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Autore: Piccolo Fiore del Deserto    06/06/2013    2 recensioni
Fiamme divoravano il corpo di una donna legata a un palo sulla cima di un palchetto. [...]
“Strega, assassina, figlia e moglie del demonio…” tanti epiteti le venivano scagliati, mentre sagome scure puntavano croci verso di lei intonando litanie atte a scacciare il male e a purificare, insieme al fuoco, la sua anima corrotta. Il corpo bruciava, urla strazianti uscivano dalle sue labbra, mentre deperiva come un semplice ciocco di legno. Faceva male, colpiva nel profondo, e non aveva fine. Una morte lenta, tormentosa, inquietante.
Altre figure scure s’intromisero tra i popolani, ma non avevano volti: maschere nascondevano i loro tratti, assumendo il grottesco ghigno di un lupo. Lupi, troppi lupi intorno a sé.
Tra quell’oscurità e il fumo che le saliva sino agli occhi appannandole la vista affaticata dal dolore, scorse un’altra sagoma: era un vero lupo dal manto come neve e profondi occhi cristallini che la fissavano intensamente. La donna lo scrutò per alcuni istanti e il dolore sembrò attenuarsi.
Ma chi era quella donna?
Con mio profondo sgomento repressi a stento un urlo: quella donna ero io.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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XXXIV
 Notte prima dell'alba





    Era come vivere un incubo, ma purtroppo non era una mera illusione. Era realtà.
C’era tanto buio in quella cella comune, a parte una tenue luce sottile sulla quale piccole particelle di pulviscolo sembravano come sospese. Il freddo – nonostante la calda stagione – m’irrigidiva gli arti, facendomi tremare. Cercai, nuovamente, di nascondere le mie nudità, pur sapendo che erano gesti inutili ormai; mi sentivo lercia, come se avessero abusato di me. In quel momento non potevo sapere – o forse non lo avrei mai appreso – quando avrei potuto scordare il dolore di quegli spilloni sulla mia pelle, di quelle mani ruvide e callose sui miei seni, di quegli sguardi di disprezzo e libidine che mi erano stati rivolti. Non ero stata torturata fisicamente, ma dentro di me qualcosa si era spezzato per sempre. Ma io avrei avuto davvero un futuro? Non lo sapevo, ma ero conscia che il sorgere di un nuovo sole avrebbe solo rappresentato un giorno di pura sofferenza, di scelte per nulla facili. Che cosa avrebbero fatto alla mia bambina se non avessi parlato? Dove la tenevano ora? Alizée, il mio piccolo raggio di sole, stava bene?
Mi trovavo sull’orlo di un baratro profondo, sospesa tra due scelte: non parlare e correre il rischio di vedere soffrire mia figlia, o fare i nomi e gettare tra le fiamme le mie amate sorelle. Ma avevo realmente una duplice scelta?
Mi raggomitolai a terra e fui scossa da singhiozzi. Tutta la forza che avevo cercato di mostrare ai miei inquisitori era svanita. Mi sentivo sola, stanca, triste e vuota.
Piansi amare lacrime per mia figlia, per Flaviano che sostenevano avessi ucciso io, per le mie sorelle streghe, per Madame e Julie e anche per quell’amica che avevo perso in siffatta maniera e che mi aveva relegata in quel angusto inferno in terra. Piangevo anche per Mickel, mi avrebbe mai trovata?
    
    Gocce cadevano dal soffitto sfiorando il pavimento e risuonando sgradevoli all’udito. Sentivo gemiti di altre donne e grida provenire – probabilmente – dal grande salone dove mi avevano interrogata.
Una donna stava soffrendo terribilmente per peccati mai commessi: probabilmente un’emarginata della società, o una donna abile nel maneggiare erbe mediche e per questo invidiata dagli uomini cui spettava il compito di curare; o semplicemente era accusata per essere una donna sola, con una bambina da crescere e per il grande peccato di provare amore per un altro uomo.
Noi donne dovevamo sottostare alle leggi degli uomini. Non potevamo essere troppo indipendenti o avere maggiori conoscenze. In quella società erano gli uomini a comandare.
Dio, in fondo, non era un sostantivo maschile? Ma io avevo imparato a conoscere anche il suo volto femminile: la Dea, Vergine, Madre e Anziana, che era sempre pronta a sostenere le donne e che, in un certo senso, si poteva identificare con l’immagine di Maria. Le aprii il mio cuore, con la speranza di essere confortata e di trovare una risposta ai miei dubbi, alle mie non facili domande.
Ero così concentrata sul mio dolore e su tali domande che quasi non udii una voce sottile e gentile che invocava il mio nome.
    « Desirée, tu qui? »
Sollevai lo sguardo e scorsi un viso nell’oscurità della cella; era per metà in ombra, ma non mi era difficile riconoscerlo.
    « Claire? » domandai, poiché, anche se la sua voce era inconfondibile, il suo volto delicato era mutato. Era sporco di polvere e lividi scuri le avevano provocato un leggero gonfiore sotto l’occhio destro, ma quasi gridai quando mi accorsi che le sue braccia sembravano assumere una posa innaturale ai lati del suo corpo. Come se fossero lussate.
    « Cosa ti hanno fatto… » mormorai, tentando di allungare una mano verso di lei.
    « Gli uomini di Dio sanno trovare mezzi adeguati per estorcere confessioni, ma nessun nome uscirà dalle mie labbra ».
    « Ho avuto tanta paura di perderti, di arrivare troppo tardi per salvarti… » bisbigliai, nella speranza di non essere udita da altri. « Come ti hanno presa? »
    « Padre Paul » replicò, e poi piombò per qualche istante nel silenzio, e la sentii solamente sospirare. Io rabbrividii a quel nome, ancora incredula per la presenza del Pastore in quel luogo di tenebre, ma poi Claire riprese parola. « Ho sempre temuto il suo sguardo. Mi hanno accusata di aver compiuto un maleficium su di lui, di averlo soggiogato e ammaliato con i miei poteri da demone seduttore. Io, la concubina del Diavolo, colei che è riuscita a farsi insegnare l’arte della seduzione e della perdizione, spingendo così il povero Padre a fare pensieri impudichi, allontanandolo dall’unico Dio » si fermò, e la sentii emettere una risata strana, quasi isterica. « Il povero padre Paul ha ottenuto il suo scopo, trovando un pretesto per sfogare su di me la sua lussuria… ».
Tra noi s’insinuò il silenzio e forse per la prima volta la sentii piangere. Non era mai stato facile leggere le emozioni sul suo volto, ma in tali circostanze non era facile non lasciarsi trasportare dal dolore. Padre Paul aveva abusato di lei. Claire era stata condannata solo per la sua bellezza. Questa era dunque una colpa? In cosa aveva commesso peccato?
Mi sentii assalire da un profondo senso di rabbia e di nausea, e cercai di sfiorarla come per attenuare il suo dolore, ma lei si ritrasse al mio tocco e quindi mi fermai.
Avrei voluto dire tante cose, ma in quel momento non mi uscivano le parole. Avrei voluto abbracciarla, ma se io mi sentivo ferita per quella leggera tortura, come doveva sentirsi lei? L’avevano ferita fisicamente e moralmente, e ora rischiavamo entrambe di morire. Mi sentivo ipocrita a dire che saremmo uscite da lì. Non ero più sicura di niente.
    « Oh Claire… » mormorai, unicamente, non riuscendo a trattenere nuove lacrime. Avrei dovuto essere forte, ma in quel momento il mondo era caduto su di me e non sapevo più uscire, emergere alla luce, comprendere cosa fare.
Dopo diversi minuti, la sentii muoversi e poi dire:
    « Come sono arrivati a te? »
    « La tua arte mi aveva messa in guardia, ma il destino si è avverato in una maniera inaspettata. Louise-Marie, la prima dama e un tempo amica, si è voluta vendicare perché mi sono innamorata del suo uomo. Non avrei mai pensato che l’amicizia avrebbe potuto portare a qualcosa di simile ».
    « Questa non è la vera amicizia » replicò lei, cercando di ritrovare la sua compostezza e un tono gentile. « Un vero amico non si vendica, ma cerca di comprendere; non ti accusa, ma cerca di spiegarti cosa cela il suo animo. È importante parlare e venirsi incontro e, anche se fa male, sorridere per la felicità dell’altro ».
Ascoltai le sue parole sagge e annuii.
    « Lei mi ha accusata di tradimento, ma è scomparsa nel nulla. È un peccato così grande amare? »
    « No, non lo è » mormorò Claire, con difficoltà. Mi morsi le labbra per aver posto una domanda sull’amore, pensando a come dovesse sentirsi lei. Aveva perso l’amore della sua vita e ora era stata malamente abusata da un uomo che si era invaghito di lei, ma che non poteva averla; sarebbe mai riuscita ad amare e concedersi ancora? Non sarebbe stato facile, per nulla.
    « Alizée » si fermò un istante, e colsi nei suoi occhi verde acqua la magia della visione. « Oh, no. È stata presa anche lei ».
    « Sì. Mi hanno accusata di aver compiuto un maleficium contro mio marito e contro Mickel, e c’è chi mi ha visto accanto a Sylvie. Mi hanno invitata a fare nomi, ho mantenuto il silenzio, ma… »
    « …ma utilizzeranno tua figlia per farti dire i nomi delle altre » completò lei, avendo intuito o forse visto.
    « Sì… e non so assolutamente che fare. Non voglio tradirle, ma non voglio che mia figlia soffra. Lei non c’entra nulla… »
    « Devi… » ma non concluse, perché proprio in quel momento la porta di ferro della cella venne aperta e due uomini della guardia ecclesiastica spinsero dentro una donna, esanime.
Sangue grondava sul suo viso tumefatto, e non riuscivo a comprendere se fosse giovane o vecchia, anche il suo corpo sembrava aver subito scosse, e ora era svenuta a terra. Le chiusero le catene alle caviglie con poca grazia e uno dei due, rivolse il suo sguardo verso di me.
    « Il nuovo bocconcino è davvero prelibato » lo sentii dire, mentre si avvicinava di qualche passo claudicante a me. Cercai di allontanarmi, ma il ferro alla caviglia mi lacerava la pelle e m’impediva di scappare.
Gridai, e cercai di porre le mani avanti nel tentativo di respingerlo.
    « Potremmo divertirci un po’ tu ed io, strega ».
    « No, andate via, via! » gridai, dimenandomi quando lui tentò di allungare le sue braccia nerborute per cingere le mie e, quando vi riuscì, mi sentii mancare.
Non volevo subire violenze, non volevo  permettere a quella bestia di farmi del male, ma mi accorsi di non poter far nulla, se non continuare a dimenarmi, cercando di graffiarlo sul viso.
    « Cagna! » gridò, l’uomo, quando io riuscii a graffiargli il viso, e la sua risposta fu uno schiaffo violento che mi fece ricadere inerme a terra. La testa mi pulsava, ma ero riuscita a rimanere vigile. In quel momento però, quasi mi dispiacque. Priva di sensi sarei riuscita a non avvertire nulla di quel che erano i suoi tentativi. Avrei potuto distaccare lo spirito dal corpo, ma non riuscivo a concentrarmi in quel momento ed era qualcosa che dovevo ancora apprendere. La mia esperienza come strega non era molta. Avrei voluto tanto avere ancora Sylvie, ricevere i suoi insegnamenti, apprendere la sua arte e far mio il suo coraggio.
Non fu difficile per l’uomo arrivare facilmente al mio sesso, non avendo i vestiti a impedirgli l’accesso. Quando avvertii il suo dito penetrarmi, gridai con quanto fiato avevo in corpo.
    « Zitta, schiava del demonio. Lo so che apprezzi! » sbraitò lui, allungando una mano verso il seno e arpionandolo con forza tale da farmi gridare ancora, mentre con l’altra m’impediva di reagire.
    « Sta ferma ora, lurida sgualdrina! Vediamo se il tuo caro Capitano ti fa godere quanto me! »
Sollevai lo sguardo verso di lui e in preda a una rabbia e a un disgusto enorme, gli sputai dritto nell’occhio, facendolo infuriare. Mi colpì di nuovo sul viso, e questa volta mi sembrò di sentir scorrere qualcosa di liquido, sangue, probabilmente, mentre l’uomo si affannava per abbassarsi le brache. Il dolore era troppo intenso e le forze svanite, non sapevo più come reagire, e stava quasi per raggiungere il suo scopo, quando lo udii gridare.
Incredula lo guardai e lo vidi portare le mani agli occhi e agitarsi.
    « Ahh, i miei occhi. Bruciano, bruciano! » gridò, mentre il suo compagno si avvicinò senza capire. Si guardò intorno, ma non si accorse di ciò che era accaduto, come invece io compresi.
Claire era rimasta in silenzio, non per assistere inerme a quell’orrendo spettacolo che aveva già subito, ma per ritrovare quel poco di energia che le consentisse di fare un incantesimo. L’acqua era il suo elemento e bastarono quelle poche gocce che cadevano dal soffitto, per plasmarla al suo volere. Era riuscita a trasformarla, probabilmente, in acqua bollente che aveva ustionato gli occhi della bestia che si era gettata su di me. Mi sfuggì un sorriso, che mai avevo provato di fronte alla violenza. Era anche un sorriso di muto ringraziamento alla sorella ritrovata che mi aveva aiutata.
    « Che cosa accade qui? »
La voce di Padre Paul fece svanire il sorriso che univa me e Claire e la vidi ritrarsi maggiormente nell’oscurità. Io lo fissai con puro disprezzo, mentre i due gendarmi cercarono di spiegare la situazione.
    « Sono sicuro che è colpa di quella nuova strega! » gridò l’uomo che voleva abusare di me, e Padre Paul mi guardò con freddezza, lasciando trasparire però una nota di paura e incomprensione.
    « Coprite le vostre nudità e andate via di qui » ordinò, e i due uomini svanirono ben presto.
Padre Paul mi si avvicinò, scrutando il sangue che mi scorreva sul viso, e i miei occhi fissi su di lui. Cercai il contatto con il mio elemento, nonostante il dolore che provavo al capo. Se avesse anche solo tentato di sfiorare me, o Claire, non avrei esitato a colpirlo.
    « Siete stata davvero voi, Desirée? »
Come osava appellarmi così? Non risposi minimamente, ma non smisi di cercare il potere e di fissarlo con odio.
    « Continuate pure a tacere per ora, domani vedremo se riuscirete a trovare le parole ».
Avevo voglia di colpirlo, di fargli male, ma lui si allontanò spostando lo sguardo verso Claire. Convogliai l’energia verso le mie mani, pronta a far scaturire il potere se solo lui avesse tentato di sfiorarla. Plasmai il mio elemento, secondo il mio volere. L’aria, sfuggevole, sembrò rispondere al mio richiamo e vorticò nella mia anima. La sentii mutare, come se diventasse in un certo qual senso più spessa, più pesante, pronta a essere modellata come creta.
    « Anche con il viso tumefatto siete ancora bella. Creatura demoniaca, voi, voi mi avete lacerato il cuore » si chinò, e allungò una mano verso di lei. Avvertii nell’aria una tensione crescente, ma non dissi una parola. Il mio elemento mi avvolgeva e ignorai la pulsazione nella testa, perché in quel momento dovevo dimostrare forza e coraggio per difendere Claire.
    « Vi allontanate da me? Avete paura? » continuava a parlarle, con quel tono viscido che mi ricordava tanto il corpo di un serpente. In quel momento provavo odio e quel sentimento prepotente mi aiutò ad aumentare la mia energia.
    « Non riesco a resistervi. Cosa mi avete fatto! Ah, i vostri occhi! Sono loro ad attirarmi verso il peccato, tra le fiamme dell’inferno ».
Quando sentii Claire gridare al tocco di lui sul suo viso, lasciai scaturire il mio potere. Aria gelida colpì il corpo dell’uomo, spingendolo a cadere a terra. Altri colpi sferzarono il suo viso come fruste e quando si voltò intorno a cercare la fonte di un tale potere, scorsi i suoi occhi terrorizzati. Avrei voluto continuare ancora, ma l’angoscia, la violenza fisica, mi avevano così provata che ben presto le energie vennero meno. Tuttavia avevo ottenuto il mio scopo, ero riuscita ad allontanare quell’uomo viscido da mia sorella, e quando svanì oltre la porta, sospirai.
    « Desirée… grazie » mormorò Claire e, vidi la sua pallida mano affusolata venirmi incontro nel leggero baluginio della luce. Cercai di allungare la mia e le nostre dita si sfiorarono appena, non riuscendo a fare di più.
    « Grazie anche a te, sorella mia. » le sorrisi, stanca, e poi aggiunsi « ora però, abbiamo dato una vera dimostrazione di essere streghe ».
Ci ritrovammo a ridere, seppur con una nota di amarezza e poi tra noi piombò di nuovo il silenzio.


*



    Un lungo prato verde si distendeva dinanzi a me, adorno di fiori dagli intensi colori e dai gradevoli profumi. Sentivo l’aria carezzarmi con gentilezza il volto, il cinguettio tintinnante degli uccelli tra i rami degli alberi, e un cielo azzurro e infinito mi sovrastava.
Era una giornata deliziosa, che incantava i sensi. Mi muovevo lentamente, a piedi nudi, sentendo i fili d’erba freschi e assaporando quella piacevole sensazione. Non riuscivo a comprendere dove fossi, ma di certo quella non era Sivelle. C’era troppa luce lì, e troppa ombra nel mio villaggio. C’era troppa armonia e felicità in quel luogo, e troppo dolore dove avevo vissuto gran parte della mia vita.
A un tratto udii una risata, e il mio sguardo si posò su una fanciulla. Sembrava il mio esatto riflesso, una me – però – più giovane. Bloccai il mio incedere focalizzandomi totalmente su di lei. Osservai i tratti delicati del suo viso, leggermente paffuto e roseo, i lunghi boccoli biondi che le ricadevano sciolti come onde fino alla schiena, ma quando si voltò notai i suoi occhi: erano grandi e marroni, caldi e profondi, e il suo sorriso mi fece sciogliere dentro.
Sapevo di essermi sbagliata. Non ero io, ma la fanciulla era ugualmente una parte di me: vedevo la mia piccola Alizée cresciuta e ne fui orgogliosa. Era bella, bellissima. Era allegra e la sua risata risanava il mio cuore ferito. Era vestita elegantemente, di un bianco perlaceo, ed era viva.
Che la Grande Madre volesse darmi un segno del futuro? In verità non lo sapevo, ma in quella situazione di tremendo dolore e sconforto, anche i sogni potevano rappresentare una forma di evasione.
    Alizée volgeva il suo sguardo verso gli alberi. Sembrava assorta, come se riuscisse a scorgere qualcosa che a me era impedito di vedere, forse per la distanza alla quale mi trovavo.
Sedeva a terra e l’abito bianco nascondeva il suo corpo, avvolgendolo tra le sue soffici pieghe. Io non potevo smettere di guardarla. Sarebbe diventata realmente così mia figlia? Quell’esserino piccolo e paffuto che mi era stato strappato brutalmente dalle braccia? Nel mio cuore speravo di sì, anche se qualsiasi fosse stata la Alizée adulta, per il mio cuore di mamma sarebbe stata ugualmente incantevole.
Avrei voluto realmente poterla crescere, fare di lei una creatura buona e modesta, insegnarle le poche cose che sapevo e soprattutto a guardare le piccole cose belle della vita, nonostante il mondo potesse essere crudele e meschino. Volevo farla ridere, come in quel sogno. Volevo donarle solo felicità. Ma quegli uomini di chiesa e la vendetta di una donna me l’avevano portata via, impedendo a una madre di vivere ogni giorno con la sua bambina.
    Sentii un ululato e un brivido percorse la mia spina dorsale. Allarmata cercai di gridare verso Alizée, spingendola a scappare di lì, a trovare un qualche rifugio ma, nel momento esatto in cui tentai di proferire parola, dalle mie labbra non uscì alcun suono. Portai la mano destra alla gola, incredula e sgomenta, e poi cercai di correre verso di lei, ma anche quel tentativo fallì miseramente. Radici degli alberi vicini mi avevano arpionato le caviglie in una morsa d’acciaio e non era facile liberarsene. Ogni volta che tentavo, percepivo la pelle lacerarsi e alla fine desistetti.
Mia figlia era in pericolo e non potevo fare nulla. La realtà si confondeva con il sogno.
Mi sentivo inerme e anche quel paesaggio di colore e luce sembrò oscurarsi all’improvviso.
No. Non potevo rimanere ferma anche nel sogno.
In quel mondo illusorio spesso potevo realizzare cose che nella vita reale mi erano impedite, ma altre volte i sogni seguivano il loro corso ed era impossibile per l’uomo reagire o compiere scelte diverse.
Quel sogno si era trasformato in un terribile incubo.
Dagli alberi sbucò una figura candida come neve. Aveva un folto manto, privo di macchie. Quando quella creatura si voltò verso di me, contemplai gli occhi del lupo: di un azzurro molto chiaro, più tendente al ghiaccio.
Mi fissò in silenzio e immoto, sembrò penetrarmi dentro, come se volesse conoscere ogni fibra del mio essere, ogni parte dei miei pensieri e della mia anima. Non riuscii a dire una parola e anche se avessi provato mi era impossibile farlo. Ero diventata come un blocco di ghiaccio che si perdeva nel medesimo elemento.
Lo contemplai, ammirai, ma allo stesso tempo avevo una terribile paura di quell’animale.
Sembrava più grosso di un lupo normale e quel manto puro come le rose che amavo era insolito.
Poi quel contatto visivo s’interruppe, e il lupo voltò di nuovo la sua attenzione verso Alizée ancora immobile a terra.
Subito affiorò la medesima paura. Scalciai, ritrovandomi a urlare – senza emettere suono – nell’avvertire una fitta di dolore laddove la pelle si era lacerata; allungai le braccia nel vano tentativo di essere vista da mia figlia, ma lei sembrava avere attenzioni sono per quel lupo.
Scelsi un’altra strada. Forse anche nei sogni potevo richiamare a me l’aria, il potere. Restai perfettamente immobile e cercai di rilassarmi, emettendo profondi respiri. Acquietai il ritmo del mio cuore, ma i miei occhi rimasero ben aperti a fissare mia figlia, il punto in cui avrei dovuto scagliare la mia energia, per impedire al lupo di attaccare. Sentii l’energia vorticare dentro di me, vibrare nel mio corpo, elettrizzare la mia pelle provocando un leggero, quanto piacevole, prurito.
L’aria rispose al mio richiamo, penetrando nel mio cuore. La plasmai come un artista crea la sua opera, tentando di farle assumere una maggiore consistenza, cercando di immaginare come delle spire di vento pronte a scagliarsi come fruste sul corpo dell’animale, ma quando fui pronta, il lupo aveva già raggiunto la fanciulla, ed io rimasi sgomenta nello scorgere la scena che si presentava ai miei occhi.
Alizée aveva teso la mano destra verso il muso del lupo che la sovrastava con la sua mole. Non sembrava avere alcuna paura, ma anzi rimaneva al suo fianco come fidandosi completamente di lui.
Il lupo, a sua volta, rimase perfettamente immobile, attendendo forse il tocco della ragazza.
Osservai mia figlia sfiorare il candido manto che doveva essere estremamente morbido al tatto, per poi affondare il suo viso sul suo corpo.
Sembrava felice, rideva, e carezzava continuamente il lupo che non si azzardava minimamente a sfiorarla, a farle male.
Rimasi immobile, e l’energia accumulata si disperse. L’aria tornò al suo aspetto leggero e sfuggente, e scivolò tra i capelli della fanciulla, facendo rizzare anche leggermente il pelo dell’animale.
Contemplai quella scena e notai lo sguardo di mia figlia volgersi nuovamente verso di me, e un sorriso luminoso sembrò espandersi, allontanando le cupe ombre che avevano avvolto il luogo.
C’era luce. Solo intensa luce.

E la luce dell’alba continuò a sfiorarmi gli occhi, quando una voce mi attirò fuori dal sogno.
    « Desirée? »
Aprii gli occhi molto lentamente, quasi non volessi allontanarmi da quella bellissima immagine che il sogno aveva portato con sé, ma poi quando finalmente riuscii a scorgere la triste realtà nella quale mi trovavo, compresi che quella luce sottile non era più portatrice di gioia.
    « Un nuovo giorno, infine, ha inizio » mormorai cupamente.













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Eccomi di nuovo qui! In verità non ho nulla da dire su questo capitolo, anche se rileggendolo a distanza di tempo, mi ha sorpresa. Sì, mi sorprendo di me stessa, eheh. Forse tendo a sottovalutarmi troppo.
Comunque sia, un altro tassello è entrato al suo posto e, vi avverto che mancano solo due capitoli alla conclusione, e così potrete scoprire se ci sarà un lieto fine o meno! Sono sadica, lo so. Vi faccio attendere!
Sono curiosa di sapere le vostre impressioni, per cui non esitate a lasciare un commento. Sono aperta a tutto, purché siano interventi costruttivi e non offese (anche se finora non ne ho mai avute, e ne sono veramente felice).

Alla prossima settimana, con il penultimo capitolo!
   
 
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