi.

Non credevo potessi sentirmi così… Confuso, umiliato, mortificato.

- Non posso fare nulla. Nulla. Ho gettato al vento l’ultima carta rimasta da giocare. Potrei tornare indietro, ecco: tornare indietro a qualche mese fa ed evitare accuratamente d’incrociare la mia esistenza con quella di quel dannatissimo Auguste de la Garde. Ma non è possibile. Non è possibile!

- Ti prego, Fernand, ti prego.

Dorian chinò mestamente il capo e lasciò che Fernand affondasse il volto nell’incavo della sua spalla, scosso da spasmodici singulti e vacillante sulle proprie gambe. Si strinse a sua volta nelle spalle sussultanti del ragazzo, abbrancandogli la giacca con le dita nervose. Serrò dolorosamente le palpebre.

 

Cosa mi succede? Vi è qualcosa di strano nel non tollerare l’esistenza di qualcosa in grado di ridurlo in questo stato?

Mi tremano le mani: se lo sconosciuto che ha osato colpirlo avesse indugiato ancora qualche istante davanti a me, credo l’avrei ucciso, accecato dalla frustrante consapevolezza che tornare alla locanda e spezzare qualche osso ad Auguste non sarebbe utile a nessuno.

Non serve a nulla: la mia collera gioverebbe poco a Fernand, e non posso semplificare tutto riversando ogni colpa su Auguste. Dopo tutto ciò che gli è piombato sulla testa nel corso di soli due giorni, non mi meraviglio che sia così poco in sé.

Non sono stato capace d’impedire che il nostro dolore ci si ritorcesse contro, annullando la nostra volontà di reagire e portandoci a riversare le nostre angosce gli uni sugli altri. Non sono stato in grado neppure di proteggere Fernand.

Stiamo soffrendo tutti, e questo ci spinge soltanto ad esasperare i nostri dissensi. Perché non ho impedito a Fernand ed Ambrosie di consegnare i maledetti libelli nelle mani di quella donna senza scrupoli? Perché siamo stati così ciechi, così presi dalle nostre spinte egoistiche da non curarci di Auguste?

Non so neppure come avrei reagito, al suo posto, se dopo la perdita di una persona cara i miei compagni non avessero saputo far altro che banchettare sopra le mie sciagure e portare avanti in tutta tranquillità dubbie iniziative: con ogni probabilità, anch’io l’avrei vissuta come un tradimento.

Fernand non ha mai avuto cattive intenzioni nei confronti di Auguste, e così nessuno di noi. Ma abbiamo peccato solo d’ingenuità.

Perché neppure l’odio nei confronti di colui che è responsabile dei nostri mali riesce ad unirci?

Non ha colpa Fernand né Auguste.

 

- Dov’è mia sorella, Dorian?

- Alla locanda, con Auguste e…

Tacque: Il nome di Raphäel, in quel momento, sarebbe stato per Fernand un pugno in pieno petto.

- Ho già capito – il volto di Fernand assunse una piega risentita – Non contento di plagiare Auguste, quel cane sta tentando di portare anche Ambrosie dalla sua parte. Non ha proprio remore di nulla.

- Basta così, Fernand: cercare a tutti i costi un responsabile non ti aiuterà a stare meglio.

- Dici sul serio? In fondo, parte della colpa è sua, se Auguste si sta allontanando da noi e se Ambrosie sembra nascondere qualcosa.

- Lascia fuori Raphäel da faccende che non lo riguardano. In questo momento, il problema è fra te ed Auguste.

- Neppure tu puoi fare a meno di lasciarti trasportare dal diabolico ascendente di quel damerino vestito da straccione che irretisce le gonnelle con il suo musetto da bravo ragazzo? È così?

Le mani sottili di Fernand si strinsero sul colletto di Dorian in una morsa svogliata.

L’alcool ed il dispiacere gli hanno dato il colpo di grazia.

- Perché bevi, Fernand? Il vino ti fa smarrire la lucidità.

- Al diavolo l’alcool, e al diavolo voi tutti!

- Ti fai del male: dici cose di cui ti pentiresti, agisci in maniera avventata. Perché, Fernand?

- Non lo so neanch’io, Dorian: non lo so! – il giovane si strofinò le labbra nel debole tentativo di eliminare l’aroma d’alcool fastidiosamente incollato alla bocca – Portami via da questo vicolo ripugnante.

Dorian lasciò scorrere una flebile carezza sul volto di Fernand, sfiorando pensieroso il segno che la percossa aveva tracciato sullo zigomo d’avorio.

- È solo un graffio – replicò Fernand, con distacco – Aveva un anello o qualcosa del genere.

Dorian gli prese affettuosamente il viso tra le mani, squadrandolo con infinita malinconia.

- A casa, cercherò qualcosa per medicarti. Ora, andiamo via: la pioggia ti sta inzuppando da capo a piedi. Hai freddo?

Istintivamente, fece per sfilarsi il lungo soprabito che lo proteggeva dalla pioggia sottile e sferzante.

- Ti ringrazio, Dorian; non è necessario – con un gesto della mano, Fernand respinse l’offerta – Casa tua non è poi così distante.

 

* * *

 

- Fernand, mi spiace: purtroppo, nonostante sia ormai maggio inoltrato, nel mio appartamento, la sera, si gela.

Il giovane annuì con un cenno del capo, chiuso nei suoi pensieri, osservandolo distrattamente sfilarsi il cappotto gocciolante.

Lo vide dirigersi verso il caminetto a riattizzare un fuoco quasi morto.

- Siediti ad asciugarti, Fernand: ti prenderai una polmonite.

- Devo aver dimenticato il mantello alla locanda – mugugnò il ragazzo.

Chiuse gli occhi, assorto, proteggendosi dallo sfolgorio delle fiamme che lo abbagliava.

- I tuoi capelli sono fradici – osservò Dorian, tastandogli una ciocca increspata tra le dita – E la giacca non è ridotta meglio. Ti porto qualcosa di asciutto?

Fernand si sfilò l’indumento, riponendolo su di una sedia.

- Lascia stare; non è importante – allungò pigramente le gambe verso il caminetto acceso – Si asciugherà in fretta. Sono molto stanco, davvero.

Chiuse gli occhi, abbandonandosi in un indolente languore, quando Dorian prese a tamponargli i capelli umidi con un panno pulito.

- Hai sentito la novità? – riprese a parlare Fernand.

- Uh?

- Il duca du Lac ha fatto arrestare alcuni presunti intellettuali dalla lingua troppo affilata e sottoporre tutte le stampe a censura; come se non bastasse, ha inviato delle truppe in città: dunque, Noir Trésor è ufficialmente sotto il presidio dei suoi sciacalli.

- Già – annuì mestamente Dorian – Ho saputo soltanto stasera: motivo in più per cui Auguste ha fatto la cosa giusta, almeno una volta, nel far sparire i nostri opuscoli dalla circolazione, prima che la diffusione divenisse irreparabile e si estendesse fino a raggiungere le mani sbagliate.

Dorian intinse il suo fazzoletto di stoffa in un catino d’acqua tiepida e se ne servì per ripulire la leggera abrasione sul viso di Fernand.

- E così, ancora una volta, Fernand ha fatto la figura dell’idiota – mormorò il ragazzo con voce vagamente delirante.

Dorian trasalì, quando Fernand, distendendo il proprio corpo alla ricerca della posizione più comoda, gli sfiorò la spalla con la testa, per poi accostarsi dolcemente a lui. Gli arruffò gentilmente i capelli.

- Tu ed Auguste vi chiarirete, o vi ci potrei persino costringere. In fondo è stata colpa dell’incoscienza di quella donnaccia, Madame Bertie o come diavolo si fa chiamare, se i nostri libelli hanno rischiato di finire nelle tasche sbagliate. Auguste voleva soltanto proteggerti: ne sono sicuro.

Fernand scosse il capo.

- Lo dici soltanto per cercare di non allarmarmi: ad un primo sguardo, tutto lascia pensare che Auguste abbia ogni interesse di questo mondo a stornare il pericolo dai suoi compagni. In realtà, la situazione è più complessa: Auguste mi detesta, ed ora più che mai.

- Perché ne sei così strenuamente convinto?

Fernand scrollò tristemente le spalle, strette nella camicia leggera che si asciugava lentamente nel dolce tepore che rapidamente si diffondeva nella piccola sala.

- Auguste mi sempre disapprovato ciò che facevo e, dacché sono entrato a far parte di questa fottuta organizzazione, non ha fatto altro che avversare apertamente tutte le mie iniziative come per partito preso. Inoltre, credo che, giunti a questo punto, fare un passo indietro sarebbe impensabile: Auguste ha gettato la maschera, ha dichiarato apertamente il suo disprezzo e, peggio di tutto, credo mi ritenga in qualche modo responsabile della morte di Lucien.

Dorian si volse di scatto verso di lui.

- Che assurdità è questa? Cosa c’entrano le tue iniziative con Lucien?

- Recentemente, le divergenze fra loro si erano in qualche modo placate. Fatto sta che, nel corso di queste ultime riunioni, ogni qual volta io ed Auguste abbiamo dissentito su qualcosa, Lucien ha spesso preso le difese del suo amico, schierandosi esplicitamente contro di me. Auguste non perdona la mia presunta malevolenza e, quasi quasi, riterrà che io sia in qualche modo compiaciuto della sua fine. Non lo so, Dorian, è una sensazione a pelle: è dall’altra sera che Auguste non fa che evitarmi e sembra tollerare sempre meno la mia presenza.

- No, Fernand, assolutamente: credo che le spiegazioni stiano altrove.

- Hai qualche idea migliore a riguardo? – un’ombra di sarcasmo vibrò per un istante sul volto di Fernand.

- Non lo so. Ma escludo a priori che Auguste ti odi. Sarebbe un’ipotesi troppo fantasiosa: si può odiare l’uomo che dall’alto del suo potere ci opprime e ci abbandona a noi stessi nel momento del bisogno; di certo, Auguste avrà in odio chi ha ucciso il suo amico, ma non te.

- Il fatto, Dorian, è che in fondo abbiamo ucciso noi Lucien. Ognuno ha la sua parte di colpa. Noi ci siamo esposti, Lucien ne ha pagato il prezzo.

- No, Fernand: non ti seguo. Ti stai contorcendo sempre di più nei tuoi ragionamenti, forse perché vuoi ad ogni costo un pretesto plausibile per giustificare la tua malata convinzione che Auguste ti detesti.

- Cosa te ne dà la certezza?

Dorian alzò gli occhi al cielo.

- Non vi è ragione. Dovrebbe guardarti in faccia e decidere di odiarti, ma… Non sarebbe possibile. Non è possibile.

Lo sguardo di Dorian scivolò curioso sul viso di Fernand, studiando minuziosamente ogni sfumatura malinconica dipinta su quei tratti minuti e raffinati.

Fernand distolse il volto, a disagio, senza riuscire a scandagliare l’espressione indecifrabile che l’amico gli rivolgeva, sì da coglierne le contraddizioni.

- Stai tranquillo, Fernand: proverò a parlare con Auguste. Quell’uomo avrà pure le sue pecche, ma sa essere ragionevole.

- Vorrei tanto chiarire che io non ho mai desiderato nulla di male riguardo Lucien; e se a volte ho agito in maniera impulsiva, non ho avuto intenzioni negative. Io… – il ragazzo si raggomitolò su se stesso, gli occhi lucidi – Sto male, se penso a quel che è accaduto a Lucien: sul serio. Lui… Non meritava questo. Nessuno lo meritava. Mi spezza il cuore pensare che una persona che ho conosciuto e stimato non ci sia più; che non la rivedrò mai più. Il mio peggior rimpianto è certamente il non essere riuscito ad avvicinarmi un po’ di più a lui e a comprendere le sue ragioni e le sue angosce. So che non mi ha mai apprezzato come desideravo, ma era sincero. Ed era sempre gentile con me; è stato il primo a venire in mio soccorso, quando, appena approdato a Noir Trésor, ero come un cucciolo smarrito e davvero non sapevo dove sbattere la testa.

Fernand tirò su col naso, gli occhi arrossati.

D’un tratto, Dorian si drizzò in piedi, turbato dalla crudeltà del ricordo, quasi a voler tenere soltanto per sé il suo personale momento di sconforto. Compì il giro della stanza con passi rapidi ed inquieti, per poi riprendere la sua postazione al fianco di Fernand. In silenzio, gli circondò le spalle con un braccio.

- Che hai, Dorian?

- Niente – rispose il giovane, riavviandosi nervosamente i capelli – Soltanto un po’ di mal di testa.

- Non sono l’unico ad aver alzato il gomito, stasera.

- Già – rincarò la dose Dorian, affibbiandogli un buffetto sulla guancia – Ma vorrei che non lo facessi più. Fermati, finché sei in tempo: la disperazione porta con sé cattivi doni.

- A volte, Dorian – riprese Fernand – Mi capita di pensare a quanti pericoli corriamo a causa delle nostre attività, e a quanto Auguste, in questo momento in particolare, sia vulnerabile e privo di difese. Potrei morire, se di nuovo accadesse qualcosa ad uno di voi. Qualcuno vuole danneggiarci, ed il fatto che siamo divisi in un momento così critico non potrà che agevolare le sue future manovre. Mi viene da rabbrividire. Se soltanto, ancora una volta, non ne avessi combinata un’altra delle mie, e se qualche volta non avessi dato ascolto al mio maledetto orgoglio, forse tra noi non ci sarebbe questa spaccatura incolmabile, e forse non ci ritroveremmo così soli ed esposti al pericolo.

Dorian gli rivolse un sorriso benevolo.

- Questa situazione ti pesa enormemente, Fernand: prima Lucien, ora i dissidi con Auguste – sospirò – So quanto ti fa star male. Farò il possibile per riconciliarti con lui: te lo prometto.

 

Coraggio, Fernand, dillo; se non a Dorian o ad Ambrosie o a chiunque altro ti sia stato vicino in questi momenti, almeno a te stesso. Ammettilo con te stesso.

 

Io amo Auguste: è questa la verità.

 

Fernand attese in silenzio, lasciandosi andare e aderendo maggiormente al corpo dell’amico.

- Dorian?

- Sì?

- Perché fai tutto questo?

Il ragazzo lo strinse maggiormente a sé.

- Mi fa male vederti soffrire.

Gli occhi turchesi di Fernand si fissarono su di lui come lanterne, non paghi della sua risposta. Sorrise, quando due chiazze color porpora infiammarono le gote di Dorian.

- Vuoi torturarmi: è così – Dorian gli prese il mento tra le dita – Ti diverti a mettermi a disagio, come se non ti sia bastato il mio imbarazzo la notte scorsa, la fatica di riuscire a confessarti che…

Fernand ammirò in estatico silenzio il volto pallido e teso di Dorian, scrutando quegli occhi azzurri che bruciavano nei suoi. Scorse lentamente lungo il suo profilo che si stagliava in controluce nel riverbero del focolare, sulla linea delicata degli zigomi e del naso sottile ed affilato, vagamente appuntito. Seguì i mutevoli giochi di luce che la danza delle fiamme proiettava sul suo viso, accarezzando con lo sguardo i capelli ondulati che sfuggivano dal nastro, ombreggiandogli le guance.

Lo sguardo di Dorian scorreva febbrile tutt’intorno, per poi tornare ad indugiare assetato sul suo, attirato sul suo volto come una calamita.

- Ti ringrazio, Dorian. Ti ringrazio… di esserci ora, per me. Sei l’unica persona veramente amica.

La bocca di Fernand si posò languidamente su quella di Dorian, schiudendosi in un umido bacio.

- … ti voglio bene, Fernand. Non mi lasci nemmeno concludere – gli ingiunse scherzosamente Dorian, prima di riprendere possesso con voluttà delle labbra roventi del suo amico.

 

Cullato dalle carezze di Dorian, sfinito, Fernand si era assopito sul divano, adagiato tra il morbido schienale ed il calore del corpo dell’amico che aderiva al suo.

Le dieci. Così tardi… Il tempo è un tiranno, un mostro affamato di vita che non ci dà tregua.

Dorian buttò giù le gambe dall’improvvisato giaciglio, avendo cura di non ridestare bruscamente Fernand dal suo sonno leggero. Si erano addormentati un paio d’ore.

- Fernand, svegliati… – gli sussurrò dolcemente vicino all’orecchio, colpendo inavvertitamente la pelle sensibile con l’erotica carezza del suo respiro.

Poi, un insolito particolare catturò la sua attenzione. Gli scostò delicatamente i capelli dal collo.

- Fernand!

Il giovane dischiuse gli occhi e strinse la mano di Dorian, facendo leva per sollevarsi a sedere.

- Scusami: devo essermi addormentato – mugolò insonnolito.

- Solleva un attimo la testa – gli ingiunse Dorian, un’inspiegabile venatura allarmata nella voce.

- Ehi, vuoi dirmi che ti prende?

- Che hai fatto sul collo?

Dorian sfiorava dolcemente due minuscoli segni rossi che, soltanto in quel momento, aveva intravisto sul lato sinistro del collo.

- Che strano! Pensa che, sinora, non mi ero accorto di nulla. Ti fa male così?

Esercitò una lieve pressione con le dita.

- No, al massimo mi fai il solletico – Fernand si ritrasse – Mi spieghi cos’ho?

Il ragazzo gli porse uno specchio.

- Giudica tu.

Fernand esaminò perplesso i due forellini allineati che spiccavano quasi impercettibili sulla gola pallida.

- Non saprei. Mi avrà punto qualche insetto.

Dorian si strinse nelle spalle, confuso, scosso da uno strano fremito d’apprensione.

- Coraggio, dobbiamo andare.

- Già; prima che mia sorella mi spelli vivo!

- Ambrosie non mi sembra il tipo di donna che si comporta da mamma-chioccia con i suoi pulcini.

- Già – il ragazzo s’infilò il soprabito che Dorian gli porse per proteggersi dall’umidità della notte – A quest’ora, sempre che non si sia trattenuta con Auguste, dovrebbe essere a casa e ancora non ha avuto mie notizie. Senza contare che ognuno di noi, da solo in un simile momento, è una preda appetitosa per i sicari del duca o per chiunque altro abbia deciso di sbarazzarsi di noi. Temo soprattutto per mia sorella: non mi va di mollarla a casa o in giro da sola.

- Dobbiamo fare in fretta, Fernand: fra mezz’ora c’è il coprifuoco.

Fernand sgranò gli occhi.

- È davvero arrivato a tanto, quel fottuto aguzzino?

Dorian sollevò un sopracciglio con fare mordace.

- Sa che i “miserabili traditori” amano congiurare nell’ombra e colpire col favore delle tenebre come i vampiri, i ladri e gli assassini.

- Sarà – Fernand si morse un’unghia, soprappensiero, mentre un mezzo sorriso cospiratore si faceva largo sul suo volto – Tuttavia, se ci pensi bene, questa situazione può offrirci spunti interessanti.

Dorian inasprì il suo sguardo.

- Basta, Fernand. Almeno per il momento, deponi le armi.

Il più giovane arricciò le labbra, vagamente contrariato.

- Scherzavo. Hai ragione tu. Abbiamo altro cui pensare.

Fernand si tirò il cappello sulla fronte, per poi incamminarsi mestamente con Dorian attraverso le strade buie e tortuose, sulla via di casa.

 

 

 

 

 

 

 

Il mio cantuccio:

 

Buonasera a tutti coloro che ancora seguono (e apprezzano… Spero!) NT!^^

Stavolta mi sono lasciata un po’ attendere, lo ammetto, causa scrittura “su due fronti” e impegni universitari!

Avrei voluto preparare qualcosa di più originale come augurio di Buon Natale ai lettori, ma, come vedete, il tempo è stato davvero “tiranno”; dunque, spero vivamente che apprezziate lo stesso questo tredicesimo capitolo. Sono contenta di essere riuscita ad aggiornare prima di Natale: spero che il risultato non deluda le aspettative.

 

Al prossimo aggiornamento e… Buone feste a tutti!^^

   
 
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